lunedì 28 agosto 2017

LA VIA DEI BORGHI.50: EPILOGO



Così, Lettore, siamo finalmente giunti all’epilogo. Ma “epilogo” è qui certo da intendersi in senso retorico, come parte finale del discorso; senza la pretesa, però, di generare alcun pathos. Così come l’avverbio “finalmente” sarebbe da intendersi “all’anglosassone”, ovvero “alla fine”; non è usato per indicare il sopraggiungere di un evento ansiosamente atteso.

In altri termini, Lettore, ho semplicemente terminato, con la consapevolezza di aver detto molto, ma senza alcuna pretesa di aver detto tutto, di aver detto tutto ciò che si poteva dire. Ho sì apposto la parola “fine”, ma non all’argomento in sé; semplicemente ai miei post.

Sarebbe una delle massime manifestazioni di immodestia quella di ritenere di aver detto tutto ciò che si poteva dire; se non ci sono altre informazioni che conosco, ciò non vuol dire in alcun modo che esse non esistano.

Ma non è solo questo.

Vi sono altre informazioni che pur conosco, ma sulle quali non mi sento di dilungarmi ulteriormente. Di alcune farò un accenno qui, ma per altre “passo il testimone”; la storia della Sicilia, nella sua apparente, generale, semplicità, presenta in particolare tanti risvolti e tante pieghe che, estendendo un po’ i concetti, si potrebbe parlare all’infinito. E l’infinito è un “dominio”, un campo d’azione, che non mi compete.

Perché alla fin fine, Lettore, qui si è parlato fondamentalmente di borghi nati con modalità che aderiscono al concetto di “città di fondazione”, e cioè di agglomerati non spontanei, la cui esistenza era stata in un certo modo pianificata; che la pianificazione consistesse nella richiesta di una licentia populandi, in una lettera di incarico ad un architetto, o nella redazione di una mappa di borghi relativa all’intera Sicilia, poco importa. Il principio che sta alla base del concetto è il medesimo.

Ma non è l’unico; vi sono, ad esempio, delle “città di fondazione” nate per necessità, come le “città nuove” sorte dopo il sisma del 1968, alle quali si accenna (quasi impercettibilmente) qui.

Ma vi sono anche dei centri che, nati come minuscoli agglomerati spontanei, hanno subito dei tentativi di trasformazione successiva, derivante dall’iniziativa di qualcuno. Che poi questo abbia sortito il risultato voluto, e che questo sia stato duraturo, è un’altra faccenda; ma questo vale per dette iniziative, così come per le “città di fondazione”.

Ed accanto a questi vi sono piccoli centri sorti lontani dalle città, ma con finalità diverse da quelle agricole; è stato accennato, ad esempio, ai villaggi minerari), che più tardi vedranno la loro evoluzione concettuale nei villaggi realizzati dalla Montedison.

Ma ancora vi sono, più semplicemente, piccoli nuclei di case ai quali sono state aggiunte successivamente una chiesa, o una scuola. O ambedue. Sono anch’essi “borghi”? Perché no? Se l’ERAS ha considerato “borgo ridotto” quella che non era altri che una scuola (come ad esempio nel caso di Roccella), perché così non dovrebbe essere anche quando la scuola non è stata realizzata dall’ERAS? E di fatto spesso tali piccoli nuclei possedevano già il vocabolo “Borgo” nella toponomastica, almeno in quella locale; quindi sono da ritenere “borghi” a maggior diritto. Se ci pensi bene, Lettore, ciò che accade in tali casi è il tentativo di trasformazione di un “villaggio”, un nucleo esclusivamente residenziale spontaneamente creatosi, in una “città”, aggiungendo i servizi al nucleo esistente. Per tale processo si potrebbe coniare l’espressione “città di conversione”, per analogia con le “città di fondazione”. Nessuna delle due nasce spontaneamente come “città”, ma in conseguenza di iniziative attivamente determinate; solo la sequenza degli eventi è diversa.

L’aspetto iniziale di tali nuclei è probabilmente simile a quello visibile in contrada Giammaria




frazione di Corleone




E la zona tra Corleone e Roccamena presenta diversi altri agglomerati simili, come ad esempio Pomo di Vegna




Spesso marcati sulle carte IGM come Case… (nell’immagine le “Case Nuove di Realbate”)




la loro genesi risale verosimilmente al XIX secolo, se non ancora precedente. Come per i borghi, più volte menzionati, nelle Petralie




con la differenza che, successivamente, “qualcuno” avrebbe aggiunto i servizi. Ciò che estenderebbe a dismisura l’esposizione riguarderebbe per l’appunto l’individuazione di questo “qualcuno”, e l’inclusione degli insediamenti così risultanti tra quelli di cui si è parlato, per i quali il “qualcuno” era individuato nello Stato o nel latifondista adempiente assistito da un’Ente istituzionale.

Quello che avviene in seguito, spesso, è la costruzione di un edificio di culto




l’aspetto così diviene simile a quello di Sambuchi




Ancora posteriore dovrebbe essere la comparsa della scuola. La maggior parte delle scuole rurali siciliane venne edificata durante il periodo fascista, ma già subito dopo l’unità d’Italia si assistette ad un progressivo incremento del numero di esse. Spesso però, prima, le attività didattiche venivano svolte in luoghi o edifici non espressamente progettati allo scopo; fu soprattutto dopo l’ascesa al potere del fascismo che avvenne una proliferazione degli edifici scolastici




proliferazione che perdurò per una ventina d’anni dopo la sua caduta.

E poiché nel caso specifico si parla di scuole rurali, per quel che riguarda la Sicilia la realizzazione delle scuole si fa risalire prevalentemente all’ECLS, così come nell’epoca post-fascista ai discendenti dell’ECLS.
In altri termini, si ritiene che l’istruzione nelle aree rurali sia stato prevalentemente uno degli aspetti, dei risvolti, delle riforme agrarie, fasciste o repubblicane che fossero. Cosa in parte sicuramente vera, ma non del tutto; altri soggetti, pubblici o privati, sono intervenuti in questo processo, soggetti che hanno impersonato il “qualcuno” in alternativa o sostituendosi agli enti istituzionali deputati ad applicare le riforme.

Tra l’altro, questo aspetto della faccenda risulta così ignorato dai più, tanto da ingenerare frequentemente confusione ad ogni livello; spesso chi vorrebbe occuparsi di ciò non ha le idee chiarissime su ciò che sta facendo.

Un esempio sicuramente rappresentativo, e per certi versi paradigmatico, può essere costituito da Mandralisca, gruppo di case 6 km a Sud di Gangi, nonché 6 km ad est di Borgo Verdi, nell’omonima contrada. Esso attualmente comprende una ventina di case, di cui circa la metà fanno parte dell’insediamento originale mentre le altre sono state realizzate, essenzialmente, nella seconda metà del XX secolo. Vi è anche una chiesetta rurale




ed una scuola, non più in uso come tale, forse dagli anni Settanta




Qualche anno fa, un abitante del luogo ha acquisito la scuola ed ha chiesto i permessi per ristrutturarla; ma si è visto imporre una serie di vincoli dalla Soprintendenza in quanto la scuola sarebbe stata costruita “nell’ambito della Riforma Agraria degli anni Cinquanta”. Tuttavia l’ESA (figlio dell’ERAS che curò l’applicazione della legge 104, e cioè fu l’Ente che diede corso alla RA) nulla sa al riguardo; e di ciò avrebbe anche informato la Soprintendenza. Cosa peraltro assolutamente comprensibile, in quanto, in realtà, la scuola venne realizzata dall’impresa Bracco, nel 1964, su incarico del comune di Gangi.

L’edificio ha un gemello a Bordonaro Soprano, quattro chilometri e mezzo più a Sud, lungo la SP14, difficile persino da vedere. Pare sia stato variato nell’architettonica, ma nessuno ha avuto nulla da ridire al riguardo. Perché probabilmente nessuno, fuorchè gli abitanti del luogo, sa nulla riguardo alla sua esistenza, le cui tracce rappresentano una goccia nel mare degli archivi comunali. Così come era stato precedentemente variato quello di Mandralisca, abolendo la pensilina all’ingresso




ed anche lì nessuno aveva avuto alcunché da ridire. Ma la pensilina è ancora visibile nelle StreeetView di GoogleEarth




D’altra parte, la costruzione di scuole (e non solo quelle) in più “copie” basate su un unico progetto, non era infrequente. Come, ad esempio, nel caso di Prestianni.



Prestianni

Prestianni è una frazione di Caltanissetta, circa sei chilometri a Sud della città, a metà strada tra questa e Santa Rita. Poche case intorno ad una piazza, sulla quale si affacciano anche una chiesa ed una scuola




A guardare le immagini satellitari, chiesa e scuola sembrano realizzate insieme ricomprese in un’unica “isola”; il tutto richiama da vicino certi borghi più recenti, come ad esempio il villaggio Santa Margherita. In pratica, sulle foto satellitari Prestianni sembra un borgo “C”, intorno al quale siano state costruite delle abitazioni




In loco la situazione appare invece diversa. Risulta evidente come esista una differenza di almeno mezzo secolo tra chiesa




e scuola




La prima risale alla fine del XIX secolo; ma a quando risale la seconda?




Alcuni abitanti del luogo conservano pagelle scolastiche che riportano date corrispondenti alla metà degli anni Quaranta del XX secolo. Questo lascerebbe supporre che la scuola sia stata edificata in periodo fascista; ma è anche possibile che allora fosse stato attivato il servizio scolastico, ma presso un edificio diverso, e la scuola sia così successiva. Comunque sia, l’edificio ha tre “gemelli” in altrettante frazioni, Cozzo di Naro, Favarella e Canicassè. Questo lascerebbe supporre che la realizzazione sia un po’ più recente, come per Mandralisca.

Risulta infatti più frequente negli anni Cinquanta/Sessanta il riuso dei progetti; e, come accennato più avanti, non solo degli edifici scolastici.

Quello che in realtà accade è che vi sono diversi processi che sono stati operanti nella genesi e nell’evoluzione dei “centri rurali”, che oggi vediamo come agglomerati di case nei pressi di un nucleo di servizio, nucleo di solito caratterizzato dalla presenza di una chiesa. La chiesa, infatti, nonostante gli orientamenti che l’ERAS assunse negli anni Cinquanta, ha sempre costituito un punto di riferimento, di aggregazione, soprattutto per la popolazione rurale della Sicilia.

In generale, le chiese rappresentano un elemento peculiare nell’architettura occidentale. Ancorate a schematismi rigidi, fatti di sagrato, aula, transetto, abside, ed accessori (navate, cappelle, cantoria, battistero), riescono ad assumere le forme più svariate restando comunque sempre aderenti a tale schema. Per certi versi, sono la materializzazione perfetta di ciò di cui sono simbolo. La Chiesa Cattolica è uguale. Formalmente aderisce ai contenuti delle Scritture, ma in pratica è vittima e carnefice, con martiri ed Inquisizione; spazia dal duro e puro del Cavaliere Templare alla massima dissolutezza della pedofilia, dal voto di povertà di san Francesco ai tesori vaticani. E sempre Chiesa rimane. Riesce ad essere un elemento positivo e dissonante al contempo. Un minuscolo santuario in una zona desertica è tanto surreale quanto confortante per l’occasionale viandante. Come surreali e confortanti sono e sono state le maestose chiese del barocco siciliano in paesini peraltro costituiti da casupole




Ed in particolare, il contadino che si sentiva schiacciato dal padrone, che vedeva nella casa padronale, nel castello, nella masseria, il simbolo del potere che lo opprimeva, che guardava attonito il contrasto tra la sfarzosità in cui viveva il padrone, e la sua miseria, trovava comunque conforto nel pregare in una chiesa, magari anche più sfarzosa, senza sentirsi oppresso. Nei periodi più oscuri che il mondo ha attraversato, le chiese che si costruivano erano comunque maestose, monumentali; così come diverse persone, quando la loro esistenza si è fatta triste e cupa, è sempre nel buio di un’aula ecclesiastica che sono riuscite a rivedere la luce. Se “la religione è l’oppio dei popoli”, la chiesa in Occidente ne è stata la via preferita di somministrazione; e proprio come l’oppio, se ha addormentato i popoli inibendone le sollevazioni, ha anche alleviato il dolore dei singoli quando versavano in una situazione senza via d’uscita.

Così i summenzionati processi, catalizzati dalla presenza della chiesa, si sono intersecati ed hanno agito in vario modo, dando vita a diverse tipologie di villaggi rurali, di origine più remota, più recente, con contributi statali, privati, etc.

Esistono diverse realtà di questo tipo in Sicilia; ma tentare di elencarle tutte condurrebbe inevitabilmente verso quell’”infinito” cui accennavo più sopra.

Ho ritenuto quindi che la modalità migliore di menzionarle fosse quello di illustrare brevemente dei singoli casi esemplificativi, al solo scopo di far meglio comprendere ciò che intendo; e vi è una zona, in Sicilia, che in un’area relativamente piccola raggruppa diversi centri che possono essere portati come esempio per illustrare la varietà delle situazioni cui ci si può imbattere. E’ una zona della quale abbiamo già avuto modo di parlare in più di un’occasione: è il calatino



Caltagirone e dintorni

Ci siamo già imbattuti in vicende relative al territorio di Caltagirone ed il comprensorio del suo consorzio di Bonifica, ed in più di un’occasione. In esso abbiamo incontrato centri rurali di epoca preECLS (Mussolinia), centri rurali ECLS (Borgo Lupo), centri rurali transitati dall'ECLS all'ERAS (Borgo Ventimiglia), nonchè centri rurali postECLS realizzati dal Consorzio (Santo Pietro, Franchetto, San Giovanni Bellone, anche se gli ultimi due si troverebbero nel comprensorio del consorzio della piana di Catania); ma essi, anche se appartenenti a “fasi” diverse, condividono tutti la prerogativa di essere stati realizzati o quantomeno progettati nella prima metà del ventesimo secolo e con il contributo dello Stato o di un’ente pubblico. I limiti che tale prerogativa marca possono però essere espansi sia nel dominio temporale, sia in quello concettuale, con particolare riferimento a ciò che sopra ho denominato “città di conversione”. Ed un centro che esemplifica tale espansione è Granieri.



Granieri

Devi considerare poco più di un accenno quanto verrà detto qui su Granieri, Lettore, in quanto su di esso esiste un’ottima pubblicazione di Rosario Vizzini:

Rosario Vizzini, Granieri: il Feudo, la Masseria, il Borgo, Palermo 2012, ISBN 978-88-91023-90-2

dalla quale è possibile ricavare i più minuti dettagli di ciò che invece qui esporrò in generale.

Vi sono comunque diversi nodi di intersezione, diversi addentellati tra la storia di Granieri ed altre storie cui si accenna in questo blog.

Infatti pare che il feudo di Granieri sia stato originariamente scorporato dalla baronia di Fetanasimo ( originariamente Fatamasim), cui si accenna qui; agli inizi del quindicesimo secolo, dopo diversi passaggi, venne venduto, dal Monastero Benedettino si S. Maria Licodia, a Francesco Paternò, del Casato Paternò Castello, i cui discendenti, due secoli più tardi, diverranno Duchi di Carcaci, di cui si parla qui. Prima che il casato Paternò acquisisse il ducato di Carcaci, però, il possesso del feudo Granieri ritornò ai benedettini, che lo mantennero fin quando, dopo l’Unità d’Italia, esso venne acquisito dal Demanio, così come avvenne per Ciolino; la normativa che lo consentì, e soprattutto gli abusi cui si prestò, sono l’oggetto del paragrafo 85 de “La Sicilia del 1876” di Franchetti e Sonnino, testo menzionato qui, qui e qui. Venne così diviso in dodici parti, coincidenti con le rispettive contrade, sei delle quali vennero acquistate da Antonio Silvestri nel 1869. La masseria fortificata




costruita circa quindici anni dopo l’acquisizione del feudo, racchiudeva all’interno delle mura turrite




il palazzo padronale




e diverse costruzioni con funzioni di magazzini e di alloggi




Costituirà la premessa per la successiva edificazione del borgo, in quanto fu nell’ambito di essa che vennero istituiti i primi servizi: scuola, chiesa, rivendita e stazione dei carabinieri. Occorrerà attendere ancora quarant’anni, però, per veder sorgere le prime abitazioni, che verranno costruite tutte nella seconda metà degli anni Venti del XX secolo; mentre dovrà trascorrere ancora un quarto di secolo perché Granieri assuma l’aspetto odierno




Gli edifici relativi ai servizi furono infatti edificati nella seconda metà del XX secolo; l’ultimo ad essere realizzato fu la delegazione comunale




resasi necessaria quando, nel 1969, Granieri divenne frazione di Caltagirone.
La chiesa, invece, risale ad oltre venti anni prima, essendo stata edificata tra il 1955 ed il 1956.

La chiesa di Granieri è proprio l’esempio di come la replica dei progetti, come quella adottata dall’ERAS, negli anni 50/60 fosse tornata ad essere una pratica ricorrente, e non solo per gli edifici scolastici. Oltre che con le scuole citate sopra, ci siamo imbattuti nel “riciclo” dei progetti degli edifici ecclesiastici con Franchetto e San Giovanni Bellone. Ma questo vale anche per la chiesa di Granieri




che ha due (quasi) gemelle a Mazzarrone, in via Padova




ed in largo Sacro Cuore




( la quale, per inciso, si trova ad un chilometro e mezzo di distanza da quelle “Case Molinia” che qualcuno ha fantasiosamente ritenuto di dover identificare con Mussolinia).

La differenza più rilevante consiste, come può dedursi dalle immagini, nell’assenza della torre campanaria.

Qui concludo la mia breve descrizione di Granieri; ulteriori informazioni possono essere desunte dai commenti che Rosario Vizzini ha gentilmente ritenuto di voler lasciare in calce al post sui borghi misti.I dettagli invece relativi alla storia di Granieri sono compiutamente riportati nella sua, già citata, pubblicazione “Rosario Vizzini, Granieri: il Feudo, la Masseria, il Borgo”, edito nel 2012.

Se Granieri è un esempio di centro rurale la cui evoluzione, iniziata nel XIX secolo, ha progredito fino alla seconda metà del ventesimo, vi è, a breve distanza, un altro centro rurale il cui sviluppo è interamente concentrato dopo gli anni Cinquanta: Piano San Paolo



Piano San Paolo

La particolarità di Piano San Paolo non consiste però nell’epoca di realizzazione; anche il Villaggio Santa Margherita è stato costruito nella seconda metà del ventesimo secolo. La particolarità consiste nel raggruppamento spontaneo intorno ad una chiesa avvenuto in tempi recenti




Ed il raggruppamento è spontaneo perché, al di fuori della chiesa e dell’edificio annesso, non vi sono altri edifici di servizio, con l’unica eccezione dell’attuale sede delle delegazione comunale




che probabilmente nasce con funzione di scuola rurale




E’ però relativamente distante dal nucleo delle abitazioni, ed è verosimile che la sua costruzione sia anteriore a quella delle case che circondano la chiesa




e della chiesa stessa




Quest’ultima, con canonica ed altri edifici annessi




deve essere stata realizzata, analogamente a quella di Granieri, tra la seconda metà degli anni Cinquanta, e la prima metà degli anni Sessanta del XX secolo. Questa immagine del 1955




infatti, mostra solo una piccola costruzione nel luogo esatto in cui sorgerà la chiesa, e l’assenza delle case attualmente presenti. L’immagine non è di qualità ottimale, così non sono riuscito a comprendere se la costruzione visibile sia un edificio preesistente, o documenti le primissime fasi della costruzione della chiesa attuale; quand’anche però l’immagine documentasse la presenza di diverso edificio, la sua esistenza non può essere antecedente di più di una quindicina d’anni. Le carte AMS relative alla zona, basate su rilievi del 1921 aggiornati al 1940 (cioè, quindici anni prima), non mostrano la presenza dell’edificio, né di qualsiasi altra costruzione all’infuori delle case Troitta




Piano San Paolo, pertanto, è un borgo rurale “dell’ultima ora”, una sorta di anomalia della fine del XX secolo. Ma non è l’unica “anomalia” presente nell’area del calatino.

E se con Granieri abbiamo assistito all’integrazione tra pubblico e privato svoltasi nell’arco di un secolo, con Piano san Paolo alla rapida evoluzione di un centro rurale che ha iniziato la sua esistenza solo recentemente, ora avremo modo di espandere indietro nel tempo, e di molto, i limiti temporali. Ma soprattutto di rimediare ad un’ingiustizia.



San Basilio

L’ingiustizia, Lettore, riguarda il mancato riconoscimento di un’iniziativa analoga a, anzi più lodevole di, tante altre, che pur, invece, sono state riconosciute. E non solo da me che, alla fin fine, poco o nulla conto; ma da tutti quelli che in qualche modo si sono occupati dei borghi rurali del ventesimo secolo. Intendo riferirmi ai centri rurali realizzati, durante il periodo del fascismo, da privati ma con contributi pubblici. Chi ha studiato il problema (Vincenzo Sapienza, Liliane Dufour, Joshua Samuels, Maria Lina La China, e così via) ha adottato dei criteri classificativi leggermente diversi ma che, invariabilmente convergono su un punto: Santa Rita e Libertinia. Ognuno di loro ha eseguito variazioni personali riguardo ai centri da inserire nella classificazione, ma Santa Rita e Libertinia hanno costituito un invariante, considerati esempi classici ed unici della collaborazione pubblico-privato durante il periodo fascista. Da tutti me compreso, che li ho inseriti in una “fase parallela”, più che in un gruppo caratterizzato dalla collaborazione pubblico-privato, non riuscendo a considerare “privato” Mussolini anche quando contribuiva con fondi personali alla costruzione di Pergusa, o il comune di Caltagirone che progettava ed inaugurava Mussolinia.

L’importanza dei villaggi nati da tale tipo di “collaborazione” (dove per collaborazione si intende un’iniziativa privata spesso finanziata in gran parte con i soldi pubblici) risiederebbe nella dimostrazione, che essi costituirebbero, dell’esistenza di un rapporto non antagonistico, ma collaborativo, tra alcuni latifondisti “illuminati” e regime fascista.

Ma qui sottolineo come sia stata una convenienza più che un’illuminazione ad aver spinto Pasquale Libertini ad intraprendere l’operazione Libertinia che nasce dal nulla (è una delle poche “città di fondazione” a tutti gli effetti del ventesimo secolo). E nel caso di Santa Rita, La Lomia Bordonaro (il “nobilissimo esempio da imitare”) non si produsse in chissà quale titanico sforzo, semplicemente adeguando borgo Pisciacane, che era un insediamento sorto non più tardi degli anni Venti; sebbene, a differenza di Pasquale Libertini, lo abbia fatto interamente con il denaro suo.

San Basilio




invece nasce prima, molto prima. Il nucleo della masseria risalirebbe al 1674




mentre di poco posteriore sarebbe l’annessa chiesetta




con accesso diretto dall’esterno e quindi funzionalmente separata dalla masseria.

Nel 1740 il feudo passò ai Filangeri; ma la “svolta” avviene nel XX secolo, con la costruzione di case per agricoltori




Esse dovrebbero essere state realizzate, a quanto mi è stato riferito, nel primo o nel secondo decennio del Novecento; ed il secondo decennio appare il periodo più probabile considerato che la loro presenza, contrariamente a quanto accade per le più recenti carte topografiche IGM




non è rilevabile sulle carte AMS




Così come nelle stesse carte non sono rilevabili gli altri edifici, posti a SudEst della chiesa; essi consistono in una rimessa per mezzi agricoli




(che verosimilmente aveva un’officina annessa), una scuola




ed una sala cinematografica




In pratica, alla fine venne realizzato un vero e proprio centro servizi, un “borgo rurale” secondo la concezione ECLS/ERAS. Ma quando avvenne tutto ciò?  La data è leggibile in maniera inequivocabile sulla chiave di volta dell’ingresso della rimessa:




Nell’imminenza della conversione dell’Istituto VEIII in ECLS, e dell’inizio della riforma fascista affidata all’Ente, un latifondista realmente “illuminato” costruiva un intero borgo avvalendosi di risorse economiche esclusivamente personali, senza richiedere né percepire alcun contributo.

La scuola è stata operante, come scuola rurale, fino agli inizi degli anni Settanta, mentre adesso viene utilizzata come abitazione. Il cinema, invece, è utilizzato come magazzino; ed anche le case, con l’esclusione di quelle ormai diroccate




ormai esplicano un’analoga funzione




L’unico fabbricato che avrebbe conservato, in un certo modo, l’utilizzo iniziale resta così la rimessa, che però più che mezzi agricoli ospita ormai automobili.



Fanzirotta e Ficari

E vi sarebbero molte altre iniziative simili, sebbene non esattamente analoghe, come ad esempio Fanzirotta (o Canzirotta)




Sebbene il palazzo padronale sia di molto posteriore (risale al 1880), la fondazione del centro rurale è precedente a quello di San Basilio. La proprietà del feudo era dei Lanza di Scalea, ramo della stessa famiglia di quei Lanza di Trabia proprietari di Polizzello, che, prima che la situazione degenerasse, aveva visto la progressiva trasformazione della masseria in un vero borgo. Tale trasformazione era iniziata con la donazione di alcuni fabbricati di Polizzello al comune di Mussomeli di cui si era fatto promotore Desiderio Sorce; e tale intermediazione era risultata particolarmente efficace in quanto il cavalier Sorce, oltre ad essere sindaco di Mussomeli, era anche amministratore dei beni di casa Lanza di Trabia.

Ma non solo. Desiderio Sorce, ucciso nel maggio del 1913 in un agguato mafioso, amministrava anche i beni di casa Lanza di Scalea; e come si era fatto promotore dell’evoluzione di Polizzello, lo fu per Canzirotta. Vi è ancora una lapide che ricorda il suo impegno nella realizzazione del centro rurale, apposta all’ingresso del palazzo padronale di Canzirotta-Fanzirotta dieci anni dopo la sua morte. La lapide è praticamente illeggibile senza luce radente, ma essa reca scritto: “In memoria del CAV. DESIDERIO SORCE che con intelletto e amore cooperò validamente alla fondazione di questa colonia agricola




Anche Fanzirotta comprendeva una scuola rurale




che, con le abitazioni dei contadini, dava su una piazzetta




ed una chiesetta,costruita nel 1904, in pieno liberty, il cui periodo è rivelato dallo stile del portale




Meno ricercato appare invece lo stile della “chiesa” di Ficari, la cui gestione fu sotto il diretto controllo dei contadini. Ficari comprendeva la caserma dei carabinieri, attualmente adibita ad abitazione




la chiesa, adesso magazzino




mentre nel nucleo centrale




vi fu persino una delegazione del Banco di Sicilia; la scuola, invece, sorgeva a mezzo chilometro di distanza, in linea d’aria, da esso. Uno degli aspetti più interessanti di Ficari è la costruzione di venticinque case da parte dell’ECLS. L’interesse sta nel fatto che la numerazione sulle targhe lapidee riportava i numeri da uno a venticinque. Le targhe sono state in parte asportate ed in parte murate al rovescio




quindi non ho potuto verificare personalmente quanto mi è stato riferito; ma non ho motivo di dubitarne. Ciò potrebbe costituire una spiegazione della discrepanza tra il numero di case che sarebbero state realizzate dall’ECLS nel primo anno (2507) ed il numero più alto che è stato possibile rilevare sulle targhe lapidee.



“Verso l’infinito ed oltre” declamava un personaggio del cinema d’animazione...

Ed ancora vi sarebbero altre situazioni simili e diverse, simili ma con diversa evoluzione, come la già citata masseria La Chiusa, trasformata in agriturismo. Oppure masseria e palazzo padronale del feudo Baulì




(esoticizzato in “Bauly”, ma che in realtà deriverebbe da “Boali”), trasformato in albergo




case dei contadini comprese




Anzi, a proposito del feudo Baulì, un Lettore, Riccardo, con un commento in calce al post precedente, ha garbatamente sottolineato l’incompletezza di questo lavoro, definendola come “diverse mancanze”; colgo quindi l’occasione per esporre più in dettaglio quanto avevo già accennato nelle risposte fornite a Riccardo.

L’essere umano è un animale sociale; tende a vivere comunque in comunità, grandi o piccole che siano, ma a regolare tale convivenza secondo le convenienze di alcuni, limitando la libertà di altri. Di solito, chi pretende di dover imporre agli altri non solo la propria presenza, ma anche come quest’ultima debba stabilire quali siano i rapporti che la propria presenza implica, adduce delle scuse (più o meno) valide per giustificare il proprio comportamento; per capire il senso di questa frase che può apparire vaga, Lettore, ti è sufficiente aprire qualunque quotidiano, cartaceo o virtuale che sia, e leggere le notizie di cronaca.

Ciò che accadeva durante il deprecato ventennio non faceva eccezione, sebbene le restrizioni della libertà altrui derivanti dall’imposizione della propria fossero allora, contrariamente a quanto si tenti di farci credere, molto minori di quanto non siano le attuali; era solo il loro esercizio ad essere molto più palese.

Riguardo all’argomento che ci interessa, e cioè i borghi rurali, tale aspetto durante il ventennio è stato più volte descritto. Da una parte si riconosceva perfettamente l’esistenza dell’ “istinto gregario dell’uomo” (“a cagione dell’istinto gregario dell’uomo, accentuato in Sicilia per ragioni di difesa, si raccomanda di costruire le case rurali a gruppo di 4 o 5 all’estremità dei singoli appezzamenti di terreno da coltivare”scriveva l’ispettore sanitario di Enna a proposito di Pergusa), con la conseguente necessità di soddisfarlo




ma dall’altro si trovava una scusa per combatterlo, (“…i grandi agglomerati rurali, spesso malsani, si svuotino per popolare le campagne e sul fondo si porti, non solo per poche ore all’epoca dei lavori, l’uomo, ma sempre, tutta la vita famigliare, con le donne e i bambini…”)




disperdendo così gli agricoltori nel vasto latifondo. Che la necessità della dispersione dei contadini fosse una scusa per mascherare la reale motivazione di una tale imposizione è qualcosa resa ovvia da diverse situazioni: il fatto che inizialmente si fosse tentato di dar luogo a piccoli centri (come villaggi operai o villaggi di case cantoniere), il fatto che la necessità della dispersione dei contadini venisse meno in certe circostanze, e cioè quando era operante il controllo del “padrone” (come nei centri descritti nella fase parallela), il fatto che in certi casi si sia trovato il modo di aggirare il divieto (come nei casi di Borgo Bonsignore o Borgo Bassi), il fatto che detta necessità sia stata “postulata” da Mangano già negli anni Venti ma abbia ricevuto una teorizzazione da parte di Caracciolo quindici anni più tardi, ed infine, il fatto che il principio sia venuto meno con la “trasmutazione” dell’ECLS in ERAS. La “trasmutazione” sarebbe, in un certo senso, una coincidenza temporale o un “segnale”, ma non certo la causa del venir meno del principio; quale possa essere stata quest’ultima è qualcosa che troverai scritto tra le righe dei post di questo blog, ma non esplicitamente. Ma l’evidenza che ciò sia accaduto è un innegabile dato di fatto, quindi è altrettanto evidente che sarebbe esistita una scusa ufficiale ed una motivazione occulta. E poiché le pianificazioni ufficiali seguono le scuse ufficiali, ma vengono ufficiosamente“orientate” dalle motivazioni occulte, quando la motivazione occulta venne meno, l’ERAS si trovò a pianificare la costruzione dei gruppi di case per gli assegnatari avendo già delle direttive tracciate dall’ECLS, ma senza le imposizioni a cui quest’ultimo era costretto a soggiacere. Il risultato raramente consistette nella realizzazione di vere “città di fondazione” (abitazioni e servizi riuniti in un unico agglomerato urbano, come a Libertinia), ma più spesso fu un ibrido, con un “centro servizi”, figlio dei borghi ECLS e nipote dei “Centri Rurali” di Mangano, ed un “villaggio agricolo” ad una distanza più o meno breve da esso. Per una serie di motivi, però, che spaziarono dalla mancanza di adeguati finanziamenti alla scelta sconsiderata di fabbricare dei centri di servizio avendo già preventivato di cederli ai comuni, il numero dei “centri servizi” non fu adeguato al numero delle case; la costruzione di queste ultime difatti era necessaria per poter assegnare i lotti dei piani di ripartizione, ma un tale vincolo non comprendeva il centro servizi. Pertanto non tutti i centri servizi furono realizzati. Inoltre, la disposizione delle abitazioni sul territorio fu estremamente varia, spaziando da situazioni paragonabili a quelle attuate dall’ECLS (case sparse sul territorio):




a veri villaggi




passando per condizioni intermedie, costituite da disposizioni assimilabili al progetto di Sirtori




nell’ambito delle quali potevano verificarsi piccoli raggruppamenti di tre o quattro edifici, di solito su base casuale o per motivi dettati dalla topografia/orografia locale




Gli agglomerati che costituivano veri villaggi ricevettero anche una “dignità” urbanistica e toponomastica, venendo menzionati come “borghi” o “villaggi” sulle carte topografiche (IGM in primis), nonché venendo permanentemente individuati come “villaggi” dalla popolazione locale, ed anche dalle istituzioni (vedi ad esempio il comune di Contessa Entellina che riconosce Cozzo Finocchio come frazione). Lo stesso non avvenne per i minuscoli raggruppamenti come quelli citati dal Lettore. Né in contrada Baulì, né in quelle identificate come “Marcanzotta” o “Sparacia” esistono dei villaggi come tali considerati né identificati. I gruppi più “nutriti” in contrada Baulì non comprendono più di due case




appartenenti al PR 282, mentre quelle relative agli altri lotti del piano sono sparse sul territorio. Sono di tipo simile a quelle di Cammisini, ma con magazzino distaccato dal corpo principale




era in progetto un borgo di tipo “ridotto” più a Sud, che non venne mai realizzato




Un discorso analogo vale per le case del PR 114 in contrada “Mandranova” a Sud di Camporeale




le quali sarebbero state ricomprese nel raggio di un borgo “A” previsto in contrada Torretta, la cui realizzazione sarebbe stata a cura del Consorzio




Le case sono di “tipo 10 modificato”




uguali a quelle di Runza o Dagala Fonda.

Il raggruppamento sicuramente più significativo, tra quelli menzionati dal Lettore, è quello delle costruzioni in contrada Sparacia a Nord di Roccamena, relative al PR 305, ed analoghe a quelle di Aquila, Saladino o Desisa




sono in tutto sei, e non ve ne è altre nel circondario




è possibile che siano state raggruppate affinché rientrassero tutte nel raggio di influenza del relativo centro servizi, anche questo mai realizzato




Una menzione a parte forse meritano le case in contrada Marcanzotta, nei dintorni dell’omonima masseria; anche qui il maggior raggruppamento non supera le tre case




anche se diverse altre sono relativamente vicine, sebbene sempre sparse nella vallata




Il piano di ripartizione era il 695, coperto da un centro servizi che avrebbe dovuto realizzare il Consorzio (ovviamente del Medio e dell’Alto Belice) in contrada Spizzeca




ma l’importanza non è questa. I lotti del PR vennero serviti da una strada di penetrazione, divenuta poi SP47, che collega la SP20 dalla contrada Giammartino con la SP 46. Lungo tale provinciale sorge una casa cantoniera di cui si parla qui (indicata nell’immagine dalla freccia rossa), ed alla quale avevo attribuito la funzione di possibile scuola rurale. Tale possibilità non sarebbe compatibile con la planimetria dell’edificio, costruito dal consorzio del Medio e dell’Alto Belice; ma tale edificio ha due “gemelli” nel territorio di Contessa Entellina, uno sulla SP 35




l’altro sulla ex consortile 37




lungo la quale sorge Borgo Pizzillo. Il primo è stato ristrutturato seguendo criteri analoghi a quelli usati per Borgo Pizzillo




e risulta così più difficile riconoscervi la struttura originaria, ancora visibile sulle StreeetView di GE




mentre l’altro denuncia chiaramente l’origine progettuale comune con quello in contrada Giammartino, lapide compresa




Tali realizzazioni sarebbero da considerare analoghe a quelle del consorzio Delia-Nivolelli, e delle quali si parla qui, sebbene queste ultime si basino su un progetto risalente al ventennio fascista; è pertanto ipotizzabile che la costruzione di contrada Giammartino possa essere stata pensata con una funzione, se non di scuola rurale, almeno di “supplenza” del centro servizi non realizzato.

Un elemento notevole, che probabilmente non è una coincidenza, si rileva nel fatto che i borghi “C” venivano pianificati nelle aree in cui vi era una masseria e nei pressi di essa, mentre in assenza di una preesistente struttura il servizio cui le abitazioni dovessero fare riferimento potesse essere molto più distante. Tale condizione si ritrova anche in epoca ECLS (vedi ad esempio Borgo Ferrara e la masseria Mondello), ed è possibile che avesse un significato “politico”, come se si volesse rimarcare la presenza dello Stato in luogo di quella del “signore locale”; questa è comunque un’illazione personale, non supportata da alcuna evidenza documentale o oggettiva.

Comunque sia, nessuno dei raggruppamenti indicati, o, per quanto sia a mia conoscenza, altri analoghi sono mai stati considerati dei “borghi” o “villaggi”, e pertanto non sono stati inseriti come tali nel post precedente. Da un certo punto di vista il fatto che un limite in un certo modo predeterminato venga visto come “mancanza” è motivo di rammarico; ma ciò non può spostare detto limite: io mi fermo qui.

Mi fermo, ma non prima di aver sottolineato alcuni aspetti, per così dire, “sociali” nei quali questo pluriennale lavoro mi ha consentito di imbattermi; intendendo fare riferimento, con tale espressioni, alle interazioni che inevitabilmente hanno luogo tra chi scrive qualcosa che è a disposizione della società intera, e chi la legge, che di detta società fa parte.

Chi scrive ha, di solito, uno scopo; e, nella consapevolezza dell’esistenza delle interazioni suddette, anche delle aspettative. Spesso scopo ed aspettative sono strettamente interconnesse, come accade, ad esempio, per le pubblicazioni commerciali: lo scopo è vendere, e l’aspettativa è il guadagno.

Nel mio caso, Lettore, lo scopo è dichiarato: mettere a disposizione, di tutti, le informazioni di cui sono entrato in possesso. Anche le aspettative, sebbene non in maniera esplicita, sarebbero dichiarate: consistono nella libera fruizione delle informazioni; ma non nella libera fruizione del mio lavoro. La dichiarazione consiste nell’aver chiaramente specificato come la riproduzione delle fotografie da me riprese o il testo da me scritto debba comprendere la citazione della fonte, cioè il blog. Di conseguenza, Lettore, ognuno può leggere ciò che gli pare, guardare ciò che gli pare, ed utilizzare come gli pare le informazioni per scrivere un proprio testo o per andare a riprendere delle proprie immagini senza dovermi assolutamente nulla, neanche nominalmente. In altri termini, se qualunque Lettore acquisisce le informazioni estraendole personalmente dagli archivi o leggendole sul blog, per me è assolutamente equivalente. Però, se qualcuno ha intenzione di far credere ad altri di aver eseguito un lavoro, copiando testo o fotografie, quando invece il lavoro è stato eseguito da me, sta comportandosi in modo non corretto. Non corretto nei miei confronti, che ho avanzato una richiesta precisa; ma non corretto soprattutto nei confronti del resto della società, millantando meriti ( e quindi, verosimilmente, capacità) che non ha. Facendo credere di essere chi in realtà non è. Inoltre, se qualcuno pubblica ciò che è stato realizzato da me, non solo è evidente che non è in grado di fare lo stesso; ma, aspetto di gran lunga più importante di tutti i precedenti, non mettendo a conoscenza chi legge dell’esistenza della fonte dalla quale ha desunto le informazioni, lo priva della possibilità di accedere alle altre informazioni presenti sul blog, limitandone così la diffusione.

Comunque sia, c’è una gradualità anche in questo. Vi sono in giro diversi lavori (tesi, pubblicazioni, presentazioni, etc.) che fanno un uso più o meno largo delle fotografie da me riprese senza che esse vengano menzionate come tali. Un esempio può essere costituito da questa immagine:




presente su più di un lavoro.

Nel caso specifico, un “peccato veniale”, una “comodità” per chi ha utilizzato l’immagine; non occorrono chissà quali capacità per tornare a borgo Schirò a riprendere una fotografia.

E lo stesso concetto si applica ad immagini analoghe, come ad esempio quest’altra




che documenta i danni più recenti che ha patito Borgo Fazio.

Ma fin quando le persone si limitano a questo, poco male; vuol dire che avrò scritto e fotografato anche per loro. Loro che, alla fin fine, hanno stilato qualcosa di corretto, almeno nelle linee generali, e l’hanno anche messa a disposizione (molti di questi lavori sono liberamente disponibili sul Web). L’informazione sarà comunque “andata in giro”; non mi sento sminuito per questo. E’, in fondo, ciò che desideravo.

Individui per i quali sicuramente non ho scritto sono invece coloro che mantengono un blog dal titolo “Le stronzate di Pulcinella”. Ma non tanto, o non solo, per una scelta deliberata, quanto per materiale impossibilità. Scrivere per persone come queste è totalmente inutile. Si limitano ad arraffare quattro fotografie, e scrivono senza la benché minima cognizione di ciò che stanno scrivendo, senza neanche leggere ciò che altri avevano scritto a proposito delle foto che loro stessi prendono. Un po’ come sfogliare un libro “guardando le figure”. Se oltre a copiare le foto avessero almeno letto, avrebbero potuto evitare di scrivere delle sciocchezze. Né sono in qualche modo recuperabili; sottolineare il loro comportamento




non serve a nulla. Lo screenshot non lo troverete sul blog perché si sono affrettati ad eliminare i miei messaggi ed a bloccare i miei indirizzi IP. Come se eliminare i messaggi potesse cambiare la realtà. Ma, d’altra parte, ignoranza, superficialità ed ipocrisia sono le caratteristiche dei tempi che viviamo.
Però, considerato che si presentano come “Le stronzate di Pulcinella”, sono almeno coerenti con la loro presentazione. E la coerenza è una virtù. Non lo dico in senso ironico, anzi. Perché una cosa è scrivere sciocchezze proponendole come “le stronzate di Pulcinella” (anche se, devo ammettere, trovo improbabile che la denominazione del blog sia realmente una manifestazione di modestia o addirittura di autoironia), ed un’altra è scriverle proponendosi come fonte seria ed autorevole. Come fa, come abbiamo visto, Wikipedia, che vorrebbe diventare il riferimento enciclopedico del Web.

Riassumendo quanto segnalato a più riprese ed in vari post, Wikipedia riporta come “città e nuclei fondati durante il Fascismo”, oltreché i villaggi operai ed i borghi ECLS, anche tutti i “borghi” costruiti tra gli anni Cinquanta e Sessanta da un Ente regionale, in apparente ossequio ad una (discutibile) riforma agraria ma in realtà per donarli ai comuni nei quali sorgono. E li comprende in gruppo che data “1941-1943”, cioè in pieno periodo bellico, includendovi anche singoli edifici, di solito adibiti a scuola, come ad esempio borgo Binuara. Come è possibile, Lettore, che una fonte come Wikipedia consideri “città fondata durante il fascismo” ciò che in realtà non è altro che una scuola rurale edificata all’inizio degli anni Sessanta e mai ultimata?

Si era discusso nell’introduzione quali potessero essere le limitazioni imposte da Wikpedia che si prestino ad innescare i perversi meccanismi che alla fine conducano a scrivere questo, ipotizzando il perpetuarsi di errori contenuti in quella che è considerata “fonte attendibile”, e pedissequamente riportati, senza una supervisione sulle azioni pedisseque. Ma un esempio vale più di mille parole; la conferma pratica di questo si può avere leggendo questa interessante ed istruttiva discussione, che porta il “Figiu” a privare gli utenti di Wikipedia di una corretta informazione, lasciando invece inalterate nel corpo della voce “enciclopedica” una sfilza di sciocchezze. A cominciare dall’introduzione (È un esempio ben conservato di nuovi borghi rurali costruiti alla fine degli anni trenta in Sicilia). e continuando per l’intero svolgimento.

Intendiamoci, io non ho nulla contro il Figiu. Anzi, sono fermamente convinto del ruolo fondamentale che tutti i Figius sparsi per il mondo svolgono in quasi tutte le attività umane. Senza i Figius, gran parte delle realizzazioni dell’umanità non sarebbero state possibili. I Figius sono una forza dalla quale qualunque tipo di progresso, in qualunque campo, non può prescindere. Il problema insorge quando il controllo sfugge, quando si verifica qualcosa che investa i Figius di un potere decisionale, consenta un arbitrio per il quale i Figius non sono adatti. Quando ai Figius viene affidato un compito che non sono in grado di svolgere, o anche la sola possibilità di decidere di svolgerlo. Oppure, ancora peggio, quando i Figius vengono magari sfruttati per altri scopi e le loro capacità (così come le loro mancate capacità) sono inconsapevolmente poste al servizio di chi Figiu non è, e preferisce far dire ai Figius di turno ciò che risulta più adatto alla situazione, che trova più conveniente per sé.

Nel caso specifico del post su Borgo Bonsignore, in quale situazione si ricade? Devo dire sinceramente che non saprei pronunziarmi al riguardo. Perché vedi, Lettore, la voce non è semplicemente palesemente inesatta. E’ di più. E’ totalmente fuorviante. Il fatto che nella “storia di Borgo Bonsignore” venga ricompresa quella del feudo di San Pietro o che “nel borgo” vengano incluse “le terre degli ex feudi di Cuci-Cuci, San Pietro della Palma e Giardinello, facendo estendere il Borgo dal fiume Magazzolo al fiume Verdura” sembrano tattiche tendenti ad instillare nella mente di chi legge l’errata convinzione che “Borgo Bonsignore” sia una “località”, dai confini ampiamente indeterminati, la cui esistenza risale a ben prima del ventesimo secolo. E lo stesso principio si applica al “nome degli abitanti”: “borghigiani”. Tutti gli abitanti dei borghi sono “borghigiani”. Asserire che il nome degli abitanti di borgo Bonsignore sia “borghigiani” è come affermare che gli abitanti di Capri si chiamino “isolani”. E’ una maniera di presentare il Borgo che cerca di farlo apparire come un’entità strettamente correlata alle vicende che hanno interessato, in generale, il territorio che ricomprende l’area sulla quale esso è stato intenzionalmente fondato. Quando invece, Lettore, come hai avuto modo di vedere nel relativo (e documentato) post, Borgo Bonsignore è una “città di fondazione” (questa volta si che lo è) progettata dall’architetto Mendolia e realizzata nel 1940 per svolgere la funzione di borgo di servizio. e si chiama “Borgo Bonsignore” per decreto ministeriale, senza che ciò abbia nulla a che vedere con Cuci Cuci, con Santo Pietro o con Ribera. Non esisteva nulla relativamente a “borgo Bonsignore” prima che esso venisse fondato; vi è persino un cippo che lo documenta, a prescindere da ciò che possa asserire io




Il problema, qui, credo sia un altro. La zona in cui venne costruito Borgo Bonsignore è splendida, dotata di una spiaggia meravigliosa come Seccagrande




Ora, Lettore, se tu fossi in possesso (senza esserne proprietario) di una residenza estiva progettata da un architetto, dallo stile assolutamente particolare ed unico, posta in un luogo splendido, a 500 metri dal mare, e non l’avessi pagata un soldo… non saresti disposto a sguinzagliare tutti i Figius della Terra pur di stornare l’attenzione da tale situazione? Non avresti tutto l’interesse di fuorviare l’attenzione altrui dal nocciolo del problema, di rimanere in posizione più defilata possibile, di cercare di far credere che “Borgo Bonsignore” sia una località che esiste da secoli e nella quale da secoli diverse persone, a vario titolo, hanno dimora?

Il dubbio che rimane è allora riguardo alla vera origine della voce di Wikipedia su Borgo Bonsignore: incapacità o malafede?

Che quella reale sia l’una o l’altra motivazione, risulta comunque difficile, troppo difficile, pensare a donazioni a WIkipedia, cosa che Wikipedia richiede continuamente. Io e tu, Lettore, sappiamo bene ormai, quante sciocchezze siano scritte in quella voce; ma in altre? Quante altre voci di Wikipedia sono totalmente errate? Conoscendo l’argomento è facile individuarle, ma chi accede a Wikipedia per cercare informazioni che non ha, come può mai stabilire cosa sia stato ben fatto e cosa no? Se è così facile fare permanere una “voce” come quella relativa a “borgo Bonsignore”, come è possibile sapere quante altre, analoghe, ve ne siano? Quanti siano i Figius che scrivono su Wikipedia? In questa condizione, è impensabile prendere in considerazione la possibilità di finanziare una simile organizzazione, con simili falle nei meccanismi di controllo, che tanto si presta alle falsificazioni. Che queste avvengano per incapacità o per malafede, a tal riguardo avrebbe ben poca importanza.

Così, con questa nota che può apparire polemica, ma che in realtà intende essere un’osservazione riguardo alle implicazioni sociali di questo lavoro ed alla diffusione incontrollata ed indiscriminata di informazioni, termino, definitivamente, qui. Nella piena consapevolezza che accanto ai Pulcinella ed ai Figius vi sono tante persone che hanno apprezzato il mio lavoro. E che non solo mi hanno ringraziato (il che fa comunque piacere) ma, stimolati da ciò che ho scritto, hanno compiuto ricerche, effettuato piacevoli gite, o semplicemente trovato la risposta ad una domanda che si era affacciata alla loro mente. Hanno saputo cosa fossero Borgo Baccarato o Borgo Bonsignore e perché fossero lì; e questo nonostante l’esistenza dei Pulcinella o dei Figius. E’ questa consapevolezza, per me, il più bello dei ringraziamenti. Insieme ad un’altra consapevolezza: quando non esisterò più, le tracce di questo lavoro rimarranno. Quando alcuni dei borghi non esisteranno più, le immagini di questo lavoro rimarranno. Forse non esisterà più il blog, forse non esisterà più il Web, ma saranno state fatte copie, scritti articoli, etc. Chi vorrà fortemente ritrovare le informazioni corrette, sono certo che riuscirà a farlo, così come vi riesce adesso, nonostante le “stronzate” dei Pulcinella o dei Figius di turno.

Questa avventura, che mi condotto sulle strade della Sicilia e per le strade della Sicilia è stata meravigliosa, mostrandomi luoghi e paesaggi di cui nemmeno sospettavo l’esistenza, e svelandomi una Storia che sapevo fosse esistita, ma in maniera diversa. Immagini ed informazioni resteranno sul Web, ma le sensazioni posso solo portarle dentro, nella consapevolezza che moriranno con me. Ma finché avrò vita, saranno indimenticabili, e costituiranno un insostituibile aiuto per procedere; nella vita i tutti i giorni, ma anche nella scrittura sul blog, considerato il fatto che mi aspetta un compito difficile, poco congeniale, e nel quale non so se e come riuscirò: narrare la storia di Antonio.