Le premier était de ne recevoir jamais aucune chose pour vraie que je ne la connusse évidemment être telle; c'est-à-dire, d'éviter soigneusement la précipitation et la prévention, et de ne comprendre rien de plus en mes jugements que ce qui se présenterait si clairement et si distinctement à mon esprit, que je n'eusse aucune occasion de le mettre en doute.
Renè Descartes
Cos’è la verità, Lettore?
Questa è la domanda che ti sto porgendo io, mentre tu possibilmente te ne starai facendo un’altra, che rivolgeresti a me se potessi: ma perché questa domanda?
Ed ancora: ma non avrebbe dovuto esserci la storia di Antonio? Cosa ha a che vedere la verità con questo?
Ma soprattutto, cosa a che vedere tutto questo con il Mostro di Firenze?
Be’ ci sarebbe un filo (poco) logico che lega tutto ciò, e cerco di illustrartelo.
Come ebbi a dire alla conclusione della serie sui borghi rurali, un Lettore, Antonio per l’appunto, mi aveva chiesto di narrare la sua storia, ricca di spunti sociologicamente interessanti, ma che avrei dovuto comunque “mimetizzare” in qualche modo per una questione di riservatezza. O, se vogliamo metterla in termini diversi, per non dare adito a possibili querele.
Perché, Lettore, come certamente sai, chi parla degli altri è comunque sottoposto ad attacchi. Anche quando dice la verità; soprattutto se quella verità è la “verità indimostrabile” di cui il matematico Piergiorgio Odifreddi chiese a Giulio Andreotti. Ma Antonio desiderava che la verità venisse detta, anche se nella sua forma palese non avrei potuto dirla io. Ciò, almeno per il momento, non è accaduto; perché Antonio, almeno per il momento, mi ha fermato. Attendendo gli ulteriori sviluppi della sua storia, che purtroppo si preannunciano, in qualche modo, negativi.
Ed io mi sono chiesto: ma perché la verità non può essere detta? Perché chi dice la verità deve essere sottoposto ad attacchi? Perché Antonio ha dovuto fermare i miei post, anche se dicevano, seppur “mimetizzata”, la verità? E, cosa più importante di tutte, la verità “mimetizzata” da me sarebbe comunque rimasta la verità? O almeno una verità? Perché la verità non può essere detta per quella che è?
Mentre riflettevo su questo, sono però rimasto ancor più colpito dalla soggettività del mio stesso pensiero: cosa vorrebbe dire esattamente "per quella che é"? Esistono tante verità soggettive, ma... esse fanno realmente capo ad un'unica verità oggettiva, uguale per tutti? O l'esistenza di una verità oggettiva é un'illusione?
Da qui la domanda: Cos’è la verità?
Mentre indulgevo in tali oziose riflessioni, YouTube mi propose, tra le altre cose, un video di Massimo Polidoro, sul “Mostro di Firenze”, parte di una serie.
L'ultima volta che mi interessai, per così dire, del "Mostro di Firenze" fu nei primi anni Novanta del secolo scorso, quando Pacciani era appena stato arrestato. Successivamente lessi qualcosa riguardo alle sentenze, vidi qualche servizio giornalistico (ad esempio, il ritrovamento del proiettile nell'orto del Pacciani), ebbi un vago sentore dell'inconsistenza di gran parte dei contenuti del processo ai cosiddetti "compagni di merende", ma nulla di più; traendone l'impressione di un garbuglio inestricabile, che creava più problematiche di quante non ne risolvesse. Ognuno proponeva la sua verità sulla vicenda; e chi pretendeva di esse giunto ad una verità oggettiva, e cioè i magistrati, ne proponeva una versione che strideva fortemente quando confrontata non solo con una logica stringente, ma persino con il semplice buonsenso. Per tale motivo, il “Mostro di Firenze”, per quel che mi riguardava, era finito nell’immaginario serbatoio dell’oblìo, il famigerato dimenticatoio; ma da esso tornava ora a fare capolino.
Per chi non lo sapesse, Polidoro é l'attuale presidente del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze, nato nel 1989 come Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale, alla fondazione del quale parteciparono giornalisti scientifici e scienziati, come ad es. Piero Angela e Margherita Hack), ed in tale veste prometteva un'analisi della vicenda "con i metodi della scienza". Anzi, il primum movens nella nascita del CICAP fu un’inchiesta giornalistica di Piero Angela dalla quale nacque un saggio, “Viaggio nel mondo del paranormale”, splendido volume in grado di fornire spiegazioni scientifiche, reali e documentate di fenomeni che a tutti apparivano inspiegabili ed irreali.
"Ecco" pensai "finalmente qualcuno che con metodo e rigore può gettare almeno una luce su una vicenda oscura che il passare degli anni ha reso sempre più tale. Le tante verità soggettive dovranno adeguarsi ad una verità resa oggettiva dai metodi della scienza.".
Polidoro pubblicò una serie di 12 video al riguardo (quello che aveva attratto la mia attenzione era il n. 10, del 24 settembre 2021). Purtroppo, devo dire, non mi é sembrato che la serie dei video contenesse informazioni rilevanti, né indirizzi metodologici che potessero indicare una strada in fondo alla quale avrebbe potuto trovarsi, se non la soluzione dell'enigma, almeno una possibile soluzione. Un nulla di fatto, insomma; riguardo alla vicenda del Mostro di Firenze, almeno.
Alla fine della serie di Massimo Polidoro però, due cose mi furono chiare.
1) nessuna verità era stata trovata
2) nessun metodo della scienza era stato applicato
Guardare i video era stato inutile, allora? Non proprio. Nei commenti in calce al video ebbi uno scambio di idee con qualcuno, e nell'ambito di tale scambio una seconda persona fu così gentile da suggerirmi un link ad un altro canale YouTube, monotematico. Mi fu chiaro dai contenuti come, dall'ultima volta (quasi trenta anni prima) che avevo considerato l'argomento, vi fossero stati dei grandi sviluppi, che però non avevano condotto a svolte decisive. Vista l'enorme quantità di materiale ivi presente, e le difficoltà ad usarlo in maniera sistematica senza una traccia, ricorsi ad una ricerca generica su Google. E, come avvenne nel caso dei borghi rurali, un universo si dischiuse dinanzi ai miei occhi.
Mostri e Mostrologia
Però, mentre l'universo riguardante i borghi era un universo chiaro e pulito (almeno inizialmente - invidie e meschinità sarebbero comparse dopo), nel quale potevano anche trovare posto affermazioni superficiali ed approssimative sì, ma comunque ingenue e sincere, quello relativo al Mostro di Firenze era affatto diverso.
Una pletora indicibile di informazioni, vere o presunte, oggettive o opinabili, fluiva nel web attraverso articoli, blog tematici, canali YouTube, pagine Facebook, forum, etc. L'entità "Mostro di Firenze" per mezzo secolo aveva foraggiato l’attività di giornalisti, scrittori, documentaristi, magistrati, avvocati, poliziotti, periti, costituendo fonte di guadagno, di carriera, di cambiamento di ruoli. C'era chi aveva usato tale vicenda come base per l'ascesa a posizioni di rilievo in ambito giudiziario, chi da magistrato, da avvocato, da poliziotto, da perito era divenuto scrittore, vendendo libri o accessi ad altri mezzi mediatici. Chi aveva scritto e riscritto partendo da semplice appassionato e finendo anche lui per vendere qualcosa... insomma ognuno aveva il proprio tornaconto. E tutto questo infarcito di scontri sul piano personale a livello mediatico, fatti di allusioni sarcastiche, di critiche basate su principi discutibili, attacchi meschini, altrettanto meschine invidie... ma tutto accomunato da un solo denominatore: non si era giunti a nulla.
Volendo pensar male, Lettore, verrebbe in mente che il giungere ad una reale soluzione avrebbe fatalmente arrestato questo giro vorticoso, e con esso i vantaggi che esso comporta.
Volendo, invece, garantire a tutti quanti il principio di buona fede e di impegno sincero, restava da chiedersi come mai tutto questo gran parlare senza giungere a nulla. La prima idea che mi feci fu quella di una esagerata attenzione al dettaglio di ogni cosa, che facesse perdere di vista la vicenda nella sua globalità; focalizzare l’attenzione su ogni venatura della foglia può impedire di vedere l’albero nella sua interezza. Se anche alcuni dettagli avrebbero potuto svelare indizi fondamentali, l'analisi minuziosa di ogni cosa non avrebbe svelato poi molto di più. Anzi.
Successivamente però mi resi conto dell’esistenza di certi assunti non dovevano essere messi in discussione per principio, e di come spesso tale maniacale attenzione al dettaglio e quindi ogni interpretazione del dettaglio stesso fosse funzionale a fare salvo, in maniera più o meno forzata, l’assunto. Nessuna possibile digressione, o negazione degli assunti era tollerabile. Un esercito di “mostrologi” accomunati dal non mettere in discussione gli assunti, pronti a scannarsi (metaforicamente) ma sempre all’interno di quel circolo esclusivo che garantiva visibilità a chi ne faceva parte, ma del quale era difficile divenire membri.
Per propugnare le proprie teorie sull'argomento, la tecnica sembrava fondamentalmente quella di considerare certe fonti, o addirittura affermazioni diverse provenienti dalla stessa fonte, come attendibili o non attendibili, vere o false, a seconda del fatto che appoggiassero o negassero la tesi personale. Certe considerazioni personali venivano poste, in maniera inapparente, come dati incontrovertibili ed obiettivi, mentre opinabili venivano giudicate le considerazioni altrui, quand’anche poggianti su ben più solide basi.
Avrei ritrovato più tardi tale concetto espresso all’interno del c.d. “rapporto Torrisi”
La verità è che in una indagine seria e coerente, da elementi incerti ed approssimativi e privi di attendibilità, per una somma di motivi che non è il caso qui di elencare, non è possibile avanzare ipotesi meritevoli di attenzione. In tal modo si corre il rischio di ripetere l'errore di chi, facendo credere di dare un contributo nello sviluppo delle indagini, coglie invece la ghiotta opportunità di evidenziarsi in termini di pubblicità, con il grave rischio, per chi è impegnato in una indagine seria e coerente, di perdere l'orientamento e di vista il vero obiettivo da perseguire, mediante la scrupolosa utilizzazione degli elementi concreti effettivamente raccolti sul posto del delitto.
All'inizio, questo concetto non mi fu subito chiaro. Leggevo scritti sull'ipotesi di qualche “Mostrologo”, che individuava l'entità "Mostro di Firenze" in qualcuno, e tutto sembrava chiaro, persino evidente: "Ma come mai non ci hanno pensato prima? Come mai non se ne sono accorti?". Poi leggevo l'ipotesi di qualche altro, altrettanto ben documentata, con riferimenti precisi, che individuava l'entità "Mostro di Firenze" da tutt'altra parte, ed anche quella era chiara, convincente, ovvia... e così via.
Alla fine, mi sembrò che l’intera popolazione italiana potesse essere suddivisa in due soli grandi gruppi: da un lato i possibili Mostri di Firenze e dall’altro i mostrologi. Se non si era l’uno si poteva esser solo l’altro. Sebbene la mia idea é che l'entità "mostro di Firenze" possa in effetti essere costituita da più persone, queste "più persone" non possono certo essere tutte quelle individuate di volta in volta dalle varie teorie mostrologiche. Per inciso, il fatto di tenere ben in considerazione la possibilità che l'entità "mostro di Firenze" sia costituita da più persone, contraddicendo uno degli assiomi più seguiti, fa di me un eretico; e gli eretici o vengono ignorati considerandoli dei deficienti, o devono venire bruciati sul rogo. Vedremo più avanti, Lettore, quale delle due sorti io meriti.
Non tutti i contributi originali possedevano comunque tali caratteristiche; alcuni mi apparivano apprezzabili. E particolarmente apprezzabile ho trovato una serie di quattro video pubblicati sul canale monotematico che mi era stato indicato, che essenzialmente illustrano una ricerca effettuata da un professionista, accompagnato da tre investigatori, il quale comunque non ha ritenuto di dover rendere palese la sua identità. Sebbene non sia poi così difficile risalire ad essa, è mia ferma intenzione rispettare qui i suoi intendimenti; quindi, per dargli un nome, lo chiamerò Davide Rossi, con chiara allusione al David Rossi della serie Criminal Minds (di cui comunque non ho mai visto neanche una puntata), non di quello dell’MPS. Di Davide Rossi ho apprezzato sia i metodi, sia le argomentazioni, sia l’esposizione; posso non concordare sulle conclusioni ma, a parte il fatto che il mio assenso non conta nulla, occorre considerare che la conclusione non sarebbe altro che la dimostrazione dell’assunto da cui era partito. Sarebbe stato impossibile che alla fine negasse quella che era stata l’idea da cui aveva preso le mosse, il filo conduttore di tutto il suo lavoro.
Ma oltre che a Davide Rossi, devo dare soprattutto credito ad un "Mostrologo" blogger, Youtuber, scrittore per avermi aperto gli occhi sulla condizione, avendomi, sebbene involontariamente, chiarificato quali siano i meccanismi per (di-?)mostrare che le proprie tesi siano più valide di quelle degli altri; insomma, come funzioni la “Moderna Mostrologia" e come siano regolati i rapporti tra Mostrologi o aspiranti tali. Ma devo ringraziarlo ancor di più per avermi dato lo spunto di riflettere sul concetto e sul significato reale del concetto di “verità”, riflessioni che intendo esporre e condividere nella presente serie di post. Cerco allora di spiegare in dettaglio quale sia stato lo spunto per tali riflessioni.
Il mio tentativo di interlocuzione fu diretto proprio al Mostrologo/Blogger/Youtuber succitato in quanto mostrava di approfondire più che poteva anche i dettagli; quale interlocutore più valido di chi si dimostra tutt’altro che superficiale? Tale tentativo riguardò alcuni aspetti peculiari del quarto (o quinto, dipendentemente dal punto di vista) delitto del Mostro di Firenze, avvenuto nei pressi di Baccaiano, e concernenti essenzialmente alcuni reperti peritali e la loro possibile interpretazione.
In particolare avevo cercato di mettere maggiormente in luce l’importanza di alcuni dettagli, suggerendo la possibilità che, nel corso della ricostruzione di una dinamica, essi avrebbero potuto dare adito a variazioni della ricostruzione stessa qualora valutati in base a principi differenti. In particolare, essi riguardavano alcuni traumatismi minori (non in relazione con i colpi di arma da fuoco) subiti dalla vittima femminile, Antonella Migliorini, il possibile significato delle rilevazioni relative a freno a mano e chiave di accensione mancante dal quadro, e la evidente difficoltà a portarsi autonomamente sul sedile posteriore cui sarebbe andato incontro un soggetto gravemente ferito, e, per di più, di alta statura. Riguardo a quest’ultimo aspetto, non avevo interpretato correttamente quanto esposto in proposito nella ricostruzione del blogger/youtuber, in quanto egli postulava l’esplosione dell’ultimo colpo sul ragazzo solo dopo che egli si fosse trasferito sul sedile posteriore dell’auto.
L’unica risposta che ricevetti fu, essenzialmente "mi pare si tratti di opinioni" e, praticamente, null’altro, se non la precisazione di come io non avessi letto con attenzione la sua ricostruzione. Una risposta di tal genere, data senza neanche un minimo di approfondimento relativamente alle basi, che saranno ampiamente documentate più avanti, sulla quale i suggerimenti erano stati fornite, denoterebbe un'estrema superficialità; ma il mio (mancato) interlocutore sarebbe stato scelto proprio sulla base del criterio opposto: egli si presentava come persona tutt'altro che superficiale.
Sembrava una contraddizione irrisolvibile; in cosa poteva consistere il paradosso?
La prima cosa che mi venne in mente fu quella di andare a cercare su un vocabolario online la definizione di “opinione”. Trovai questa:
opinióne (ant. oppinióne) s. f. [dal lat. opinio -onis, affine a opinari «opinare»]. – 1. Concetto che una o più persone si formano riguardo a particolari fatti, fenomeni, manifestazioni, quando, mancando un criterio di certezza assoluta per giudicare della loro natura (o delle loro cause, delle loro qualità, ecc.), si propone un’interpretazione personale che si ritiene esatta e a cui si dà perciò il proprio assenso, ammettendo tuttavia la possibilità di ingannarsi nel giudicarla tale
Ma a me, sembrava che si adattasse meglio, a ciò che gli avevo scritto, quest’altra definizione:
Determinazione del valore di cose e fatti di cui si debba tenere conto ai fini di un giudizio o di una decisione, di una classifica o graduatoria
Questa era la definizione, secondo il medesimo vocabolario, del termine “valutazione”.
Dove stava la verità? Ma soprattutto perché la mia valutazione era un’opinione, e le sue erano verità?
Da questi interrogativi scaturirono appunto le anzidette riflessioni, ed è per condividerle con Te, Lettore, insieme alle relative conclusioni, che questa serie di post è stata redatta. Pertanto, nell’ambito di essi, citerò alcune frasi del succitato mostrologo/blogger/youtuber, considerandole come frasi “simbolo”, espressione della mostrologia globalmente intesa, e non del pensiero del singolo ; così non fosse, diverrebbero solo la “sua opinione” perdendo così la connotazione di “verità”, cosa che, ritengo, egli non desideri.
Ma avrò comunque modo di mostrare, paragonandole a quelle di altri, di come tale assunto possa considerarsi valido.
Questa è la domanda che ti sto porgendo io, mentre tu possibilmente te ne starai facendo un’altra, che rivolgeresti a me se potessi: ma perché questa domanda?
Ed ancora: ma non avrebbe dovuto esserci la storia di Antonio? Cosa ha a che vedere la verità con questo?
Ma soprattutto, cosa a che vedere tutto questo con il Mostro di Firenze?
Be’ ci sarebbe un filo (poco) logico che lega tutto ciò, e cerco di illustrartelo.
Come ebbi a dire alla conclusione della serie sui borghi rurali, un Lettore, Antonio per l’appunto, mi aveva chiesto di narrare la sua storia, ricca di spunti sociologicamente interessanti, ma che avrei dovuto comunque “mimetizzare” in qualche modo per una questione di riservatezza. O, se vogliamo metterla in termini diversi, per non dare adito a possibili querele.
Perché, Lettore, come certamente sai, chi parla degli altri è comunque sottoposto ad attacchi. Anche quando dice la verità; soprattutto se quella verità è la “verità indimostrabile” di cui il matematico Piergiorgio Odifreddi chiese a Giulio Andreotti. Ma Antonio desiderava che la verità venisse detta, anche se nella sua forma palese non avrei potuto dirla io. Ciò, almeno per il momento, non è accaduto; perché Antonio, almeno per il momento, mi ha fermato. Attendendo gli ulteriori sviluppi della sua storia, che purtroppo si preannunciano, in qualche modo, negativi.
Ed io mi sono chiesto: ma perché la verità non può essere detta? Perché chi dice la verità deve essere sottoposto ad attacchi? Perché Antonio ha dovuto fermare i miei post, anche se dicevano, seppur “mimetizzata”, la verità? E, cosa più importante di tutte, la verità “mimetizzata” da me sarebbe comunque rimasta la verità? O almeno una verità? Perché la verità non può essere detta per quella che è?
Mentre riflettevo su questo, sono però rimasto ancor più colpito dalla soggettività del mio stesso pensiero: cosa vorrebbe dire esattamente "per quella che é"? Esistono tante verità soggettive, ma... esse fanno realmente capo ad un'unica verità oggettiva, uguale per tutti? O l'esistenza di una verità oggettiva é un'illusione?
Da qui la domanda: Cos’è la verità?
Mentre indulgevo in tali oziose riflessioni, YouTube mi propose, tra le altre cose, un video di Massimo Polidoro, sul “Mostro di Firenze”, parte di una serie.
L'ultima volta che mi interessai, per così dire, del "Mostro di Firenze" fu nei primi anni Novanta del secolo scorso, quando Pacciani era appena stato arrestato. Successivamente lessi qualcosa riguardo alle sentenze, vidi qualche servizio giornalistico (ad esempio, il ritrovamento del proiettile nell'orto del Pacciani), ebbi un vago sentore dell'inconsistenza di gran parte dei contenuti del processo ai cosiddetti "compagni di merende", ma nulla di più; traendone l'impressione di un garbuglio inestricabile, che creava più problematiche di quante non ne risolvesse. Ognuno proponeva la sua verità sulla vicenda; e chi pretendeva di esse giunto ad una verità oggettiva, e cioè i magistrati, ne proponeva una versione che strideva fortemente quando confrontata non solo con una logica stringente, ma persino con il semplice buonsenso. Per tale motivo, il “Mostro di Firenze”, per quel che mi riguardava, era finito nell’immaginario serbatoio dell’oblìo, il famigerato dimenticatoio; ma da esso tornava ora a fare capolino.
Per chi non lo sapesse, Polidoro é l'attuale presidente del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze, nato nel 1989 come Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale, alla fondazione del quale parteciparono giornalisti scientifici e scienziati, come ad es. Piero Angela e Margherita Hack), ed in tale veste prometteva un'analisi della vicenda "con i metodi della scienza". Anzi, il primum movens nella nascita del CICAP fu un’inchiesta giornalistica di Piero Angela dalla quale nacque un saggio, “Viaggio nel mondo del paranormale”, splendido volume in grado di fornire spiegazioni scientifiche, reali e documentate di fenomeni che a tutti apparivano inspiegabili ed irreali.
"Ecco" pensai "finalmente qualcuno che con metodo e rigore può gettare almeno una luce su una vicenda oscura che il passare degli anni ha reso sempre più tale. Le tante verità soggettive dovranno adeguarsi ad una verità resa oggettiva dai metodi della scienza.".
Polidoro pubblicò una serie di 12 video al riguardo (quello che aveva attratto la mia attenzione era il n. 10, del 24 settembre 2021). Purtroppo, devo dire, non mi é sembrato che la serie dei video contenesse informazioni rilevanti, né indirizzi metodologici che potessero indicare una strada in fondo alla quale avrebbe potuto trovarsi, se non la soluzione dell'enigma, almeno una possibile soluzione. Un nulla di fatto, insomma; riguardo alla vicenda del Mostro di Firenze, almeno.
Alla fine della serie di Massimo Polidoro però, due cose mi furono chiare.
1) nessuna verità era stata trovata
2) nessun metodo della scienza era stato applicato
Guardare i video era stato inutile, allora? Non proprio. Nei commenti in calce al video ebbi uno scambio di idee con qualcuno, e nell'ambito di tale scambio una seconda persona fu così gentile da suggerirmi un link ad un altro canale YouTube, monotematico. Mi fu chiaro dai contenuti come, dall'ultima volta (quasi trenta anni prima) che avevo considerato l'argomento, vi fossero stati dei grandi sviluppi, che però non avevano condotto a svolte decisive. Vista l'enorme quantità di materiale ivi presente, e le difficoltà ad usarlo in maniera sistematica senza una traccia, ricorsi ad una ricerca generica su Google. E, come avvenne nel caso dei borghi rurali, un universo si dischiuse dinanzi ai miei occhi.
Mostri e Mostrologia
Però, mentre l'universo riguardante i borghi era un universo chiaro e pulito (almeno inizialmente - invidie e meschinità sarebbero comparse dopo), nel quale potevano anche trovare posto affermazioni superficiali ed approssimative sì, ma comunque ingenue e sincere, quello relativo al Mostro di Firenze era affatto diverso.
Una pletora indicibile di informazioni, vere o presunte, oggettive o opinabili, fluiva nel web attraverso articoli, blog tematici, canali YouTube, pagine Facebook, forum, etc. L'entità "Mostro di Firenze" per mezzo secolo aveva foraggiato l’attività di giornalisti, scrittori, documentaristi, magistrati, avvocati, poliziotti, periti, costituendo fonte di guadagno, di carriera, di cambiamento di ruoli. C'era chi aveva usato tale vicenda come base per l'ascesa a posizioni di rilievo in ambito giudiziario, chi da magistrato, da avvocato, da poliziotto, da perito era divenuto scrittore, vendendo libri o accessi ad altri mezzi mediatici. Chi aveva scritto e riscritto partendo da semplice appassionato e finendo anche lui per vendere qualcosa... insomma ognuno aveva il proprio tornaconto. E tutto questo infarcito di scontri sul piano personale a livello mediatico, fatti di allusioni sarcastiche, di critiche basate su principi discutibili, attacchi meschini, altrettanto meschine invidie... ma tutto accomunato da un solo denominatore: non si era giunti a nulla.
Volendo pensar male, Lettore, verrebbe in mente che il giungere ad una reale soluzione avrebbe fatalmente arrestato questo giro vorticoso, e con esso i vantaggi che esso comporta.
Volendo, invece, garantire a tutti quanti il principio di buona fede e di impegno sincero, restava da chiedersi come mai tutto questo gran parlare senza giungere a nulla. La prima idea che mi feci fu quella di una esagerata attenzione al dettaglio di ogni cosa, che facesse perdere di vista la vicenda nella sua globalità; focalizzare l’attenzione su ogni venatura della foglia può impedire di vedere l’albero nella sua interezza. Se anche alcuni dettagli avrebbero potuto svelare indizi fondamentali, l'analisi minuziosa di ogni cosa non avrebbe svelato poi molto di più. Anzi.
Successivamente però mi resi conto dell’esistenza di certi assunti non dovevano essere messi in discussione per principio, e di come spesso tale maniacale attenzione al dettaglio e quindi ogni interpretazione del dettaglio stesso fosse funzionale a fare salvo, in maniera più o meno forzata, l’assunto. Nessuna possibile digressione, o negazione degli assunti era tollerabile. Un esercito di “mostrologi” accomunati dal non mettere in discussione gli assunti, pronti a scannarsi (metaforicamente) ma sempre all’interno di quel circolo esclusivo che garantiva visibilità a chi ne faceva parte, ma del quale era difficile divenire membri.
Per propugnare le proprie teorie sull'argomento, la tecnica sembrava fondamentalmente quella di considerare certe fonti, o addirittura affermazioni diverse provenienti dalla stessa fonte, come attendibili o non attendibili, vere o false, a seconda del fatto che appoggiassero o negassero la tesi personale. Certe considerazioni personali venivano poste, in maniera inapparente, come dati incontrovertibili ed obiettivi, mentre opinabili venivano giudicate le considerazioni altrui, quand’anche poggianti su ben più solide basi.
Avrei ritrovato più tardi tale concetto espresso all’interno del c.d. “rapporto Torrisi”
La verità è che in una indagine seria e coerente, da elementi incerti ed approssimativi e privi di attendibilità, per una somma di motivi che non è il caso qui di elencare, non è possibile avanzare ipotesi meritevoli di attenzione. In tal modo si corre il rischio di ripetere l'errore di chi, facendo credere di dare un contributo nello sviluppo delle indagini, coglie invece la ghiotta opportunità di evidenziarsi in termini di pubblicità, con il grave rischio, per chi è impegnato in una indagine seria e coerente, di perdere l'orientamento e di vista il vero obiettivo da perseguire, mediante la scrupolosa utilizzazione degli elementi concreti effettivamente raccolti sul posto del delitto.
All'inizio, questo concetto non mi fu subito chiaro. Leggevo scritti sull'ipotesi di qualche “Mostrologo”, che individuava l'entità "Mostro di Firenze" in qualcuno, e tutto sembrava chiaro, persino evidente: "Ma come mai non ci hanno pensato prima? Come mai non se ne sono accorti?". Poi leggevo l'ipotesi di qualche altro, altrettanto ben documentata, con riferimenti precisi, che individuava l'entità "Mostro di Firenze" da tutt'altra parte, ed anche quella era chiara, convincente, ovvia... e così via.
Alla fine, mi sembrò che l’intera popolazione italiana potesse essere suddivisa in due soli grandi gruppi: da un lato i possibili Mostri di Firenze e dall’altro i mostrologi. Se non si era l’uno si poteva esser solo l’altro. Sebbene la mia idea é che l'entità "mostro di Firenze" possa in effetti essere costituita da più persone, queste "più persone" non possono certo essere tutte quelle individuate di volta in volta dalle varie teorie mostrologiche. Per inciso, il fatto di tenere ben in considerazione la possibilità che l'entità "mostro di Firenze" sia costituita da più persone, contraddicendo uno degli assiomi più seguiti, fa di me un eretico; e gli eretici o vengono ignorati considerandoli dei deficienti, o devono venire bruciati sul rogo. Vedremo più avanti, Lettore, quale delle due sorti io meriti.
Non tutti i contributi originali possedevano comunque tali caratteristiche; alcuni mi apparivano apprezzabili. E particolarmente apprezzabile ho trovato una serie di quattro video pubblicati sul canale monotematico che mi era stato indicato, che essenzialmente illustrano una ricerca effettuata da un professionista, accompagnato da tre investigatori, il quale comunque non ha ritenuto di dover rendere palese la sua identità. Sebbene non sia poi così difficile risalire ad essa, è mia ferma intenzione rispettare qui i suoi intendimenti; quindi, per dargli un nome, lo chiamerò Davide Rossi, con chiara allusione al David Rossi della serie Criminal Minds (di cui comunque non ho mai visto neanche una puntata), non di quello dell’MPS. Di Davide Rossi ho apprezzato sia i metodi, sia le argomentazioni, sia l’esposizione; posso non concordare sulle conclusioni ma, a parte il fatto che il mio assenso non conta nulla, occorre considerare che la conclusione non sarebbe altro che la dimostrazione dell’assunto da cui era partito. Sarebbe stato impossibile che alla fine negasse quella che era stata l’idea da cui aveva preso le mosse, il filo conduttore di tutto il suo lavoro.
Ma oltre che a Davide Rossi, devo dare soprattutto credito ad un "Mostrologo" blogger, Youtuber, scrittore per avermi aperto gli occhi sulla condizione, avendomi, sebbene involontariamente, chiarificato quali siano i meccanismi per (di-?)mostrare che le proprie tesi siano più valide di quelle degli altri; insomma, come funzioni la “Moderna Mostrologia" e come siano regolati i rapporti tra Mostrologi o aspiranti tali. Ma devo ringraziarlo ancor di più per avermi dato lo spunto di riflettere sul concetto e sul significato reale del concetto di “verità”, riflessioni che intendo esporre e condividere nella presente serie di post. Cerco allora di spiegare in dettaglio quale sia stato lo spunto per tali riflessioni.
Il mio tentativo di interlocuzione fu diretto proprio al Mostrologo/Blogger/Youtuber succitato in quanto mostrava di approfondire più che poteva anche i dettagli; quale interlocutore più valido di chi si dimostra tutt’altro che superficiale? Tale tentativo riguardò alcuni aspetti peculiari del quarto (o quinto, dipendentemente dal punto di vista) delitto del Mostro di Firenze, avvenuto nei pressi di Baccaiano, e concernenti essenzialmente alcuni reperti peritali e la loro possibile interpretazione.
In particolare avevo cercato di mettere maggiormente in luce l’importanza di alcuni dettagli, suggerendo la possibilità che, nel corso della ricostruzione di una dinamica, essi avrebbero potuto dare adito a variazioni della ricostruzione stessa qualora valutati in base a principi differenti. In particolare, essi riguardavano alcuni traumatismi minori (non in relazione con i colpi di arma da fuoco) subiti dalla vittima femminile, Antonella Migliorini, il possibile significato delle rilevazioni relative a freno a mano e chiave di accensione mancante dal quadro, e la evidente difficoltà a portarsi autonomamente sul sedile posteriore cui sarebbe andato incontro un soggetto gravemente ferito, e, per di più, di alta statura. Riguardo a quest’ultimo aspetto, non avevo interpretato correttamente quanto esposto in proposito nella ricostruzione del blogger/youtuber, in quanto egli postulava l’esplosione dell’ultimo colpo sul ragazzo solo dopo che egli si fosse trasferito sul sedile posteriore dell’auto.
L’unica risposta che ricevetti fu, essenzialmente "mi pare si tratti di opinioni" e, praticamente, null’altro, se non la precisazione di come io non avessi letto con attenzione la sua ricostruzione. Una risposta di tal genere, data senza neanche un minimo di approfondimento relativamente alle basi, che saranno ampiamente documentate più avanti, sulla quale i suggerimenti erano stati fornite, denoterebbe un'estrema superficialità; ma il mio (mancato) interlocutore sarebbe stato scelto proprio sulla base del criterio opposto: egli si presentava come persona tutt'altro che superficiale.
Sembrava una contraddizione irrisolvibile; in cosa poteva consistere il paradosso?
La prima cosa che mi venne in mente fu quella di andare a cercare su un vocabolario online la definizione di “opinione”. Trovai questa:
opinióne (ant. oppinióne) s. f. [dal lat. opinio -onis, affine a opinari «opinare»]. – 1. Concetto che una o più persone si formano riguardo a particolari fatti, fenomeni, manifestazioni, quando, mancando un criterio di certezza assoluta per giudicare della loro natura (o delle loro cause, delle loro qualità, ecc.), si propone un’interpretazione personale che si ritiene esatta e a cui si dà perciò il proprio assenso, ammettendo tuttavia la possibilità di ingannarsi nel giudicarla tale
Ma a me, sembrava che si adattasse meglio, a ciò che gli avevo scritto, quest’altra definizione:
Determinazione del valore di cose e fatti di cui si debba tenere conto ai fini di un giudizio o di una decisione, di una classifica o graduatoria
Questa era la definizione, secondo il medesimo vocabolario, del termine “valutazione”.
Dove stava la verità? Ma soprattutto perché la mia valutazione era un’opinione, e le sue erano verità?
Da questi interrogativi scaturirono appunto le anzidette riflessioni, ed è per condividerle con Te, Lettore, insieme alle relative conclusioni, che questa serie di post è stata redatta. Pertanto, nell’ambito di essi, citerò alcune frasi del succitato mostrologo/blogger/youtuber, considerandole come frasi “simbolo”, espressione della mostrologia globalmente intesa, e non del pensiero del singolo ; così non fosse, diverrebbero solo la “sua opinione” perdendo così la connotazione di “verità”, cosa che, ritengo, egli non desideri.
Ma avrò comunque modo di mostrare, paragonandole a quelle di altri, di come tale assunto possa considerarsi valido.
OPINIONE E VERITA’
E’ opinione comune, Lettore, che esistano diverse verità. Ma l’opinione comune si ferma qui; al massimo, considera diverse versioni soggettive di un’unica verità oggettiva. Ciò non poteva costituire una risposta alle domande che mi ponevo, una soluzione al mio problema; se le nostre posizioni avessero differito per la soggettività, sarebbero state ambedue opinioni, oppure ambedue “verità”. Diverse, ma verità.
Il dilemma nasceva dal fatto che io contrapponevo mie “opinioni” a sue “verità”; qualcosa mi sfuggiva. Prenderò ad esempio due affermazioni; una relativa al problema se l’entità “Mostro di Firenze” fosse costituita da una singola persona o da più persone.
“Una dinamica che è bene… sulla quale è bene che non ci siano incertezze, per un semplice motivo: perché queste incertezze consentono, ancor oggi, delle ricostruzioni fantasiose che purtroppo vanno a… uhmmm… a ostacolare una ricostruzione storica della vicenda. Perché? Perché queste dinamiche fantasiose, ad esempio, consentono di… di immaginare l’intervento di più assassini, no? Cosa che personalmente… ritengo assolutamente non veritiera”
Quindi, ciò che il mostrologo “personalmente” ritiene non veritiero, “consente” una ricostruzione “fantasiosa”, che ostacola la “ricostruzione storica”. Quello che invece il mostrologo ritiene veritiero consente una ricostruzione storica. In altri termini la verità storica è ciò che il mostrologo “personalmente” ritiene che sia.
Un’altra, da un post sul suo blog, sulla validità di una perizia balistica, a firma Zuntini, e relativa al problema dell'unicità dell'arma usata nell’omicidio del 1968, e negli altri omicidi del "Mostro di Firenze", che sembrerebbe non avere riscontro nella perizia stessa:
Quali erano le basi oggettive delle affermazioni del mostrologo? Feci una ricerca.
Relativamente alla prima, e cioè il perché l'entità "Mostro di Firenze" debba essere costituita da un'unico individuo, se trovai un profilo criminologico che era stato eseguito, su richiesta della Procura di Firenze presso la sede dell’FBI a Quantico, un’affermazione dell’avvocato Antonino Filastò, recentemente scomparso, difensore del “compagno di merende” Mario Vanni:
“Ma il fatto è questo. E’ che tutti questi delitti… ci sono una serie di… impressionanti… prove, che son stati commessi da una sola persona. Vede, eh… per esempio: l’ultimo delitto, quello che viene considerato l’ultimo duplice delitto […] nell’ultimo delitto, il giovanotto, scappa! Dalla tenda… e, viene assalito da dietro, con un colpo alla gola, del pugna… del… del coltello, e poi finito a colpi di coltello, dallo stesso assassino che ha sparato poco prima dentro la tenda! S’eran due… anche il secondo avrebbe sparato…o l’avrebbe affrontato in maniera diversa… noo! C’è un solo, lì.”
Una del giornalista Mario Spezi, anch’esso scomparso, e che venne coinvolto in diversi modi nella vicenda, addirittura come imputato:
“in fin dei conti questo, anche se di poco, conferma ulteriormente l’ipotesi del serial killer solitario…perché? Perché anche questo delitto è stato commesso di sabato… come tutti gli altri: o un sabato o la vigilia di un giorno festivo… e questa è una necessità che può avere una singola persona, non un gruppo…”
oppure, sempre Spezi:
“Una malattia mentale di quel genere non si condivide, non si delega a nessun altro”
o ancora Filastò:
“l’esistenza di due persone, almeno due, che commettono certi delitti di un certo tipo, è piuttosto rara, ma esiste. […] sono quelli che in psichiatria… si parla di folie à deux. Ma casi di folie à quatre, à cinq, à six… ‘nsomma… sono piuttosto improbabili, insomma…voglio dire, che ci sia una congiunzione di persone che, associate, che si associano, perché portatrici di questa pulsione di tipo psicopatologico, è piuttosto… poco verosimile da un punto di vista criminologico.“
Sarebbero queste le argomentazioni?
Ogni volta che il “Mostro di Firenze” ha esaurito i colpi, non ha forse (con un’unica, inusuale eccezione) finito sempre le vittime con il coltello? Perché non ha usato un secondo caricatore sulla pistola? E se sono più d’uno ma uno solo adopera la pistola, ed un altro il coltello? Cosa stabilisce che debbano essere tutti armati di pistola?
E se sono più d’uno e devono andare insieme, ma qualcuno ha diverse esigenze per cui possono andare tutti solo nei festivi o prefestivi?
Il primo pensiero che viene in mente di fronte al fatto che l’attività sia limitata a giorni ben precisi é quello di una rigidità operativa tipica del fatto di dover conciliare le esigenze di più persone; di solito, è proprio il singolo ad avere maggiore elasticità, a poter approfittare di occasioni in cui si trova libero da altri impegni. Il singolo in preda a “pulsioni di tipo psicopatologico” e che agisce in risposta a queste, entra in azione quando esse si manifestano, non programma l'azione nel weekend, E riguardo all’argomentazione “psico-patologica”, quali sarebbero le basi, non dico scientifiche, ma almeno razionali, delle affermazioni? Il profilo stilato a Quantico?
Riguardo poi alla seconda, e cioé al giudizio sulla perizia balistica, relativamente alla quale la Moderna Mostrologia può “tranquillamente affermare” che si distingua per “un raro livello di confusione e approssimazione” , devo dire che rimasi molto impressionato da due aggettivi: “tranquillamente” e “raro”. Per me, “raro” significava che la Moderna Mostrologia avesse valutato, nel corso dei decenni, migliaia di perizie, e solo in un ristretto numero di esse, raramente, avesse riscontrato tali livelli di “confusione ed approssimazione”; ciò mi appariva improbabile, pur non potendo essere sicuro di quante comparazioni avessero fatto i mostrologi. Ma ancor di più mi impressionò l’aggettivo “tranquillamente”; da dove derivava tale tranquillità? Innocenzo Zuntini era un individuo tanto incompetente e superficiale da poter definire “tranquillamente”, senza il benché minimo scrupolo, che il prodotto del suo lavoro fosse confuso ed approssimato? Ma allora come mai poteva venire affidato un lavoro così importante e delicato ad una persona tanto intellettualmente disonesta? Chi era in realtà costui?
Trovai così un giudizio sulla persona espresso dal compianto Nino Filastò il quale, pur essendo mostrologo anche lui, era anche avvocato e scrittore. E benché, come mostrologo, anche lui “innamorato delle sue tesi” (per usare un'espressione abusata), come avvocato era abituato a valutare le persone, e riguardo ad Innocenzo Zuntini dichiarava:
“... i quali bossoli, per il fatto che il perito balistico della vicenda del sessantotto, che vide uccisi Barbara Locci ed il Lo Bianco, Antonio Lo Bianco, era un tipo pignolo, io l'ho conosciuto! Una persona molto perbene. Persona perbene, onestissima e tutto, però...di una pignoleria assoluta! E lui, quando faceva le perizie, poi spillava, al suo elaborato, dentro una bustina di plastica, alcuni oggetti che riguardavano la perizia...”
Ma allora? Neanche una persona perbene, pignola ed onesta poteva essere considerata affidabile, in Mostrologia? Se io avessi voluto divenire mostrologo, a quale sorgente avrei dovuto abbeverarmi per divenire depositario di quella verità che consentiva di definire fantasiose le “opinioni”degli altri senza fornire motivazioni, o addirittura di confutare i pareri di chi era un’autorità nel settore? Da quale fonte proviene la (onni)scienza che caratterizza la mostrologia?
Altrettanto inconsapevolmente, mi venne in aiuto Odifreddi. Piergiorgio Odifreddi mi spiegò, bontà sua, non come esistano diversi tipi di verità, ché già lo sapevo da me, ma quali siano i diversi tipi di verità.
C'é la verità matematica, innata, che può essere conosciuta guardando dentro di noi
C'é la verità scientifica, che può essere scoperta
C'é la verità "di fede", che viene decisa da qualcuno ed alla quale si crede per fede, senza prove.
La verità matematica si determina per "dimostrazioni": per conoscere la verità matematica occorre solo un matematico. E' l'unica verità indubitabile.
La verità scientifica non ha mai lo stesso grado di certezza di quella matematica; si conosce per ipotesi e verifiche. E’ “falsificabile” (nel senso che può essere dimostrata “falsa”) ma la falsificazione della verità scientifica si risolve comunque in un progresso; dimostrata falsa un’affermazione, la verità deve necessariamente risiedere in un’affermazione diversa. Ciò consente alla ricerca della verità di procedere, in un’altra direzione.
La verità di fede, infine, è quella che qualcuno decide; una particolare forma di verità di fede é la "verità assiomatica" che, mi dice sempre il vocabolario, anziché essere decisa da qualcuno é evidente, indiscutibile. Tra le forme comuni di verità di fede vi è la “verità rivelata”, quella religiosa, così come vi è la “verità processuale”, quella che ci è stata propinata, nel caso specifico, con il processo ai “compagni di merende”. Il giudice "verifica" (cioè, fa veri) i fatti, ed esprime il "verdetto" (dice cioè ciò che é vero). Non vi é alcuna garanzia oggettiva, scientifica, che ciò sia vero; e nella vicenda del "Mostro di Firenze" si sa bene come la "verità processuale" non abbia trovato riscontri oggettivi realmente probanti, e conseguentemente non coincida con una "verità oggettiva". Il processo attraverso cui il giudice perviene a ciò sarebbe il “giudizio”; ma non sembra esservi modo di distinguere il “giudizio” dal “pre-giudizio”, che non si avvale della “verifica” ed è piuttosto un’opinione.
Quindi, le mie valutazioni sarebbero state frutto di un “pre-giudizio”? E’ per questo che sono “opinioni”?
Corre ancora una volta in mio soccorso Odifreddi, parlandomi di Parmenide di Elea, città della Magna Grecia ubicata nell’attuale Cilento
Il dilemma nasceva dal fatto che io contrapponevo mie “opinioni” a sue “verità”; qualcosa mi sfuggiva. Prenderò ad esempio due affermazioni; una relativa al problema se l’entità “Mostro di Firenze” fosse costituita da una singola persona o da più persone.
“Una dinamica che è bene… sulla quale è bene che non ci siano incertezze, per un semplice motivo: perché queste incertezze consentono, ancor oggi, delle ricostruzioni fantasiose che purtroppo vanno a… uhmmm… a ostacolare una ricostruzione storica della vicenda. Perché? Perché queste dinamiche fantasiose, ad esempio, consentono di… di immaginare l’intervento di più assassini, no? Cosa che personalmente… ritengo assolutamente non veritiera”
Quindi, ciò che il mostrologo “personalmente” ritiene non veritiero, “consente” una ricostruzione “fantasiosa”, che ostacola la “ricostruzione storica”. Quello che invece il mostrologo ritiene veritiero consente una ricostruzione storica. In altri termini la verità storica è ciò che il mostrologo “personalmente” ritiene che sia.
Un’altra, da un post sul suo blog, sulla validità di una perizia balistica, a firma Zuntini, e relativa al problema dell'unicità dell'arma usata nell’omicidio del 1968, e negli altri omicidi del "Mostro di Firenze", che sembrerebbe non avere riscontro nella perizia stessa:
In realtà possiamo tranquillamente affermare che la perizia Zuntini del 1968 si distingue per un raro livello di confusione e approssimazione
Quali erano le basi oggettive delle affermazioni del mostrologo? Feci una ricerca.
Relativamente alla prima, e cioè il perché l'entità "Mostro di Firenze" debba essere costituita da un'unico individuo, se trovai un profilo criminologico che era stato eseguito, su richiesta della Procura di Firenze presso la sede dell’FBI a Quantico, un’affermazione dell’avvocato Antonino Filastò, recentemente scomparso, difensore del “compagno di merende” Mario Vanni:
“Ma il fatto è questo. E’ che tutti questi delitti… ci sono una serie di… impressionanti… prove, che son stati commessi da una sola persona. Vede, eh… per esempio: l’ultimo delitto, quello che viene considerato l’ultimo duplice delitto […] nell’ultimo delitto, il giovanotto, scappa! Dalla tenda… e, viene assalito da dietro, con un colpo alla gola, del pugna… del… del coltello, e poi finito a colpi di coltello, dallo stesso assassino che ha sparato poco prima dentro la tenda! S’eran due… anche il secondo avrebbe sparato…o l’avrebbe affrontato in maniera diversa… noo! C’è un solo, lì.”
Una del giornalista Mario Spezi, anch’esso scomparso, e che venne coinvolto in diversi modi nella vicenda, addirittura come imputato:
“in fin dei conti questo, anche se di poco, conferma ulteriormente l’ipotesi del serial killer solitario…perché? Perché anche questo delitto è stato commesso di sabato… come tutti gli altri: o un sabato o la vigilia di un giorno festivo… e questa è una necessità che può avere una singola persona, non un gruppo…”
oppure, sempre Spezi:
“Una malattia mentale di quel genere non si condivide, non si delega a nessun altro”
o ancora Filastò:
“l’esistenza di due persone, almeno due, che commettono certi delitti di un certo tipo, è piuttosto rara, ma esiste. […] sono quelli che in psichiatria… si parla di folie à deux. Ma casi di folie à quatre, à cinq, à six… ‘nsomma… sono piuttosto improbabili, insomma…voglio dire, che ci sia una congiunzione di persone che, associate, che si associano, perché portatrici di questa pulsione di tipo psicopatologico, è piuttosto… poco verosimile da un punto di vista criminologico.“
Sarebbero queste le argomentazioni?
Ogni volta che il “Mostro di Firenze” ha esaurito i colpi, non ha forse (con un’unica, inusuale eccezione) finito sempre le vittime con il coltello? Perché non ha usato un secondo caricatore sulla pistola? E se sono più d’uno ma uno solo adopera la pistola, ed un altro il coltello? Cosa stabilisce che debbano essere tutti armati di pistola?
E se sono più d’uno e devono andare insieme, ma qualcuno ha diverse esigenze per cui possono andare tutti solo nei festivi o prefestivi?
Il primo pensiero che viene in mente di fronte al fatto che l’attività sia limitata a giorni ben precisi é quello di una rigidità operativa tipica del fatto di dover conciliare le esigenze di più persone; di solito, è proprio il singolo ad avere maggiore elasticità, a poter approfittare di occasioni in cui si trova libero da altri impegni. Il singolo in preda a “pulsioni di tipo psicopatologico” e che agisce in risposta a queste, entra in azione quando esse si manifestano, non programma l'azione nel weekend, E riguardo all’argomentazione “psico-patologica”, quali sarebbero le basi, non dico scientifiche, ma almeno razionali, delle affermazioni? Il profilo stilato a Quantico?
Riguardo poi alla seconda, e cioé al giudizio sulla perizia balistica, relativamente alla quale la Moderna Mostrologia può “tranquillamente affermare” che si distingua per “un raro livello di confusione e approssimazione” , devo dire che rimasi molto impressionato da due aggettivi: “tranquillamente” e “raro”. Per me, “raro” significava che la Moderna Mostrologia avesse valutato, nel corso dei decenni, migliaia di perizie, e solo in un ristretto numero di esse, raramente, avesse riscontrato tali livelli di “confusione ed approssimazione”; ciò mi appariva improbabile, pur non potendo essere sicuro di quante comparazioni avessero fatto i mostrologi. Ma ancor di più mi impressionò l’aggettivo “tranquillamente”; da dove derivava tale tranquillità? Innocenzo Zuntini era un individuo tanto incompetente e superficiale da poter definire “tranquillamente”, senza il benché minimo scrupolo, che il prodotto del suo lavoro fosse confuso ed approssimato? Ma allora come mai poteva venire affidato un lavoro così importante e delicato ad una persona tanto intellettualmente disonesta? Chi era in realtà costui?
Trovai così un giudizio sulla persona espresso dal compianto Nino Filastò il quale, pur essendo mostrologo anche lui, era anche avvocato e scrittore. E benché, come mostrologo, anche lui “innamorato delle sue tesi” (per usare un'espressione abusata), come avvocato era abituato a valutare le persone, e riguardo ad Innocenzo Zuntini dichiarava:
“... i quali bossoli, per il fatto che il perito balistico della vicenda del sessantotto, che vide uccisi Barbara Locci ed il Lo Bianco, Antonio Lo Bianco, era un tipo pignolo, io l'ho conosciuto! Una persona molto perbene. Persona perbene, onestissima e tutto, però...di una pignoleria assoluta! E lui, quando faceva le perizie, poi spillava, al suo elaborato, dentro una bustina di plastica, alcuni oggetti che riguardavano la perizia...”
Ma allora? Neanche una persona perbene, pignola ed onesta poteva essere considerata affidabile, in Mostrologia? Se io avessi voluto divenire mostrologo, a quale sorgente avrei dovuto abbeverarmi per divenire depositario di quella verità che consentiva di definire fantasiose le “opinioni”degli altri senza fornire motivazioni, o addirittura di confutare i pareri di chi era un’autorità nel settore? Da quale fonte proviene la (onni)scienza che caratterizza la mostrologia?
Altrettanto inconsapevolmente, mi venne in aiuto Odifreddi. Piergiorgio Odifreddi mi spiegò, bontà sua, non come esistano diversi tipi di verità, ché già lo sapevo da me, ma quali siano i diversi tipi di verità.
C'é la verità matematica, innata, che può essere conosciuta guardando dentro di noi
C'é la verità scientifica, che può essere scoperta
C'é la verità "di fede", che viene decisa da qualcuno ed alla quale si crede per fede, senza prove.
La verità matematica si determina per "dimostrazioni": per conoscere la verità matematica occorre solo un matematico. E' l'unica verità indubitabile.
La verità scientifica non ha mai lo stesso grado di certezza di quella matematica; si conosce per ipotesi e verifiche. E’ “falsificabile” (nel senso che può essere dimostrata “falsa”) ma la falsificazione della verità scientifica si risolve comunque in un progresso; dimostrata falsa un’affermazione, la verità deve necessariamente risiedere in un’affermazione diversa. Ciò consente alla ricerca della verità di procedere, in un’altra direzione.
La verità di fede, infine, è quella che qualcuno decide; una particolare forma di verità di fede é la "verità assiomatica" che, mi dice sempre il vocabolario, anziché essere decisa da qualcuno é evidente, indiscutibile. Tra le forme comuni di verità di fede vi è la “verità rivelata”, quella religiosa, così come vi è la “verità processuale”, quella che ci è stata propinata, nel caso specifico, con il processo ai “compagni di merende”. Il giudice "verifica" (cioè, fa veri) i fatti, ed esprime il "verdetto" (dice cioè ciò che é vero). Non vi é alcuna garanzia oggettiva, scientifica, che ciò sia vero; e nella vicenda del "Mostro di Firenze" si sa bene come la "verità processuale" non abbia trovato riscontri oggettivi realmente probanti, e conseguentemente non coincida con una "verità oggettiva". Il processo attraverso cui il giudice perviene a ciò sarebbe il “giudizio”; ma non sembra esservi modo di distinguere il “giudizio” dal “pre-giudizio”, che non si avvale della “verifica” ed è piuttosto un’opinione.
Quindi, le mie valutazioni sarebbero state frutto di un “pre-giudizio”? E’ per questo che sono “opinioni”?
Corre ancora una volta in mio soccorso Odifreddi, parlandomi di Parmenide di Elea, città della Magna Grecia ubicata nell’attuale Cilento
E lo fa descrivendomi, a modo suo, l’introduzione di “Sulla Natura”; dove il “modo suo” consiste in quella splendida narrazione discorsiva permeata di sottile umorismo che, rinunciando ai compromessi di una traduzione “dotta”, riesce a far vedere i fatti e le scene appartenenti al mondo reale, altrimenti nascosti dietro le espressioni poetiche. Così descrive un uomo, (anzi, un “signore”, lui dice) che, prima dell’alba, sale su un carro dalle ruote cigolanti, ed inizia il suo percorso.
Giunge ad un palazzo con due porte, su una vi è scritto ἀλήθεια (Alètheia), cioè Verità, mentre sull’altra si trova scritto δόξα (Dòxa), cioè Opinione; che, dice Odifreddi, non sarebbe tanto diversa dalla verità romana. Questo signore, come lo chiama Odifreddi, deve decidere quale porta aprire, se seguire la via della Verità o quella dell’Opinione, e cioè, in altri termini, del pregiudizio. Il “signore” poi sceglie la via della verità, ma per lui, con le scritte inequivocabili su ogni porta, era semplice; invece, senza criteri né aiuti, come avrei fatto io, Lettore, a fare la mia scelta?
Il mostrologo/blogger/youtuber mi avvertiva di come la mia fosse un’opinione, cioè un pregiudizio; ma io, in tutta buona fede, ritenevo di aver espresso una valutazione, non un pregiudizio.
Così se la mia era un’opinione, la sua doveva essere la verità. Ma se la sua era una verità di fede, legata ad assiomi (che, nella fattispecie, riguardavano l'unicità dell'agente e l'unicità dell'arma usata per tutti gli omocidi), essa equivaleva, come dice Odifreddi, ad un’opinione; di conseguenza, la verità avrebbe dovuto essere la mia. Come uscire da questo paradosso?
Fu sempre Odifreddi ad aiutarmi, con la verità matematica. Essa, mi dice il matematico, é indubitabile solo nella misura in cui sono veri gli assiomi, indimostrabili; rimane subordinata alla validità degli assiomi. Se gli assiomi non sono validi, la verità non è tale; in senso matematico, almeno.
Che sono ‘sti assiomi? Questa volta mi sarebbe venuto in aiuto Davide Rossi, il quale afferma che “l’assioma è qualcosa di evidente da sé”. Ma questa sarebbe la definizione del “linguaggio comune”:
Nel linguaggio com., verità o principio che si ammette senza discussione, evidente di per sé.
qui però Davide Rossi gioca sporco, perché anche lui è un matematico, e quindi dovrebbe dare la definizione matematica di “assioma”:
sistema formale di proprietà che costituiscono una definizione implicita dell’ente o dell’espressione cui si riferiscono, a prescindere quindi dalla loro evidenza, dal momento che non hanno la pretesa di essere verità assolutamente valide.
Bene, ho capito finalmente: la verità matematica è tale solo quando sono veri gli assiomi, che non hanno la pretesa di essere verità assolutamente valide. La strada giusta deve essere quindi quella di provare la veridicità degli assiomi.
Distinguere la verità dalle opinioni individuando ciò che non può essere negato
Più facile a dirsi che a farsi. Qual è il metodo da seguire? Cartesio, per trovare la verità matematica, innata, dentro sé stesso, diceva “chiudo gli occhi”; basta chiudere gli occhi, allora, per avere contezza della validità degli assiomi?
Mah, Lettore… non so tu, ma io, se chiudo gli occhi, vedo solo (quasi) nero. E non trovo nulla. Però, a ben guardare, Cartesio non si limitava a chiudere gli occhi. Cartesio metteva in dubbio ogni cosa, fin dove possibile; ciò che non poteva essere messo in dubbio, doveva essere la verità.
Bene, questo sembrava un metodo, ed infatti il concetto viene espresso proprio nel suo “Discorso sul Metodo”; cominciai allora a considerare ciò che poteva essere eliminato
Elencai, in ordine decrescente di evidenza:
- Fatti
- Prove
- Indizi
- Testimonianze
- Profili e perizie
- Deduzioni
togliendo tutto ciò che non poteva essere dimostrato vero, avrei trovato la verità.
Tolsi di mezzo subito le deduzioni, che evidentemente avevano portato a conclusioni tanto diverse da non poter essere tutte valide contemporaneamente.
Tolsi di mezzo anche i profili. Il criminal profiling è un’attività accademica, un esercizio di stile; quando mai un serial killer è stato catturato sulla base di un profilo? E’ solo a posteriori che il profiler fa bella figura: “Vedete? Corrispondeva alla perfezione…”
Inizialmente, tolsi di mezzo anche perizie e testimonianze; esse venivano considerate più o meno valide a secondo di quanto convenisse al mostrologo di turno. Tra di esse, solo i contenuti oggettivi possono essere interpretati come verità cartesiana, ma, anche qui, solo quando presi cum grano salis.
Anche il peso probante degli indizi risentiva dell’interpretazione, mentre di prove, praticamente, non ve ne erano.
Restavano i fatti, scarni, e quelle parti relativi ad indizi, contenuti delle perizie e testimonianze indubitabilmente riconducibili ai fatti; ecco, questi avrebbero costituito la verità indubitabile di Cartesio, tramite la quale giungere alla verità matematica di Odifreddi.
Tutto adesso era più chiaro: le affermazioni dei “mostrologi”, in primis quella del blogger/youtuber con il quale avevo interloquito, possono essere verità solo quando gli assiomi sono verificati. Quindi questo lavoro di sfrondamento, di progressiva denudazione delle verità indubitabili, doveva prima di tutto essere condotto sugli assiomi.
Ma, per fare questo, dobbiamo ritornare a Baccaiano.
Il mostrologo/blogger/youtuber mi avvertiva di come la mia fosse un’opinione, cioè un pregiudizio; ma io, in tutta buona fede, ritenevo di aver espresso una valutazione, non un pregiudizio.
Così se la mia era un’opinione, la sua doveva essere la verità. Ma se la sua era una verità di fede, legata ad assiomi (che, nella fattispecie, riguardavano l'unicità dell'agente e l'unicità dell'arma usata per tutti gli omocidi), essa equivaleva, come dice Odifreddi, ad un’opinione; di conseguenza, la verità avrebbe dovuto essere la mia. Come uscire da questo paradosso?
Fu sempre Odifreddi ad aiutarmi, con la verità matematica. Essa, mi dice il matematico, é indubitabile solo nella misura in cui sono veri gli assiomi, indimostrabili; rimane subordinata alla validità degli assiomi. Se gli assiomi non sono validi, la verità non è tale; in senso matematico, almeno.
Che sono ‘sti assiomi? Questa volta mi sarebbe venuto in aiuto Davide Rossi, il quale afferma che “l’assioma è qualcosa di evidente da sé”. Ma questa sarebbe la definizione del “linguaggio comune”:
Nel linguaggio com., verità o principio che si ammette senza discussione, evidente di per sé.
qui però Davide Rossi gioca sporco, perché anche lui è un matematico, e quindi dovrebbe dare la definizione matematica di “assioma”:
sistema formale di proprietà che costituiscono una definizione implicita dell’ente o dell’espressione cui si riferiscono, a prescindere quindi dalla loro evidenza, dal momento che non hanno la pretesa di essere verità assolutamente valide.
Bene, ho capito finalmente: la verità matematica è tale solo quando sono veri gli assiomi, che non hanno la pretesa di essere verità assolutamente valide. La strada giusta deve essere quindi quella di provare la veridicità degli assiomi.
Distinguere la verità dalle opinioni individuando ciò che non può essere negato
Più facile a dirsi che a farsi. Qual è il metodo da seguire? Cartesio, per trovare la verità matematica, innata, dentro sé stesso, diceva “chiudo gli occhi”; basta chiudere gli occhi, allora, per avere contezza della validità degli assiomi?
Mah, Lettore… non so tu, ma io, se chiudo gli occhi, vedo solo (quasi) nero. E non trovo nulla. Però, a ben guardare, Cartesio non si limitava a chiudere gli occhi. Cartesio metteva in dubbio ogni cosa, fin dove possibile; ciò che non poteva essere messo in dubbio, doveva essere la verità.
Bene, questo sembrava un metodo, ed infatti il concetto viene espresso proprio nel suo “Discorso sul Metodo”; cominciai allora a considerare ciò che poteva essere eliminato
Elencai, in ordine decrescente di evidenza:
- Fatti
- Prove
- Indizi
- Testimonianze
- Profili e perizie
- Deduzioni
togliendo tutto ciò che non poteva essere dimostrato vero, avrei trovato la verità.
Tolsi di mezzo subito le deduzioni, che evidentemente avevano portato a conclusioni tanto diverse da non poter essere tutte valide contemporaneamente.
Tolsi di mezzo anche i profili. Il criminal profiling è un’attività accademica, un esercizio di stile; quando mai un serial killer è stato catturato sulla base di un profilo? E’ solo a posteriori che il profiler fa bella figura: “Vedete? Corrispondeva alla perfezione…”
Inizialmente, tolsi di mezzo anche perizie e testimonianze; esse venivano considerate più o meno valide a secondo di quanto convenisse al mostrologo di turno. Tra di esse, solo i contenuti oggettivi possono essere interpretati come verità cartesiana, ma, anche qui, solo quando presi cum grano salis.
Anche il peso probante degli indizi risentiva dell’interpretazione, mentre di prove, praticamente, non ve ne erano.
Restavano i fatti, scarni, e quelle parti relativi ad indizi, contenuti delle perizie e testimonianze indubitabilmente riconducibili ai fatti; ecco, questi avrebbero costituito la verità indubitabile di Cartesio, tramite la quale giungere alla verità matematica di Odifreddi.
Tutto adesso era più chiaro: le affermazioni dei “mostrologi”, in primis quella del blogger/youtuber con il quale avevo interloquito, possono essere verità solo quando gli assiomi sono verificati. Quindi questo lavoro di sfrondamento, di progressiva denudazione delle verità indubitabili, doveva prima di tutto essere condotto sugli assiomi.
Ma, per fare questo, dobbiamo ritornare a Baccaiano.
BACCAIANO
Ma perché proprio Baccaiano?
Be’, Lettore, non’c’è un unico motivo di ciò. I motivi sono molteplici.
Innanzitutto, l’episodio di Baccaiano mi fornirebbe il modo di eseguire quella verifica della validità degli assiomi di cui parlavo prima.
Inoltre, Baccaiano è uno dei delitti più intricati, uno di quelli in cui l’azione dell’entità chiamata “Mostro di Firenze” è stata più concitata. E’ quello in cui sempre la medesima entità avrebbe da un lato commesso qualche errore, ma al quale, nell’opinione comune, avrebbe rimediato con emblematica freddezza. Quindi, dovrebbe essere più facile cogliere determinati aspetti, che negli episodi che hanno avuto un andamento più lineare non avrebbero avuto occasione di evidenziarsi.
Ma, sinceramente, un ulteriore motivazione è costituita dal fatto che proprio tentando di discutere di Baccaiano è nato lo spunto per questi post; quindi, in un certo modo riprendo da dove avevo lasciato.
E' questo il motivo per il quale qui descriverò solo sinteticamente i relativi fatti, per i particolari dei quali Ti rimando alle innumerevoli descrizioni presenti sul Web, ma soprattutto non mi lancerò in formulazioni di dinamiche; questa è un’attività che lascio ai mostrologi di professione, mentre io sono solo un poveraccio che scrive un post ogni tanto su argomenti vari, giusto per iniziare una discussione virtuale con qualche benevolo Lettore.
Per cui, anche per applicare il principio cartesiano che mi ha ispirato, dopo la descrizione sintetica dei fatti, discuterò solo aspetti particolari collegati ad essi, iniziando da quelli sui quali avevo commentato sul blog del mostrologo citato prima; poi, come sempre, sarai Tu, Lettore, a farti un’idea personale.
Be’, Lettore, non’c’è un unico motivo di ciò. I motivi sono molteplici.
Innanzitutto, l’episodio di Baccaiano mi fornirebbe il modo di eseguire quella verifica della validità degli assiomi di cui parlavo prima.
Inoltre, Baccaiano è uno dei delitti più intricati, uno di quelli in cui l’azione dell’entità chiamata “Mostro di Firenze” è stata più concitata. E’ quello in cui sempre la medesima entità avrebbe da un lato commesso qualche errore, ma al quale, nell’opinione comune, avrebbe rimediato con emblematica freddezza. Quindi, dovrebbe essere più facile cogliere determinati aspetti, che negli episodi che hanno avuto un andamento più lineare non avrebbero avuto occasione di evidenziarsi.
Ma, sinceramente, un ulteriore motivazione è costituita dal fatto che proprio tentando di discutere di Baccaiano è nato lo spunto per questi post; quindi, in un certo modo riprendo da dove avevo lasciato.
E' questo il motivo per il quale qui descriverò solo sinteticamente i relativi fatti, per i particolari dei quali Ti rimando alle innumerevoli descrizioni presenti sul Web, ma soprattutto non mi lancerò in formulazioni di dinamiche; questa è un’attività che lascio ai mostrologi di professione, mentre io sono solo un poveraccio che scrive un post ogni tanto su argomenti vari, giusto per iniziare una discussione virtuale con qualche benevolo Lettore.
Per cui, anche per applicare il principio cartesiano che mi ha ispirato, dopo la descrizione sintetica dei fatti, discuterò solo aspetti particolari collegati ad essi, iniziando da quelli sui quali avevo commentato sul blog del mostrologo citato prima; poi, come sempre, sarai Tu, Lettore, a farti un’idea personale.
I fatti
La notte tra il 19 ed l 20 giugno del 1982, la Pubblica Assistenza Croce d’Oro di Montespertoli riceveva una richiesta di intervento per la presenza di due persone all’interno di un’autovettura ferma, fuori strada, lungo la via Virginio Nuova, strada provinciale che collega le località Le Fornacette e Baccaiano.
La richiesta era conseguente ad una telefonata che pare fosse stata effettuata dal ristorante di un certo Mario Di Lorenzo a Baccaiano; dallo stesso locale era stata eseguita anche una telefonata ai Carabinieri. Le telefonate concernevano la segnalazione di un ragazzo ed una ragazza, che avrebbero visto personalmente la vettura fuori strada e, fermatisi, avrebbero constatato, insieme ad altri due passanti, la presenza di due persone a bordo ed un foro di proiettile sul parabrezza dell’auto.
Da Montespertoli partì un’ambulanza (tecnicamente, sarebbe stato un MSB) con quattro volontari a bordo, l’autista, che era la persona che da più tempo si dedicava a questa attività, e tre soccorritori, di cui due non ancora maggiorenni ed al loro primo intervento.
Giunti sul posto, al km 6+500 della provinciale 80, ovvero via Virginio Nuova, i volontari trovarono diverse persone ferme sul luogo, ed una FIAT 147 (vettura analoga alla FIAT 127, ma prodotta in Brasile) con le ruote posteriori all’interno della fossa di guardia che decorreva a fianco alla strada, a lato della corsia che andava verso Baccaiano, con due persone a bordo, un ragazzo ed una ragazza, poi identificati come Paolo Mainardi e Antonella Migliorini. Aperta la vettura forzando lo sportello lato passeggero, verificarono come la ragazza fosse deceduta, mentre il ragazzo desse ancora qualche segno di vita; così, estrassero quest’ultimo dall’automobile, per trasferirlo all’ospedale di Empoli. Durante tali operazioni giunse sul posto la Polizia Giudiziaria, prima i Carabinieri e poi la Polizia di Stato.
I carabinieri erano stati avvertiti dalle altre due persone fermatesi insieme ai fidanzati, due amici che avevano già visto la vettura fuori strada qualche minuto prima, senza fermarsi, ma che poi erano ritornati sul luogo.
Giunse anche il colonnello dei Carabinieri Olinto Dell’Amico, insieme al magistrato di turno la d.ssa Silvia Della Monica, la quale provvide a redigere il verbale di ispezione dei luoghi, e ad interrogare i testimoni Marini Graziano, Bartalesi Concetta, Di Lorenzo Mario, Calamandrei Stefano, Sieni Luca, Tempestini Fabio, Carletti Francesco, Campatelli Rosanna e Del Maschio Monica; nel relativo verbale venne menzionata anche la posizione dei due occupanti la vettura, come riferito dai testimoni, e cioè la ragazza sul sedile posteriore, a destra, dietro il sedile anteriore del passeggero, ed il ragazzo al posto di guida.
I rappresentanti della Polizia Giudiziaria constatarono la posizione della vettura, rilevarono come il vetro del finestrino lato anteriore sinistro fosse rotto, la retromarcia innestata, il freno a mano inserito, le chiavi mancanti. Il parabrezza risultava perforato da un proiettile, ed i fari danneggiati da colpi di arma da fuoco. Repertarono otto bossoli nell’area del crimine, quattro in una piazzola di fronte al luogo in cui si trovava l’auto, tre nei pressi dell’auto ed uno all’interno di essa. All’interno dell’automobile, sul sedile posteriore, venne rivenuto l’orologio della ragazza, di cui una delle due barrette di ancoraggio del bracciale alle ance della cassa venne ritrovata poi, piegata, tra i capelli del ragazzo.
I rispettivi rappresentanti delle forze di polizia eseguirono i rilievi, redigendo i relativi verbali che documentavano tutto ciò. Il cadavere della ragazza venne portato all' Istituto di Medicina Legale di Firenze; il ragazzo giunse vivo all’ospedale di Empoli, ma ivi morì senza aver ripreso conoscenza.
L’autovettura venne estratta dalla fossa di guardia e trainata fino alla caserma della Compagnia Carabinieri di Signa, per i successivi rilievi
La dottoressa Della Monica fece sapere attraverso i mezzi di stampa, che il ragazzo, prima di morire, era riuscito a comunicare delle informazioni sull’accaduto; ciò allo scopo di stimolare una reazione in chi aveva commesso il fatto.
Vennero quindi nuovamente convocati i testimoni già ascoltati prima, che confermarono le loro deposizioni; vennero altresì convocati i soccorritori, i quali dichiararono, tra l’altro, di aver estratto dalla vettura il ragazzo che si trovava sul sedile posteriore. Insieme a loro vennero ascoltati anche tre dei testimoni precedentemente menzionati, che avevano percorso in auto la medesima strada poco prima, in senso inverso rispetto ai due amici, e che avevano incrociato questi ultimi poche centinaia di metri dopo il luogo dell’omicidio; essi avevano avuto modo di notare l’auto ferma nella piazzola di fronte al luogo dove sarebbe poi stata trovata fuori strada, con luce interna accesa e finestrini appannati. Dalla distanza riferita tra il luogo dell’incrocio tra le due auto, e le velocità delle stesse, si ricavò una stima grossolana del tempo in cui il crimine sarebbe stato portato a compimento
L’autopsia sui corpi dei due giovani, alla quale Ti rimando per i dettagli, evidenziò come Paolo Mainardi fosse stato colpito da quattro colpi di arma da fuoco, ed Antonella Migliorini da due. I colpi risultati fatali erano penetrati in cavità cranica, sia per quel che riguardava il ragazzo, sia la ragazza.
Il ragazzo inoltre presentava ecchimosi ed escoriazioni al torace, la ragazza un'ecchimosi alla caviglia della gamba destra un'altra più in alto, vicino al ginocchio, ed una ferita lacero-contusa al naso, con frattura delle ossa nasali; tra i capelli del Mainardi fu reperita una delle barrette a molla del cinturino dell'orologio della ragazza, rimasto sul sedile posteriore.
Sulla base delle testimonianze, infine vennero eseguite tre ricostruzioni della possibile dinamica. Sebbene differenti nell’azione e nella sequenza di esplosione dei colpi d’arma da fuoco, tutte prevedevano che, considerato che la retromarcia era innestata, ed il freno a mano incompletamente tirato, che l’auto si fosse diretta in retromarcia, lentamente oppure “a balzelloni”, strattonando, verso il versante opposto della strada, continuando la sua corsa oltre il bordo del manto stradale fino alla fossa di guardia, rimanendo così incastrata.
Vediamo Lettore, cosa può esserci di “vero” in questo; di vero in senso cartesiano, intendo.
Cominciamo allora dai punti che avevo sottolineato nel mio commento sul blog del Mostrologo; essi possono apparire come insignificanti dettagli, ma come vedremo, non lo sono.
La frattura delle ossa nasali di Antonella Migliorini
Il primo riguarda la possibile causa della ferita lacero-contusa sul naso della ragazza, con frattura delle ossa nasali, e che viene attribuita, nella perizia di De Fazio, ad un possibile frammento di vetro o di proiettile.
Proviamo a fare un calcolo sbilanciato in senso ottimistico, che attribuisca ai frammenti di vetro generati dalla rottura del vetro del finestrino colpito dal proiettile un'energia cinetica irrealisticamente eccessiva. L’urto del proiettile contro il vetro, che ne procuri la frantumazione, rientrerebbe tra gli urti parzialmente anelastici, per i quali l’energia cinetica non viene conservata; essa infatti viene usata per frantumare il vetro e per deformare il proiettile. Ammettiamo però che ciò non accada e che l’energia del proiettile venga trasferita integralmente ai frammenti di vetro, cioè che il proiettile si fermi in corrispondenza del vetro, e addirittura senza deformarsi; ammettiamo anche che non perda in alcun modo energia per attrito nel percorso lungo la canna dell’arma.
Un proiettile calibro 22 LR ha un’energia cinetica di circa 170 J (è l’energia di impatto che nella norma UNI EN 1063 classifica il vetro come BR1, in grado di resistere all’impatto di un proiettile cal. 22 L.R.) . Se il vetro viene frantumato in 100 pezzi (ipotesi molto ottimistica, in quanto per un cristallo da 220000 mm quadrati, se la dimensione media dei frammenti fosse di 15x15 mm, il numero di frammenti sarebbe nell'ordine del migliaio) ogni pezzo avrà mediamente un’energia di 1,7 J.
Qual è l’energia necessaria per fratturare le ossa nasali? E’ difficile rispondere alla domanda formulata in questo modo, in quanto sarebbe necessario valutare almeno anche la superficie di impatto. Ad esempio, l’energia cinetica di un pugno varia, a secondo di chi lo tira ovviamente, tra i 40 ed 400 Joule (varie fonti, Lettore, riportano tutte tale range di valori), ma non sempre un pugno da 150 Joule, se tirato con guantone da allenamento, rompe le ossa nasali; lo fa se colpisce in naso in certe condizioni, pur con un’energia di due ordini di grandezza superiore rispetto al nostro frammento di vetro.
Ciò di cui occorrerebbe tener conto è la velocità con la quale l’energia viene ceduta, e la superficie di impatto. Per oggetti di piccole dimensioni, e relativamente duri, come potrebbero essere una scheggia di vetro o un frammento di proiettile, l’energia necessaria a fratturare le ossa nasali potrebbe essere molto inferiore. L’attuale limite di 7,5 J di energia per le armi di libera vendita nasce nel 1968 in Germania, dove da esperimenti su cadavere si rilevò che l’energia occorrente per penetrare le ossa craniche si aggirava sui 10 J; fu adottato un limite precauzionale pari ai ¾ di tale valore.
Dobbiamo considerare che le ossa della teca cranica sono più spesse e resistenti delle ossa nasali, e vi sono pochi lavori scientifici che riguardano la resistenza delle ossa nasali. Uno è ad esempio:
Cormier J, Manoogian S, Bisplinghoff J, Rowson S, Santago A, McNally C, Duma S, Bolte Iv J. The tolerance of the nasal bone to blunt impact. Ann Adv Automot Med. 2010;54:3-14.
Se vuoi prenderti la briga di guardare la tabella alla fine del lavoro, potrai verificare che in due casi l’energia cinetica dell’attrezzo usato per la sperimentazione è stata calcolata in 4 Joule, ma solo in un caso essa è riuscita a produrre la frattura dell’osso nasale.
D’altra parte, i dispositivi da sparo che erogano energie fino a 0.99 Joule sono per la legge classificati come “giocattoli”, inoffensivi, nemmeno in grado di penetrare la sclera.
Pertanto, è estremamente improbabile che un frammento di vetro (la cui energia media di 1,7 J sarebbe un valore comunque abnormemente elevato, irrealistico) abbia potuto procurare una frattura dell’osso nasale; tale valutazione è qualcosa che in Mostrologia è denominato “opinione”, in Fisica “principio di conservazione dell’energia”, ma il risultato, nella sostanza, non cambia.
Non ho “opinioni” riguardo al frammento di proiettile, se non quella che riguarda il fatto che se il proiettile si è frammentato non possiamo nemmeno in via ipotetica supporre che i 170 Joule si trasferiscano interamente ai frammenti… anche le supposizioni più assurde devono avere un limite.
Se comunque, Lettore, vuoi l’opinione di un perito balistico sui metodi, in generale, di valutazione nella balistica terminale posso rimandarti all’articolo dell’ing Bettin “Quanta fisica e matematica servono a chi valuta le ferite d’arma da fuoco e perché bisognerebbe conoscerle?” che puoi facilmente reperire sul Web.
L'orologio di Antonella Migliorini
Veniamo adesso allo sgancio della barretta a molla del cinturino dell’orologio, ritrovata piegata tra i capelli del ragazzo, e anch’essa attribuita a frammento di vetro/proiettile. Il posizionamento o lo sgancio del bracciale dalle ance non è, solitamente un’operazione agevole. Nelle moderne (da qualche anno a questa parte) barrette è presente una sorta di appendice laterale che consente l’uso di uno strumento apposito per le operazioni di sgancio e riaggancio, proprio per facilitare l’operazione; quando non vi é tale possibilità, inserimento e rimozione del bracciale sono operazioni che risultano abbastanza laboriose, anche quando eseguite da un operatore esperto. E’ realistico che ciò possa avvenire perché un frammento di vetro o di proiettile si insinui tra cinturino ed ancia, compiendo casualmente l’operazione che anche un esperto esegue intenzionalmente con difficoltà? Che un frammento si sia potuto insinuato tra ancia e cinturino è un’ipotesi tanto improbabile da richiedere la ricerca di spiegazione alternative, meno, come dire… fantascientifiche?
In ogni caso, ovviamente non é previsto che la barretta venga piegata; viene compressa in senso assiale, accorciandosi. Allora, quale significato può avere il ritrovamento di una barretta piegata? Che è avvenuta una sollecitazione perpendicolarmente all’asse della barretta, consentendo ai perni a molla di fuoriuscire dalle sedi. La barretta (la cui molla interna rimane comunque in compressione quando regolarmente montata) schizza via spinta dalla molla, e può finire ovunque, anche a diversi metri di distanza; il ritrovamento tra i capelli del ragazzo, quindi, non fornisce la benché minima indicazione della posizione reciproca dei due durante l’evento.
Ma l’aspetto degno di considerazione è un altro: un frammento di vetro o di proiettile sarebbero in grado di piegare la barretta? La resistenza del complesso bracciale/barretta viene di solito tarato in modo che sia abbastanza resistente da non piegarsi con rapidi movimenti ripetuti (ad esempio durante certi tipi di attività fisica), ma nello stesso tempo che possa piegarsi se sottoposta ad una trazione abbastanza energica, effettuata tramite un movimento di torsione del bracciale; ciò per questioni di sicurezza, perché il bracciale potrebbe rimanere agganciato a qualcosa, e bloccare il portatore dell’orologio. Per gli orologi subacquei, la forza oltre la quale il sistema cede dovrebbe essere standardizzata a 200 N; ed esistono apposite macchine per i relativi test, in modo da verificare che 200 N siano sufficienti a piegare la barretta e rilasciare i bracciale.
Questo è il motivo per il quale alcuni malcapitati subiscono i furti di orologi di valore; il ladro esercita una torsione sul bracciale, la barretta si piega e schizza via, ed il ladro fugge con l’orologio. Né l’orologio né il bracciale subiscono alcun danno; ed al ladro basterà solo comprare una nuova barretta.
Qui è più difficile stimare se un frammento di qualcosa sia in grado di piegare una barretta metallica; una valutazione “ di massima”, eseguita pensando all’energia minima necessaria ad arcuare la barretta in modo che si accorci di 3mm, fornirebbe valori tra i 4 ed i 6 Joule, due- tre volte superiori a quelli iperottimistici per il frammento di vetro. Occorre considerare inoltre che i 200N per piegare la barretta sono sufficienti quando la forza venga esercitata nel verso opposto rispetto alla cassa dell’orologio, e cioè quando il bracciale venga sottoposto a trazione; nel caso in cui la forza sia diretta in qualche modo verso l’orologio, sono necessari ben più di 200 N per piegare la barretta.
Rimane il fatto che sarebbe infinitamente più facile raggiungere i 200 N afferrando con forza l’orologio al polso ed esercitando una torsione; a prescindere da altre valutazioni, è il normale buonsenso che lo indica.
L'ecchimosi alla caviglia di Antonella Migliorini
Veniamo adesso all’ecchimosi alla caviglia (che qualcuno in Polizia Scientifica aveva definito “ematoma” stimolando battute ironiche da parte dei medici legali che testimoniavano al processo dei “compagni di merende”). La differenza sostanziale tra un ecchimosi ed un ematoma è che l’ematoma è una raccolta ematica (si forma una cavità nei tessuti ed in essa si raccoglie nel sangue), mentre l’ecchimosi è una “soffusione emorragica” (lo stravaso ematico interessa diffusamente piccole porzioni di tessuto).
E’ “opinione” della Medicina Legale (che in questo caso, Lettore, per una fortuita coincidenza sembra collimare con la mia) che un’ecchimosi superficiale, visibile attraverso la cute, possa verificarsi essenzialmente attraverso tre meccanismi traumatici fondamentali.
1) Applicazione di una forza positiva perpendicolarmente al piano cutaneo (contusione)
2) Applicazione di una forza negativa perpendicolarmente al piano cutaneo (suzione)
3) Applicazione di una forza tangenziale al piano cutaneo (trazione)
nonché di una combinazione tra essi.
Un ecchimosi che segue ad un pizzicotto, ad esempio, è una combinazione dei tre meccanismi
Se l’energia del trauma è sufficiente a danneggiare i tegumenti, il meccanismo 1) crerà una “ferita lacero-contusa” (come nel caso del naso della ragazza), mentre il meccanismo 3) provocherà un’abrasione della cute, cioè un’escoriazione. Un’ ecchimosi con escoriazione è perciò quello che ci si aspetta nel caso di trauma generato afferrando con forza polsi e caviglie ed effettuando una torsione, come per immobilizzare gli arti, o per sollevare qualcuno prendendolo dagli arti.
Cosa è scritto nella perizia necroscopica di Antonella Migliorini, al riguardo?
10) faccia esterna ginocchio sinistro testa del perone area di superficiale disepitelizzazione, vitale, poligonale
11) identico reperto alla faccia anteriore della caviglia destra, lato interno all'altezza del laccio della scarpa
E’ mia “opinione”, Lettore, che “area di superficiale disepitelizzazione” significhi “escoriazione”; ma è anche opinione di Maurri e Cingolani?
Cingolani (rivolgendosi a Filastò) “ Non è un’ecchimosi, avvocato. E’ un’escoriazione superficialissima”
Bene Lettore: se una persona si presentasse in pronto soccorso con le ossa nasali rotte, e segni di trazione a polsi e caviglie, cosa penserebbe chi la accoglie (a meno che non sia un mostrologo, beninteso)? Che si sia trovata nei pressi di un cristallo che veniva rotto, o che sia stata aggredita e picchiata?
Il freno a mano
Ho posseduto, Lettore, una FIAT 127 per quasi nove anni; con essa, io ed un mio amico abbiamo fatto e rifatto quasi tutti i tracciati delle prove speciali su sterrato dei rallyes che venivano disputati in zona. Conosco bene quell'automobile, ed ancor meglio il suo freno a mano, considerato che veniva usato regolarmente ed intensamente per percorrere i tracciati (nonché molti altri sterrati) al fine di far mettere di traverso l'automobilina, che essendo, come é noto, una trazione anteriore, aveva un sottosterzo di (poca) potenza, non un sovrasterzo.
Pertanto, su quella povera macchinina, il freno a mano era sollecitato in continuazione.
Come la stragrande maggioranza delle vetture dell'epoca, era costituito da una leva, posta tra i due sedili anteriori ed incernierata ad un'estremità, dotata di un sistema di arpionismo a cremagliera e nottolino. La cremagliera aveva dieci denti, ed il disinserimento del nottolino avveniva tramite un pulsante di sblocco posto all' estremità libera della leva. La leva agiva sui ceppi dei tamburi posteriori tramite due tiranti registrabili; la registrazione era necessaria per compensare, periodicamente, sia la riduzione della tensione che i tiranti subivano con l'uso, sia per il recupero del gioco d'usura del materiale d'attrito. In pratica, occorreva una registrazione periodica della tensione dei tiranti, ed una nuova regolazione dopo un eventuale cambio dei ceppi.
Il fine corsa della leva era di solito determinato dalla tensione dei tiranti; la corsa della leva si incrementava con l'utilizzo, e se non si fosse provveduto alla registrazione periodica, la leva avrebbe, prima o poi, trovato il fine corsa giungendo alla fine della cremagliera senza che venisse più esercitata un'efficace azione frenante. Questo era il motivo principale della scarsa efficienza del freno a mano di molte vetture non sottoposte a regolare manutenzione.
Di solito il freno a mano veniva regolato in modo da avere il fine corsa a poco meno di metà dell'escursione consentita dalla cremagliera (quattro scatti), in modo da consentire ancora un inserimento agevole, ma da non richiedere una nuova registrazione dei tiranti in un tempo troppo breve.
Quando il freno a mano era correttamente inserito, la tensione dei tiranti impediva, di solito, una semplice pressione del pulsante di sgancio; per ridurre la pressione sul nottolino occorreva tirare verso l'alto la leva, agevolando così l'azionamento del pulsante di sgancio.
Ma perché tutto questo sproloquio, Lettore? Per spiegarTi nel mio modo prolisso, che l'altezza della leva alla quale il freno a mano era completamente inserito dipendeva dalla tensione dei tiranti, e non poteva venire determinato visivamente; solo sganciando materialmente il freno a mano potevi accorgerti se esso fosse stato correttamente (completamente, insomma "regolarmente") inserito o meno.
Detto ciò, da dove proviene l'informazione che il freno mano fosse parzialmente/per tre quarti/a metà inserito sull'auto del Mainardi? Verosimilmente dal rapporto della Polizia:
All’interno si osservano il contachilometri fermo su 23749 km.; la leva del cambio in posizione di retromarcia; la mancanza delle chiavi, la leva del freno tirata, per quasi 3/4 della sua corsa , il pulsante di accensione delle luci e della ventola in posizione “acceso”, la luce di servizio con il piolino verso l’0 (acceso), sullo specchietto retrovisore alcune macchioline di sangue.
Ma il rapporto dei Carabinieri dice qualcosa di diverso:
Si dà altresì atto che la Fiat 127 aveva inserita la retromarcia ed il freno a mano era regolarmente inserito.
Il concetto viene reiterato nel verbale di ispezione della vettura:
Si dà atto che al momento della prima ispezione avvenuta in località Baccaiano intorno alle 02.00 del 20 giugno risultava ingranata la retromarcia ed inserito il freno a mano.
allora il problema qui é: il freno a mano era "regolarmente" inserito, o era inserito "per tre quarti"? Chi fra i due corpi di polizia deve essere giudicato più attendibile?
Evidentemente, per lo sproloquio soprastante, chi ha sganciato il freno a mano, mentre chi si sia limitato all’ispezione visiva ha visto solo una leva sollevata fino ad un certo punto; e d’altra parte ne dà atto affermando che la leva appariva tirata “per quasi 3/4 della sua corsa “, senza nulla dire riguardo all’azione frenante che ciò avrebbe comportato. E se questi "certo punto" fosse stato sufficiente ad inserire completamente o meno il freno, può saperlo solo chi lo ha rilasciato.
E chi é stato a rilasciarlo? I Carabinieri, per trainare la vettura fino a Signa; la Polizia di Stato non toccò nulla, limitandosi a fotografare e redigere un verbale. Questo é quanto riferisce il Brigadiere Spinelli al processo Pacciani (in verde Paolo Canessa, in rosso Sergio Spinelli)
Noi personalmente non abbiamo repertato nulla
Nulla di nulla, o non i fari?
Nulla di nulla
Voi avete fatto un sopralluogo dal punto di vista fotografico?
Sì
[…]
lei era presente quando fu spostata e portata via l'auto?
No
Lei andò via prima?
Sì
Vedi, Lettore, qui non é solo una questione dell'opinione di un blogger da strapazzo contrapposta ad una verità mostrologica; la faccenda ha altre implicazioni. Un'automobile relativamente nuova, con freno a mano regolarmente inserito ha le ruote posteriori bloccate. Non si muovono. Ed ancor più resistenza offrono se vengono spinte non perpendicolarmente all'assale, come avviene quando le ruote anteriori sono sterzate. Per consentire alla vettura di muoversi, gli pneumatici devono strisciare, letteralmente trascinati sull'asfalto dalle ruote bloccate. E quando accade ciò si verificano due fenomeni:
1) la vettura procede ad una velocità incredibilmente ridotta
2) lascia delle tracce di gomma ("sgommature" le definisce il PM Canessa) sull'asfalto.
Ora, la fossa di guardia é distante un paio di metri dalla fine del manto stradale; se il moto dell'autovettura fosse stato molto lento e/o "a balzelloni", chi guidava l'auto (chiunque esso fosse), considerato che, quali che fossero le sue condizioni psicofisiche, stava comunque compiendo una serie di azioni "volontarie e coordinate", avrebbe avuto tutto il tempo di accorgersi di aver superato l'asfalto con le ruote posteriori e fermarsi. Ed inoltre, avrebbe lasciato le "sgommature"
Sempre Canessa e Spinelli
Voi avete potuto ricostruire i movimenti dell'auto attraverso tracce sul terreno, ad esempio... dove si trovava l'auto prima di rimanere in quella condizione? In quella posizione...
Si é ricostruita un'ipotetica traiettoria dell'auto a retromarcia...
Ecco. Come mai? Da cosa... c'erano delle tracce, evidenti?
Sì, c'erano dei bossoli, sparati dall'altra parte, e dei frammenti di vetro...
[...]
Tracce di quelle che si chiamano "sgommature" o cosa del genere c'erano?
No, no, non abbiamo...
Nessun tipo di...
No
Sia la posizione finale dell’autovettura, sia l’assenza di tracce sull’asfalto sono scarsamente compatibili con la marcia di una vettura con il freno a mano inserito
Invece, delle tracce, delle “sgommature”, sebbene di altra natura, si sono rilevate in corrispondenza della ruota anteriore destra, in corrispondenza della quale si trovava terriccio accumulato dietro la ruota
Questo è ciò che riferisce il Luogotenente Fattorini nel corso di un’intervista
"... quello che mi ricordo io é che la macchina... facendo marcia indietro era rimasta nella fossetta, nella cunetta... e non era potuta ripartire. E che si deduceva dalla sabbia, quello che era stato trovato, da com'era... perchè, se la macchina é stata bloccata facendo marcia indietro, la sabbia si trova in avanti delle ruote, cioè... e invece là la sabbia era dietro. Significa che... stava tentando di ripartire"
segno che chi guidava aveva anche ingranato una marcia in avanti, provando a tirarsi fuori dalla fossa di guardia senza riuscirci; ed avrebbe continuato a fare tutto questo con il freno a mano parzialmente tirato?!?
Quello che sembra potersi ricavare dalla scena, da un unico fotogramma finale del film, é che la vettura si sia diretta in retromarcia, verso la parte opposta della carreggiata ad una velocità tale che non ne ha consentito l'arresto prima di finire nella fossa di guardia; indi chi guidava ha inserito la prima marcia ed ha tentato di uscire, senza successo.
Ma allora come mai c'era la retromarcia inserita ed il freno mano tirato? Se tu Lettore, hai una minima esperienza di guida in fuoristrada con un'auto a trazione anteriore, saprai già benissimo quale sia il significato preciso di questo; se non l'hai, probabilmente esporTi la mia opinione da blogger da strapazzo non servirebbe... Maurizio Crozza farebbe dire alla sua parodia di Razzi: "Amico caro, fatti un'opinione tutta tua...".
L'unico suggerimento che posso darTi é che questo meccanismo sarebbe in qualche modo legato al fatto che le chiavi siano state lanciate sulla scarpata... e rende la scena che ho davanti agli occhi ancora più crudele. Semmai ce ne fosse stato bisogno.
Ma, considerato che abbiamo iniziato ad addentrarci nei problemi che pone il delitto di Baccaiano, proseguiamo con il problema più grande di tutti: il cambiamento di posizione della vittima maschile, Paolo Mainardi.
Pertanto, su quella povera macchinina, il freno a mano era sollecitato in continuazione.
Come la stragrande maggioranza delle vetture dell'epoca, era costituito da una leva, posta tra i due sedili anteriori ed incernierata ad un'estremità, dotata di un sistema di arpionismo a cremagliera e nottolino. La cremagliera aveva dieci denti, ed il disinserimento del nottolino avveniva tramite un pulsante di sblocco posto all' estremità libera della leva. La leva agiva sui ceppi dei tamburi posteriori tramite due tiranti registrabili; la registrazione era necessaria per compensare, periodicamente, sia la riduzione della tensione che i tiranti subivano con l'uso, sia per il recupero del gioco d'usura del materiale d'attrito. In pratica, occorreva una registrazione periodica della tensione dei tiranti, ed una nuova regolazione dopo un eventuale cambio dei ceppi.
Il fine corsa della leva era di solito determinato dalla tensione dei tiranti; la corsa della leva si incrementava con l'utilizzo, e se non si fosse provveduto alla registrazione periodica, la leva avrebbe, prima o poi, trovato il fine corsa giungendo alla fine della cremagliera senza che venisse più esercitata un'efficace azione frenante. Questo era il motivo principale della scarsa efficienza del freno a mano di molte vetture non sottoposte a regolare manutenzione.
Di solito il freno a mano veniva regolato in modo da avere il fine corsa a poco meno di metà dell'escursione consentita dalla cremagliera (quattro scatti), in modo da consentire ancora un inserimento agevole, ma da non richiedere una nuova registrazione dei tiranti in un tempo troppo breve.
Quando il freno a mano era correttamente inserito, la tensione dei tiranti impediva, di solito, una semplice pressione del pulsante di sgancio; per ridurre la pressione sul nottolino occorreva tirare verso l'alto la leva, agevolando così l'azionamento del pulsante di sgancio.
Ma perché tutto questo sproloquio, Lettore? Per spiegarTi nel mio modo prolisso, che l'altezza della leva alla quale il freno a mano era completamente inserito dipendeva dalla tensione dei tiranti, e non poteva venire determinato visivamente; solo sganciando materialmente il freno a mano potevi accorgerti se esso fosse stato correttamente (completamente, insomma "regolarmente") inserito o meno.
Detto ciò, da dove proviene l'informazione che il freno mano fosse parzialmente/per tre quarti/a metà inserito sull'auto del Mainardi? Verosimilmente dal rapporto della Polizia:
All’interno si osservano il contachilometri fermo su 23749 km.; la leva del cambio in posizione di retromarcia; la mancanza delle chiavi, la leva del freno tirata, per quasi 3/4 della sua corsa , il pulsante di accensione delle luci e della ventola in posizione “acceso”, la luce di servizio con il piolino verso l’0 (acceso), sullo specchietto retrovisore alcune macchioline di sangue.
Ma il rapporto dei Carabinieri dice qualcosa di diverso:
Si dà altresì atto che la Fiat 127 aveva inserita la retromarcia ed il freno a mano era regolarmente inserito.
Il concetto viene reiterato nel verbale di ispezione della vettura:
Si dà atto che al momento della prima ispezione avvenuta in località Baccaiano intorno alle 02.00 del 20 giugno risultava ingranata la retromarcia ed inserito il freno a mano.
allora il problema qui é: il freno a mano era "regolarmente" inserito, o era inserito "per tre quarti"? Chi fra i due corpi di polizia deve essere giudicato più attendibile?
Evidentemente, per lo sproloquio soprastante, chi ha sganciato il freno a mano, mentre chi si sia limitato all’ispezione visiva ha visto solo una leva sollevata fino ad un certo punto; e d’altra parte ne dà atto affermando che la leva appariva tirata “per quasi 3/4 della sua corsa “, senza nulla dire riguardo all’azione frenante che ciò avrebbe comportato. E se questi "certo punto" fosse stato sufficiente ad inserire completamente o meno il freno, può saperlo solo chi lo ha rilasciato.
E chi é stato a rilasciarlo? I Carabinieri, per trainare la vettura fino a Signa; la Polizia di Stato non toccò nulla, limitandosi a fotografare e redigere un verbale. Questo é quanto riferisce il Brigadiere Spinelli al processo Pacciani (in verde Paolo Canessa, in rosso Sergio Spinelli)
Noi personalmente non abbiamo repertato nulla
Nulla di nulla, o non i fari?
Nulla di nulla
Voi avete fatto un sopralluogo dal punto di vista fotografico?
Sì
[…]
lei era presente quando fu spostata e portata via l'auto?
No
Lei andò via prima?
Sì
Vedi, Lettore, qui non é solo una questione dell'opinione di un blogger da strapazzo contrapposta ad una verità mostrologica; la faccenda ha altre implicazioni. Un'automobile relativamente nuova, con freno a mano regolarmente inserito ha le ruote posteriori bloccate. Non si muovono. Ed ancor più resistenza offrono se vengono spinte non perpendicolarmente all'assale, come avviene quando le ruote anteriori sono sterzate. Per consentire alla vettura di muoversi, gli pneumatici devono strisciare, letteralmente trascinati sull'asfalto dalle ruote bloccate. E quando accade ciò si verificano due fenomeni:
1) la vettura procede ad una velocità incredibilmente ridotta
2) lascia delle tracce di gomma ("sgommature" le definisce il PM Canessa) sull'asfalto.
Ora, la fossa di guardia é distante un paio di metri dalla fine del manto stradale; se il moto dell'autovettura fosse stato molto lento e/o "a balzelloni", chi guidava l'auto (chiunque esso fosse), considerato che, quali che fossero le sue condizioni psicofisiche, stava comunque compiendo una serie di azioni "volontarie e coordinate", avrebbe avuto tutto il tempo di accorgersi di aver superato l'asfalto con le ruote posteriori e fermarsi. Ed inoltre, avrebbe lasciato le "sgommature"
Sempre Canessa e Spinelli
Voi avete potuto ricostruire i movimenti dell'auto attraverso tracce sul terreno, ad esempio... dove si trovava l'auto prima di rimanere in quella condizione? In quella posizione...
Si é ricostruita un'ipotetica traiettoria dell'auto a retromarcia...
Ecco. Come mai? Da cosa... c'erano delle tracce, evidenti?
Sì, c'erano dei bossoli, sparati dall'altra parte, e dei frammenti di vetro...
[...]
Tracce di quelle che si chiamano "sgommature" o cosa del genere c'erano?
No, no, non abbiamo...
Nessun tipo di...
No
Sia la posizione finale dell’autovettura, sia l’assenza di tracce sull’asfalto sono scarsamente compatibili con la marcia di una vettura con il freno a mano inserito
Invece, delle tracce, delle “sgommature”, sebbene di altra natura, si sono rilevate in corrispondenza della ruota anteriore destra, in corrispondenza della quale si trovava terriccio accumulato dietro la ruota
Questo è ciò che riferisce il Luogotenente Fattorini nel corso di un’intervista
"... quello che mi ricordo io é che la macchina... facendo marcia indietro era rimasta nella fossetta, nella cunetta... e non era potuta ripartire. E che si deduceva dalla sabbia, quello che era stato trovato, da com'era... perchè, se la macchina é stata bloccata facendo marcia indietro, la sabbia si trova in avanti delle ruote, cioè... e invece là la sabbia era dietro. Significa che... stava tentando di ripartire"
segno che chi guidava aveva anche ingranato una marcia in avanti, provando a tirarsi fuori dalla fossa di guardia senza riuscirci; ed avrebbe continuato a fare tutto questo con il freno a mano parzialmente tirato?!?
Quello che sembra potersi ricavare dalla scena, da un unico fotogramma finale del film, é che la vettura si sia diretta in retromarcia, verso la parte opposta della carreggiata ad una velocità tale che non ne ha consentito l'arresto prima di finire nella fossa di guardia; indi chi guidava ha inserito la prima marcia ed ha tentato di uscire, senza successo.
Ma allora come mai c'era la retromarcia inserita ed il freno mano tirato? Se tu Lettore, hai una minima esperienza di guida in fuoristrada con un'auto a trazione anteriore, saprai già benissimo quale sia il significato preciso di questo; se non l'hai, probabilmente esporTi la mia opinione da blogger da strapazzo non servirebbe... Maurizio Crozza farebbe dire alla sua parodia di Razzi: "Amico caro, fatti un'opinione tutta tua...".
L'unico suggerimento che posso darTi é che questo meccanismo sarebbe in qualche modo legato al fatto che le chiavi siano state lanciate sulla scarpata... e rende la scena che ho davanti agli occhi ancora più crudele. Semmai ce ne fosse stato bisogno.
Ma, considerato che abbiamo iniziato ad addentrarci nei problemi che pone il delitto di Baccaiano, proseguiamo con il problema più grande di tutti: il cambiamento di posizione della vittima maschile, Paolo Mainardi.
se si parcheggia un auto in discesa (o salita) oltre al freno a mano si inserisce anche la marcia che forza cmq l auto a non muoversi , come sicurezza nel caso in cui si danneggiasse il freno a mano. In quel caso invece se si mette la retro, ogni avventore che non si fosse accorto , disinserendo il freno a mano, avrebbe fatto andare l auto ancor di piu dentro il fosso.
RispondiEliminaNon capisco cosa esattamente tu voglia dire
RispondiEliminaNemmeno io
RispondiElimina