sabato 18 febbraio 2017

LA VIA DEI BORGHI.49: L'ultima fase dei borghi rurali siciliani. I BORGHI RESIDENZIALI



Nel post precedente, Lettore, che risale a più di un anno addietro, asserivo che prima del commiato avrei “brevemente” parlato dei borghi residenziali. Da un certo punto di vista, tengo fede a ciò che ho detto; ogni “borgo”, o meglio “villaggio”, è in effetti trattato brevemente. Ma in considerazione del numero di essi, il post non poteva, in assoluto, essere “breve”; a meno che non avessi deciso di suddividere l’argomento in più parti.
Mi sono risolto per un post unico, una trattazione fiume che esaurisse l’argomento definitivamente, prima di scrivere il post finale, l’epilogo; gli esseri umani intravedono un simbolo nelle “cifre tonde”, e così esso potrà portare il numero cinquanta. E qui termino il breve prologo; evito di dilungarmi ancora per non prolungare ulteriormente questo lunghissimo post.


Il concetto di borgo residenziale, inteso come mero agglomerato di case coloniche, in realtà non è mai esistito. Non esisteva ai tempi dell’Istituto VEIII o dell’ECLS, quando le famiglie contadine avrebbero dovuto vivere sui rispettivi poderi di una ventina di ettari. e quindi separate, mediamente, da mezzo chilometro.

Non esisteva nemmeno ai tempi ERAS/ESA, nonostante fosse venuto meno l’assunto relativo alla città rurale. L’abolizione del veto sull’esistenza di raggruppamenti di case, infatti, non avrebbe avuto come logica ed immediata conseguenza la formazione di nuclei esclusivamente residenziali; e ciò perché, comunque, esistevano i centri di servizio. O, almeno, sarebbero dovuti esistere.

La motivazione dell’esistenza di agglomerati di sole case coloniche, senza servizi, è appunto questa: la mancata realizzazione dei borghi di servizio. In pratica, il venir meno dell’obbligo di sparpagliare i contadini sul territorio non ebbe come conseguenza assoluta una rivisitazione del concetto di “borgo” adeguandolo a quelli dell’Agro Pontino




si concretizzò, invece, semplicemente nel raggruppare le abitazioni ad una certa distanza dal centro servizi, in agglomerati ai quali, più correttamente, si fa localmente riferimento, di solito, con il termine “villaggio” . E tale nuova concezione sorse gradatamente; ci si distaccò progressivamente dai precetti ECLS, o adottando delle soluzioni ibride (Grancifone) o ponendo il nucleo residenziale ad una certa distanza da quello servizi (Schisina). In pochi casi (Morfia, San Giovanni, Piano Torre, Piano Cavaliere, Filaga, Vicaretto)si sono realizzate strutture che, insieme ai nuclei realizzati durante il ventennio come singole iniziative (Libertinia, Pergusa, Santa Rita) costituirebbero delle vere “città di fondazione” a tutti gli effetti; ma tra esse solo quelle di fondazione fascista, anche se rivedute successivamente (Libertinia, Filaga), resistono, in qualche modo, tutt’oggi.

Nondimeno, tali strutture sarebbero dovute essere, in previsione, molte di più. Vennero costruite le abitazioni, ma non realizzati i servizi; e gli agglomerati abitativi sono le costruzioni rimaste. Alcuni di essi sarebbero stati relati a borghi non realizzati, ma progettati o quantomeno pianificati; sono i borghi oggetto dei post precedenti. Ma altri sarebbero stati in relazione ad ipotetici nuclei servizi presenti solo nella mappa del 1956.

Ad onor del vero, la costruzione di case coloniche senza il relativo centro servizi non è una prerogativa ERAS; anche in epoca ECLS si verificarono eventi del genere. Accadde che siano state realizzate le case per un centro servizi esistente, anche se esso non aderiva ai criteri seguiti dall’ECLS, come nel caso di Polizzello




Accadde che vennero costruite delle case per un borgo del quale esisteva il progetto, ma che non venne mai realizzato, come nel caso di Borgo Ferrara




Accadde che siano state costruite delle case che avrebbero dovuto fare riferimento ad un borgo pianificato da tempo, ma del quale non esisteva nemmeno il progetto, come nel caso di Ciolino




E accadde persino che venissero realizzate delle case in zone nelle quali l’esistenza di un borgo non era nemmeno stata prevista, come testimoniato da questa casa




che sorge sulla sommità della collinetta a SudEst di Salaparuta, attraversata dalla galleria della linea ferroviaria Burgio-Castelvetrano tra la Stazione Belice ed il viadotto sul fiume Belice




ed è ormai ridotta ad un rudere, possibilmente anche a causa del sisma del 1968




Che sia una casa colonica relativa ad un appoderamento ECLS è testimoniato dalla targa lapidea che ancora è presente su uno dei muri




ma non è possibile stabilire quale sia stato il fondo interessato dall’appoderamento; non esiste infatti alcun progetto specifico di un borgo ECLS in quella zona.

Probabilmente esistono molte altre situazioni analoghe verificatesi in ambito ECLS; è però difficile individuare le singole costruzioni dell’Ente le quali, proprio a motivo del divieto di realizzare dei villaggi, si trovano sparse sul territorio. Inoltre, è verosimile che molte siano state demolite. La pubblicazione “La colonizzazione del latifondo siciliano –primo anno” riporta la costruzione di 2507 case coloniche nelle otto provincie interessate. Il numero d’ordine più alto che sono riuscito a rilevare sulle targhe lapidee dell’ECLS è 2186 ; e la casa sul muro della quale tale targa




si trovava nemmeno esiste più, sostituita tra il 2014 ed il 2015 da un paio di capannoni. Molte altre case, delle 2507 costruite, avranno fatto una fine analoga.

Gli agglomerati di case costruiti dall’ERAS, invece, sono ben localizzabili. Sono riportati anche sulle carte IGM, spesso come “borghi”, sebbene l’appellativo con il quale, nelle rispettive zone, ci si riferisce ad essi, sia, come sopra specificato, quello di “villaggio”.

Alcuni di tali agglomerati sono presenti nell’elenco di Wikipedia come “città di fondazione fasciste” e datate tra il 1941 ed il 1943; ma se tu, Lettore, hai dato anche una leggera scorsa ai post precedenti, o hai letto il presente post dall’inizio, ti sarai reso conto come la pretesa di collocarli nel periodo fascista sia un assurdo storico. In un periodo nel quale vigeva l’assoluto divieto relativo all’aggregazione dei contadini, la “Città Rurale”, come si sarebbero mai potuti progettare e soprattutto realizzare dei borghi residenziali, dei villaggi? I precetti dell’Istituto VEIII, totalmente mutuati dall’ECLS erano proprio quelli di transitare dal concetto di “villaggio” a quello di “centro rurale”.




Quindi sarebbe consequenziale come tutti gli agglomerati abitativi (ove si eccettui quelli relativi alla “fase parallela") debbano risalire al dopoguerra, ed essere riconducibili alla medesima epoca; e questo è uno dei tanti motivi che ne rende difficile la classificazione.

Inizialmente, avevo supposto che un tentativo di classificazione potesse essere condotto basandosi sul progetto seguito per realizzare le abitazioni; ma ho dovuto prendere atto di come questa non fosse una strada percorribile. Non sono stato in grado, infatti di classificare i vari progetti sui quali sono basate le costruzioni; e questo nonostante esista, negli archivi ESA, un fascicolo che contiene le tavole di progetto relative a diverse tipologie di abitazione.

Ma in epoca ERAS pare riproporsi ciò che si era verificato precedentemente, e cioè l’esistenza di case coloniche costruite su progetti “non standard”, probabilmente realizzati da consorzi, da privati o forse dalle stesse imprese di costruzione; una situazione che era già stata sottolineata qui, nella zona di Borgo Bassi. Inoltre, mentre nella prima metà del ventesimo secolo si assistette ad una sorta di evoluzione dei criteri sui quali una casa rurale si sarebbe dovuta progettare, una tale evoluzione si arrestò in epoca ERAS, quando le case, sebbene diverse nei particolari, ricalcavano sostanzialmente i progetti ECLS, o quantomeno alcuni di essi. L’unica differenza rilevante, e solo in pochissimi casi, fu quella relativa alla struttura.




LA CASA COLONICA

Si è già brevemente parlato qui della casa colonica, dove si focalizzava l’attenzione soprattutto sulle realizzazioni della prima metà del secolo ventesimo; adesso, Lettore, tenterò di riprendere brevemente i concetti a suo tempo esposti integrandoli con quelli che riguardano i fabbricati costruiti successivamente al 1950.

Come più volte sottolineato in queste pagine, il contadino siciliano del diciannovesimo secolo prediligeva la vita “cittadina”, cioè quella nei piccoli centri, che poi erano in pratica quelli che si erano sviluppati sui primi borghi rurali, come descritto qui. E questa era la condizione che venne avversata durante il regime fascista, e che culminò nella “Città Rurale” di Caracciolo.

Le abitazioni cittadine, però, non avevano nulla delle case borghesi dei piccoli centri; erano quasi sempre costituite da un unico vano, spesso senza neanche una latrina. L’unico vano disponibile, oltre a fungere da cucina soggiorno e camera da letto per l’intera famiglia, era utilizzato anche per il ricovero degli animali da soma. In alcune zone, come ad Enna o nel modicano, le abitazioni potevano addirittura essere delle grotte, eventualmente integrate da strutture in muratura.

Le case coloniche sparse per la campagna erano anch’esse in muratura; spesso però, come già accennato nei post relativi a Tudia, a Ciolino o a borgo Cutò, la muratura fuori terra non superava il metro di altezza, e le strutture soprastanti erano in legno, con un tetto di paglia. Queste costruzioni erano dette pagghiari o pagghiara; da notare che il vocabolo dovrebbe essere utilizzato senza traduzioni maccheroniche come "pagliai", in quanto in italiano il termine “pagliaio” identifica o mucchi di paglia o strutture adibite all’immagazzinamento di paglia o fieno. I pagghiari constavano anch’essi di un singolo vano, così come la maggior parte delle case costruite interamente in muratura. Queste ultime, realizzate con pietrame informe, erano spesso prive di intonacatura, soprattutto nella Sicilia Occidentale




la copertura a tetto, la cui struttura si reggeva su travi in legno, era costituita da canne protette superiormente da tegole.

La realizzazioni di abitazioni migliori fu uno dei punti di forza del programma di ruralizzazione siciliano; veniva offerta al contadino la possibilità di abitare una casa vera, e con questo si sperava di convincerlo ad abbandonare le malsane dimore dei piccoli centri. Le caratteristiche sulle quali si puntava erano costituite dalla presenza dei servizi igienici, dal rifornimento idrico, dalla presenza di locali separati per il ricovero del bestiame. Queste erano appunto le caratteristiche salienti delle prime abitazioni di Libertinia




costituite da due vani, per un totale di meno di 50 mq di superficie coperta, ma dei quali un vano era destinato alla famiglia e l’altro al bestiame; l’unico vano fungeva da camera da letto (per l’intera famiglia) e da soggiorno, con una minuscola cucina in una nicchia sporgente. Costituivano comunque un notevole progresso, considerato che nelle “case” costituite da un unico vano, uomini ed animali convivevano. Furono edificate abitazioni a due piani, ma i vani rimanevano sempre due, con la stalla al piano inferiore ed il vano unico a quello superiore. Le case di Santa Rita




non erano migliori da questo punto di vista; molte si sviluppavano su due elevazioni




e constavano di tre vani, ma il vano destinato alle attività umane restava sempre unico.

Una differenza sostanziale era costituita da Pergusa; le case, bifamiliari, avevano una superficie di più di 140 mq (più di 70 mq a famiglia), con cucina e camera da letto separate




I nuclei familiari più numerosi potevano contare sulle case più grandi, di quasi 200 mq (circa 95 mq a famiglia) con due camere da letto




La differenza tra le case costruite dal privato e quelle realizzate dallo Stato era percepibile. E non solo nel caso di Pergusa; era evidente già anni prima, nei progetti redatti da Fragapane per Mussolinia. Anche le case più modeste, quelle previste nell’ultima versione




si sviluppavano su due elevazioni, per consentire di avere le camere da letto al piano superiore




Ed allo stesso modo le case realizzate dall’Istituto VEIII nell’Azienda Sparacia




apparivano di gran lunga migliori di quelle di Libertinia o Santa Rita.

Tali progetti scaturivano però da iniziative singole e sporadiche; non esisteva in essi alcuna traccia di sistematizzazione. Al di fuori degli elementi comuni riguardanti l’igiene, essi rispecchiavano le convinzioni personali del singolo progettista, interpretandone il soggettivo concetto di ruralità.

Già in epoca antecedente, anche se di poco, l’ECLS, un ulteriore salto di qualità fu consentito dai progetti redatti dall’ONC. I progetti delle case unifamiliari da costruire nell’Agro Pontino, con superfici coperte raramente inferiori a 150 mq, prevedevano tutti un minimo di tre camere da letto; cosa, quest’ultima, tesa ad evitare promiscuità e conseguenti incesti. Le case proposte si sviluppavano o su singola o su doppia elevazione: le prime erano contrassegnate da numeri arabi, le seconde da numeri romani.




Probabilmente nell’agro pontino ne vennero costruite più del secondo gruppo (doppia elevazione) che non del primo




Il concetto delle tre camere da letto fu codificato nell’ambito delle “Direttive fondamentali per i proprietari soggetti ad obbligo di colonizzazione” (DM 26 aprile 1940), e quindi applicato dall’ECLS




Anche l’ECLS approntò diversi progetti di casa colonica, ed anch’esse potevano essere su singola o doppia elevazione. Qui le case su singola elevazione erano contrassegnate da lettere, mentre quelle a due piani da numeri




Come per i borghi rurali, la progettazione delle case era affidata a professionisti esterni; la maggior parte delle case di cui vengono mostrate le immagini erano state progettate dall’ing. Guercio (l’autore del progetto di borgo Fiumefreddo); ma anche altri professionisti fornirono il loro contributo, come ad esempio, l’architetto Nicoletti




Non ho mai visto, però, case coloniche con la targa lapidea dell’ECLS che si sviluppino su due elevazioni; le poche case di epoca ECLS con questa caratteristiche non sembrano avere alcuna insegna, e dovrebbero essere state realizzate dai Consorzi per i proprietari “adempienti”. In realtà si vedono ancora per le campagne diverse costruzioni realizzate sicuramente in periodo fascista, ma che non appaiono seguire alcuno dei progetti proposti dall’ECLS, né mostrano sulle pareti la relativa targa lapidea.

In epoca ERAS si assiste, da questo punto di vista, ad un regresso. Il numero dei vani si riduce nuovamente. In parte ciò è dovuto alla realizzazione di case costruite tipo “rifugio”




o “appoggio”




queste avrebbero dovuto ospitare non un’intera famiglia, ma solo una o due persone, e per un tempo limitato. Alcuni progetti di questo tipo prevedevano la possibilità di ampliamente successivi. Sebbene non fossero state progettate per far parte di insediamenti stabili, ne troviamo diverse raggruppate a Borgo Pala; tale situazione sarebbe anomala, in quanto le case espressamente previste per i borghi residenziali sarebbero state più grandi.

Anche tra i progetti espressamente destinati a nuclei residenziali la maggior parte prevedevano la realizzazione di fabbricati piccoli e con due sole camere da letto




anche qui si assiste ad un regresso rispetto agli standard ECLS.

Altre case coloniche erano più grandi, ed anche qui si avevano progetti per case su singola o doppia elevazione; la codifica alfanumerica sembra basata su principi opposti rispetto a quelli adottati dall’ECLS.

L’ERAS, contrariamente all’ECLS, costruì in effetti diverse case con un piano terreno ed un primo piano; però,per qualche motivo che non sono stato in grado di comprendere queste si trovano quasi esclusivamente nei villaggi della Sicilia Centro-Orientale. Le uniche abitazione su doppia elevazione della Sicilia Occidentale sembrano essere quelle nel comprensorio di Contessa Entellina, progettate dall’ing. Ardizzone, dove la seconda elevazione consterebbe in realtà di un singolo vano






Una tale varietà, senza apparenti criteri, non si presterebbe ad alcuna classificazione.

Per una descrizione sistematica, pertanto, non ho trovato criterio migliore che quello di descriverli per provincia. La sequenza che ho scelto, senza alcun motivo razionale, “scorrerebbe” da Ovest ad Est e da Nord a Sud; verranno quindi elencati i nuclei residenziali, nell’ordine, presenti nelle province di Trapani, Palermo, Agrigento, Enna, Caltanissetta, Messina, Catania e Ragusa; mentre non esiste alcun agglomerato in provincia di Siracusa.



Trapani

Per qualche motivo, nella provincia di Trapani non vi sono dei villaggi analoghi a quelli presenti nelle altre province, “borghi residenziali” intesi nel senso di veri agglomerati di abitazioni, come presenti nelle altre province, con l’esclusione di Siracusa. Non sono stato in grado di comprendere la motivazione di tale anomalia, ma l’unica motivazione alla quale riesco a pensare è una sorta di “orientamento”, in tal senso, dei responsabili della sede provinciale decentrata.

Le case coloniche non sono “sparse sul territorio”, ma neanche raggruppate a formare villaggi; sono solitamente edificate lungo una o più strade




spesso a formare piccoli gruppi. Una soluzione per certi versi simile era stata adottata in epoca ECLS a Borgo Bonsignore, soluzione che di fatto aggirava i vincoli posti dal concetto che poi stette alla base della “Città Rurale”.

Vi sono diversi esempi simili in provincia di Trapani, come ad esempio le case coloniche nei pressi di Borgo Runza




o quelle che avrebbero dovuto avere Dagala Fonda come centro servizi di riferimento




(tra l’altro accomunate dal fatto di condividere lo stesso progetto “tipo 10 modificato”)




anzi la disposizione di queste ultime




sembrerebbe conformarsi allo schema che l’ing. Ugo Sartori, direttore generale della Società Generale Elettrica della Sicilia, che dal 1918 al 1961 gestì generatori e rete elettrica siciliani




aveva scelto per i villaggi che, in contrada Bruca e Maranfusa, avrebbero alloggiato gli operai addetti alla costruzione di diga e invaso, per venire poi riciclati come villaggi rurali.

Come brevemente accennato qui, le cose andarono poi diversamente, così questi villaggi non vennero mai realizzati; ma la loro planimetria, con una piazza ottagonale, ricorda da vicino i villaggi del ministero dei LLPP, con gli spazi espansi in modo da incrementare le distanze tra gli edifici




mentre la descrizione che Dagoberto Ortensi fa di questi ultimi:

L'aggruppamento per il villaggio tipo si sviluppa al lato di due arterie principali, ortogonali, facenti capo ad una piazza centrale, ed è disimpegnata da altre arterie secondarie parallele alle precedenti

ben si adatta anche al progetto di Sartori. In realtà, pare che lo schema di riferimento fosse sempre il medesimo; lo stesso ECLS aveva ritenuto di poter raggruppare le case coloniche in corrispondenza delle strade interpoderali




sebbene nella pratica tale schema non sembra essere mai stato applicato, sempre in relazione al divieto di aggregazione delle abitazioni dei contadini.

Anche in alcune zone  al confine trale provincie di Palermo e Trapani, come ad esempio Desisa o Valdibella, le case coloniche presentano una disposizione analoga




anche se in quelle zone sono presenti anche dei piccoli raggruppamenti di non più di 7 o 8 case




che tuttavia non sono contrassegnati come “borghi” o “villaggi” né sulle mappe IGM, né su altra documentazione.

Tali raggruppamenti si sarebbero venuti a trovare nelle immediate vicinanze di un borgo “C”, borgo Desisa, per, appunto, contrada Desisa, ed un borgo pianificato ma mai progettato per il PR 470 di contrada Valdibella




che avrebbe dovuto sorgere proprio nelle immediate vicinanze del raggruppamento




Da precisare che il nome corretto della contrada avrebbe dovuto essere “Valdebelli”, in quanto il nome di colui al quale venne assegnata la “divisa” era Giulio Valdebelli; “contrada Valdibella” sarebbe più a SudEst, a Nord di Camporeale.

Oltreché la disposizione, anche il progetto delle case di Desisa




e Valdibella




risulta analogo (le misure sono approssimative)





Pionica

E neanche Pionica è segnato come “borgo” sulla cartografia IGM




anzi, proprio in contrada Pionica, le case, seppur vicine, seguono una disposizione ancor meno regolare. Se “Borgo Pionica” è specificatamente menzionato qui, è solo perché presente come entità individuale negli archivi ESA; ma il fascicolo che lo riguarda, contrariamente a Runza, Dagala Fonda o anche Desisa, non contiene alcun progetto di un borgo di servizio; il fascicolo contiene il progetto per l’acquedotto che avrebbe dovuto garantire l’approvvigionamento idrico delle case relative al PR 173




Dalla mappa dei borghi del 1956 si desume che il relativo borgo di servizio sarebbe stato un borgo “B” da costruire a cura del Consorzio




Come già accennato, le case sono relativamente distanti tra loro, non raggruppate a formare un ben definito nucleo abitativo




ma la maggior parte di esse si trova all’interno di una lieve depressione del terreno, una sorta di piccola vallata che rende il luogo particolarmente suggestivo




Un'altra caratteristica che accomuna le case di Pionica con quelle di Dagala Fonda o di Runza è il fatto che alcune di esse siano state intenzionalmente demolite, di recente; ritengo che ciò non sia tanto in relazione ad un danno strutturale degli edifici, quanto a qualche altra finalità. Per Pionica questo vale per le case al di fuori della valle; quelle all’interno sono in buono stato e, se non abitate per tutto l’anno, almeno frequentate




Anche gran parte dei lotti del PR continuano ad essere coltivati, sebbene qualità e tipologia del terreno non sembrano dissimili da quelli dei villaggi Schisina




Diversa da quella delle case in contrada Runza o Dagala Fonda appare invece la planimetria, che abbastanza stranamente risulta analoga a quella di alcune case costruite in provincia di Enna. Parte della struttura è in cemento armato, con muratura in conci di tufo e tetto spiovente.

Il raggruppamento si sarebbe trovato alla base del rialzo del terreno sul quale sorgeva la masseria Pionica, e presso la quale si sarebbe trovato un “Centro Raccolta Latte”. Questo è, tuttavia, ciò che rimane della masseria




Dell’acquedotto in progetto, comunque, pare non vi sia traccia, così come degli abbeveratoi che si sarebbero dovuti realizzare contestualmente ad esso; la vasca presente nei pressi di una delle case non appare in relazione con alcun elemento del progetto dell’impianto




Non vi è illuminazione stradale.



Palermo


Borgo Garbinogara



E’ composto da una ventina di case, basate su due tipologie diverse.

La maggior parte ha una pianta con misure analoghe a quelle di Desisa o Valdebelli; il secondo tipo consta di abitazioni più piccole




Le case sorgono in un luogo recondito, anche questo un avvallamento del terreno tra due collinette che lo nascondono alla vista di chi percorre l’A19




Dovrebbero essere le abitazione relative ai lotti dei PR 93 e 88. Il borgo di servizio sarebbe stato di tipo “C”, ma di esso non esiste il progetto




Quasi tutte le abitazioni sono perfettamente manutenute, e molte di esse hanno subito modifiche ed ampliamenti




Vi è un abbeveratoio




l'illuminazione stradale è in parte moderna, in parte ancora con schermi in alluminio




La strada di accesso è asfaltata, ma in pessime condizioni. Le case hanno ormai un utilizzo residenziale




con l’esclusione di un paio di esse utilizzate ancora come “casa colonica”.



Borgo Aquila - Borgo Saladino

Borgo Aquila




e Borgo Saladino




sono raggruppamenti costituiti rispettivamente da 31




e 22




case relative a lotti ricadenti nei Piani di Ripartizione 224 e 157, realizzate dalla I.Co.Ri. Avrebbero distato, rispettivamente, poco più di due chilometri e poco meno di un chilometro da borgo Tagliavia, che sarebbe stato il centro servizi (di tipo “A”) di riferimento




Borgo Tagliavia non venne mai costruito; e così sarebbe anche per le strade di accesso, in quanto quelle esistenti sono in realtà le strade di cantiere riadattate. Il tronco più a Nord, dal santuario a borgo Aquila, venne quasi completato, mentre quello più a Sud consisteva solo in una traccia, senza alcun accenno di manto di stradale, e priva di opere di presidio. Queste, senza neanche preventiva autorizzazione, vennero comunque pagate all’impresa che realizzò le abitazioni, sebbene fossero chiaramente ricomprese nell’onere che la ditta avrebbe dovuto assumere per portare a termine il lavoro di costruzione delle case. Un atteggiamento in linea con l’andazzo generale, seguendo il quale, come accennato qui e qui, le attività procedevano in un’afinalistica confusione, come peraltro confermato dal fatto che non era chiaro neanche quale fosse la numerazione dei piani di ripartizione, per cui veniva riportato come piano di ripartizione di Saladino




quello che in realtà era il piano di ripartizione di contrada Aquila




Fu così necessario provvedere, contestualmente al pagamento alla I.Co.Ri., alla redazione del progetto di completamento, per una cifra pari a tre quarti di quanto già liquidato all’impresa. Non è chiaro comunque se il completamento sia stato portato a termine, visto lo stato della strada di accesso a Borgo Saladino




La costruzione fu iniziata tra il 1956 ed il 1957; sull’abbeveratoio di Saladino




il riferimento all’anno 1961 consente di individuare con precisione l’epoca di ultimazione del villaggio




Anche Aquila ha il suo abbeveratoio, più grande di quello di Saladino, e con vasca per gli ovini




L’illuminazione è invece presente solo a Saladino, sebbene sembrerebbe non funzionante. Le case di Borgo Aquila




e Borgo Saladino




sono identiche, basate su progetto analogo a quello di Desisa/Valdebelli. Appaiono essere in muratura portante, realizzata in conci di tufo, con l’eccezione dei porticati, ed un cordolo in cemento armato per l’attacco dei solai




ma appaiono tutte in ottime condizioni




Mentre molti poderi sono stati (s)venduti, consentendo ad alcuni di ampliare la loro proprietà, molte case sono invece rimaste in possesso degli assegnatari o dei loro eredi, e vengono quindi usate come case “di villeggiatura”. E d’altra parte, le proprietà “allargate” che avrebbero potuto essere destinati ad un’attività agricola proficua, ospitano invece parchi fotovoltaici.



Borgo ERAS A e B (Cammisini)



Posti tra Collesano e Scillato, sono due agglomerati di, rispettivamente, 33




e 34 case




per i piani di ripartizione 891 e 291, che distano tra loro un chilometro. Il borgo di servizio, di tipo B, sarebbe stato ubicato circa un chilometro a SudEst di Cammisini B




Le case, in condizioni variabili, sembrano costituite da una struttura in cemento armato e muri in laterizi




Nel borgo “A” parte delle abitazioni sono in cattive condizioni




parte perfettamente manutenute




Vi è un abbeveratoio




illuminazione stradale, originariamente con schermi in alluminio ed integrata da elementi più recenti




fontanella




Doppio accesso, con strada sterrata ed asfaltata. Le case hanno ormai un utilizzo prevalentemente residenziale.

Anche nel borgo “B” parte delle abitazioni sono in cattive condizioni




e parte perfettamente mantenute




Vi è abbeveratoio




illuminazione stradale con schermi in alluminio, una cabina di trasformazione




ed anche una cappelletta (un'edicola, più che altro)




Anche qui le case hanno ormai un utilizzo prevalentemente residenziale; alcune sono in fase di ristrutturazione, la ristrutturazione di una è stata sospesa.

In considerazione dell’irregolare disposizione degli edifici e del vario aspetto di essi, CammisiniA




così come CammisiniB




sono probabilmente quelli che maggiormente richiamano l’immagine di “villaggio”.



Borgo Finocchio



Borgo Finocchio in realtà originariamente non sarebbe dovuto esistere come agglomerato a sé stante; sarebbe stato una sorta di “distaccamento” di borgo Piano Cavaliere, incluso nella planimetria di esso




e con il quale condivide, evidentemente, il progetto delle case. Vi sono 14 costruzioni




in gran parte marcatamente variate nell’architettonica originale. Le case sono di “tipo A1 modificato”




Il progetto dovrebbe essere dell’ing. Ardizzone, sebbene esso risulti redatto dai Servizi d’Ingegneria dell’Ente




Ancor più di quanto accada per Piano Cavaliere, l’uso delle costruzioni è quello di abitazioni per la villeggiatura




Vi è l’illuminazione stradale, ed anche un abbeveratoio




A Sud del minuscolo agglomerato vi è una costruzione che sembrerebbe un serbatoio




ma sulle carte IGM non vi è segnato alcun acquedotto che faccia capo ad esso



La Pietra – Coti



Indicati come Borgo ERAS “A” e Borgo ERAS “B” sulla cartografia IGM, sono due agglomerati di rispettivamente, 20




e 25




case; altre 23 si trovano sparse




nell’area dei PR, ubicati circa 15 km a Sud di Alcamo, nonché 6 km a Nord del luogo ove sorgeva Gibellina (adesso Cretto di Burri).

Come descritto qui essi avrebbero dovuto costituire un borgo misto, con i servizi di un borgo “ridotto” a La Pietra, ed una scuola a Coti.

I relativi piani di ripartizione sarebbero il 349 ed il 142. Inizialmente, solo il primo sarebbe stato individuato come area di Riforma Agraria, per cui borgo ed agglomerato sarebbero stati ubicati leggermente più ad Ovest, con una strada d’accesso che si sarebbe dipartita dalla SS 119




Il progetto venne ultimato nel giugno del 1956; ma, probabilmente sempre per l’inesistenza di coordinazione e scambio di informazioni tra i vari uffici dell’Ente, già nella mappa aggiornata al primo gennaio 1956, il Piano di Ripartizione nr 142 aveva fatto la sua comparsa




ambedue compresi nel raggio di influenza di borgo “A” che avrebbe dovuto realizzare il Consorzio. La zona di RA assume l’assetto definitivo nella corografia relativa al progetto di borgo Pietra




dove borgo e scuola hanno sostituito il borgo “A” del consorzio, probabilmente per i motivi esposti qui. Il progetto di borgo La Pietra e di Coti è datato 1960, e all’epoca di redazione di esso le case risultavano già esistenti; quindi la loro costruzione può essere collocata tra il 1957 ed il 1959.

Borgo La Pietra sorge lungo la SS119




mentre Coti si trova lungo un’ex trazzera trasformata in strada di penetrazione agraria




Le case sembrano essere fondamentalmente uguali a quelle di borgo Aquila e Saladino




con parte di tettoria/porticato chiusa per formare un ulteriore vano




ma nei dintorni sembra essere presente un’altra tipologia di casa




simile alla “casa rurale di tipo B” dell’ECLS




ma su di esse non vi sono targhe.

Anche la struttura appare analoga (muratura portante con cordolo in CA per l’aggancio del solaio e copertura a tetto soprastante)




Presso ambedue i nuclei vi sono abbeveratoi; a Coti sono addirittura due, di cui uno, uguale a quello presente a La Pietra, sembra precedente




e l’altro più recente




A Coti vi sarebbe anche l’impianto per l’illuminazione stradale




verosimilmente non funzionante, e comunque privo di lampade



Borgo Pala e Borgo Verdi



Di Borgo Pala si era già parlato; 30 case disposte lungo un’unica strada rettilinea, di due tipi diversi




La menzione di Borgo Pala nel post che introduceva una “fase parallela” di edificazione di borghi rurali durante il regime fascista, derivava da una serie di riferimenti indiretti, di interconnessioni, tra Borgo Pala e Borgo Littorio.
Tali riferimenti facevano capo ad un articolo di Vincenzo Ullo su un numero delle Vie d’Italia del 1939, al più volte citato “Viaggio tra le Città del Duce” di Antonio Pennacchi, nonché ad una fonte “ufficiale” (una relazione stilata nel giugno del 1996 dalla “Commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali e panoramiche della Provincia di Palermo”) che avrebbe individuato l’anno di costruzione di almeno alcune case di Borgo Pala nel 1949, e cioè quando ancora esisteva l’ECLS.

Avevo tentato, Lettore, di immaginare una, più o meno fantasiosa, ipotesi che rispondesse agli interrogativi suscitati dalle affermazioni di Ullo, e che sarebbe stata imperniata sulla possibilità che parte delle case di Borgo Pala fossero state realizzate ben prima del 1949, e che la descrizione estremamente imprecisa di Ullo avesse condotto ad identificarle con Borgo Littorio.

L’ipotesi sarebbe stata fantasiosa in quanto Borgo Pala avrebbe dovuto essere o un villaggio operaio, o far parte a tutti gli effetti della “fase parallela”; sarebbe infatti stato impossibile che venisse creato un “villaggio contadino” in quel periodo, contravvenendo ai principi già sanciti da Mangano, che vietavano categoricamente l’esistenza di villaggi rurali.

Ho recentemente trovato una risposta verosimile e non “fantasiosa” alla questione; così, Lettore, desidero sottoportela qui, anziché variare il post precedente.

Nel post, necessariamente generico ed incompleto, dei borghi antecedenti al periodo fascista, ne vengono citati alcuni presenti nel territorio di Petralia Soprana. E precisamente, a solo scopo esemplificativo, si parla di Verdi, Guarraia, Salerna e Fasanò; ma in realtà i borghi che risalgono al diciottesimo secolo presenti tra Petralia e Bompietro sono di più, molti di più. Dovrebbero essere trentaquattro, di cui molti sono frazioni di Petralia, altri di Bompietro (come ad esempio Salerna o Guarraia); mentre alcuni sono divenuti comuni a sé stanti. Tra questi vi è Blufi




che, precedentemente frazione di Petralia Sopana, è divenuto comune autonomo nel 1972.

All’inizio degli anni Trenta del secolo scorso, e fino alla caduta del fascismo, Blufi assunse la denominazione di “Villa Littoria”, “Villa Littorio” o, più semplicemente “Littorio”. Vincenzo Ullo, il quale, ribadisco, scriveva più per fare propaganda che per dare informazioni, avrà sentito parlare della realizzazione di Borgo Littorio e, per scrivere il suo articolo, avrà probabilmente raccolto qualche informazione superficiale ed approssimativa. Qualcuno gli avrà parlato dell’esistenza di un “Littorio” nel comune di Petralia, riferendosi a Blufi, ed ecco che Borgo Littorio, senza alcuna verifica, è stato collocato lì. La verifica, come abbiamo visto, in realtà arrivò, ad opera di Antonio Pennacchi, anche se una sessantina d’anni più tardi, cosicchè Ullo non lo seppe mai; ma quand’anche lo avesse saputo non credo che la cosa gli avrebbe provocato chissà quali malesseri.

Riguardo poi alla datazione delle case di Borgo Pala, l’anno di costruzione (1949) era stato desunto dall’allegato A al III Capitolo della “STRALCIO DELLA RELAZIONE STORICO-TECNICA PROPOSTA DI VINCOLO PAESAGGISTICO LEGGE N. 1497 DEL 29 GIUGNO 1939” a sua volta allegato al DA del 1 aprle 1998, pubblicato sulla GURS nr 26 del 1998, avente come oggetto: “Dichiarazione di notevole interesse pubblico di un'area a ridosso della perimetrazione del Parco delle Madonie, ricadente nei comuni di Alimena, Blufi, Bompietro, Castellana Sicula, Petralia Soprana e Petralia Sottana”. Ma essa è, semplicemente, un’inesattezza. Analoga a quella che ha condotto a far risalire al 1942 Borgo Pasquale. O al 1943 Borgo Riena. O a far etichettare come “borgo fascista” il villaggio Santa Margherita. E che, data la presunta attendibilità della fonte, aveva indotto me a cercare di immaginare ipotesi che potessero conciliare l’edificazione di un villaggio anomalo (raggruppamento ad esclusivo uso abitativo, e con case diverse) in un periodo altrettanto anomalo come il 1949 (non più periodo fasciata, ma non ancora periodo ERAS) con le affermazioni di Vincenzo Ullo.

Ma non vi è alcuna stranezza, alcun mistero intorno a Borgo Pala ed alla sua duplice tipologia di edifici; solo un errore di datazione. Le case infatti vennero semplicemente costruite alla fine degli anni Cinquanta, insieme a quelle di Borgo Verdi.

Gran parte delle case sono abitate, anche se saltuariamente




qualcuna è in pessime condizioni




Vi è un abbeveratoio, e l’illuminazione stradale, anche se quest’ultima è presumibilmente molto più recente




Nella relazione precedentemente citata, l’abbeveratoio di Borgo Pala, posto sotto il piano stradale ed a malapena visibile in questa immagine




è, invece, correttamente fatto risalire al 1960.

Borgo Verdi, insieme a Borgo Pala, avrebbe fatto parte di un ampio “sistema” relativo alle aree di RA suddivise nei piani di ripartizione 15a, 15b, e 126, 258, 284 e 367, per un totale di 634 lotti.

Borgo Pala e Borgo Verdi sono specificamente costituiti da case relative ai piani di ripartizione 15a, 15b, i quali comprendevano in tutto 128 lotti; quelli assegnati erano 109. Il progetto originario avrebbe previsto tre agglomerati abitativi: uno in contrada Verdi, un secondo in contrada Zimmara ed un terzo in contrada Pira. Il terzo non esiste, ed il secondo sembra essere stato sostituito da Borgo Pala




Il corrispondente nucleo servizi sarebbe stato San Giovanni Verde, di cui si parla qui; anche se, il “sistema” avrebbe previsto anche un borgo “C” più a SudEst, la cui circonferenza di influenza sarebbe risultata tangente a quella di un borgo “B” appartenente ad un “sistema” viciniore, e che avrebbe compreso altri due borghi “C”




Le case costruite, fra il 1958 ed il 1960, furono allora ottanta in tutto; 30 a Borgo Pala




e 50 a Borgo Verdi




Anche a Borgo Verdi le case sono costituite da due tipologie diverse, basate su progetti identici a quelle di borgo Pala; le più piccole sono dei rifugi




ancora più piccoli del progetto “tipo rifugio”, e che Antonio Pennacchi definì, a ragione “pollaietti”. Le più grandi, sono di“tipo 9”




corrispondenti a quelle visibili in contrada Salioni




e che compongono il nucleo residenziale del borgo “C” a NordOvest di borgo Baccarato. Esse sono in parte abitate




per lo più saltuariamente, ed in parte abbandonate




Molte hanno subito evidenti modifiche




Resta da chiedersi come si sia potuto prendere in considerazione l’idea di assegnare a famiglie di contadini, in luogo di case vere, delle costruzioni concepite come rifugio temporaneo, a Borgo Verdi così come a Borgo Pala




Anche a Borgo Verdi vi è un abbeveratoio




e vi sono anche delle fontanelle




Sulla collinetta a Nord di Borgo Verdi è presente un serbatoio




ma né esso, né il relativo acquedotto compaiono sulle carte IGM; il serbatoio dovrebbe essere stato costruito negli anni Ottanta, ed in effetti, le relative strutture sembra non siano mai state completate. E’ presente una cabina di trasformazione




e vi è anche l’illuminazione stradale; tuttavia quest’ultima appare posteriore alla costruzione, costituita da lampade al sodio.



Agrigento

Falca1ª e Falca2ª



Gli agglomerati Falca1ª e Falca2ª sono costituiti dalle case relative al PR nr 13




una parte di esse si trova lungo le strade di accesso ai nuclei ed a Borgo Grancifone/La Loggia




Dovrebbero essere 12 case per Falca 1ª




e 18 per Falca 2ª




Le caratteristiche delle abitazioni sono chiaramente descritte da Salvatore Caronia Roberti nella relazione di progetto




Sebbene il progetto sembrerebbe quindi di Caronia Roberti, esse appaiono analoghe a quelle visibili a Runza o a Dagala Fonda




e corrisponderebbero dunque al “tipo 10 modificato”




Sono quasi tutte abitate




anche se non tutte perfettamente manutenute




Sono presenti fontanelle




ed illuminazione stradale.



Villaggio Stoccatello



Ubicato a NordOvest di Menfi, in contrada Stoccatello




è composto da 10 case raggruppate




(diverse altre sono sparse per il territorio) costruite per gli assegnatari dei PR 103 e 105. Il villaggio sorge al confine tra le province di Agrigento e di Trapani (sebbene il comprensorio fosse sempre quello del Consorzio Delia-Nivolelli), per cui il villaggio, in provincia di Agrigento, avrebbe avuto come centro servizi un borgo “C” in provincia di Trapani




Le case, molte delle quali ben manutenute, sono tutte occupate




quando non stabilmente abitate. Su di esse sono ancora visibili le decorazioni in maiolica originali




Il villaggio è privo di abbeveratoio e di illuminazione stradale.



Enna

Cuticchi



E’ un agglomerato




che raggruppa 15 delle 96 case costruite per l PR 241 e per le quali si sarebbe dovuto costruire borgo Cuticchi




le altre si trovano disseminate nell’area del piano di ripartizione




E’ ubicato a meno di un centinaio di metri dalla stazione di Raddusa




Le case, identiche a quelle costruite a Libertinia, si sviluppano su due elevazioni




sono in buone condizioni e praticamente tutte abitate. Vi è un sistema di viabilità interna, ma non un abbeveratoio




L’illuminazione è presente, costituita da moderne lampade al sodio



Braemi



Borgo Braemi è il nucleo abitativo di quello che avrebbe dovuto essere Borgo Arciero, il quale sarebbe dovuto sorgere a stretto ridosso delle abitazioni, trenta, per gli assegnatari di lotti compresi nel PR 344




Originariamente, i borghi del PR 344 sarebbero stati tre, denominati B’, B’’ e B’’’




L’attuale borgo Braemi sorge nella sede designata per il borgo B’’’, ma ricomprendendo anche le abitazioni che avrebbero dovuto costituire il borgo B’’, non esistente




Le case vennero costruite nella seconda metà degli anni Cinquanta; nel 1959 erano già ultimate.

Sorgono su un rialzo del terreno, parzialmente delimitato, a SudEst, da un muro di recinzione




In origine le mura esterne erano dipinte di rosa




ocra




o rosso scuro




Adesso il cattivo stato di conservazione di alcune abitazioni rende difficile persino comprendere quale fosse il colore originario




Come si è detto prima, Braemi avrebbe dovuto costituire il nucleo residenziale di borgo Arciero, che non vide mai la luce nonostante fossero state indette due gare d’appalto, andate deserte. Così, nel 1963 veniva chiesto di realizzare nel borgo un distaccamento di una “squadra volante composta da sei agenti” ed uno sportello postale; è probabile che tale richiesta sia nata dalla consapevolezza che il centro servizi non sarebbe mai stato realizzato.

La planimetria delle case è la medesima di Pionica




l’unica differenza, nonché l’aspetto più stupefacente, è rappresentata dai tetti, spioventi a Pionica ed a terrazzo qui. Nonostante il clima e la logica detterebbero, semmai, il contrario.

Attualmente molte case sono occupate; alcune di esse sembrano utilizzate solo come residenza di campagna.

Tra case in rovina, ridotte quasi ad un rudere, ve ne è qualcuna in perfetto stato




una di esse ha anche una piscina; e bisogna ammettere che la contiguità tra case coloniche diroccate e ville con piscina, per altro in una delle parti più profonde del centro della Sicilia, ha del surreale.

Vi è un sistema di viabilità interna




ma non vi sono né illuminazione stradale né abbeveratoi



Manda Tonda



Manda Tonda è l’agglomerato che originariamente avrebbe dovuto costituire il “Borgo B’ “ del PR 344. Si decise di variarne l’ubicazione, in quanto il nucleo originariamente avrebbe dovuto essere realizzato più a SudOvest, in una “zona di fondovalle e pertanto poco salubre e soggetta ad ammollamenti nel periodo invernale”. Pare siano stati gli stessi assegnatari a richiedere che il borgo sorgesse in una zona più elevata; la nuova ubicazione fu quella nella quale era già previsto che sorgesse un piccolo gruppo di otto case, più qualche altra sparsa intorno al raggruppamento




così Manda Tonda venne spostato sulla sommità di una collinetta




a meno di 800 metri dalla SS 626 e ben visibile da essa, ma di fatto ubicato in un luogo impervio e sperduto.

Accedervi dalla statale è infatti impossibile; il gruppetto di case si scorge bene in lontananza, ma appare disperatamente irraggiungibile. Per arrivare a Manda Tonda occorre giungervi da Nord; percorrendo la strada che conduce al borgo, il nucleo si appalesa improvvisamente alla vista in tutta l’assurdità della sua posizione




Delle 13 casette ivi presenti, e delle altre sparse nelle immediate vicinanze, solo un paio sono attualmente usate come ricovero temporaneo, ma nessuna è abitata, neanche saltuariamente




Né, vista l’ubicazione, potrebbe essere altrimenti. Tutte sono in pessime condizioni di manutenzione




prive di tetto e fatiscenti




Il progetto su cui sono basate le case e la tecnica di costruzione sono le medesime di Borgo Braemi, così come la colorazione dell’intonaco esterno




Non vi è il benché minimo accenno di sistemazione o viabilità interna




ed ovviamente l’illuminazione stradale o l’abbeveratoio sono assenti.



Caltanissetta

Gallitano



L’attuale “Borgo Gallitano”, che come tale compare sulle carte IGM e sulle mappe di diversi navigatori satellitari, è un villaggio costituito da un gruppo di abitazioni per alcuni assegnatari dei lotti ricompresi nei piani di ripartizione 163




Il PR avrebbe compreso 139 lotti, mentre le case che compongono l’agglomerato sono 27




Sebbene nella relazione di progetto della strada di accesso al borgo si asserisca che le case siano “già costruite ed in parte abitate”, non sembrano potersi rilevare, nell’area del PR, altre abitazioni oltre quelle raggruppate nel villaggio.

Quest’ultimo sorge all’interno di una vasta area sottoposta a vincolo da parte della Soprintendenza per i beni culturali ed ambientali di Caltanissetta, ricadente nel bacino idrografico del Salso




Anzi, il nucleo stesso del villaggio




è menzionato tra i beni architettonici di maggior rilievo all’interno della bassa valle del Salso; così come la miniera Gallitano, della quale si vedono ancora, lungo quella che sarebbe stata la strada di accesso al borgo, gli edifici di servizio




circa settecento metri prima del villaggio. In essi è possibile rilevare i medesimi elementi architettonici evidenti nel castelletto, il quale sorge esattamente di fronte al villaggio




Appare ancora in ottimo stato




al suo interno sono visibili addirittura resti delle strutture di sollevamento




mentre il pozzo risulta ovviamente ostruito




All’agglomerato di case si accede tramite una breve stradella che si dirama diparte dalla SP 32 (già strada consorziale Canalotto-Galassi) la quale costituisce la strada che avrebbe consentito di giungere al centro servizi, mai realizzato, che avrebbe dovuto trovarsi un chilometro più avanti.

Poco prima di essa può vedersi ciò che resta dei forni Gill




Il villaggio sorge su un’altura; la stradella di accesso, che lo circonda a Sud, in origine doveva essere lastricata




Le case, in muratura portante con architravi e cordoli del solaio in calcestruzzo armato




sono dotate di magazzino separato




che in alcuni casi posto ad una certa distanza dalla costruzione principale; cinque di essi si trovano raggruppati al confine SudEst dell’abitato




Alcune case sono abitate, continuando a conservare la funzione di casa rurale. Non vi è traccia né di sistema di viabilità interna né tantomeno di illuminazione




Non vi è abbeveratoio



Ratumemi



Il toponimo “Borgo Ratumemi” segnato sulle carte IGM non indica in realtà un borgo, né un villaggio, ma uno sparuto gruppo di case sparse; la condizione è simile a quella di Pionica ma contrariamente a questo, Ratumemi è stato classificato come “borgo”, probabilmente perché era stato esplicitamente previsto il relativo centro servizi. Quest’ultimo, mai realizzato, è stato trattato qui; sarebbe dovuto sorgere su questa collinetta




Alla zona si accede da una strada il cui capo strada si trova sulla SP7, la provinciale lungo la quale, tre chilometri più a Nord, si trova Braemi.

Le case di Ratumemi vennero costruite per gli assegnatari dei lotti compresi nel PR331




non so quanti fossero, ma le case presenti nella vallata sono poco più di una decina, delle quali tre o quattro più vicine tra loro, ed all’area sulla quale avrebbe dovuto sorgere il borgo




Il progetto sul quale sono basate le case è il medesimo di quelle presenti a Gallitano




con il caratteristico magazzino discosto dal resto della casa




La maggior parte delle case è abitata ed ha subito notevoli modifiche




Vi sono due abbeveratoi lungo la strada, ma essi sono successivi, realizzati una quindicina d’anni dopo dal Consorzio di Bonifica del Salso Inferiore




La strada attualmente non è pavimentata




ma in origine sembrerebbe esserlo stata. Ovviamente non vi è illuminazione stradale



Agrabona



Per quanto Manda Tonda possa apparire un luogo surreale, non riesce ad assurgere agli stessi livelli di assurdità di Borgo Agrabona. Anche Borgo Agrabona si trova in un luogo remoto, difficile da raggiungere, e lontano da ogni forma di urbanizzazione




il relativo centro servizi sarebbe stato un borgo “C”, pianificato tra S. Marco della Palma ed il monte Agrabona, distante circa 1 km in linea d’aria




Ma soprattutto le 21 case, costruite per gli assegnatari dei PR 348 e 963, si trovano lungo una strada rettilinea che decorre sul fianco di una collina




con una pendenza che supera il 10%




I contadini con attrezzi da lavoro, o i ragazzi con i libri di scuola avrebbero dovuto iniziare la giornata con una fatica improba per raggiungere la strada di accesso




dalla quale recarsi al luogo di destinazione avrebbe poi rappresentato un secondo calvario.

A nessuno sarebbe mai venuto in mente di abitare queste case, che rappresentano senz’altro il massimo livello di inutilità e spreco raggiunto dalla riforma agraria. Non vi sono state occupazioni abusive, uso come ricovero animali, o altro. Le case sono disabitate




ed è verosimile che esse non siano mai nemmeno state ultimate, mancando degli accessori indispensabili come la cucina in muratura




I resti delle maioliche ancora visibili su qualcuna delle costruzioni, simili a quelle presenti sulle case dei borghi della serie Schisina, (ma anche di Stoccatello) qui, se possibile, risultano ancora più beffardi




La planimetria delle case è sempre basata sul “tipo A10”




ma qui sembra essere presente una struttura in calcestruzzo armato




In cima alla salita è presente un abbeveratoio




ma l’unica strada del villaggio, che in origine sarebbe stata lastricata, non presenta com’è logico aspettarsi, alcun impianto di illuminazione



Messina

Monastero/Bucceri – Malfitano – Pietrapizzuta



Gli unici borghi residenziali attualmente presenti nella provincia di Messina fanno parte della serie dei villaggi Schisina; e restano comunque i soli ad essere stati realizzati dall’ERAS in tale provincia. Per essi, l’unico centro servizi a non venire costruito fu quello di Monastero-Bucceri




costituito da una chiesa




ed una scuola




avrebbe trasformato il borgo residenziale in un borgo misto.

Malfitano ("Malfitana" nella docunetazione ERAS)




e Pietrapizzuta




furono invece pensati come borghi esclusivamente residenziali ab origine; il centro servizi di riferimento sarebbe stato Borgo Schisina.

Tutti e tre i villaggi di, rispettivamente, trenta




ventiquattro




e quattordici




case, condividono il medesimo progetto per le abitazioni: due stanze, con un forno alloggiato in un volume sporgente, nel quale trova posto anche la latrina




e stalla




nonostante i villaggi siano ubicati sui Nebrodi, ad un’altitudine compresa tra i quasi 600 metri di borgo Monastero-Bucceri, ed i quasi mille di Pietrapizzuta




i tetti sono a terrazza




La viabilità interna è costituita da sentieri sterrati




senza alcun impianto di illuminazione




non fu nemmeno prevista, in origine, la fornitura di energia elettrica.

Ogni borgo è provvisto di abbeveratoio, Malfitano e Pietrapizzuta sembrano forniti di acqua tramite apposito acquedotto, le cui opere di captazione dovrebbero trovarsi sul monte Trefinaite; lo stesso impianto forniva gli altri villaggi della serie Schisina, con l’eccezione di Monastero-Bucceri. Fu proprio questa la causa della mancata realizzazione dei servizi a Monastero-Bucceri, come menzionato qui.



Cutò



Mentre borgo Cutò non venne mai realizzato, il corrispondente nucleo residenziale venne costruito, ma successivamente distrutto, cosicchè nulla di esso è attualmente visibile




Puoi trovare qui, Lettore, una sintesi della vicenda, e del possibile significato di essa. L’agglomerato era costituito da venticinque costruzioni che gli abitanti del luogo definiscono “casette”, ma che poi tanto piccole non dovevano essere




L’immagine mostrata non consente di intravedere dettagli, ma dal paragone tra le dimensioni delle “casette” e quelle dei ruderi della costruzione indicata dalla freccia, ancora esistente, si desume che le abitazioni dovessero avere delle dimensioni paragonabili a quelle di Garbinogara, quindi tra le maggiori realizzate da ERAS/ESA, paragonabili, come superficie coperta, ad alcuni progetti di epoca ECLS.

Dalla forma sembrerebbero però più simili a baraccamenti; sempre riferendosi alle testimonianze raccolte in loco sarebbero stati dei prefabbricati montati su basamenti in calcestruzzo armato.

Dalla sovrapposizione della foto aerea del 1967 alle immagini successive, si può desumere come il canale di gronda abbia in qualche modo intersecato il nucleo del villaggio “intercettando” almeno 5 casette; dalla sovrapposizione si può verificare anche con quale precisione siano stati scaricati i detriti per occultare solo e tutte le costruzioni




Forse il motivo dell’eliminazione di ogni traccia dell’esistenza del villaggio sarebbe semplicemente da ricercare proprio qui, nel tentativo di occultare delle demolizioni non autorizzate.

Rimane il fatto che, sempre riferendosi alle testimonianze locali, all’epoca della distruzione del villaggio molte “casette”, inadatte alle condizioni climatiche locali e sulle quali non era mai stata eseguita la benché minima manutenzione, erano ridotte a ruderi di cui alcune pareti esterne non superavano il metro di altezza.

Ovviamente, in considerazione della genesi di borgo Cutò e del relativo villaggio, nessun riferimento può esistere nella mappa del 1956.



Catania

Ficuzza



L’agglomerato segnato sulle carte IGM come “borgo Ficuzza” condivide con Ventrelli-Cugno e Mandre Bianche il medesimo progetto di casa colonica




ma, a differenza degli altri due, sorge a meno di un centinaio di metri da una strada statale, la SS 288




Le case sono in gran parte abitate




anche se, probabilmente, solo nel periodo estivo. Le abitazioni, in numero di 26




vennero costruite per gli assegnatari del PR 395




Il relativo centro servizi sarebbe stato un borgo C, a circa 2,5 km a WSW, da realizzarsi a cura del Consorzio.

La viabilità interna è costituita da strade non pavimentate




il cui impianto di illuminazione sembrerebbe essere più recente delle abitazioni.

Non vi è abbeveratoio.



Mandre Bianche



Anche Mandre Bianche, così come Agrabona e Manda Tonda, sarebbe un luogo con un’ubicazione assurda




Le case del PR 261, identiche a quelle di Ficuzza




sono sparse lungo le strade di accesso




mentre 19 di esse sono raggruppate a formare il villaggio




Il centro servizi di riferimento sarebbe stato Libertinia




dal cui il villaggio dista 2700 metri in linea d’aria. Questo è visibile da più parti, cimitero di Libertinia compreso (o di ciò che ne resta, considerato che è stato praticamente demolito)




ma vederlo è un conto, e raggiungerlo un altro




Ed anche quando viene raggiunto, risulta attentamente “sorvegliato” per cui è impossibile accedere al villaggio senza venire almeno “accompagnati”.

Nonostante l’ubicazione, pare infatti che esso, poco dopo la sua realizzazione, sia stato popolato. Attualmente le case sono in parte utilizzate, anche se non propriamente abitate, ed in discrete condizioni




solo una è stata demolita




Pare sia crollata in seguito ad una deflagrazione poiché al suo interno erano stati riposti degli esplosivi, evento che risalirebbe all’epoca in cui il villaggio era abitato.

Non vi è abbeveratoio; è invece presente l'illuminazione stradale, nonostante la viabilità interna sia costituita da sentieri sterrati




c’è anche una cabina di trasformazione



Ventrelli



Ventrelli (anche questo chiamato “il villaggio” dagli abitanti del luogo), denominato “Case Cugno” nella cartografia IGM, si trova nei pressi della provinciale che da Raddusa conduce verso Borgo Lupo. La case del raggruppamento sarebbero state destinate agli assegnatari dei lotti compresi nei Piani di Ripartizione 27 e 27a.

Ventrelli condivide diverse caratteristiche con Mandre Bianche. Oltre ad essere costituito dalla stessa tipologia di case




è anch’esso visibile con facilità




ma raggiungibile con difficoltà maggiore di quanto non sia la sua individuazione dalla provinciale, con alcune case sparse sull’area del piano di ripartizione e lungo le strade di accesso




prima di giungere al (piccolo) nucleo




che ne raggruppa 13




Ed anche le sue case sono parzialmente utilizzate




Come centro servizi era prevista la realizzazione, da parte del Consorzio, di un borgo “C”, la cui circonferenza determinata dal raggio di influenza avrebbe sfiorato quella di Borgo Lupo




L’illuminazione stradale, presente, sembra di realizzazione più recente mentre un abbeveratoio si trova lungo la strada di accesso.



Ragusa

Borgo San Giacomo



E’ indicato come “Borgo san Giacomo” su Googleearth e le carte IGM, ma il nome della contrada sarebbe “Albaccara”, almeno a quanto si legge sull’indicazione posta all’imbocco della strada di accesso




Consta di 19 case rurali




costruite a ridosso di una vecchia masseria




con un sistema interno di viabilità




Erano destinate agli assegnatari del PR 723, ma non era pianificato alcun borgo nelle vicinanze; il centro servizi più vicino sarebbe stato un borgo C distante 8 km in linea d’aria




Le case sono perlopiù in ottime condizioni, alcune ristrutturate




quasi tutte in uso, in gran parte come residenza estiva. Esse sembrano essere basate su un progetto che non ha trovato applicazioni in altri villaggi




Vi è un sistema di viabilità interna, non pavimentato, come la strada di accesso




e privo di illuminazione. Non vi è abbeveratoio.



Sotto è riportata l’ubicazione dei villaggi descritti sopra. In verde i nuclei residenziali, in giallo le zone caratterizzate dalla presenza di case sparse, in rosso Cutò, non più esistente