domenica 24 luglio 2022

IL MOSTRO DI FIRENZE, OVVERO LE OPINIONI, PARMENIDE, CARTESIO E LA RICERCA DELLA VERITÀ: POST Post Scriptum



Once upon a time a man painted half his car white and the other half black. His friends asked him why he did such a strange thing. He replied: ‘Because it is such fun, whenever I have an accident, to hear the witnesses in court contradict each other.’

Edward De Bono




Raramente, Lettore, mi accade di salire su un traghetto. L'ultima volta é accaduto circa due mesi fa. Il traghetto era fermo in banchina, ed io stavo seduto sul ponte, guardando in direzione della diga foranea, che si trovava proprio di fronte a me, ad una distanza di meno di un chilometro. Improvvisamente, la diga foranea cominciò a spostarsi verso destra. Era chiaramente un'illusione; in realtà il traghetto aveva iniziato a muoversi verso sinistra, e lo aveva fatto senza il benché minimo incremento di vibrazioni o di rumore. Nessuna alterazione era percepibile con i sensi, all'infuori dell'apparente spostamento della diga.

Realizzare come stessero effettivamente le cose fu questione di una frazione di secondo; ma in quella frazione di secondo, l'illusione di movimento della diga fu tanto realistica da farla sembrare reale.

Questa "illusione", ed il concetto che essa sottende, portò la mia mente ad alcune riflessioni riguardo all'illusionismo in generale e, per analogia con ciò che avevo appena vissuto, ed in particolare il numero che l'illusionista David Copperfield (al secolo David Seth Kotkin) condusse nel 1983, e che consisteva nella sparizione della Statua della Libertà, al centro della baia di Manhattan.




Prima che Claudia Schiffer svelasse al mondo il trucco sul quale il numero era basato, e cioè l'insensibile rotazione della piattaforma sulla quale si trovavano gli spettatori e gli strumenti da ripresa, avevo cercato di immaginare in cosa, in effetti, potesse consistere il trucco. Ero giunto a pensare ad un qualche sistema ottico interposto tra l'osservatore e l'oggetto, che deviasse i raggi luminosi facendo sì che gli spettatori stessero in realtà guardando da un'altra parte; ma mi trovai a dover scartare questa possibilità, data la complessità tecnica, insormontabile, della sua realizzazione. Era impossibile.

Certo, era impossibile come l'avevo pensato io; ma il principio, in teoria, era corretto: lo spettatore, quando non vedeva la Statua, stava in realtà guardando in un'altra direzione. Ma nella pratica cercavo di trovare una soluzione a questo problema che era materialmente inattuabile. David Copperfield, avrei scoperto dopo, invece aveva trovato una soluzione ben più semplice, quasi banale, per ottenere lo stesso effetto. E qui sta la differenza tra il ragionamento di una persona comune, e quello di un professionista dell'illusionismo.

Perché mai non presi in considerazione ciò che era ovvio e banale, impantanandomi invece nella ricerca di una soluzione impossibile? Dove stava l'elemento psicologico che sfrutta l'illusionista, per cui le spiegazioni di ciò che vediamo sono di realizzazione tanto complessa da essere impossibili, cosicché ciò che vediamo rasenta la "magìa"?

Nel caso specifico, tutto dipendeva dall'assunto per il quale era l'oggetto della sparizione che avrebbe dovuto subire qualche forma di manipolazione, non mai l'osservatore. Fu questo a condurmi dal ragionamento teorico corretto (l'osservatore guarda in un'altra direzione e non vede la Statua) a quello pratico impossibile (poiché l'osservatore non si é spostato, e la Statua non può essere stata spostata, il trucco deve stare nel mezzo).
L'inganno sta nell'assumere che quel "poiché l'osservatore non si é spostato" sia certo e verificato; e dove é scritto che l'osservatore non si sia spostato?

Questo approccio inusuale alla valutazione degli elementi che compongono un problema, diverso dal pensiero lineare che caratterizza il ragionamento logico tradizionale, é attualmente identificato dall'espressione "pensiero laterale".

L'espressione "lateral thinking" fu coniata da Edward de Bono, e portata all'attenzione dei lettori nel 1967 con il libro "The use of lateral thinking"; ma fu nel 1985 che raggiunse il grosso pubblico con il libro "Six thinking hats".




Ed era proprio il 1985, o giù di lì, quando era in voga in Italia (e probabilmente anche altrove) una sorta di gioco di società, condotto da un "narratore", che consisteva nel narrare una breve storiella costituita da un prologo ed un epilogo. I giocatori, attraverso domande mirate al narratore, dovevano riuscire a dedurre quale fosse l'antefatto dal quale la storiella aveva avuto origine.

Molto più frequentemente, la storiella trattava di un tale che, passando nei pressi di un ristorante, vede pubblicizzata la possibilità di mangiare carne di albatros e per questo, entra nel ristorante e la ordina. L'epilogo era il suicidio del tale all'uscita del ristorante: perché il tizio si era suicidato dopo aver mangiato carne di albatros?

Dalle mie parti girava un'altra storiella, di gran lunga migliore a mio parere, che vedeva un professore universitario di Medicina, in una città imprecisata, amputare il braccio di un cadavere "fresco" appena giunto in sala settoria; il reperto veniva quindi avvolto in panno, inserito in una valigetta termica, e consegnato ad una persona di fiducia del professore. Questo era il prologo. La persona di fiducia saliva in automobile, e si recava in un'altra, lontana, città. Bussava alla porta di una casa e mostrava, a chi gli aveva aperto, il contenuto della valigetta. Chi aveva aperto la porta si limitava ad annuire in silenzio, ed il messo andava via. Dopo aver ripetuto, con altre sei persone, la medesima procedura, ritornava in istituto dove il braccio veniva riposto insieme al cadavere da cui era stato prelevato.

Il "narratore", ruolo che ho svolto parecchie volte, non poneva alcuna limitazione alla natura o alla forma delle domande, ove si escludessero domande dirette riguardo alla soluzione (come ad esempio: "Qual é la soluzione?")

Questo tipo di enigma ha più di recente assunto la denominazione di "indovinello regressivo", e la sua soluzione prevede un uso preponderante del "pensiero laterale".

L'impressione che ricavavano i giocatori all'inizio del gioce era che un breve episodio descritto in maniera così vaga avrebbe potuto essere provocato da una miriade di circostanze diversissime; ed anche il narratore, almeno le prime volte in cui svolgeva tale ruolo, temeva di potersi trovare in difficoltà, qualora fosse venuta fuori una soluzione inaspettata, diversa da quella codificata. Procedendo nel gioco, però, ci si accorgeva di come le ipotesi, alla fine, fossero invariabilmente costrette a convergere verso quell'unica soluzione. Ogni possibile diversa ipotesi finiva, prima o poi, per scontrarsi contro la logica; o almeno, contro la totale assenza di motivazioni che la sorreggessero.

Riguardo al "Mostro di Firenze", posti di fronte all'evidenza che qualunque tipo di indagine condotta con metodi investigativi tradizionali, in più di mezzo secolo non é stata in grado di cavare un ragno dal buco, forse sarebbe ora di cominciare ad usare metodi alternativi; tanto più che il mezzo secolo trascorso rende sempre più difficile usare i metodi tradizionali e sempre più aleatori i risultati raggiungibili: i reperti si sono deteriorati, molte prove sono andate persi, i testimoni sono deceduti... quindi si continua a pestare l'acqua nel mortaio, leggendo e rileggendo sempre i medesimi rapporti, che rimangono identici a loro stessi. Va da sé che se non puoi cambiare gli elementi che hai a disposizione, di fronte al fallimento non ti resta che cambiare il modo di valutarli.

Quindi, la vicenda "Mostro di Firenze" può essere vista come una particolare forma di "indovinello regressivo", di cui Signa costituisca il Prologo, e la serie omicidiaria da Rabatta in poi l'Epilogo. L'antefatto da trovare sarebbe la motivazione dell'evento di Signa, che poi, per ovvi motivi, coinciderebbe con l'origine del "Mostro".

Purtroppo, nel caso del MdF manca il "narratore", al quale poter chiedere una verifica delle ipotesi fatte; ma una soluzione, sebbene lunga e tediosa, può venire dal seguire il "cammino" generato dalle diverse ipotesi che riguardano la singola domanda, con modalità analoghe a quelle usate negli algoritmi informatici di "ricerca ad albero". Quando durante il cammino si incespica in una incongruenza, o nell'assenza di motivazioni plausibili di una condizione o azione, l'ipotesi costituita dalle diramazioni e dal ramo che le ha generate andrebbe abbandonata.

E nel caso del "mostro di Firenze" ve ne sono parecchie. Prendiamo in considerazione le prime due elencate su una pagina Web di "fanpage" che la pagina definisce "misteri irrisolti".


Per le ultime tre, non vi può essere discussione nell'ambito di questo post; ma per ciò che riguarda le prime due, possiamo declassarle da "mistero irrisolto" a "banale ovvietà" servendoci del "pensiero laterale" applicato all'"indovinello regressivo".

Vediamo insieme come



Perché Natalino Mele fu lasciato a casa del De Felice?




Una delle primissime incongruenze (o "mistero irrosolto") in cui ci si imbatte in questa storia é la misteriosa motivazione per la quale il piccolo Natalino Mele venne condotto presso una casa distante due chilometri e mezzo, quando ve ne era una (definita "casolare" nella sentenza Rotella) molto più vicina, ad un decimo della distanza.

Quest'ultima si trovava (e si trova tutt'ora) lungo la via Castelletti, a meno di centocinquanta metri in linea d'aria dal luogo del delitto, ed a non più di duecentocinquanta di percorso; percorso tra l'altro molto agevole.

La condizione, al tempo, era più o meno questa.




La casa del De Felice, invece, si trovava ad una distanza dieci volte superiore, ed al termine di un percorso molto più accidentato, e reso ancor più disagevole dall'assenza di illuminazione lunare.




Quale dovrebbe essere la ragione per la quale Natalino sarebbe stato portato a due chilometri e mezzo di distanza, al buio, lungo un sentiero sterrato interroto da cumuli di detriti, anziché "consegnato" molto più agevolmente all'abitazione nei pressi?

Un'opinione diffusa, dichiarata esplicitamente da alcuni, velatamente o allusivamente da altri, vorrebbe che tale comportamento apparentemente assurdo sia stato dettato dalla volontà di lasciare Natalino nelle mani di Silvano Vargiu che all'epoca (verosimilmente) dimorava in una casa che dava sul medesimo piazzale della palazzina ove si trovava l'abitazione del De Felice.

E questo sarebbe stato dovuto al fatto che chi aveva accompagnato Natalino avrebbe avuto con lui un legame di sangue (in pratica, ne sarebbe stato il padre), ed avrebbe altresì avuto un forte legame con il Vargiu (cioè, ne sarebbe stato "l'amante"). E tutto ciò punterebbe nella direzione di Salvatore Vinci.

Fermo restando il fatto che mai Salvatore Vinci avrebbe dimostrato una particolare attitudine ad essere un padre attento e protettivo (basta leggere le dichiarazioni del figlio Antonio), e che le attitudini sessuali di Salvatore Vinci sono state tanto particolarmente quanto immotivatamente enfatizzate dal colonnello Nunziato Torrisi, (il quale, per qualche sconosciuta ragione, pare esser rimasto estremamente impressionato da fatti assolutamente analoghi a quelli che giornalmente e diffusamente si verificavano in ogni campagna sarda, siciliana, lucana e possibilmente anche toscana), nei fatti Natalino suonò il campanello di casa De Felice, e non si rivolse a Vargiu.

Se ricorriamo ad un esempio, possiamo forse valutare meglio la logica che sta dietro alla pretesa per cui Natalino sarebbe giunto lì per venire affidato al Vargiu.

Ammettiamo che io debba consegnare qualcosa di veramente importante a qualcuno che abita in un'altra città, tanto importante da stabilire di non poter fidarmi di alcun corriere o spedizionere.

Decido allora di mettermi in ferie dal lavoro per recarmi personalmente nella città ove risiede il destinatario dell'importantissimo oggetto. Acquisto due biglietti aerei, andata e ritorno, ed una volta giunto nell'aeroporto della città di destinazione affitto un'automobile per recarmi dall'aeroporto alla casa del destinatario.

Una volta giunto nei pressi della destinazione, però, mi rendo conto di come siano vigenti, nella zona in cui abita il destinatario, delle restrizioni alla circolazione stradale, per cui solo i residenti possano accedere con l'automobile alla strada nella quale risiede il destinatario. Allora, cosa faccio? Fermo il primo che passa e che, da residente, ha la possibilità di accedere alla strada... e gli chiedo di consegnare l'oggetto al destinatario al posto mio?!? In pratica, avrei impiegato una quantità notevole di risorse personali, per vanificare il risultato, alla fine per una sciocchezza?!?

Perché chi ritiene plausibile l'ipotesi del Vargiu, sostiene implicitamente questo. Chi ha accompagnato Natalino si é fatto due chilometri e mezzo a piedi, di strada accidentata, al buio, portando a cavalluccio Natalino perché senza scarpe, e arrivato sul posto... non si cura neanche di verificare che Natalino prema il pulsante del campanello giusto?!?

Nella risposta precedente Ti avevo fatto l'esempio degli "indovinelli regressivi" e della logica che consentirebbe di scartare le risposte non corrette alle domande che servono a giungere alla soluzione; ecco, questo é un esempio di come ciò possa avvenire. Ed infatti, in accordo a quanto prima affermato, la logica del "pensiero laterale" consente di trovare la spiegazione che é l'unica ragionevolmente possibile (confrontate alla miriade di ipotesi irragionevoli possibili):

era necessario introdurre un ulteriore intervallo temporale tra l'evento omicidiario e l'allertamento delle forze dell'ordine.

Questa é l'unica spiegazione, tanto ragionevole quanto banale, possibile.

Quindi la domanda da farsi deve essere riformulata. La domanda non é "Perché Natalino é stato condotto alla casa di De Felice anziché in quella più vicina?", ma diviene: "qual era il motivo che rese necessario ritardare l'intervento delle forze dell'ordine di un'ora o giù di lì? Cosa doveva accadere in quell'intervallo di tempo?"

E Ti garantisco, Lettore, che anche alla domanda formulata in questo modo puoi trovare la risposta corretta utilizzando la stessa metodica del "pensiero laterale" applicata all'"indovinello regressivo".

Ma passiamo al secondo "mistero irrisolto" di Fanpage



L'arma non si é mai trovata




Questo è un altro dei paradossi di questa vicenda; ma Lettore, il paradosso non sta nel fatto che l'arma non si trovi, ché questo é esattamente ciò che ci si aspetta. Il paradosso sta nel fatto che ci si meravigli di ciò, che lo si consideri un "mistero".

Vediamo, in dettaglio, il perché.

E' evidente ormai da decenni, dai rapporti di PG, dalle testimonianze, dalle confessioni rese da Stefano Mele e dalla "pista sarda", come Stefano Mele non possa essere stato l'autore del delitto. Non avrebbe avuto né la possibilità, né i mezzi, né la motivazione; secondo la criminologia giallistica mancherebbero "l'occasione, l'arma ed il movente".

Qualcun altro ha compiuto il delitto e, confezionando bene un'occasione (meno bene un movente) ha fatto incolpare il Mele. Ma per l'arma é tutt'altra cosa.

E' stato ripetuto ad nauseam che le armi usate per commettere un omicidio non passano mai di mano perché dall'arma é possibile risalire al suo possessore. Nel corso di mezzo secolo lo hanno detto gli investigatori, i magistrati, i mostrologi... persino io l'ho scritto qui. E se persino un blogger da strapazzo come me é stato in grado di apprendere un tale concetto, possiamo affermare che lo sappiano anche le pietre. E se lo sanno anche le pietre, a maggior ragione lo sapeva benissimo chi agì a Signa.

Ora

SE si doveva far incolpare Stefano Mele, e...

SE dall'arma sarebbe stato possibile ipotizzare chi fosse il vero colpevole

NE DISCENDE OVVIAMENTE CHE il ritrovamento dell'arma avrebbe potuto scagionare Stefano Mele

e, secondo Te, Lettore, se ci si era data tanta pena per far incriminare Stefano Mele, si sarebbe compromesso tutto ciò facendo ritrovare l'arma?!? Ma é lapalissiano che questo sarebbe stato un errore puerile da parte di un "Mostro" che invece aveva costruito il delitto di Signa per un motivo ben preciso! Se si fosse ritrovata l'arma, il costrutto sarebbe crollato come un castello di carte, nonostante la confessione di Stefano Mele; é concepibile che gente capace di tenere in scacco gli inquirenti per mezzo secolo avrebbe commesso un errore così stupido, come quello di consentire il ritrovamento dell'arma? Messa in una borsa, gettata in un canale, lasciata sul luogo... ma dài! Qui, neanche il "pensiero laterale" é necessario.

Proseguendo lungo questa linea, Lettore, si aprirebbero nuovi fonti di ricerca e di interpretazione dei fatti. Ciò però potrebbe conseguire solo a particolari apertura mentale ed amore per la verità, il che nella pratica dovrebbe tradursi in un unico principio: mettere da parte.

Mettere da parte preconcetti e pregiudizi, e mettere da parte interessi economici.

Il primo concetto, come indicato qui, si traduce nel cartesiano "mettere ogni cosa in dubbio, fin dove sia possibile".

Il secondo concetto é quello, mettendo da parte ogni forma di modestia, quello che puoi vedere sempre qui, ma in tutto il blog: niente pubblicità, niente richiesta di abbonamenti... fornire delle informazioni per il solo gusto di farlo, riconoscendo al contempo i limiti della propria interpretazione di esse.

Perché, Lettore, l'informazione dovrebbe essere libera per tutti. Non é nella gelosa custodia delle informazioni che sta la differenza tra gli individui, ma nell'uso che ognuno di essi é capace di farne. Se Tu dovessi avere delle capacità superiori alle mie, usando le informazioni meglio di me, il fatto che io le tenga per me priva la collettività di un potenziale vantaggio.

Devo dire, Lettore, che per quel che riguarda la vicenda MdF, vi sono molti siti Web che mettono a disposizione moltissime informazioni, e senza chiedere nulla in cambio; ma "fino ad un certo punto". Forse sarebbe ora di eliminare il limite costituito da questo "certo punto"; e questo vale anche e soprattutto, per il procuratore Luca Turco