domenica 2 febbraio 2014

LA VIA DEI BORGHI.32: La "fase parallela". POGGIO BENITO



Torniamo un momento all’articolo di Vincenzo Ullo con il quale è stato introdotto l’argomento di questa fase, articolo che, come detto prima, permise a Pennacchi di scrivere il suo libro, ma gli diede anche due grattacapi. Uno il già citato borgo Littorio; riguardo al quale abbiamo visto dove stessero (o dove potessero stare) gli errori.

L’altro è Poggio Benito.

In “Fascio e martello - Viaggio per le città del Duce, Laterza" del 2008, Pennacchi afferma come Ullo nell’articolo sostenga che Poggio Benito sia esistente, già stato costruito (“[…] non ne abbiamo trovate due che sulla carta risultavano belle che fatte”) nella Valle del Tumarrano, anche se non riferisce chi sarebbe stato a realizzarlo (Stato, Ente pubblico, Consorzio, privato). Come già specificato, l’articolo di Ullo è propagandistico, non informativo; pertanto l’assenza di una tale informazione non stupisce.

Antonio Pennacchi dice di aver girato e rigirato per la valle del Tumarrano e di aver trovato altri borghi che non stavano scritti sulle Vie d’Italia. Per forza; tranne Borgo Recalmigi, gli altri borghi presenti nella valle e trovati da Pennacchi sono stati tutti costruiti dopo il 1939. Come avrebbe potuto Vincenzo Ullo, che neppure era in grado di elencare correttamente quanto già esisteva,  prevedere ciò che sarebbe accaduto dopo?

Invero, però, Ullo non asserisce mai che Poggio Benito fosse “bello che fatto”. Vincenzo Ullo mostra una planimetria e scrive semplicemente, nella relativa didascalia: “Centro Rurale ‘Poggio Benito’ nel comprensorio di bonifica della valle del Tumarrano”. E basta. Né nel testo dell’articolo vi fa alcun riferimento. Parla di “un altro che potenzialmente arricchisce una vasta zona tra Valledolmo e Vallelunga”, ma si riferisce probabilmente a Borgo Recalmigi, del quale mostra di non conoscere né la precisa ubicazione e neanche il nome; d’altra parte, considerato il rigore che sembra contraddistinguere il suo scritto, il fatto che si mantenga sul vago è anche meglio. Ma anche se l’oggetto del riferimento non fosse Borgo Recalmigi, la zona individuata da Ullo si troverebbe una decina di chilometri abbondanti a NordEst della valle del Tumarrano. In effetti tra Vallelunga e Valledolmo vi è una masseria, indicata dalla freccia azzurra, che sorge su un piazzale la cui forma può richiamare quello di Poggio Benito


Ma le analogie si fermano qui. Esclusa la forma, dimensioni, ubicazione etc. sono diversissimi da quelli di Poggio Benito.

A cosa si riferiva esattamente Vincenzo Ullo?

Perché, Lettore, è certo che non esiste nella valle del Tumarrano un borgo con quella pianta. Io lo so, e non perché abbia girato e rigirato; per verificarlo, è sufficiente una scansione con GoogleEarth. Ma, da un certo punto di vista non sarebbe necessaria nemmeno quella. La scansione con GoogleEarth è indispensabile, invece, per portare avanti un ragionamento “dietrologico”.

La valle del Tumarrano è la sede dell’Azienda Agricola Sparacia, l’azienda sperimentale dell’Istituto VEIII. Come abbiamo visto quando è stato brevemente trattato Borgo Callea, nel 1937, due anni prima della stesura dell’articolo di Ullo, l’Istituto VEIII pubblicava, a firma di Guido Mangano, il volume “Centri rurali”, più volte citato, nel quale si trovavano le direttive per la realizzazione di quelli che sarebbero poi evoluti in borghi ECLS. All’interno del volume erano riportati anche una serie di disegni (planimetrie, assonometrie, prospetti, etc.) esplicativi, tra i quali si trovano quelli utilizzati per redigere il progetto di borgo Africa.

Ed il progetto di centro rurale di “tipo grande” visto a proposito di Borgo Lupo, si trova proprio in quella pubblicazione.

Il volume, oltre a fornire direttive precise circa la realizzazione di tre tipi diversi di borghi rurali (“grande”, “medio” e “minimo” o “piccolo”, gli antesignani dei tipi “A”, “B” e “C”), e progetti e dimensioni dei singoli edifici che li avrebbero costituiti, presenta alla fine una serie di applicazioni pratiche (sarà una di quelle ad evolvere in ciò che alla fine diverrà Borgo Lupo) dei progetti mostrati come esempio. Le applicazioni pratiche consistono nell’adattamento dei progetti generici a singole, specifiche, realtà. Tali applicazioni pratiche sarebbero state affidate ai Consorzi, anche se non si capisce da chi sia partita l’iniziativa per tale progetto; ciò che sembra potersi arguire è che l’Istituto abbia esercitato qualche pressione sui Consorzi affinchè questi portassero a termine le realizzazioni.

Probabilmente, le maggiori pressioni vennero esercitate sul Consorzio di Bonifica Valle del Tumarrano, proprio per la presenza dell’Istituto nel comprensorio, nel quale la  realizzazione delle applicazioni sarebbe stata dettata dalla “…necessità di spezzare le zone di campagna che per la distanza dai paesi son prive di servizi civili. […]”




Continua Mangano:

Tra i tanti esempi […] il territorio compreso dalla poligonale avente per vertici i paesi di Cammarata, Acquaviva, Mussomeli, Villalba, Vallelunga, Valledolmo, Alia, Lercara, Castronovo con un’estensione di circa Kmq. 345. […] In tutta questa zona mancano infatti chiese, scuole e qualunque altra manifestazione di vita civile , e la popolazione stabilmente fissata in campagna non supera i tre-quattro individui per chilometro quadrato.

E’ evidente che bisognerà spezzare questa estensione con almeno cinque centri dei tipi da me suggeriti […]”.

Le applicazioni consistevano allora in cinque centri rurali, uno di tipo grande, uno di tipo medio e tre di tipo minimo,  di cui quattro ubicati ai margini della valle, nelle posizioni indicate nello schema




Da notare che, nonostante Mangano affermi che “proprio in questo territorio, a Regalmici, venne alcuni anni or sono costruito uno di quegli infelicissimi «villaggi tipo Ministero LL. PP.»  mai utilizzato in modo qualsiasi, nè come villaggio operaio durante i lavori stradali in occasione dei quali fu ideato, nè tanto meno più tardi come gruppo di abitazioni coloniche.”, Borgo Recalmigi è incluso nella pianificazione, ma marcato come “Centro rurale di tipo grande”; pertanto, vi è da supporre che l’Istituto VEIII avesse pianificato anche l’eliminazione del villaggio operaio, e la sua sostituzione con un borgo di servizio.

Il centro rurale di tipo medio sarebbe stato Poggio Benito, che sembra rappresentasse il fiore all’occhiello della produzione progettuale dell’Istituto, e lo stesso Mangano dichiarava che “in questo territorio, e a servizio del comprensorio di bonifica della Valle del Tumarrano, mi lusingo di veder sorgere presto, sopra una collinetta che abbiamo battezzato «Poggio Benito», il primo «centro rurale» della Sicilia “ (per inciso, il nome "Poggio Benito" venne suggerito dall'avvocato Francesco Borsellino di Agrigento).

Vincenzo Ullo, che, ribadisco ancora una volta, scriveva per motivi propagandistici, avrà assunto che se nel 1934 Mangano si augurava di vedere presto la realizzazione di Poggio Benito, cinque anni dopo, all’epoca della realizzazione del suo articolo, il borgo avrebbe dovuto già essere visibile da tutti, già stato realizzato. Chiaramente, si guardò bene dal verificare; ma, forse nell’ipotesi che la realizzazione potesse non essere stata portata a compimento, utilizzò una forma verbale volutamente ambigua, che potesse lasciare intendere che il borgo esisteva, ma senza dichiararlo esplicitamente. Dopo tutto, il suo era un articolo propagandistico, non turistico. Avrà pensato che le possibilità che qualcuno nel 1939 salisse in auto e cercasse Borgo Littorio o Poggio Benito dovevano essere quasi nulle; figuriamoci se poteva immaginare che qualcuno l’avrebbe fatto più di sessant’anni dopo, e partendo da Latina!

Ma dove avrebbe dovuto trovarsi, precisamente, Poggio Benito? La mappa che riporta la distribuzione dei borghi che l’Istituto avrebbe realizzato nella Valle del Tumarrano ha una grafica  approssimativa ed una   bassa risoluzione, per cui sarebbe difficile una  precisa individuazione del luogo. Riporta però le principali strade di bonifica esistenti allora, e che continuano ad esistere ancora oggi; sarebbe possibile quindi una localizzazione grossolana di posizione.

Nel progetto sono presenti due planimetrie, di cui una  riporta le curve di livello




l’altra orientamento e dimensioni


le carte topografiche IGM consentono così di rintracciare nella zona un rilievo di altezza e orientamento paragonabili




Ciò collocherebbe Poggio Benito esattamente sulla collinetta sulla quale verrà realizzato, una ventina d’anni più tardi, il serbatoio di Borgo Callea




Sulla sommità della collinetta, attualmente, non esiste alcuna altra struttura oltre il serbatoio




La vicenda, come dice Pennacchi, potrebbe davvero essere analoga a quella di Mussolinia.

Il problema sarebbe così risolto; permane, tuttavia, qualche incongruenza, in un certo modo analoga a quella rilevata per Borgo Ferrara.

Nella descrizione del progetto, particolare enfasi viene posta sull’individuazione dell’altura e sulla scelta del nome; al riguardo, Mangano così descrive il luogo dove il borgo dovrebbe sorgere:  

… le caratteristiche plano-altimetriche dei terreni prossimi alla zona scelta per la creazione del centro sono risultate tutt’altro che favorevoli.
Malgrado lo sbancamento previsto per ricavare un’area di sufficienti dimensioni adatta per la creazione del centro, la necessità di ridurre al minimo la spesa per tale sbancamento ha imposto di limitare la superficie di detta area.

[…]
L’accesso al centro è stato assicurato staccando dalla strada principale di bonifica una diramazione di breve lunghezza, ma di difficile tracciato, che non ha altro scopo che quello di mettere il centro in comunicazione con detta arteria di traffico.

La breve rampa menzionata nel testo ed il troncone di strada dalla quale si sarebbe distaccata sono chiaramente mostrate in planimetria; ma morfologia della curva e distanza dalla sommità dell’altura non sembrano compatibili con la strada di bonifica segnata sulla mappa, che si trova a Sud del borgo, e non a Nord come nel disegno


Se “Poggio Benito”’ fosse la collinetta del serbatoio di Borgo Callea, l“arteria di traffico” cui si riferisce Mangano, visti orientamento e posizione riportati nel disegno, potrebbe identificarsi solo con la strada che attualmente mette in comunicazione la SP 26 (quella lungo la quale si trova Borgo Callea) con la SP 53, che dalla SP 26 conduce alle vecchie costruzioni parte dell’Azienda Sparacia. Ma detta strada non risulta riportata sulla mappa, e probabilmente allora non era nemmeno esistente;  nelle carte IGM attuali è ancora segnata come strada sterrata, e non certo come “un’arteria”




Inoltre, la distanza tra la sommità della collinetta, che coinciderebbe con chiesa e canonica di Poggio Benito, e la strada risulta circa doppia da quanto rilevabile dalla planimetria




Ma tutto questo potrebbe essere solo un’imprecisione nella rappresentazione, un’eccessiva approssimazione del disegno. 
Potrebbe. 
Se non si verificasse una strana coincidenza.

Circa 2500 metri più ad Est, lungo la medesima strada, è presente un altro poggio, di altezza comparabile, ad una certa distanza dalla strada ex consortile Borgo Pasquale-Vallelunga  che si dirama dalla SP 26




 E’ una collinetta




 un rialzo del terreno posto nella zona che i toponimi IGM indicano come “Contrada Pasquale”




 Sulla sommità della collinetta vi è un gruppo di costruzioni




 di cui la maggior parte, in un certo senso, ristrutturate, ma alcune ancora fatiscenti, ed i ruderi di una chiesa




 Gli abitanti di questo minuscolo agglomerato hanno una particolare venerazione per San Pasquale Baylon (da cui, probabilmente, il nome della contrada). Da testimonianza raccolte in loco (e tramandate verbalmente) pare che l’edificazione della chiesa sia avvenuta proprio per esplicito interessamento degli abitanti della collinetta.

La data di costruzione della chiesa è perfettamente leggibile, incisa sull’architrave che sovrasta l’ingresso:




Quindi, la chiesa era già esistente quando Mangano  descriveva la Valle del Tumarrano come mancante di “chiese, scuole e qualunque altra manifestazione di vita civile” . E poiché la costruzione risale al 1931, l’abitato deve essere ancora precedente.

Da notare che sulla mappa pubblicata dall’Istituto VE III, l’arteria cui fa riferimento Mangano avrebbe messo in diretta comunicazione la SS189 con Vallelunga. In pratica, nei piani originari l’arteria sarebbe stata costituita dalle attuali SP26 ed ex consortile Borgo Pasquale-Vallelunga




Apparentemente, il fatto di trovarsi lungo questa via di comunicazione sarebbe l’unica relazione tra questo luogo e “Poggio Benito”. Se però si considera una foto satellitare



 si ruota la foto in accordo all’orientamento segnato sulla planimetria di Poggio Benito (Nord a destra)



e se ne incrementa il contrasto



emerge un fatto interessante.

L’abitato sorge su un’area la cui forma è naturalmente simile a quella del piazzale di Poggio Benito. A Nord della collinetta vi è una striscia di terreno



che, sempre naturalmente, si presterebbe alla realizzazione della “diramazione di breve lunghezza, ma di difficile tracciato,”  descritta da Mangano, e che si dipartirebbe dalla strada ex-consortile



Quest’ultima ha lo stesso andamento della strada visibile sulla planimetria di Poggio Benito; ma una coincidenza ancora più strana è data dalle misure



Le dimensioni del piazzale e la distanza dalla strada coincidono con un’accuratezza notevole



Le curve di livello della corografia tenderebbero però ad escludere che la collinetta possa essere quella di contrada Pasquale, e farebbero identificare “Poggio Benito” con l’altura del serbatoio.
Ma il disegno riportato nell’articolo di Vincenzo Ullo non coincide con nessuno dei due originali. La planimetria di Poggio Benito pubblicata due anni dopo è stata ridisegnata, utilizzando quella originale con le relative misure, ed inserendo nel disegno la strada presente sulla corografia ma senza le curve di livello



Chiaramente il fatto che la variazione del disegno nell’articolo di Ullo, rispetto all’originale, abbia un significato preciso è solo un’illazione, neanche molto plausibile. Ma potrebbe anche significare che l’ubicazione di Poggio Benito, dopo essere stata individuata, sia stata cambiata;  per questo, nel nuovo disegno, non esisterebbero più le curve di livello. Inoltre, non bisogna perdere di vista il fatto che vi era uno “sbancamento previsto per ricavare un’area di sufficienti dimensioni adatta per la creazione del centro”, cosa che si sarebbe chiaramente risolta in un’alterazione delle originali curve di livello della collinetta.

Se tale interpretazione corrispondesse al vero, ciò significherebbe che il progetto del borgo, anziché restare sulla carta, avrebbe avuto un seguito, o almeno un tentativo di seguito, che andava al di là della semplice identificazione del luogo; si sarebbe giunti ad identificare il luogo dove il centro rurale avrebbe dovuto venire spostato. Si sarebbe cominciato a considerare l’effettiva costruzione del centro, in un luogo diverso da quello originariamente individuato. 
Ma nessuno dei centri rurali  dell’Istituto VEIII sembrerebbe aver mai oltrepassato lo stadio della generica pianificazione; esiste qualche evidenza che i progetti (anzi, queste “applicazioni” o “progetti con carattere esecutivo”, come li aveva definiti l’Istituto), o almeno alcuni di essi possano avere superato la fase meramente progettuale, e si sia tentato di dar loro un seguito? 

Almeno in un caso questo è certamente avvenuto, e ciò è documentabile. Nella descrizione del progetto che riguarda la stazione sanitaria del centro “di tipo grande” si trova scritto:  “una stazione sanitaria di questo tipo è in costruzione nel comprensorio di bonifica Delia-Nivolelli”. Tra i progetti esecutivi vi era un’applicazione basata su un centro rurale di tipo grande redatto per il consorzio di bonifica Delia-Nivolelli. Questa è la planimetria del centro



 e questo è ciò che si vede nella zona dove esso avrebbe dovuto trovarsi




 la strada è stata sicuramente realizzata, e forse anche l’edificio per la preparazione dei larvicidi




 (l’edificio presente è una ventina di metri più a Nord rispetto a quanto indicato in planimetria)




 Al termine della strada vi è una costruzione




che avrebbe dovuto essere appunto la Casa Sanitaria, come peraltro desumibile dalla planimetria. Il fabbricato che si trova al posto di quella che avrebbe dovuto essere la Casa Sanitaria ha apparentemente una planimetria diversa




e la costruzione appare sicuramente moderna, molto più recente di quanto non dovrebbe essere un edificio di fine Anni Trenta




Guardando, però le carte dell’IGM, vi si trova riprodotto un edificio più piccolo dell’attuale (1), ed un'altra costruzione un po’ più a NordOvest (2)




 La costruzione originaria deve essere stata riutilizzata ed ampliata ed è divenuta il fabbricato moderno attualmente visibile; la struttura di esso è sempre in muratura portante in conci di tufo




Dell’altra costruzione, più piccola, si può ancora scorgere qualcosa su aerofoto riprese tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta




 è chiaramente il lavatoio, contrassegnato dalla “L” in planimetria




 Quindi, la costruzione del borgo fu iniziata e poi interrotta; è il caso di costruzione iniziata, interrotta, e riutilizzata, che menzionavo nel post che trattava di Borgo Ferrara. In questo caso, non mi sono neanche fatto un’idea sul motivo che abbia causato l’arresto dei lavori, considerato anche che in zona esistono altre costruzioni realizzate all’epoca dal Consorzio, come questa




Il motivo dell’interruzione sarebbe potuto risiedere nella cessazioni delle pressioni esercitate sui Consorzi, in vista del passaggio dall’Istituto VEIII all’ECLS, che avrebbe gestito personalmente l’edificazione dei borghi.

Qualunque sia il motivo, è comunque certo che almeno uno dei progetti esecutivi dell’Istituto VEIII fu iniziato. E nella zona SudEst della Valle del Tumarrano, lungo una strada la cui realizzazione faceva parte dei progetti dell’Istituto VE III, vi è  un poggio, sul quale sono presenti una chiesa ed un abitato




su un’area che per orientamento rispetto ai punti cardinali, forma, dimensioni e distanza dalla strada risulta simile al piazzale di Poggio Benito




Oltre la (notevole ed inusuale) coincidenza, quale potrebbe essere una spiegazione alternativa? E’ possibile che l’Istituto Vittorio Emanuele III intendesse smembrare la piccola comunità e disperdere i contadini sul territorio, realizzando in loco il centro “Poggio Benito”? D’altra parte il fatto che gli orientamenti dell’Istituto fossero questi era noto, e l’eliminazione di Borgo Recalmigi per realizzarvi un centro di servizi è una chiara manifestazione di intenti. Un intento analogo avrebbe potuto essere riservato all’altro luogo nel comprensorio in cui esisteva un agglomerato di case. E’ chiaro che, considerato il culto per San Pasquale, la chiesa a lui dedicata avrebbe in qualche modo dovuto rimanere. Magari inserita in un più ampio contesto che comprendesse altri servizi. E che mettesse in pratica tutte le “idee” che animavano l’Istituto VEIII: disaggregazione degli agricoltori, e centro rurale destinato ai servizi.

E d’altra parte, se così non fosse, che fine avrebbe fatto la chiesa dedicata a San Pasquale Baylon e costruita solo tre anni prima, a soli 2,5 chilometri di distanza dalla collinetta sulla quale si trova il serbatoio di Borgo Callea, se essa fosse stata il luogo in cui avrebbe dovuto sorgere il centro rurale “Poggio Benito”?

Qui, Lettore, è evidente che siamo al di là della normale dietrologia; qui, ho imboccato la strada della fantasia pura. Ed allora, continuo a percorrerla: se le cose dovessero realmente stare come ho prospettato,  la valle del Tumarrano rappresenterebbe l’unico esempio di progetto con il quale l’Istituto VEIII o l’ECLS abbia voluto ingerirsi nell’organizzazione sociale della ruralità siciliana?
Ma per rispondere a questa domanda dobbiamo prima prendere in considerazione un misterioso luogo menzionato dalla solita Liliane Dufour nel suo libro: “borgo Ciclino”.