One coincidence is just a coincidence, two coincidences are a clue, three coincidences are a proof
Anonymous
SALVATORE VINCI
Spesso, Lettore, accade che prima di pubblicare un post sul blog, chieda a qualche familiare di leggerlo; magari i contenuti risultano chiari a me, che l’ho scritto, ma la forma in cui sono espressi può rendere i concetti oscuri per chi legge per la prima volta. O vi possono essere, semplicemente, delle espressioni che suonano male, oppure errate, delle quali non mi accorgo.
Chi, stavolta, ha letto in anteprima quelli relativi al "Mostro di Firenze", ha poi approfondito autonomamente alcuni aspetti della storia. E, forse anche a causa di tre video recentemente pubblicati su un canale YouTube dedicato, che poi è quello sul quale sono presenti i video di colui che ho denominato Davide Rossi, è rimasto particolarmente colpito dalla figura di Salvatore Vinci; soprattutto per il fatto che non sembrasse si fossero verificati eventi che l’abbiano inequivocabilmente scagionato, come per gli altri sardi o per Spalletti (cioè, omicidi durante un periodo di detenzione o di viaggi all’estero). E nonostante ciò, o forse proprio per questo, è stato uno dei pochi, tra coloro coinvolti in questa storia, a non fare una brutta fine.
Dopo aver appreso tutte le verità, mostrologicamente parlando, al riguardo, mi ha chiesto quale fosse la mia opinione in proposito; ed io, dopo averla esternata, ho aggiunto parte di essa in coda alla serie dei post. Senza che ciò voglia in qualche modo rappresentare l’intenzione di continuare sull’argomento “Mostro di Firenze”.
Chiariamo subito un concetto riguardo all’equazione Salvatore Vinci = Mostro di Firenze; anzi, facciamolo chiarire ad un ex carabiniere intervistato da Davide Rossi ed a Davide Rossi stesso:
Dall’82 in poi è stato perquisito sette volte. Per lunghi periodi era piantonato sotto casa. Lui lo sapeva, e si divertiva anche un po’… per strada, col motorino, provava anche, per divertimento, a seminarci. Era un tipo scaltro. Fu perquisito nell’83 dopo il delitto, nell’84 dopo il delitto, nell’85 era pedinato e fu poi perquisito. Quindi dobbiamo scartarlo; anche se poi cercarono di incriminarlo per quella storia della moglie. Poi adducendo la questione che, per una questione di turni di qualche ora, il pedinamento del Vinci la domenica del delitto degli Scopeti era stato sospeso, fu valutato anche di incriminarlo come “mostro”. Ma, sembra che il delitto risalga addirittura al giorno prima; e il giorno prima il Vinci era a casa con i suoi angeli custodi. E poi, un tizio scaltro come il Vinci, che sa di essere pedinato, si prende la briga di fa’ un delitto del genere? Come faceva a sapere che per poche ore non c’eravamo? E come faceva a sapere che avrebbe avuto il tempo di andare e tornare? Non è possibile, punto e basta.
Quindi, la questione del Vinci, si risolve… Salvatore… si risolve in maniera estremamente semplice. Perché dal momento che Salvatore Vinci, oltre che perquisito, è seguito periodicamente, era casualmente seguito fino al delitto degli Scopeti. Quando un carabiniere ti dice: “noi ci assentiamo due ore” questo come faceva a usci’ di casa… prendendosi un rischio mostruoso, perché poi non sapeva quando si sarebbero ripresentati! Questo esce di casa… chiaramente non poteva ave’ fatto sopralluoghi né niente… a colpo sicuro prende la macchina e va a San Casciano, a caso… casualmente ti becca la coppia, che se ne trovava assai poca in quel periodo, per non dire nessuna… compie i delitti… oltre questo si era preparato, a suo tempo, la lettera famosa della Della Monica, si piglia l’ulteriore rischio di anda’ fino a San Piero a Sieve, spedire la le…e tornare a casa. Non sapendo, se nel frattempo, avevano ripreso, i pedinamenti! Quindi… Salvatore Vinci… basta dire questo, per scagionarlo!
Ciò detto (da Davide Rossi), da un certo punto di vista, il personaggio di Salvatore Vinci in questa vicenda, non mi appare poi così diverso da quello di Pietro Pacciani.
Chi, stavolta, ha letto in anteprima quelli relativi al "Mostro di Firenze", ha poi approfondito autonomamente alcuni aspetti della storia. E, forse anche a causa di tre video recentemente pubblicati su un canale YouTube dedicato, che poi è quello sul quale sono presenti i video di colui che ho denominato Davide Rossi, è rimasto particolarmente colpito dalla figura di Salvatore Vinci; soprattutto per il fatto che non sembrasse si fossero verificati eventi che l’abbiano inequivocabilmente scagionato, come per gli altri sardi o per Spalletti (cioè, omicidi durante un periodo di detenzione o di viaggi all’estero). E nonostante ciò, o forse proprio per questo, è stato uno dei pochi, tra coloro coinvolti in questa storia, a non fare una brutta fine.
Dopo aver appreso tutte le verità, mostrologicamente parlando, al riguardo, mi ha chiesto quale fosse la mia opinione in proposito; ed io, dopo averla esternata, ho aggiunto parte di essa in coda alla serie dei post. Senza che ciò voglia in qualche modo rappresentare l’intenzione di continuare sull’argomento “Mostro di Firenze”.
Chiariamo subito un concetto riguardo all’equazione Salvatore Vinci = Mostro di Firenze; anzi, facciamolo chiarire ad un ex carabiniere intervistato da Davide Rossi ed a Davide Rossi stesso:
Dall’82 in poi è stato perquisito sette volte. Per lunghi periodi era piantonato sotto casa. Lui lo sapeva, e si divertiva anche un po’… per strada, col motorino, provava anche, per divertimento, a seminarci. Era un tipo scaltro. Fu perquisito nell’83 dopo il delitto, nell’84 dopo il delitto, nell’85 era pedinato e fu poi perquisito. Quindi dobbiamo scartarlo; anche se poi cercarono di incriminarlo per quella storia della moglie. Poi adducendo la questione che, per una questione di turni di qualche ora, il pedinamento del Vinci la domenica del delitto degli Scopeti era stato sospeso, fu valutato anche di incriminarlo come “mostro”. Ma, sembra che il delitto risalga addirittura al giorno prima; e il giorno prima il Vinci era a casa con i suoi angeli custodi. E poi, un tizio scaltro come il Vinci, che sa di essere pedinato, si prende la briga di fa’ un delitto del genere? Come faceva a sapere che per poche ore non c’eravamo? E come faceva a sapere che avrebbe avuto il tempo di andare e tornare? Non è possibile, punto e basta.
Quindi, la questione del Vinci, si risolve… Salvatore… si risolve in maniera estremamente semplice. Perché dal momento che Salvatore Vinci, oltre che perquisito, è seguito periodicamente, era casualmente seguito fino al delitto degli Scopeti. Quando un carabiniere ti dice: “noi ci assentiamo due ore” questo come faceva a usci’ di casa… prendendosi un rischio mostruoso, perché poi non sapeva quando si sarebbero ripresentati! Questo esce di casa… chiaramente non poteva ave’ fatto sopralluoghi né niente… a colpo sicuro prende la macchina e va a San Casciano, a caso… casualmente ti becca la coppia, che se ne trovava assai poca in quel periodo, per non dire nessuna… compie i delitti… oltre questo si era preparato, a suo tempo, la lettera famosa della Della Monica, si piglia l’ulteriore rischio di anda’ fino a San Piero a Sieve, spedire la le…e tornare a casa. Non sapendo, se nel frattempo, avevano ripreso, i pedinamenti! Quindi… Salvatore Vinci… basta dire questo, per scagionarlo!
Ciò detto (da Davide Rossi), da un certo punto di vista, il personaggio di Salvatore Vinci in questa vicenda, non mi appare poi così diverso da quello di Pietro Pacciani.
Come Pacciani, entra nelle indagini essenzialmente sulla base di una segnalazione anonima (la lettera per Pacciani, il ritaglio di giornale per Vinci)
Come per Pacciani, la collocazione sul luogo del delitto come killer avviene sulla base di testimoni di dubbia attendibilità (il Lotti per Pacciani, il Mele per Vinci)
Come per Pacciani, le "testimonianze" si riducono a possibili "avvistamenti" nei pressi delle zone del crimine in orari che avrebbero una certa attinenza con i crimini (Pacciani in automobile o agli Scopeti, la maglietta a strisce di Vinci per Giogoli o l'uomo per strada per Baccaiano)
Come Pacciani, viene considerato un "mostro" per i suoi trascorsi omicidiari o presunti tali (Pacciani per il Bonini, Vinci per la Steri)
Come Pacciani, viene considerato un "mostro" anche per la depravazione sessuale (il Pacciani andava con le figlie, Vinci con altri uomini, donne e uomini, etc.)
Come Pacciani, viene lasciato dalla moglie non appena questa può sottrarsi.
Come per Pacciani, l'ipersessualità (in qualunque senso sia diretta) di fatto non corrisponde all'iposessualità postulata dalla criminologia.
Come per Pacciani, molti innocentisti “noti” si sono mossi (Sgarbi per Pacciani, i giornalisti per Vinci)
Come per Pacciani, un livello intellettuale che lo porta a superare i limiti impostigli da un ambiente retrogrado e culturalmente povero, gli consente una, seppur embrionale, espressione artistica (Vinci suonava la fisarmonica, Pacciani disegnava).
Come per Pacciani, il confronto diretto dà l'impressione di trovarsi di fronte ad una persona, anche se non di cultura, furba, intelligente ed acuta.
Come per Pacciani, la collocazione sul luogo del delitto come killer avviene sulla base di testimoni di dubbia attendibilità (il Lotti per Pacciani, il Mele per Vinci)
Come per Pacciani, le "testimonianze" si riducono a possibili "avvistamenti" nei pressi delle zone del crimine in orari che avrebbero una certa attinenza con i crimini (Pacciani in automobile o agli Scopeti, la maglietta a strisce di Vinci per Giogoli o l'uomo per strada per Baccaiano)
Come per Pacciani, vi sono testimonianze indirette di possesso ed uso di pistola, senza che questa sia mai stata trovata.
Come il Pacciani, l'unico indizio che forse lo lega all'arma del delitto (il proiettile per Pacciani, lo straccio per il Vinci) é labile e sua reale appartenenza al sospettato non é provata.
Come per Pacciani, la sorveglianza attiva (intercettazioni, pedinamenti) non ha condotto a nessun risultato concreto.
Come per Pacciani, ad un certo punto viene teorizzata un'azione omicidiaria coadiuvata da persone che hanno stretti contatti relazionali (i compagni di merende per Pacciani, fratello o figlio per il Vinci)
Come il Pacciani, l'unico indizio che forse lo lega all'arma del delitto (il proiettile per Pacciani, lo straccio per il Vinci) é labile e sua reale appartenenza al sospettato non é provata.
Come per Pacciani, la sorveglianza attiva (intercettazioni, pedinamenti) non ha condotto a nessun risultato concreto.
Come per Pacciani, ad un certo punto viene teorizzata un'azione omicidiaria coadiuvata da persone che hanno stretti contatti relazionali (i compagni di merende per Pacciani, fratello o figlio per il Vinci)
Come Pacciani, viene considerato un "mostro" per i suoi trascorsi omicidiari o presunti tali (Pacciani per il Bonini, Vinci per la Steri)
Come Pacciani, viene considerato un "mostro" anche per la depravazione sessuale (il Pacciani andava con le figlie, Vinci con altri uomini, donne e uomini, etc.)
Come Pacciani, viene lasciato dalla moglie non appena questa può sottrarsi.
Come per Pacciani, l'ipersessualità (in qualunque senso sia diretta) di fatto non corrisponde all'iposessualità postulata dalla criminologia.
Come per Pacciani, molti innocentisti “noti” si sono mossi (Sgarbi per Pacciani, i giornalisti per Vinci)
Come per Pacciani, un livello intellettuale che lo porta a superare i limiti impostigli da un ambiente retrogrado e culturalmente povero, gli consente una, seppur embrionale, espressione artistica (Vinci suonava la fisarmonica, Pacciani disegnava).
Come per Pacciani, il confronto diretto dà l'impressione di trovarsi di fronte ad una persona, anche se non di cultura, furba, intelligente ed acuta.
Come per Pacciani, le sue abitudini sessuali lo rendono certamente un depravato, ma non altrettanto certamente il “Mostro di Firenze”
Allora, Se Pacciani non é mostro, perché mai dovrebbe esserlo Vinci?
Che poi furbizia, intelligenza ed acuzie possano essere state dirette in direzioni diverse è qualcosa che probabilmente discende da differenze caratteriali, e dalla frequentazione di ambienti differenti; cosa che fa sì che anche gli appoggi ricevuti dai due siano diversi. E Salvatore Vinci è senza dubbio un personaggio molto più enigmatico di Pietro Pacciani
Pacciani puntava sull’istrionismo. Cercava di dare di sé l’immagine della povera vittima (“l’agnelluccio al quale state tagliando il colluccio”); e, considerati i suoi trascorsi, che rendevano comunque difficile essere compassionevole verso di lui, un risultato in tal senso lo ottenne. Anche se, bisogna dire, affiancato da legali altrettanto abili
Salvatore Vinci, invece, in qualche modo si muoveva in modo inapparente, sotterraneo. La sua astuzia era certamente più raffinata, ed era palese quando si divertiva a cercare di seminare i suoi pedinatori, ben sapendo che nulla poteva essergli imputato per tale azione. Dispettoso per il piacere di esserlo.
C’era però dell’altro; e questo altro lo differenzia ancor di più da Pacciani. E’ improbabile che, se avesse davvero ucciso la povera Barbarina Steri, Rotella non sarebbe riuscito ad incastrarlo. Una faccenda è scoprire chi sia l’assassino; un’altra è averlo in pugno e non riuscire a trovare nulla. Però… se lui fosse stato colpevole, non avrebbe potuto farla franca senza l’aiuto di qualcuno. Mi spiego meglio. Una delle argomentazioni che venne (e viene ancora oggi) portata contro di lui riguardo alla morte di Barbarina, è il fatto che la poverina non poteva essersi suicidata utilizzando una bombola di gas ormai esaurita; e la necessità che ella si fosse recata dai vicini per riscaldare il latte del bambino comproverebbe come la bombola fosse esaurita.
E Salvatore Vinci stesso avrebbe detto al Mele di avere ucciso Barbarina.
Però, chi entrò con lui nella stanza ove giaceva, morta, la moglie, e cioè il fratello ed il padre di Barbarina, ed un vicino di casa, testimoniarono come nella stanza vi fosse “un forte ed insopportabile odore di gas”; quindi, se Salvatore Vinci ha ucciso Barbarina, e la bombola era vuota, sia il fratello (cosa che magari non stupisce), sia il padre (cosa che già stupisce un po’ di più) sia il vicino di casa avrebbero dichiarato il falso, affermando che dalla "bombola vuota" fosse uscito tanto gas da rendere "forte ed insopportabile" l'odore nell'ambiente. Lo avrebbero aiutato. Così come compiacenti sarebbero stati il dr Vacca, il dr Zuddas (ufficiale sanitario) ed il medico legale che eseguì l’autopsia dichiarando che sul cadavere di Barbarina non si rilevassero segni di violenza.
In realtà, considerato che:
1) Vi era un biglietto d’addio scritto di pugno da Barbarina
2) L’edificio, nonostante l’odore di gas, non esplose all’accensione della luce
vi sarebbe una spiegazione molto più semplice dell’accaduto. Anche qui, come in altri episodi che fanno parte della vicenda del Mostro di Firenze.
Quando la bombola è in esaurimento e la pressione all’interno scende al di sotto di quella dell’erogatore, non è più garantito il funzionamento dei fornelli ad essa collegati, ma la bombola continua ad erogare gas, sebbene a pressione inferiore. I moderni regolatori tagliano l’erogazione anche in queste condizioni, ma quelli di mezzo secolo fa non possedevano tale caratteristica.
E’ chiaro che la residua quantità di gas non è in grado di saturare un ambiente fino a provocare la morte per asfissia di chi lo occupa, specialmente se vi sono delle fessure che ne consentono la fuoriuscita dal vano; ma diversa è la condizione di chi inali direttamente il gas, respirando dal tubo collegato alla bombola. Inalando solo GPL, bastano un paio di respiri per morire; pertanto, se la bombola è ancora in grado di erogare 2-3 litri di gas, una donna può suicidarsi con due sole inspirazioni. D’altra parte, tale quantità di gas, dispersa nell’ambiente, è più che sufficiente per avvertirne l’odore, ma non perché venga innescata un’esplosione all’accensione della luce.
Barbarina aveva il tubo di gomma vicino alla bocca; ha probabilmente inspirato il gas direttamente da esso, e ciò ne ha causato la morte. E’ certamente possibile uccidere una persona costringendola ad inspirare il gas, ma occorre sopraffarla, e ciò lascerebbe dei segni inequivocabili sia sul corpo sia sul tubo del gas (ad es. segni di morsicatura); occorrerebbe non solo tenere forzatamente il tubo dentro la bocca della vittima, ma tenerle chiuse anche le narici, con le dita, fin quando lo stimolo indotto dall’elevato livello di anidride carbonica nel sangue (tecnicamente si chiama “ipercapnia”) non costringa la vittima ad inspirare. E’ impossibile che ciò non lasci segni evidenti sul viso; ed il rapporto giudiziario a firma Delio Pisano recitava testualmente “A parere dello scrivente il cadavere non presentava segni di violenza visibili esteriormente”, né l’autopsia rivelerà alcuna lesione compatibile con tentativi di sopraffazione.
Posto che esistono modi diversi di provocare la morte di una persona, anche senza eseguire azioni materiali, è evidente che la povera Barbarina, nonostante avesse avuto la possibilità di andar via di casa, e nonostante il bambino rimanesse orfano, per qualche motivo ha ritenuto di dover comunque porre fine alla sua vita. Ma Salvatore Vinci, sebbene responsabile della sua morte, non può essere considerato “assassino”. Salvatore Vinci con Stefano Mele, ha in realtà millantato l’omicidio; cosa che peraltro, considerato l’individuo, non sorprende. Certamente, sarà stato un grande affabulatore, e, nell’esserlo, chissà cosa e come avrà millantato.
Sta di fatto che sebbene egli, nell’idea di molti, sarebbe stato in grado di prendersi gioco di coloro che gli hanno dato la caccia per anni, di seminare in senso di spregio i suoi pedinatori, subito dopo il processo per la vicenda di Barbarina, ha ritenuto di dover trasferirsi all’estero. E nonostante sia stato assolto con formula piena.
E ciò anche se, una volta assolto dall’accusa di omicidio della prima moglie ed il non luogo a procedere per gli omicidi del “Mostro”, si sia manifestato un impegno generale a suo sostegno.
La notizia della sua assoluzione del 1988, infatti, venne riportata da diversi giornali, ma non semplici trafiletti; si parla di articoli a quattro colonne. Uno di essi fu firmato da Ottavio Olita, lucano trapiantato in Sardegna, giornalista RAI e scrittore. Senza dubbio, non un trattamento che viene riservato a qualunque emigrato sardo che viene assolto per un omicidio. Considera, Lettore, che qui non si tratta di un processo che ha avuto chissà quale risonanza mediatica. Non si sta parlando del delitto di Cogne.
In seguito al “non luogo a procedere” per la vicenda “Mostro di Firenze” si mobilitò addirittura RAI2, che gli dedicò un’intera puntata, praticamente celebrativa, di “Detto tra noi”, la serie che dall’anno successivo sarebbe divenuta “La Vita in Diretta”. E proprio da questa trasmissione televisiva, Lettore, giungono, a mio parere, un paio di informazioni interessanti su Salvatore Vinci.
La prima informazione riguarda il luogo in cui si trovi Salvatore Vinci, posto che sia ancora vivo. Vitalia Melis riferì in un’occasione come egli fosse deceduto in Spagna (mi pare a Barcellona – cito a memoria) per una neoplasia epatica, informazione che avrebbe ricevuto dalla seconda moglie. Il giornalista Paolo Cochi avrebbe invece appurato come il Vinci fosse vivo, e residente a Saragozza. L’investigatore (ex carabiniere) Davide Cannella, non sarebbe tuttavia stato in grado di trovare tracce del Vinci a Saragozza; avrebbe avuto notizia di tre “Salvatore Vinci” nell’intera Spagna, di cui due incompatibili per età, ed uno, parrebbe, proveniente dal NordAfrica. Tuttavia avrebbe accertato come almeno una volta il Vinci avrebbe fatto rientro in Italia per un breve periodo, con un volo atterrato a Fiumicino e proveniente da Madrid.
Nella summenzionata trasmissione televisiva “Detto tra Noi” viene, ad un certo punto, chiesto all’avvocato Marongiu, uno degli avvocati difensori di Vinci, dove si trovi Salvatore Vinci ed egli, con atteggiamento reticente, lo colloca, genericamente, “in un paese oltreoceano, nelle Americhe”.
In uno dei video che cito all’inizio del post, e che avrebbero suscitato la curiosità del mio congiunto, viene intervistata l’avvocato Rita Dedola, che sembra fosse appena entrata a far parte dello studio Marongiu ai tempi del processo Vinci. Anche lei riferisce come Salvatore Vinci sia ritornato almeno una volta in Italia, ed in tale occasione si sia recato in studio, per far visita a coloro che lo avevano difeso, insieme alla sua compagna che l'avvocato Dedola ritiene “spagnola” riferendo che di nome facesse “Marisol”. Il nome “Marisol” ha in effetti un'origine catalana, ma é molto diffuso in America Latina; così, il nome della compagna di Francesco Vinci non può essere considerato indicativo della zona geografica in cui egli si fosse trasferito.
Ora, Lettore, così come vi sono voli diretti Saragozza-Fiumicino, vi sono diversi voli che dall’America Latina giungono in Italia via Madrid; ed in America Latina vi sono almeno cinque località denominate “Zaragoza”. Questa è un’informazione che ho trovato interessante. Perché, nonostante le analogie con il personaggio di Pacciani, è la fine che fa la differenza; e questa non è un’”opinione”.
Anzi, proprio questo è l’aspetto che più di ogni altra cosa differenzia Salvatore Vinci da Pietro Pacciani, che li pone agli antipodi: le modalità con le quali i due personaggi hanno lasciato la scena.
Che poi furbizia, intelligenza ed acuzie possano essere state dirette in direzioni diverse è qualcosa che probabilmente discende da differenze caratteriali, e dalla frequentazione di ambienti differenti; cosa che fa sì che anche gli appoggi ricevuti dai due siano diversi. E Salvatore Vinci è senza dubbio un personaggio molto più enigmatico di Pietro Pacciani
Pacciani puntava sull’istrionismo. Cercava di dare di sé l’immagine della povera vittima (“l’agnelluccio al quale state tagliando il colluccio”); e, considerati i suoi trascorsi, che rendevano comunque difficile essere compassionevole verso di lui, un risultato in tal senso lo ottenne. Anche se, bisogna dire, affiancato da legali altrettanto abili
Salvatore Vinci, invece, in qualche modo si muoveva in modo inapparente, sotterraneo. La sua astuzia era certamente più raffinata, ed era palese quando si divertiva a cercare di seminare i suoi pedinatori, ben sapendo che nulla poteva essergli imputato per tale azione. Dispettoso per il piacere di esserlo.
C’era però dell’altro; e questo altro lo differenzia ancor di più da Pacciani. E’ improbabile che, se avesse davvero ucciso la povera Barbarina Steri, Rotella non sarebbe riuscito ad incastrarlo. Una faccenda è scoprire chi sia l’assassino; un’altra è averlo in pugno e non riuscire a trovare nulla. Però… se lui fosse stato colpevole, non avrebbe potuto farla franca senza l’aiuto di qualcuno. Mi spiego meglio. Una delle argomentazioni che venne (e viene ancora oggi) portata contro di lui riguardo alla morte di Barbarina, è il fatto che la poverina non poteva essersi suicidata utilizzando una bombola di gas ormai esaurita; e la necessità che ella si fosse recata dai vicini per riscaldare il latte del bambino comproverebbe come la bombola fosse esaurita.
E Salvatore Vinci stesso avrebbe detto al Mele di avere ucciso Barbarina.
Però, chi entrò con lui nella stanza ove giaceva, morta, la moglie, e cioè il fratello ed il padre di Barbarina, ed un vicino di casa, testimoniarono come nella stanza vi fosse “un forte ed insopportabile odore di gas”; quindi, se Salvatore Vinci ha ucciso Barbarina, e la bombola era vuota, sia il fratello (cosa che magari non stupisce), sia il padre (cosa che già stupisce un po’ di più) sia il vicino di casa avrebbero dichiarato il falso, affermando che dalla "bombola vuota" fosse uscito tanto gas da rendere "forte ed insopportabile" l'odore nell'ambiente. Lo avrebbero aiutato. Così come compiacenti sarebbero stati il dr Vacca, il dr Zuddas (ufficiale sanitario) ed il medico legale che eseguì l’autopsia dichiarando che sul cadavere di Barbarina non si rilevassero segni di violenza.
In realtà, considerato che:
1) Vi era un biglietto d’addio scritto di pugno da Barbarina
2) L’edificio, nonostante l’odore di gas, non esplose all’accensione della luce
vi sarebbe una spiegazione molto più semplice dell’accaduto. Anche qui, come in altri episodi che fanno parte della vicenda del Mostro di Firenze.
Quando la bombola è in esaurimento e la pressione all’interno scende al di sotto di quella dell’erogatore, non è più garantito il funzionamento dei fornelli ad essa collegati, ma la bombola continua ad erogare gas, sebbene a pressione inferiore. I moderni regolatori tagliano l’erogazione anche in queste condizioni, ma quelli di mezzo secolo fa non possedevano tale caratteristica.
E’ chiaro che la residua quantità di gas non è in grado di saturare un ambiente fino a provocare la morte per asfissia di chi lo occupa, specialmente se vi sono delle fessure che ne consentono la fuoriuscita dal vano; ma diversa è la condizione di chi inali direttamente il gas, respirando dal tubo collegato alla bombola. Inalando solo GPL, bastano un paio di respiri per morire; pertanto, se la bombola è ancora in grado di erogare 2-3 litri di gas, una donna può suicidarsi con due sole inspirazioni. D’altra parte, tale quantità di gas, dispersa nell’ambiente, è più che sufficiente per avvertirne l’odore, ma non perché venga innescata un’esplosione all’accensione della luce.
Barbarina aveva il tubo di gomma vicino alla bocca; ha probabilmente inspirato il gas direttamente da esso, e ciò ne ha causato la morte. E’ certamente possibile uccidere una persona costringendola ad inspirare il gas, ma occorre sopraffarla, e ciò lascerebbe dei segni inequivocabili sia sul corpo sia sul tubo del gas (ad es. segni di morsicatura); occorrerebbe non solo tenere forzatamente il tubo dentro la bocca della vittima, ma tenerle chiuse anche le narici, con le dita, fin quando lo stimolo indotto dall’elevato livello di anidride carbonica nel sangue (tecnicamente si chiama “ipercapnia”) non costringa la vittima ad inspirare. E’ impossibile che ciò non lasci segni evidenti sul viso; ed il rapporto giudiziario a firma Delio Pisano recitava testualmente “A parere dello scrivente il cadavere non presentava segni di violenza visibili esteriormente”, né l’autopsia rivelerà alcuna lesione compatibile con tentativi di sopraffazione.
Posto che esistono modi diversi di provocare la morte di una persona, anche senza eseguire azioni materiali, è evidente che la povera Barbarina, nonostante avesse avuto la possibilità di andar via di casa, e nonostante il bambino rimanesse orfano, per qualche motivo ha ritenuto di dover comunque porre fine alla sua vita. Ma Salvatore Vinci, sebbene responsabile della sua morte, non può essere considerato “assassino”. Salvatore Vinci con Stefano Mele, ha in realtà millantato l’omicidio; cosa che peraltro, considerato l’individuo, non sorprende. Certamente, sarà stato un grande affabulatore, e, nell’esserlo, chissà cosa e come avrà millantato.
Sta di fatto che sebbene egli, nell’idea di molti, sarebbe stato in grado di prendersi gioco di coloro che gli hanno dato la caccia per anni, di seminare in senso di spregio i suoi pedinatori, subito dopo il processo per la vicenda di Barbarina, ha ritenuto di dover trasferirsi all’estero. E nonostante sia stato assolto con formula piena.
E ciò anche se, una volta assolto dall’accusa di omicidio della prima moglie ed il non luogo a procedere per gli omicidi del “Mostro”, si sia manifestato un impegno generale a suo sostegno.
La notizia della sua assoluzione del 1988, infatti, venne riportata da diversi giornali, ma non semplici trafiletti; si parla di articoli a quattro colonne. Uno di essi fu firmato da Ottavio Olita, lucano trapiantato in Sardegna, giornalista RAI e scrittore. Senza dubbio, non un trattamento che viene riservato a qualunque emigrato sardo che viene assolto per un omicidio. Considera, Lettore, che qui non si tratta di un processo che ha avuto chissà quale risonanza mediatica. Non si sta parlando del delitto di Cogne.
In seguito al “non luogo a procedere” per la vicenda “Mostro di Firenze” si mobilitò addirittura RAI2, che gli dedicò un’intera puntata, praticamente celebrativa, di “Detto tra noi”, la serie che dall’anno successivo sarebbe divenuta “La Vita in Diretta”. E proprio da questa trasmissione televisiva, Lettore, giungono, a mio parere, un paio di informazioni interessanti su Salvatore Vinci.
La prima informazione riguarda il luogo in cui si trovi Salvatore Vinci, posto che sia ancora vivo. Vitalia Melis riferì in un’occasione come egli fosse deceduto in Spagna (mi pare a Barcellona – cito a memoria) per una neoplasia epatica, informazione che avrebbe ricevuto dalla seconda moglie. Il giornalista Paolo Cochi avrebbe invece appurato come il Vinci fosse vivo, e residente a Saragozza. L’investigatore (ex carabiniere) Davide Cannella, non sarebbe tuttavia stato in grado di trovare tracce del Vinci a Saragozza; avrebbe avuto notizia di tre “Salvatore Vinci” nell’intera Spagna, di cui due incompatibili per età, ed uno, parrebbe, proveniente dal NordAfrica. Tuttavia avrebbe accertato come almeno una volta il Vinci avrebbe fatto rientro in Italia per un breve periodo, con un volo atterrato a Fiumicino e proveniente da Madrid.
Nella summenzionata trasmissione televisiva “Detto tra Noi” viene, ad un certo punto, chiesto all’avvocato Marongiu, uno degli avvocati difensori di Vinci, dove si trovi Salvatore Vinci ed egli, con atteggiamento reticente, lo colloca, genericamente, “in un paese oltreoceano, nelle Americhe”.
In uno dei video che cito all’inizio del post, e che avrebbero suscitato la curiosità del mio congiunto, viene intervistata l’avvocato Rita Dedola, che sembra fosse appena entrata a far parte dello studio Marongiu ai tempi del processo Vinci. Anche lei riferisce come Salvatore Vinci sia ritornato almeno una volta in Italia, ed in tale occasione si sia recato in studio, per far visita a coloro che lo avevano difeso, insieme alla sua compagna che l'avvocato Dedola ritiene “spagnola” riferendo che di nome facesse “Marisol”. Il nome “Marisol” ha in effetti un'origine catalana, ma é molto diffuso in America Latina; così, il nome della compagna di Francesco Vinci non può essere considerato indicativo della zona geografica in cui egli si fosse trasferito.
Ora, Lettore, così come vi sono voli diretti Saragozza-Fiumicino, vi sono diversi voli che dall’America Latina giungono in Italia via Madrid; ed in America Latina vi sono almeno cinque località denominate “Zaragoza”. Questa è un’informazione che ho trovato interessante. Perché, nonostante le analogie con il personaggio di Pacciani, è la fine che fa la differenza; e questa non è un’”opinione”.
Anzi, proprio questo è l’aspetto che più di ogni altra cosa differenzia Salvatore Vinci da Pietro Pacciani, che li pone agli antipodi: le modalità con le quali i due personaggi hanno lasciato la scena.
Pietro Pacciani é morto in attesa della revisione di un processo che lo aveva scagionato. Francesco Vinci, il fratello di Salvatore, é morto. Assassinato. Salvatore Vinci é stato salvato.
La seconda informazione riguarda un episodio che sempre l’avvocato Marongiu narra sul finire della puntata. Egli riporta come, durante un’arringa condotta in un “tribunale del Nord Italia” per reati di sequestro di persona, fosse costantemente rimasto sotto lo sguardo insistente di una donna, elegante ed attraente, presente nell’uditorio; e, ritenendo che tale interesse fosse suscitato, nella signora, dalla sua persona, si sentisse lusingato. Subito dopo il termine dell’udienza la signora lo avrebbe incrociato in uno dei corridoi del tribunale, fermandolo, e pregandolo di inviare i suoi saluti a “Salvatore Vinci”. Salvatore Vinci, una volta riferitogli l’accaduto, avrebbe semplicemente annuito senza mostrare stupore. Lo stupore, invece, avrebbe colto l’avvocato nel rendersi conto che una donna così di classe fosse tanto interessata al Vinci.
L’episodio è indubbiamente inusuale, ma l’interesse non sta qui. Sempre in uno tre video che hanno incuriosito il mio congiunto, l’avvocato Rita Dedola narra come un giorno, mentre era in studio ed in compagnia dell’avvocato, si fosse presentata alla porta una donna, elegante, affascinante e con un eloquio che denotava una certa cultura, la quale aveva chiesto notizie sull’andamento del processo, si era interessata alla sorte di “Salvatore”, ne aveva parlato come se avesse con il Vinci una notevole familiarità, e gli aveva inviato i suoi saluti.
Da un certo punto di vista, nulla impedirebbe che ambedue gli eventi siano realmente accaduti. Il particolare interessante è però che l’avvocato Marongiu raccontò l’aneddoto all’intervistatore di “Detto tra noi” mentre si trovava all’aperto, seduto ad un tavolino (probabilmente di un bar) proprio accanto all’avvocato Rita Dedola, anche lei interpellata dall’intervistatore; tutto ciò che Rita Dedola disse al riguardo in quell’occasione fu: “ Al processo di primo grado, in Corte d’Assise, al processo per l’omicidio della moglie, il pubblico era prevalentemente fatto di donne, composto di donne, e c’erano molte amiche sue”. Ma nessun accenno all'episodio della signora in studio venne fatto, né da parte dell'avvocato Marongiu, né da parte dell'avvocato Dedola. Vi sarebbe da chiedersi il perché. Così come vi sarebbe da chiedersi il perché nessun accenno all'episodio raccontato da Marongiu venga fatto da Rita Dedola nel video più recente. Come se la menzione dell'uno escludesse quella dell'altro.
Converrai con me, Lettore, che i due racconti darebbero adito a diverse perplessità; quando, la bella signora, avrebbe fatto la sua comparsa? In studio a Cagliari o in tribunale al Nord Italia? Perché durante la trasmissione nessuno accenna alla visita allo studio? Oppure si trattava di due belle signore diverse, ma che non possono essere ambedue menzionate nell’ambito della medesima intervista? A meno che uno stuolo di belle signore non volesse avvalersi dello studio Marongiu&Dedola come mezzo per inviare saluti, è improbabile che due episodi siano contemporaneamente e totalmente veritieri. E’ questo l’aspetto interessante: non c’é “verità”, qui. Nemmeno mostrologica.
Tutt’al più, se qualcosa relativo ai due episodi è realmente accaduto, essi potrebbero costituire, ambedue, due “mezze verità”. Ora, Lettore, ero già a conoscenza della proprietà additiva delle coincidenze ("One coincidence is just a coincidence, two coincidences are a clue, three coincidences are a proof" frase attribuita ad Agatha Christie, anche se nessuno sembra sapere in che occasione la scrittrice l'avrebbe formulata). Riconsiderando la vicenda relativa al “Mostro di Firenze” ho appreso anche dell'esistenza di una proprietà disadditiva delle frazioni di indizio (“mezzo indizio più mezzo indizio non fa un indizio ma zero indizi”) Ciò che ancora, però, non mi é riuscito di comprendere è se la proprietà disadditiva si estenda anche alla verità o meno: mezza verità + mezza verità fa una verità intera? O, come per gli indizi, fa zero verità? E ciò vale per ogni verità, compresa la “verità mostrologica”? L’affermazione, poi, dell’avvocato Rita Dedola riguardo al fatto che Vinci sicuramente qualcosa sapeva é forse meno interessante, in quanto ovvia; ma proprio per questo, totalmente condivisibile.
Quello che sarebbe un po' meno ovvio, ma proprio per questo molto più interessante, sarebbe sapere chi abbia salvato Salvatore... e perché, anche se il perché é forse intuibile.
Detto ciò, Lettore, posso finalmente porre la parola “fine” ad una serie di post su un argomento che, per quel che mi riguarda, considero definitivamente chiuso. E chiudo con le parole di Davide Rossi:
“Una cosa che ho… abbiamo notato… cioè, facendo questo lavoro, è che, all’interno degli ambienti investigativi, ma anche gente in quiescenza da… dieci anni, quindici anni, c’è un minimo comune multiplo fra queste persone, che è il seguente: nessuno parla volentieri di questa cosa! E, se ne parla, ne parla a condizione che il suo nome non venga fatto
Se non vogliono parlarne loro, che sono professionisti, avranno di certo il loro motivo. Ed io, Lettore, che invece, da blogger da strapazzo, sono totalmente ignorante, pur senza comprenderlo, lo accetto acriticamente come fosse un consiglio, ed altrettanto acriticamente lo seguirò, per fede.
Come fosse una “verità mostrologica”.
Anche se di recente, mi sono trovato costretto ad aggiungere un post-scriptum.
La seconda informazione riguarda un episodio che sempre l’avvocato Marongiu narra sul finire della puntata. Egli riporta come, durante un’arringa condotta in un “tribunale del Nord Italia” per reati di sequestro di persona, fosse costantemente rimasto sotto lo sguardo insistente di una donna, elegante ed attraente, presente nell’uditorio; e, ritenendo che tale interesse fosse suscitato, nella signora, dalla sua persona, si sentisse lusingato. Subito dopo il termine dell’udienza la signora lo avrebbe incrociato in uno dei corridoi del tribunale, fermandolo, e pregandolo di inviare i suoi saluti a “Salvatore Vinci”. Salvatore Vinci, una volta riferitogli l’accaduto, avrebbe semplicemente annuito senza mostrare stupore. Lo stupore, invece, avrebbe colto l’avvocato nel rendersi conto che una donna così di classe fosse tanto interessata al Vinci.
L’episodio è indubbiamente inusuale, ma l’interesse non sta qui. Sempre in uno tre video che hanno incuriosito il mio congiunto, l’avvocato Rita Dedola narra come un giorno, mentre era in studio ed in compagnia dell’avvocato, si fosse presentata alla porta una donna, elegante, affascinante e con un eloquio che denotava una certa cultura, la quale aveva chiesto notizie sull’andamento del processo, si era interessata alla sorte di “Salvatore”, ne aveva parlato come se avesse con il Vinci una notevole familiarità, e gli aveva inviato i suoi saluti.
Da un certo punto di vista, nulla impedirebbe che ambedue gli eventi siano realmente accaduti. Il particolare interessante è però che l’avvocato Marongiu raccontò l’aneddoto all’intervistatore di “Detto tra noi” mentre si trovava all’aperto, seduto ad un tavolino (probabilmente di un bar) proprio accanto all’avvocato Rita Dedola, anche lei interpellata dall’intervistatore; tutto ciò che Rita Dedola disse al riguardo in quell’occasione fu: “ Al processo di primo grado, in Corte d’Assise, al processo per l’omicidio della moglie, il pubblico era prevalentemente fatto di donne, composto di donne, e c’erano molte amiche sue”. Ma nessun accenno all'episodio della signora in studio venne fatto, né da parte dell'avvocato Marongiu, né da parte dell'avvocato Dedola. Vi sarebbe da chiedersi il perché. Così come vi sarebbe da chiedersi il perché nessun accenno all'episodio raccontato da Marongiu venga fatto da Rita Dedola nel video più recente. Come se la menzione dell'uno escludesse quella dell'altro.
Converrai con me, Lettore, che i due racconti darebbero adito a diverse perplessità; quando, la bella signora, avrebbe fatto la sua comparsa? In studio a Cagliari o in tribunale al Nord Italia? Perché durante la trasmissione nessuno accenna alla visita allo studio? Oppure si trattava di due belle signore diverse, ma che non possono essere ambedue menzionate nell’ambito della medesima intervista? A meno che uno stuolo di belle signore non volesse avvalersi dello studio Marongiu&Dedola come mezzo per inviare saluti, è improbabile che due episodi siano contemporaneamente e totalmente veritieri. E’ questo l’aspetto interessante: non c’é “verità”, qui. Nemmeno mostrologica.
Tutt’al più, se qualcosa relativo ai due episodi è realmente accaduto, essi potrebbero costituire, ambedue, due “mezze verità”. Ora, Lettore, ero già a conoscenza della proprietà additiva delle coincidenze ("One coincidence is just a coincidence, two coincidences are a clue, three coincidences are a proof" frase attribuita ad Agatha Christie, anche se nessuno sembra sapere in che occasione la scrittrice l'avrebbe formulata). Riconsiderando la vicenda relativa al “Mostro di Firenze” ho appreso anche dell'esistenza di una proprietà disadditiva delle frazioni di indizio (“mezzo indizio più mezzo indizio non fa un indizio ma zero indizi”) Ciò che ancora, però, non mi é riuscito di comprendere è se la proprietà disadditiva si estenda anche alla verità o meno: mezza verità + mezza verità fa una verità intera? O, come per gli indizi, fa zero verità? E ciò vale per ogni verità, compresa la “verità mostrologica”? L’affermazione, poi, dell’avvocato Rita Dedola riguardo al fatto che Vinci sicuramente qualcosa sapeva é forse meno interessante, in quanto ovvia; ma proprio per questo, totalmente condivisibile.
Quello che sarebbe un po' meno ovvio, ma proprio per questo molto più interessante, sarebbe sapere chi abbia salvato Salvatore... e perché, anche se il perché é forse intuibile.
Detto ciò, Lettore, posso finalmente porre la parola “fine” ad una serie di post su un argomento che, per quel che mi riguarda, considero definitivamente chiuso. E chiudo con le parole di Davide Rossi:
“Una cosa che ho… abbiamo notato… cioè, facendo questo lavoro, è che, all’interno degli ambienti investigativi, ma anche gente in quiescenza da… dieci anni, quindici anni, c’è un minimo comune multiplo fra queste persone, che è il seguente: nessuno parla volentieri di questa cosa! E, se ne parla, ne parla a condizione che il suo nome non venga fatto
Se non vogliono parlarne loro, che sono professionisti, avranno di certo il loro motivo. Ed io, Lettore, che invece, da blogger da strapazzo, sono totalmente ignorante, pur senza comprenderlo, lo accetto acriticamente come fosse un consiglio, ed altrettanto acriticamente lo seguirò, per fede.
Come fosse una “verità mostrologica”.
Anche se di recente, mi sono trovato costretto ad aggiungere un post-scriptum.
Ti rinnovo i complimenti, posso chiederti se sei siciliano?
RispondiEliminaGrazie infinite per i complimenti. Riceverli da persone che hanno letto e ponderato é un piacere che non si spegne, una gratificazione alla quale non si fa l'abitudine.
RispondiEliminaSì, vivo in Sicilia. E d'altra parte. considerati gli altri post, su borghi e ferrovie, non potrebbe essere altrimenti
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaLetto, ponderato e riflettuto a lungo su come il delitto del 1968 abbia dato origine ai successivi.
RispondiEliminaUna verità che la narrazione "ufficiale" o pseudotale, insieme alle sentenze, ignora.
Ignorando totalmente il contesto storico (e sociale) in cui il duplice delitto di Signa sia avvenuto, gli scenari retrostanti, quello immediato e quello per l'appunto storico.
Vorrei chiederti se per caso la tua conoscenza è diretta per essertene occupato o se si tratta di deduzioni.
Se non fossi consapevole che l'essere stato presente o l'esserti occupato del caso non ti avrebbe, in ogni caso, necessariamente reso chiaro lo scenario retrostante.
Tuttavia mi permetto di chiederti, vista la lucida comprensione dei fatti, in quale veste tu te ne sia occupato.
Non ho capito bene cosa tu mi stia chiedendo esattamente.
RispondiEliminaDa cosa sia nata questa serie lo racconto esplicitamente nel primo post.
Come io sia arrivato a tali ricostruzioni é descritto nella seconda serie, e riassunto nella "Postfazione".
In generale, vi sono due considerazioni da fare:
1) le persone agiscono per un motivo. Se il motivo sia giusto, sbagliato, se l'azione persegua il fine ben, male, etc. é un'altra faccenda. Ma comunque, eccetto pochi casi, peraltro ben evidenti, c'é sempre un motivo alla base delle azioni. Lo constato nel lavoro di ogni giorno.
2) la gente, in linea di massima, non legge. Non prende un qualunque documento, che sia un verbale, una descrizione, un lavoro scientifico, e cerca di trarre da esso il massimo delle informazioni; dà una scorsa superficiale giusto "per saperne parlare", per MOSTRARE di averlo letto. Anche di questo ho un'evidenza giornaliera nel mio lavoro; mi accaduto di doverlo rilevare fino a mezz'ora fa.
Quindi, tutto ciò che ormai si può fare é ipotizzare un motivo plausibile, ma che sia consistente con TUTTE le informazioni ricavabili, ed eventualmente cercare conferme indirette in ulteriori documenti o attraverso altri processi logici.
A distanza di mezzo secolo non ci sono altre possibilità.
Ciò a cui occorre prestare attenzione sono anche le incongruenze, che indicano come certe informazioni siano inattendibili o, peggio, assolutamente false.
Tutto ciò che descrivo a proposito di Signa si basa su informazioni che hanno riscontro nei fatti o nelle testimonianze
Sarebbe potuto “evadere” con un diversivo in qualsiasi momento. Travestimenti, contro-pedinamenti, mazzette, ricatti., Noi pensiamo che i Carabinieri, tra l’altro dopo giorni, anni, di appostamenti siano infallibili? Per carità. Gia mi immagino, poi a quei tempi senza social e telecamere…
RispondiEliminaTutti gli indizi, io non credo nelle coincindenze, portano a Salvatore Vinci. Anche il suo background di omosessuale, guardone e scambista, uno che conosceva perfettamente i luoghi di incontro del fiorentino frequentando quell’ambiente assiduamente. Sfido chiunque che non frequenti quegli ambienti, a uscire di casa una sera qualsiasi della settimana e trovare una coppia che fa l’amore in macchina. È veramente difficile e improbabile. La pista sarda era l’unica pista da seguire, visto che l’unico fil rouge dei delitti è la pistola, e del primo caso del 1968 si è persino a conoscenza di un soggetto presente sul luogo del delitto (mele). Che confidó il proprietario della pistola (Vinci).
I cadaveri nascosti dei francesi, modus operandi completamente diverso dai precedenti, per prendere tempo e farsi trovare a casa dopo che i carabinieri gli stavano col fiato sul collo.
La tenda rinvenuta nel 2019 tra le prove del 1985 ricondotta a lui.
Il fazzoletto contenente la pistola, rinvenuto nel 2024 con tracce biologiche di Vinci. Che aveva negato al tempo di sapere da dove provenisse.
L’arroganza con cui parla con i carabinieri mentre non è registrato, al limite della confessione, a detta di alcuni di loro: “Se non c’è errore non c’è rischio”.
La prova del 9, sparito Vinci, spariti gli omicidi.
I compagni di merenda sono stati creati ad arte dalla procura che doveva trovare un colpevole a tutti i costi in tempi brevi. L’unica “prova” che li incrimina è la testimonianza di un uomo solo e mitomane, che tra l’altro non azzecca un dettaglio, pur dicendo di essere presente sulla scena del crimine. È palesemente un personaggio artefatto.
Non ci sono indizi, neanche uno, dopo che il bossolo in giardino fu ritenuto un falso.
Poi vogliamo veramente appellarci al profilo del fbi che indica come iposessuale il mostro? Non ne tengo neanche conto. Si parla del nulla.
Salvatore Vinci non ha un motivo valido per eseguire azioni così rischiose e sconsiderate, Non vi é nulla che lo colloca sulla scena dei delitti (con l'esclusione dell'accusa di Stefano Mele, poi ritrattata). Non vi é nulla che lo colleghi alle armi. Se si vogliono cercare indizi o prove circostanziali della sua colpevolezza, devono essere ricercati altrove; e nulla mai é stato trovato al riguardo. I delitti del c.d. "Mostro di Firenze" sono tutti diversi tra loro, accomunati UNICAMENTE dai reperti balistici, la cui provenienza non é mai stata acclarata. Questa é la realtà dei fatti; poi ognuno di noi può costruire ciò che vuole; ma perché la sua costruzione possa essere condivisa, deve poggiare su basi oggettive. Proprio perché, senza quelle, OGNUNO pensa ciò che gli pare.
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