mercoledì 18 marzo 2015

LA VIA DEI BORGHI.38: La settima fase dei borghi rurali siciliani. L'EREDITA' DELL'ECLS: la Valle del Tumarrano



La Valle del Tumarrano

La valle del Tumarrano sembra occupare un posto privilegiato nelle pianificazioni dell’ERAS; è possibile che essa, in qualche modo, continuasse a risentire delle particolari attenzioni, derivanti dall’essere la sede dell’Azienda Sparacia, di cui era oggetto già dall’epoca dell’Istituto VE III per la bonifica della Sicilia.

Nel 1952 furono progettati quattro borghi di tipo “C”, la cui realizzazione sarebbe dovuta avvenire contestualmente al completamento di Borgo Callea; ed infatti, nella relazione di collaudo è esplicitamente dichiarato come essi fossero stati progettati “per lo sviluppo del Programma di Bonifica e Colonizzazione del Bacino del Tumarrano” con la finalità di “promuovere e sviluppare le opere inerenti alla Riforma Agraria in Sicilia con l’impulso attivo della colonizzazione delle terre di quella zona”. Quindi, analogamente a quanto accadde per borgo Bruca, la loro pianificazione non fu volta ad offrire servizi ad assegnatari di lotti compresi in piani di ripartizione, ma a coloro che già risiedevano nella valle. Questo è immediatamente desumibile anche dalla mappa di pianificazione dei borghi: nella valle del Tumarrano, praticamente non sono segnate zone di R.A. Escludendo una minuscola area ad Ovest, all’imbocco della valle, il piano di ripartizione più vicino venne pianificato ad oltre sette chilometri da borgo Callea, tra l’altro in una zona montuosa ed impervia, dove l’assoluta assenza di case coloniche denota la mancata assegnazione dei lotti.

Forse proprio per questo, la loro ubicazione non sembra tenesse in gran conto le circonferenze dei relativi raggi di influenza, nonché la loro intersezione con quella di Borgo Callea. Venne infatti inizialmente pianificato di costruire i quattro borghi nelle contrade Pasquale, Piana della Ficuzza, Cugno Lungo e Montoni Nuovo.




E come nella migliore delle tradizioni ECLS, il Consorzio Valli del Platani e del Tumarrano richiese di variare l’ubicazione di due di essi, quello in contrada Montoni Nuovo e quello in contrada Cugno Lungo; ma solo per il secondo la richiesta venne accolta, con lo spostamento in contrada Soria. Doveva senz’altro esservi un precedente accordo tra Consorzio ed Ente, in quanto la richiesta del Consorzio è datata 28 dicembre 1955, la delibera dell’ERAS con la quale si formalizza la richiesta è del febbraio del 1956, mentre nella mappa del 1 gennaio 1956 borgo Cugno Lungo si trova già localizzato in contrada Soria




Alla data del 1 gennaio 1956, come si vede, tutti e quattro i borghi “C” risultano “in costruzione”.

La data ufficiale di tutti i progetti (compreso il completamento di Borgo Callea) sarebbe il 31 maggio 1952, benché molti documenti (planimetrie comprese) siano contrassegnati da date diverse, successive.

I quattro borghi “C” sarebbero stati basati su soli due progetti, uno per Borgo Pasquale e Borgo Montoni Nuovo




un altro per Piana della Ficuzza e Cugno Lungo




I progetti, la cui composizione dei volumi richiama quella di due sottoborghi progettati da Pietro Ajroldi, formalmente furono redatti dai Servizi di Ingegneria dell’Ente; ma sostanzialmente, la firma del progettista di borgo Pasquale è quella dell’ing. Luigi Panico, mentre quella apposta sul progetto relativo a Piana della Ficuzza non è immediatamente decifrabile




Il progetto di Cugno Lungo è privo di firma, ma essendo assolutamente identico a Pasquale ed a Piana della Ficuzza è verosimile che il progettista fosse il medesimo. Lo stesso dovrebbe valere per Montoni Nuovo anche se nel relativo fascicolo, in archivio, non è rimasta alcuna planimetria.

Entrambi i progetti prevedono una chiesa con sacrestia, un’aula scolastica con segreteria ed alloggio per l’insegnante, un ambulatorio medico, ed un alloggio per il custode; essi aderiscono pertanto perfettamente a quanto stabilito nel Decreto Assessoriale nr 295 del 1953 per ciò che riguarda le caratteristiche dei borghi di tipo “C”.

Mentre nel primo progetto l’alloggio per il custode consta di due vani, e l’ambulatorio comprende anche una sala d’aspetto, nel secondo la sala d’aspetto viene sacrificata per realizzare un terzo vano nell’alloggio del custode. Fu questa una delle caratteristiche che condusse il CdA della Cassa per il Mezzogiorno, in data 23 dicembre 1952, a richiedere che fossero eseguite delle variazioni prima di approvare il finanziamento; le altre critiche riguardarono essenzialmente le dimensioni insufficienti dell’aula scolastica, e l’esistenza di una segreteria della scuola.

Da un certo punto di vista, una certa approssimazione nelle pianificazione e progettazione, attribuibile al fatto che i borghi non erano stati pensati in funzione di ben definite zone di riforma agraria e conseguentemente ad un numero preciso di famiglie di assegnatari, risulta evidente. Delle ubicazioni, che non tenevano in alcun conto la sovrapposizione dei raggi di influenza, si è parlato più sopra. Ma anche la progettazione degli edifici appariva in qualche modo poco razionale, mancando precisi riferimenti riguardo ai servizi che sarebbero stati chiamati a svolgere. Era essenzialmente quest’ultimo aspetto a venire rilevato nel dicembre del 1952 dal CdA della CASMEZ, il quale muoveva tali appunti:

Mancando gli elementi relativi alla quantità della popolazione che graviterà sul borgo, è difficile giudicare sulla sufficienza o meno dei servizi previsti.

Comunque giudicando dall’ampiezza della Scuola capace di circa 40 alunni (48 mq.) risulta assolutamente insufficiente lo spazio dell’aula.

Sono assegnate dimensioni esuberanti alla sala da pranzo del custode del borgo mentre non risulta previsto un alloggio per il sacerdote. Egualmente inutili sembrano la Segreteria della scuola e lo studio per l’insegnante, tutte funzioni che possono essere riservate all’aula nelle ore dopo le lezioni. Si ritiene invece estremamente utile, anche in un borgo minimo come quello in esame, la costruzione di un piccolo gruppo di impianti igienici, docce o bagni per sopperire alle immancabili deficienze degli impianti delle singole abitazioni


Abbastanza stranamente, le critiche avanzate dal CdA della Cassa per il Mezzogiorno riguardarono il borgo di Cugno Lungo, ma non il “gemello” di Piana della Ficuzza; è possibile che anche questo abbia contribuito al ritardo dell’inizio dei lavori a Cugno Lungo che alla fine si risolvette nella mancata realizzazione del borgo.

Sebbene i servizi e la superficie dei relativi vani siano paragonabili per i due progetti, gli edifici, dal punto di vista estetico, risultano abbastanza dissimili. Ciò è soprattutto in relazione al fatto che il progetto comune a borgo Pasquale e borgo Montoni Nuovo prevede la costruzione di due fabbricati separati uniti da un portico e l’insieme chiude su tre lati un’ampia corte, che avrebbe dovuto essere adibita a villetta




L’altro progetto,invece, si basa sulla realizzazione di un unico edificio che racchiude un piccolo cortile interno, su un principio per molti versi simile a quello di borgo Fiumefreddo




Gli edifici di Cugno Lungo




e Montoni Nuovo sarebbero stati assolutamente identici.

Le fondazioni dei borghi sono in parte in calcestruzzo di cemento ed in parte in muratura di pietrame calcareo e malta. La muratura in elevazione è in pietrame calcareo e malta, mentre i portici e parte degli absidi sono in muratura di mattoni pieni; i solai sono in laterocemento




I lavori vennero concessi all’Ente in data 24 maggio 1953 per un totale di £ 178202000 (di cui £ 25544000 per Pasquale, £ 25544000 per Montoni Nuovo, £31638373 per Cugno Lungo, £25704000 per Piana della Ficuzza) , e finanziati dalla Cassa per il Mezzogiorno per £155926750, e cioè per l’87,5% della cifra




il 12,5% infatti, conformemente al disposto dell’art. 7 del RD 215 del 1933 (“Nuove norme per la bonifica integrale”) sarebbe rimasto di competenza privata, dell’ERAS nel caso specifico. Ciò costituisce un’ulteriore dimostrazione, semmai ve ne fosse la necessità, del fatto che i borghi ERAS venivano costruiti in applicazione del RD del 1933




come sostenuto dalla Corte dei Conti, e non in applicazione alla legge nr 1 del 1940.

I lavori vennero affidati all’impresa Goffredo Fabrizi di Roma con sede all’Aquila, con contratto del 16 gennaio 1954. L’appalto comprendeva l’ultimazione di Borgo Callea, e la costruzione dei quattro borghi di tipo C; la consegna dei lavori relativi a questi ultimi avvenne il 30 marzo 1954.

Il terreno su cui sarebbe sorto borgo Pasquale fu espropriato a “Vaccaro Agostino fu Andrea”, mentre quelli per Piana della Ficuzza alla ditta “Giudice Giuseppina fu Giuseppe”; pare invece che decreti per Cugno Lungo e Montoni Nuovo non ne siano mai stati emessi, neanche per occupazione temporanee.

L’impresa Fabrizi diede inizio ai lavori dei borghi nelle contrade Pasquale e Piana della Ficuzza, ma non di quelli in contrada Cugno Lungo e Montoni Nuovo. Il motivo principale fu una richiesta di variazione dell’ubicazione di questi ultimi, richiesta che fu accolta per Cugno Lungo ma non per Montoni Nuovo. La nuova ubicazione di Cugno Lungo sarebbe stata contrada Soria, a SudOvest di Borgo Callea (e quindi da tutt’altra parte rispetto all’originaria pianificazione).

Mentre i borghi di contrada Pasquale




e Piana della Ficuzza




sorgono a pochi metri dalla carrabile, non così sarebbe stato per Montoni Nuovo e Cugno Lungo, sia nel caso in cui fosse stata mantenuta l’ubicazione originale, sia nel caso in cui fosse stata accolta la richiesta relativa a quella nuova.

Pertanto, per questi ultimi, si sarebbero comunque dovute realizzare le relative strade di accesso. La costruzione di dette strade, però, non venne appaltata all’impresa Fabrizi dall’ERAS bensì dal Consorzio Valli del Tumarrano e del Platani. La costruzione delle strade non ebbe inizio, non è chiaro se per un ritardo nell’appalto, per le questioni relative alle variazioni nel progetto e nelle ubicazioni, o per negligenza dell’impresa; e questo avrebbe ritardato l’inizio dei lavori.

Guardando la corografia, è difficile credere che il mancato inizio dei lavori possa essere attribuibile a questioni di viabilità, almeno per ciò che riguarda Montoni Nuovo. Sulla corografia, infatti, redatta prima della costruzione, sono già presenti le strade di bonifica che avrebbero consentito all’impresa di accedere ai siti designati; forse, una tale difficoltà sarebbe potuta insorgere unicamente per la nuova ubicazione di Cugno Lungo, in contrada Soria.
Qualunque sia stata la causa, nel maggio del 1954, prima di dare inizio alla costruzione delle strade di accesso l’impresa Fabrizi interruppe, immotivatamente i lavori di Borgo Callea, e nel dicembre successivo anche quelli a Piana della Ficuzza ed in contrada Pasquale, trattenendo indebitamente anche quanto era stato corrisposto a titolo di anticipo, e restando quindi debitrice nei confronti dell’Ente per £ 9438000; quindi mentre il rustico di Contrada Pasquale venne ultimato, e quello di Piana della Ficuzza realizzato a meno delle coperture, la costruzione degli altri due borghi non venne mai nemmeno iniziata. In seguito a ciò, l’Ente inviò una comunicazione all’impresa individuando nel 20 settembre 1956 il termine perentorio per l’ultimazione dei lavori. Due anni più tardi, nel dicembre del 1958, in assenza di qualunque riscontro da parte dell’Impresa Fabrizi, l’ERAS decise di verificare quale fosse lo stato finale dei lavori al momento dell’abbandono, e di procedere al collaudo. Era già stata ventilata, nel luglio precedente, l’ipotesi di appaltare il completamento dei lavori e la costruzione dei due borghi “mancanti” all’Impresa Impellitteri, ma l’iniziativa non ebbe un seguito. Venne pertanto portato a termine il lavoro su borgo Callea, che doveva solo essere rifinito, mentre i borghi di contrada Pasquale e Piana della FIcuzza vennero lasciati com’erano.

Anzi, non esattamente.

In fase di collaudo dei lavori eseguiti, dopo aver verificato come essi fossero stati eseguiti a regola d’arte, l’edificio di Piana della Ficuzza venne parzialmente demolito, ritenendo che le parti prive di copertura potessero deteriorarsi rapidamente rendendo instabili, e quindi pericolose, le strutture murarie. Lo stato in cui versa adesso il borgo




non è quindi dovuto all’azione del tempo ed all’assenza di manutenzione, ma a ciò che avvenne in fase di collaudo. E’ questo il motivo per il quale la costruzione è ridotta ad un rudere nel quale è difficile ormai riconoscere le linee del progetto originario




Borgo Pasquale, invece, fu completato “fino al rustico”, come definito nel verbale di collaudo, e vennero intonacate le pareti interne degli alloggi




ma il risultato finale




sembra ancora esteticamente lontano da quello che avrebbe dovuto nelle intenzioni del progettista




anche se, come vedremo nel prossimo post, l’ing. Panico avrà comunque modo, in un certo senso, di “rifarsi”.

Nel rispetto delle migliori tradizioni ECLS/ERAS, con riferimento al progetto originale




anche il fabbricato di borgo Pasquale fu spostato di circa 350 metri verso NordOvest, e ne fu variata l’orientazione




Per ambedue i borghi l’approvvigionamento idrico doveva probabilmente già essere stato garantito; furono infatti costruiti gli abbeveratoi, e quello di Piana della Ficuzza è ancora servito dall’impianto




diversamente a quanto accade a quello di Pasquale




Gli abbeveratoi della valle del Tumarrano sono quasi tutti uguali, copie di quello presente a borgo Callea; fa eccezione quello di Piana della Ficuzza, nel quale è anche compresa la vasca per abbeverare gli ovini




Nessuno dei due edifici è mai stato ceduto al comune di Cammarata. Il fatto che sia documentata nel verbale di collaudo la demolizione di parte del fabbricato è verosimilmente il motivo per cui l’iter per la cessione della costruzione di Piana della Ficuzza non ha mai nemmeno avuto inizio. Risulta invece compreso nell’elenco delle cessioni il borgo di contrada Pasquale, sebbene la cessione non sia mai stata formalizzata. Né mai potrà esserlo, in considerazione dello stato in cui versa il fabbricato, e dell’involuzione cui è sottoposto per l’assenza di manutenzione




Attualmente la conservazione del fabbricato è affidata alla clemenza degli elementi e del tempo, i quali, nel bene e nel male, hanno comunque fatto la loro parte




Quello che prima era quindi un edificio completo “fino al rustico”, oggi è un fabbricato danneggiato e pericolante




Da un documento del 1958 l’edificio di Borgo Pasquale risultava adibito a ricovero per animali; e cinquantacinque anni più tardi, come può desumersi dallo strato grigiastro che giace sul pavimento di quella che sarebbe stata la chiesa




la condizione non è cambiata. Anche questa è pubblica utilità; se non per altri, per le pecore, almeno.

I due borghi non completati compaiono nell’elenco presente su Wikipedia come fondati tra il 1941 ed il 1943. Sebbene più volte si sia sottolineata quanto siano campati in aria il contenuto dell’elenco e le relative date, nel caso specifico questa costituisce una palese manifestazione dell’Errore.

Gli abitanti del luogo sono convinti che le due costruzioni siano state realizzate “da Mussolini”; questo in particolare mi è stato riferito da tutti quelli, di qualunque età, che abitano ancora la collinetta in contrada Pasquale ove si trova la chiesa diroccata costruita nel 1931. Nel relativo post avevo ipotizzato che l’Istituto VEIII avesse potuto pianificare un’eliminazione del locale nucleo abitativo, in applicazione dei principi propugnati da Mangano, ma prima che ciò potesse avere luogo la gestione locale passò all’ECLS che vi iniziò borgo Callea; questo poi venne terminato dall’ERAS, che costruì anche i fabbricati oggetto del presente post. Gli agricoltori della valle del Tumarrano sono passati attraverso una guerra, due regimi di governo e tre enti di gestione senza accorgersi delle differenze; per loro, le iniziative riguardo all’agricoltura locale restano sempre e solo “di Mussolini”.

Non solo molti abitanti del luogo sono convinti che i due edifici siano stati realizzati dal regime; ma Borgo Pasquale è stato addirittura oggetto di esercitazione del corso di uno degli insegnamenti universitari tenuti presso il polo di Agrigento; e ciò in quanto la costruzione dell’edificio veniva fatta risalire al 1942. Quindi, nel presente caso l’Errore di Wikipedia sarebbe un “peccato veniale”, se persino negli ambienti accademici la datazione era riferita al ventennio fascista.

Ma, fascista o meno, la questione relativa a borgo Pasquale è, a mio modo di vedere, un’altra. Sebbene Piana della Ficuzza sia un luogo relativamente fuori mano, borgo Pasquale si trova a meno di venti metri dal ciglio della SP 26, ed a prescindere dalla reale epoca di realizzazione costituisce uno degli elementi più suggestivi, e surreali, della Valle del Tumarrano. Anche solo questo, dovrebbe essere sufficiente a costituire un motivo per evitarne il completo disfacimento.


mercoledì 11 marzo 2015

LA VIA DEI BORGHI.37: La settima fase dei borghi rurali siciliani. L'EREDITA' DELL'ECLS: i borghi misti



I borghi misti

Una volta caduto il veto sulla organizzazione degli agricoltori in comunità non direttamente controllate, e di conseguenza venuta meno la necessità di attenersi al modello della “Città Rurale”, iniziarono le realizzazioni di centri misti, veri e propri villaggi dotati di residenze e servizi. Anzi, considerando il numero di borghi misti progettati o almeno pianificati, questa era proprio la direzione in cui si muoveva l’ERAS. In linea strettamente teorica, sarebbero solo questi villaggi a rappresentare delle vere “città di fondazione”; i borghi ECLS non prevedevano “cittadini” che non fossero i soggetti materialmente demandati ad erogare i servizi, e di conseguenza, come puntualizzato dall’ECLS, per deliberata scelta strategica, non erano destinati ad espandersi, a venire popolati:”Finalità di tali Centri, è quella di costituire i servizi civili per la popolazione rurale di un determinato territorio circostante ai Centri stessi; eppertanto essi dovranno essere concepiti come modesti Borghi rurali, non destinati –in linea generale – ad ampliamenti per incrementi demografici che li porterebbero fatalmente a costituire il nucleo iniziale di future città di contadini…”. Era pertanto esplicitamente escluso che essi potessero costituire i nuclei di fondazione di città nuove, ed infatti così è stato, per tutti i borghi ECLS. Nessuno di essi è mai divenuto una “città nuova”.

Tra le due soluzioni (vero villaggio, o agglomerato residenziale con relativo borgo di servizio), la seconda, quella che risente dell’eredità dell’ECLS, sarà la più frequente. La carta di pianificazione dei borghi aggiornata al primo gennaio del 1956 non rispecchia, comunque, fedelmente tale scelta. I “borghi residenziali” segnati come tali sulla mappa, sono in effetti meno di quelli realmente esistenti; molti di essi sono marcati come “borghi di servizio”. Invece, in molti casi, si verificò la situazione esattamente opposta: i nuclei di case coloniche vennero costruiti, ma i relativi borghi di servizio non vennero mai realizzati



Gli esempi paradigmatici di quanto brevemente descritto sopra sono costituiti dai borghi oggetto del presente post.

Nella prima metà degli anni Cinquanta vi furono infatti due interventi dell’ERAS volti a realizzare nuovi villaggi. Per ambedue il nucleo dei servizi era costituito da un borgo di tipo “A”, ma soltanto uno dei due poté costituire l’embrione di una “città di fondazione”; o, almeno, a qualcosa che tale era nelle intenzioni, e tale sarebbe potuta divenire nella pratica se non fosse precocemente abortito. Di contro, l’altro operò su una città di fondazione che esisteva già, e di cui si è già parlato, e cioè Libertinia. Anzi, Libertinia sia dal punto da vista storico sia da quello urbanistico, era una città di fondazione a tutti gli effetti, un “borgo misto” nel senso più stretto dell’accezione, considerato che racchiudeva nel perimetro urbano le abitazioni ed i servizi. Eppure, sulla carta di pianificazione dei borghi è segnata come “borgo di servizio”



l’altro centro che, pur essendo composto da un effettivo borgo di servizio, posto nei pressi di agglomerati residenziali, veri borghi costituiti unicamente da unità abitative, è invece segnalato come “borgo residenziale”




Intendo riferirmi, Lettore, all’unico borgo di tipo “A” la cui esecuzione sia stata pianificata, progettata e condotta a termine interamente e solo dall’ERAS: il villaggio Enrico La Loggia.


Villaggio Enrico La Loggia

Il Villaggio La Loggia è incluso nell’elenco di Wikipedia tra le città fondate nel 1941-43, come i borghi oggetto del post precedente. A prescindere da ogni altra considerazione, è improbabile che il regime fascista decidesse di intitolare un borgo rurale proprio ad Enrico La Loggia, che di certo non era un “martire fascista” . E questo non soltanto perché nel 1943 Enrico La Loggia fosse vivo e vegeto; ma anche in considerazione del fatto che i rapporti tra l’ex deputato ed il regime erano tutt’altro che idilliaci, tanto che egli era stato sottoposto a misure restrittive, e sorvegliato da agenti governativi. Quindi, sebbene nulla sia totalmente impossibile, resterebbe comunque estremamente improbabile il fatto che il regime potesse aver dato il suo nome ad un borgo rurale.




Prescindendo da ciò, Borgo La Loggia rappresenterebbe comunque il terzo tentativo di costruzione di un borgo rurale nella zona, dopo borgo Burrainiti e Borgo Africa, trovandosi esso a meno di quattro chilometri in linea d’aria dalla zona in cui avrebbero dovuto vedere la luce i primi due.

Vero è che sarebbe anche stato possibile che il borgo fosse nato con altro nome, e dedicato successivamente a La Loggia seguendo, anche se attraverso due diversi regimi di governo, un iter per certi versi simile a quello di Borgo Bassi; ma in effetti così non è, anche se in un certo senso, vi sono delle analogie. Così come accadde per borgo Bassi, per il quale la denominazione di progetto era originariamente quella della località prevista (“Borgo Ummari”) e ne venne cambiata l’ubicazione, lo stesso avvenne per il Villaggio La Loggia.

In effetti, la denominazione del borgo negli archivi ERAS è precisamente “Borgo Rurale di tipo A in contrada Grancifone”, e solo successivamente verrà dedicato a Enrico La Loggia; ma il progetto resta comunque del 1953




E sempre come per Borgo Bassi, vi deve essere stato anche un cambio di ubicazione che avrebbe portato a modifiche del progetto originario; anche se esso non viene esplicitamente menzionato, questo sembrerebbe desumibile da quanto riportato nella relazione tecnica di progetto:

Il borgo dovrà sorgere in una zona […] della collinetta denominata Grancifone sulla corografia dello Stato Maggiore. Il borgo è sistemato […] tra la quota 241 e la quota 255. Così il borgo è circondato dalla rotabile dal lato di levante e colla rotabile ha accesso quindi sia dal basso che dall’alto. La pendice sulla quale è impiantato il borgo ha una pendenza media del 13% e guarda presso a poco il Nord”.

In realtà la pendice sulla quale si trova il borgo guarda il Sud, ha una pendenza del 18%, il borgo si trova sotto quota 240 e la rotabile circonda il borgo a ponente. Risulta chiaro dalla descrizione che l’ubicazione originariamente prevista fosse diversa, e questa è inequivocabilmente identificabile con il versante Sud della vallata del torrente Grancifone, a monte dell’agglomerato denominato Falca 2 sulle carte IGM.




Identificazione che peraltro trova conferma nella corografia acclusa alla stesura originale




Il borgo venne progettato a servizio delle abitazioni realizzate nell’ambito del piano di ripartizione nr 13, i cui terreni furono conferiti dalla ditta Maria Grazia Giudici, per un’estensione complessiva di Ha 300.32.54. L’area, escludendo la superficie destinata a borgo ed abitazioni, fu suddivisa in 73 lotti, per i quali furono realizzate 72 case; il lotto residuo (nr 7) venne destinato alla realizzazione di parte delle abitazioni.

Le settantadue case furono infatti realizzate solo in parte lungo la strada di accesso all’area del piano di ripartizione




per la parte rimanente, vennero raggruppate in due agglomerati in contrada Falca, individuati dai toponimi Falca 1 e Falca 2 sulle carte IGM.

Le abitazioni consistevano in una cucina-soggiorno, due camere da letto, servizi igienici, stalla, porcile, pollaio e tettoia, per un totale di circa 100 mq; ad ognuna di esse era annessa un estensione di terreno di 900 mq circa da adibire ad orto. La struttura è in muratura portante costituita da conci di tufo, con architravi in calcestruzzo armato per porte e finestre e solai in laterocemento.




Sul lotto 7, nel raggruppamento Falca2 venne prevista anche una scuola distaccata




Una tale soluzione nell’organizzazione dei servizi apparirebbe quantomeno strana, sebbene, in un certo modo, giustificata con la distanza eccessiva interposta tra il lotto 7 ed il borgo, e che gli alunni sarebbero stati costretti a percorrere; i villaggi Falca1 e Falca2 infatti rientrerebbero pienamente nel raggio d’influenza previsto per un borgo di tipo “A”. Nel 1960 venne pianificata anche la costruzione di una chiesa, sempre sul lotto 7, accanto alla scuola




e che quindi si sarebbe trovata, in linea d’aria a soli 1100 m da quella del borgo. Sebbene il progetto di questa sia stato redatto




essa, contrariamente alla scuola, non verrà mai edificata




La presenza di un “vero” sottoborgo misto, residenziale e di servizio, all’interno del raggio di influenza di un borgo di servizio in senso stretto, realizza la condizione di cui si tratta nel post, e cioè quella di un borgo misto progettato non come villaggio ab inizio, ma ricercando un compromesso tra l’originaria organizzazione della città rurale e la realizzazione di un vero agglomerato urbano.

Sulla mappa dei borghi aggiornata al 1 gennaio del 1956, il borgo residenziale appare in costruzione, così come è in costruzione anche un borgo di tipo “C” all’interno del raggio di influenza, che evidentemente si riferisce a scuola e chiesa sul lotto numero 7. E’interessante notare che nel luogo in cui si sarebbe dovuto realizzare Borgo Africa risulta pianificata la realizzazione di un altro borgo di tipo “C”, sempre all’interno del raggio di influenza di borgo La Loggia; per quasi un ventennio si è comunque insistito nel tentare di costruire in quel luogo senza riuscirvi.




E come risulta evidente, mentre il borgo di servizio è segnato come “borgo residenziale”, il borgo di tipo “C” all’interno del raggio, che invece sarebbe stato un vero borgo misto, viene riportato con la simbologia dei borghi di servizio.

L’incarico della progettazione venne affidato a Salvatore Caronia Roberti, all’epoca professore di Architettura Tecnica dell’Università di Palermo. Caronia Roberti, molto attivo nella prima metà del XX secolo, soprattutto a Palermo, era il padre di Giuseppe Caronia, progettista di Borgo Borzellino.

Caronia Roberti così descrive l’impianto del Borgo: “L’asse principale della composizione urbanistica ha la direzione di poco discosta dal Nord-Sud, gli edifici sono distribuiti a proscenio sul fronte a nord, con il criterio di un crescendo volumetrico dal basso verso l’alto e coll’insieme dominato dalla Chiesa. L’altro criterio nella distribuzione è stato quello di una convergenza degli edifici procedendo dal basso all’alto in modo che questi formino delle quinte scenografiche al fondale costituito dalla Chiesa”. Una particolare attenzione nella disposizione dei fabbricati sarebbe inoltre stata finalizzata a mettere “in evidenza anche da lontano tutti gli edifici del borgo con qualche gradevole effetto di insieme paesistico”.




L’impianto in realtà è stato pensato per evitare il più possibile i (costosi) movimenti di terra che sarebbero stati necessari per realizzare una disposizione più classica, con fabbricati disposti ai margini di una piazza dotata di una o più strade d’accesso. La strada d’accesso invece si biforca in corrispondenza dell’accesso Est del borgo, ed i due rami della biforcazione sono congiunti ad Ovest da un tornante; i fabbricati sono disposti tra quest’ultimo e la biforcazione, lungo i versanti NordEst dei suoi rami, a circoscrivere “due spiazzi, uno carraio in prossimità della strada e l’altro pedonale alla quota media dei servizi pubblici




Il ramo più a monte in realtà consta di due assi viari paralleli che decorrono a quote diverse, sfalsati




Il primo edificio posto all’ingresso del borgo sul ramo più a Nord della biforcazione è l’ambulatorio medico




La relazione tecnica di progetto ne fornisce una descrizione difforme da quella ricavabile dagli elaborati grafici (poi messa in pratica nella realizzazione) includendolo nel medesimo corpo di fabbrica destinato a delegazione municipale ed uffici dell’Ente




Nella realizzazione, ed in accordo con quanto riportato in planimetria, ambulatorio medico e delegazione municipale, con uffici dell’Ente




occupano due fabbricati distinti, contigui, ambedue su due elevazioni fuori terra. Sul medesimo versante della strada si trova la chiesa




con annessa canonica




A navata unica




con campanile a vela, richiama in qualche modo quella di borgo Baccarato




Nella determinazione della capienza, circa 200 posti in totale, furono forse sottostimate le ipotetiche necessità (settantadue gruppi familiari, più i residenti all’interno del borgo stesso); questa potrebbe essere una delle motivazioni che condussero alla formulazione del progetto di una seconda chiesa.

L’ultimo edificio posto sul versante Nord della strada è la palazzina degli alloggi degli addetti al borgo, anch’essa su due elevazioni




e che si trova all’imbocco del tornante che congiunge i due rami della strada d’accesso




L’unica costruzione che si sviluppa su singola elevazione è il magazzino con stalla




si trova nella concavità della curva descritta dal tornante, poco più a monte delle restanti costruzioni che sorgono lungo il margine del ramo Sud della biforcazione.

Qui sorgono due edifici, quello più ad Ovest destinato a trattoria e locanda




e quello più ad Est sede della caserma dei carabinieri e dell’ufficio postale




Quest’ultimo è separato dalla scuola da uno dei “due spiazzi”quello “pedonale alla quota media dei servizi pubblici




Qui si trova la fontana-bevaio, la cui ubicazione era originariamente prevista tra trattoria e stazione dei carabinieri, e che nella relazione tecnica è menzionato come “in progetto”, ma il cui progetto alla fine risulterà identico a quello utilizzato per Borgo Lupo e Borgo Manganaro, e che si sarebbe dovuto usare per Borgo Africa




così come sempre sul medesimo progetto sarebbe stato basato l'abbeveratoio nei pressi di Mongialino, posto alla confluenza tra SP 182 e SP 179, la cui costruzione fu iniziata ma mai portata a termine.  Il progetto in realtà non è altro che quello di uno degli "abbeveratoi tipo" dell'ECLS




Oltre l’abbeveratoio, posto in corrispondenza del ramo inferiore della biforcazione, si trova la scuola




Anch’essa su due elevazioni, comprende due aule e due alloggi per gli insegnanti, oltre ai locali di servizio




L’accesso alla scuola ed all’area circostante, così come per altri edifici e più in generale per gli spostamenti all’interno del borgo, si avvale di scalinate, necessarie per superare le pendenze. La loro presenza era già stata preventivata in fase di progetto (“Soltanto lungo l’asse principale della composizione […] si sono progettati muri di sostegno, cordonate e scale […]”) ma la variazione dell’ubicazione e conseguentemente delle pendenze ha evidentemente reso necessario un ulteriore sviluppo di tali strutture




Le costruzioni sono realizzate in muratura portante di pietrame calcareo, con scale in cemento armato, e solai in laterocemento.

Sia gli edifici,sia scale, muri e cordonate sono caratterizzati dalla presenza di struttura in pietra a faccia vista, per deliberata scelta progettuale, “in modo da evitare intonaci in prossimità del terreno”.

L’approvvigionamento idrico è stato garantito dalla captazione di due sorgenti sul fianco del Monte Narbone; queste alimentano un serbatoio posto a quota 260 circa, a NordOvest del borgo




Le stesse sorgenti dovrebbero servire le unità abitative




La scuola distaccata costruita sul lotto 7 è strutturalmente in buone condizioni; sembra attualmente occupata da privati, probabilmente usata come residenza estiva




Le case risultano in gran parte occupate, ma i servizi del borgo sono inesistenti; gli edifici sono dati in uso a comunità, nonostante la cessione al comune di Agrigento non sia mai stata formalizzata. Ciò, se da una parte è servito a mantenere integre le costruzioni, dall’altra ha di fatto bloccato l’evoluzione verso un reale centro abitato di uno dei pochi progetti di ciò che avrebbe potuto definirsi, a tutti gli effetti, una “città di fondazione”.

Tuttavia, il solo mantenimento dei servizi non è sufficiente a garantire una tale evoluzione quando sorgono ostacoli di diversa natura. Ed un esempio di ciò è costituito da Libertinia


Libertinia


La fondazione di Libertinia è stata sommariamente descritta in un post precedente. Le origini sono state inquadrate nell’ambito di ciò che avevo definito “fase parallela”, che accomunerebbe tutte le “città di fondazione” della prima metà del ventesimo secolo che possano definirsi tali in senso stretto, cioè quelle il cui nucleo, oltre alla presenza di servizi, prevedeva anche quella di “cittadini”, di residenti. E ciò nonostante già a partire almeno dalla seconda metà degli anni Venti, una tale organizzazione urbanistica venisse fortemente avversata in Sicilia.

Come brevemente esposto nel post precedente, l’ambizioso esperimento di trasformazione fondiaria di Pasquale Libertini avrebbe stimolato la migrazione interna di contadini, soprattutto dalle province di Ragusa e Siracusa, prevedendo la costruzione, oltre che della casa padronale, di 60 case, di una scuola, una chiesa, un ufficio postale, uno spaccio, diversi forni, una caserma, un ambulatorio, un acquedotto che avrebbe captato l'acqua dalle sorgenti di Mandre Bianche, di una grande stalla con caseificio, di un mulino, ed inoltre di magazzini nei pressi della stazione ferroviaria Saraceni nonchè di strade poderali per Km 19 circa.

Nel 1930, Libertinia divenne frazione di Ramacca, e così vi fu istituita una delegazione podestarile. La vicina stazione ferroviaria “Saraceni” divenne “Libertinia”, e Pasquale Libertini si impegnò a realizzare un cimitero, l’illuminazione pubblica, e a completare il sistema di viabilità interno nonché quello di accesso. I lavori per per collegare la stazione di Libertinia con l’abitato iniziarono nel 1935, l’anno dopo la pubblicazione della monografia, di Gesualdo Libertini e Nunzio Prestianni, che descriveva il progetto.

Come visto nel post precedente, il progetto urbanistico non giunse mai alla fine; Pasquale Libertini morì nel 1940, e gli eredi non avevano né probabilmente le capacità né sicuramente l’interesse a portarlo definitivamente a termine. Cedettero così al comune di Ramacca le strutture del villaggio con il relativo terreno, più otto ettari di terreno circostante.

Ma l’evoluzione dei tempi aveva precocemente reso “preistorico” (usando la stessa espressione dell’allora parroco di Libertinia) ciò che appena due decenni prima era ritenuto innovativo. Per gli agricoltori che alla fine degli anni Venti si erano trasferiti da pagghiari o ingrottati in case in muratura, il salto di qualità era stato notevole. Ma negli anni Cinquanta, le case costituite, in pratica, da un singolo vano, l’assenza dell’acqua corrente, della corrente elettrica, di servizi realmente efficienti, ed anche del cimitero, erano anacronistici.

Fu in tale contesto che si inserì l’incarico dato all’ERAS di completare il villaggio realizzando o sostituendo le strutture carenti; nella relazione tecnica, datata 11.7.1952, la condizione di Libertinia viene così descritta:

Può affermarsi che la popolazione di Libertinia vive in uno stato di arretratezza che mortifica chiunque ha motivo di visitare il villaggio e pertanto appare quanto mai giustificato, urgente e necessario, l’intervento dello Stato per realizzare quel minimo di attrezzatura civile che risponda alle esigenze di vita sociale del contadino”. L’ERAS aveva già costruito nel comprensorio (Piano di Ripartizione nr118) 170 abitazioni, 47 delle quali in corrispondenza del limite Ovest del villaggio




La realizzazione dei servizi avrebbe quindi configurato la costruzione di un borgo di tipo “A” a servizio degli assegnatari dei lotti previsti dal piano di ripartizione.

Il progetto, redatto dai Servizi Ingegneristici dell’Ente, prevedeva la realizzazione di un asilo con abitazione per l’insegnante




di una scuola elementare




di un ambulatorio medico




e di un grande edificio che avrebbe ospitato ufficio postale, delegazione municipale e caserma dei carabinieri




La chiesa, danneggiata durante il conflitto mondiale, sarebbe stata in parte demolita e ricostruita, ed integrata da canonica




In giallo sono marcati gli edifici costruiti da Pasquale Libertini, in azzurro quelli costruiti dall’ERAS; i rimanenti fabbricati sono le case coloniche costruite dall’ERAS, di cui alcune hanno subito profondi rimaneggiamenti




Erano inoltre previsti la sistemazione dell’accesso al borgo e della viabilità interna, il rifacimento dell’acquedotto, con la costruzione di un serbatoio




e la realizzazione di fontanelle lungo le strade




e dell’impianto elettrico. Le uniche strutture non comprese nel progetto ERAS, necessarie per il totale completamento di Borgo Libertinia, erano l’impianto fognante ed il cimitero.

La ricostruzione della chiesa




parziale, segue il progetto originario




la canonica è collegata ad essa. Asilo infantile




e scuole elementari




si trovano lungo la via Sebastiano Tusa allineate con la chiesa




La funzione degli edifici è marcata da scritte in rilievo, che ricordano quelle presenti a Borgo Schirò. E’ possibile che questo, unitamente al lungo portico ad archi che caratterizza la scuola




abbia contribuito a generare l’Errore, per cui diverse persone hanno ritenuto che gli edifici fossero stati realizzati durante il ventennio fascista. Abbastanza curiosamente, lo stile del porticato non è quello del progetto originale, in quanto era previsto che il portico fosse formato da piattabande




Gli altri edifici costruiti dall’ERAS si trovano dalla parte opposta dell’abitato, lungo l’attuale via Mario Rapisardi. Ad Est vi è l’unica, grande, costruzione che ospita ufficio postale




delegazione municipale




e caserma dei carabinieri




Più ad ovest, sul versante opposto della via, di fronte la caserma, si trova l’ambulatorio




Tutti gli edifici, con l’eccezione della canonica si sviluppano su due elevazioni. La struttura è in muratura portante, con solai in laterocemento.

L’acquedotto, oltre le opere di captazione (sempre della medesima sorgente in località Mandrebianche) e le condutture, comprende un serbatoio




ed alcune fontanelle




Il serbatoio si trova più ad Ovest della chiesa, con una piezometrica relativamente ridotta




Il progetto fu approvato dal CTA in data 6.8.1952, per un importo di £ 171 700 000; la concessione da parte dell’Assessorato avvenne come realizzazione ERP (Edilizia Residenziale Pubblica) e riporta la data dell’otto novembre 1952.

I lavori vennero eseguiti dall’impresa Goffredo Ziino e l’inaugurazione avvenne nel giugno del 1955; questa:




è la planimetria risultante al termine dei lavori.

Essa è ormai abbastanza diversa dalla planimetria dell'originario progetto di Pasquale Libertini; ed, abbastanza ovviamente, anche la toponomastica è stata radicalmente cambiata, se non altro per cancellare ogni riferimento al deprecato Ventennio.

In questo, sarebbe rimasto un solo legame con il progetto originario: il riferimento al nome del fondatore. Ma neanche tale legame si è, alla fine, potuto mantenere. Superdavidone© (persona poliedrica e molto attiva, sia nel mondo virtuale sia in quello reale) mi ha fatto notare qualcosa di cui non mi ero accorto, e che invece lui ha prontamente colto e documentato (l'immagine è sua)




Così, a rigore, l'intervento ERAS, oltre a sconvolgere planimetria e toponomastica, avrebbe anche dovuto rendere "Libetinia" l'originale Libertinia; ma per fortuna, almeno questo trauma ci è stato risparmiato.

Libertinia fu “ceduta” al comune di Ramacca, seguendo la discutibile interpretazione della legge nr 890, il 19 febbraio 1956 pur essendo comunque di proprietà di questo, e nonstante, come specificato prima, la costruzione del borgo sia stata inquadrata nell’ambito dell’Edilizia Residenziale Pubblica; ma proprio questo sarebbe stato l’unico caso in cui una cessione formale avrebbe avuto un senso; anche se non quello delle legge 890.

Sebbene Libertinia sia stata una vera città di fondazione, comprendente abitazioni e servizi, e popolata incentivando gli agricoltori a trasferirvisi (persino Roma fu fondata e popolata basandosi sugli stessi principi) il numero degli abitanti impiegò mezzo secolo a raddoppiare, per poi decrescere nuovamente. Un contenzioso tra il comune di Ramacca ed residenti, nato nella seconda metà degli anni Sessanta, portò al sequestro di beni di questi ultimi, seguito dalla loro riacquisizione. Anche se la seconda metà del ventesimo secolo assistette, complice proprio la Riforma Agraria del 1950, al progressivo spopolamento dei centri rurali, il contenzioso non favorì certo lo sviluppo di Libertinia; nel 2001 il numero dei residenti era inferiore a quello del 1927. E ciò nonostante l’ampliamento del borgo ad opera dell’ERAS, con il quale le intenzioni di Pasquale Libertini potevano dirsi realizzate. Solo fognature e cimitero mancavano al completamento; l’onere della realizzazione di questi fu allora assunto direttamente dal comune di Ramacca, nel 1954.


DECOMPOSIZIONE DI UN CIMITERO

Un cimitero è un’entità inusuale per un borgo rurale. Non dovrebbe esserlo in generale, ma è ovvio che lo sia nel caso particolare dei borghi rurali siciliani: in considerazione dell’assoluto divieto ai contadini di abitarvi, non era previsto che qualcuno “morisse” in un borgo ECLS. Gli unici residenti nel borgo erano coloro che erano deputati ad erogare i servizi; raggiunta l’età della pensione, sarebbero andati a morire in un altro luogo. Escludendo, forse, il parroco, un decesso in un borgo ECLS avrebbe costituito un’inaspettata eccezione, improvvisa e accidentale; ed infatti, quando venne resa pubblica la classificazione della tipologia dei borghi, “A”, “B” o “C”, per nessuno di essi era previsto un cimitero tra i servizi. Con la nascita dell’ERAS la situazione non cambiò; sebbene fossero variati i criteri, consentendo la realizzazione di borghi residenziali o misti, la classificazione dei borghi di servizio fu acriticamente mutuata dall’Ente predecessore, e con essa l’assenza di cimiteri.

Il fatto più strano è che un cimitero non venne neanche previsto per le altre due città di fondazione nel senso più stretto della definizione di cui si è parlato qui: Pergusa e Santa Rita. Così, l’esplicita menzione di un cimitero nel progetto originale rende Libertinia ancor più peculiare nel panorama dei borghi rurali del Ventesimo secolo. E tale peculiarità avrebbe dovuto rendersi evidente alla mente, e meritare se non una trattazione, almeno una considerazione.

Ma se non si rende evidente alla mente, si rende evidente all’occhio, specialmente se un “occhio clinico”. E Diego Perez, essendo un (quasi) architetto, l’occhio clinico ce l’ha eccome, ed ha subito individuato la struttura realizzata dal comune di Ramacca, segnalandola prontamente.

Si trova a 500 m in linea d’aria dall’abitato, a sud di esso, e può essere raggiunta dalla strada che fiancheggia la chiesa, e lungo la quale si trova il serbatoio. La strada conserva ancora le tracce dell’originaria pavimentazione in pietra




ma è ormai perlopiù uno sterrato. Il quale dopo 700 m giunge ad un piazzale dove si erge una costruzione che si continua in una cinta muraria




che delimita un’area di 25x40 m. La costruzione, con portico all’ingresso




avrebbe ospitato i servizi (uffici, camera mortuaria, servizi igienici)




mentre l’area interna è divisa in due livelli da un gradone




Sul lato opposto a quello dell’ingresso vi è una minuscola cappella; null’altro




Le strutture sembrano finite, ma la costruzione sembra si sia fermata prima di realizzare decorazioni ed arredi; sicuramente, mai nessuno ha trovato sepoltura lì. E nessuno la troverà mai. La cinta muraria ha ceduto a SudEst tra il 2010 ed il 2013




La struttura, pensata per accogliere i defunti, sta invece morendo essa stessa, decomponendosi nella più assoluta solitudine




Non può avere un diverso utilizzo, e quindi non è concepibile pensare ad alcuna forma di recupero. Adesso che il disfacimento è iniziato, procederà inesorabilmente ed irreversibilmente verso la totale distruzione. Ergendosi a perfetto simbolo della storia dell’agricoltura siciliana.

Riguardo alla quale, nulla sarà mai più come prima.