domenica 24 luglio 2022

IL MOSTRO DI FIRENZE, OVVERO LE OPINIONI, PARMENIDE, CARTESIO E LA RICERCA DELLA VERITÀ: POST Post Scriptum



Once upon a time a man painted half his car white and the other half black. His friends asked him why he did such a strange thing. He replied: ‘Because it is such fun, whenever I have an accident, to hear the witnesses in court contradict each other.’

Edward De Bono




Raramente, Lettore, mi accade di salire su un traghetto. L'ultima volta é accaduto circa due mesi fa. Il traghetto era fermo in banchina, ed io stavo seduto sul ponte, guardando in direzione della diga foranea, che si trovava proprio di fronte a me, ad una distanza di meno di un chilometro. Improvvisamente, la diga foranea cominciò a spostarsi verso destra. Era chiaramente un'illusione; in realtà il traghetto aveva iniziato a muoversi verso sinistra, e lo aveva fatto senza il benché minimo incremento di vibrazioni o di rumore. Nessuna alterazione era percepibile con i sensi, all'infuori dell'apparente spostamento della diga.

Realizzare come stessero effettivamente le cose fu questione di una frazione di secondo; ma in quella frazione di secondo, l'illusione di movimento della diga fu tanto realistica da farla sembrare reale.

Questa "illusione", ed il concetto che essa sottende, portò la mia mente ad alcune riflessioni riguardo all'illusionismo in generale e, per analogia con ciò che avevo appena vissuto, ed in particolare il numero che l'illusionista David Copperfield (al secolo David Seth Kotkin) condusse nel 1983, e che consisteva nella sparizione della Statua della Libertà, al centro della baia di Manhattan.




Prima che Claudia Schiffer svelasse al mondo il trucco sul quale il numero era basato, e cioè l'insensibile rotazione della piattaforma sulla quale si trovavano gli spettatori e gli strumenti da ripresa, avevo cercato di immaginare in cosa, in effetti, potesse consistere il trucco. Ero giunto a pensare ad un qualche sistema ottico interposto tra l'osservatore e l'oggetto, che deviasse i raggi luminosi facendo sì che gli spettatori stessero in realtà guardando da un'altra parte; ma mi trovai a dover scartare questa possibilità, data la complessità tecnica, insormontabile, della sua realizzazione. Era impossibile.

Certo, era impossibile come l'avevo pensato io; ma il principio, in teoria, era corretto: lo spettatore, quando non vedeva la Statua, stava in realtà guardando in un'altra direzione. Ma nella pratica cercavo di trovare una soluzione a questo problema che era materialmente inattuabile. David Copperfield, avrei scoperto dopo, invece aveva trovato una soluzione ben più semplice, quasi banale, per ottenere lo stesso effetto. E qui sta la differenza tra il ragionamento di una persona comune, e quello di un professionista dell'illusionismo.

Perché mai non presi in considerazione ciò che era ovvio e banale, impantanandomi invece nella ricerca di una soluzione impossibile? Dove stava l'elemento psicologico che sfrutta l'illusionista, per cui le spiegazioni di ciò che vediamo sono di realizzazione tanto complessa da essere impossibili, cosicché ciò che vediamo rasenta la "magìa"?

Nel caso specifico, tutto dipendeva dall'assunto per il quale era l'oggetto della sparizione che avrebbe dovuto subire qualche forma di manipolazione, non mai l'osservatore. Fu questo a condurmi dal ragionamento teorico corretto (l'osservatore guarda in un'altra direzione e non vede la Statua) a quello pratico impossibile (poiché l'osservatore non si é spostato, e la Statua non può essere stata spostata, il trucco deve stare nel mezzo).
L'inganno sta nell'assumere che quel "poiché l'osservatore non si é spostato" sia certo e verificato; e dove é scritto che l'osservatore non si sia spostato?

Questo approccio inusuale alla valutazione degli elementi che compongono un problema, diverso dal pensiero lineare che caratterizza il ragionamento logico tradizionale, é attualmente identificato dall'espressione "pensiero laterale".

L'espressione "lateral thinking" fu coniata da Edward de Bono, e portata all'attenzione dei lettori nel 1967 con il libro "The use of lateral thinking"; ma fu nel 1985 che raggiunse il grosso pubblico con il libro "Six thinking hats".




Ed era proprio il 1985, o giù di lì, quando era in voga in Italia (e probabilmente anche altrove) una sorta di gioco di società, condotto da un "narratore", che consisteva nel narrare una breve storiella costituita da un prologo ed un epilogo. I giocatori, attraverso domande mirate al narratore, dovevano riuscire a dedurre quale fosse l'antefatto dal quale la storiella aveva avuto origine.

Molto più frequentemente, la storiella trattava di un tale che, passando nei pressi di un ristorante, vede pubblicizzata la possibilità di mangiare carne di albatros e per questo, entra nel ristorante e la ordina. L'epilogo era il suicidio del tale all'uscita del ristorante: perché il tizio si era suicidato dopo aver mangiato carne di albatros?

Dalle mie parti girava un'altra storiella, di gran lunga migliore a mio parere, che vedeva un professore universitario di Medicina, in una città imprecisata, amputare il braccio di un cadavere "fresco" appena giunto in sala settoria; il reperto veniva quindi avvolto in panno, inserito in una valigetta termica, e consegnato ad una persona di fiducia del professore. Questo era il prologo. La persona di fiducia saliva in automobile, e si recava in un'altra, lontana, città. Bussava alla porta di una casa e mostrava, a chi gli aveva aperto, il contenuto della valigetta. Chi aveva aperto la porta si limitava ad annuire in silenzio, ed il messo andava via. Dopo aver ripetuto, con altre sei persone, la medesima procedura, ritornava in istituto dove il braccio veniva riposto insieme al cadavere da cui era stato prelevato.

Il "narratore", ruolo che ho svolto parecchie volte, non poneva alcuna limitazione alla natura o alla forma delle domande, ove si escludessero domande dirette riguardo alla soluzione (come ad esempio: "Qual é la soluzione?")

Questo tipo di enigma ha più di recente assunto la denominazione di "indovinello regressivo", e la sua soluzione prevede un uso preponderante del "pensiero laterale".

L'impressione che ricavavano i giocatori all'inizio del gioce era che un breve episodio descritto in maniera così vaga avrebbe potuto essere provocato da una miriade di circostanze diversissime; ed anche il narratore, almeno le prime volte in cui svolgeva tale ruolo, temeva di potersi trovare in difficoltà, qualora fosse venuta fuori una soluzione inaspettata, diversa da quella codificata. Procedendo nel gioco, però, ci si accorgeva di come le ipotesi, alla fine, fossero invariabilmente costrette a convergere verso quell'unica soluzione. Ogni possibile diversa ipotesi finiva, prima o poi, per scontrarsi contro la logica; o almeno, contro la totale assenza di motivazioni che la sorreggessero.

Riguardo al "Mostro di Firenze", posti di fronte all'evidenza che qualunque tipo di indagine condotta con metodi investigativi tradizionali, in più di mezzo secolo non é stata in grado di cavare un ragno dal buco, forse sarebbe ora di cominciare ad usare metodi alternativi; tanto più che il mezzo secolo trascorso rende sempre più difficile usare i metodi tradizionali e sempre più aleatori i risultati raggiungibili: i reperti si sono deteriorati, molte prove sono andate persi, i testimoni sono deceduti... quindi si continua a pestare l'acqua nel mortaio, leggendo e rileggendo sempre i medesimi rapporti, che rimangono identici a loro stessi. Va da sé che se non puoi cambiare gli elementi che hai a disposizione, di fronte al fallimento non ti resta che cambiare il modo di valutarli.

Quindi, la vicenda "Mostro di Firenze" può essere vista come una particolare forma di "indovinello regressivo", di cui Signa costituisca il Prologo, e la serie omicidiaria da Rabatta in poi l'Epilogo. L'antefatto da trovare sarebbe la motivazione dell'evento di Signa, che poi, per ovvi motivi, coinciderebbe con l'origine del "Mostro".

Purtroppo, nel caso del MdF manca il "narratore", al quale poter chiedere una verifica delle ipotesi fatte; ma una soluzione, sebbene lunga e tediosa, può venire dal seguire il "cammino" generato dalle diverse ipotesi che riguardano la singola domanda, con modalità analoghe a quelle usate negli algoritmi informatici di "ricerca ad albero". Quando durante il cammino si incespica in una incongruenza, o nell'assenza di motivazioni plausibili di una condizione o azione, l'ipotesi costituita dalle diramazioni e dal ramo che le ha generate andrebbe abbandonata.

E nel caso del "mostro di Firenze" ve ne sono parecchie. Prendiamo in considerazione le prime due elencate su una pagina Web di "fanpage" che la pagina definisce "misteri irrisolti".


Per le ultime tre, non vi può essere discussione nell'ambito di questo post; ma per ciò che riguarda le prime due, possiamo declassarle da "mistero irrisolto" a "banale ovvietà" servendoci del "pensiero laterale" applicato all'"indovinello regressivo".

Vediamo insieme come



Perché Natalino Mele fu lasciato a casa del De Felice?




Una delle primissime incongruenze (o "mistero irrosolto") in cui ci si imbatte in questa storia é la misteriosa motivazione per la quale il piccolo Natalino Mele venne condotto presso una casa distante due chilometri e mezzo, quando ve ne era una (definita "casolare" nella sentenza Rotella) molto più vicina, ad un decimo della distanza.

Quest'ultima si trovava (e si trova tutt'ora) lungo la via Castelletti, a meno di centocinquanta metri in linea d'aria dal luogo del delitto, ed a non più di duecentocinquanta di percorso; percorso tra l'altro molto agevole.

La condizione, al tempo, era più o meno questa.




La casa del De Felice, invece, si trovava ad una distanza dieci volte superiore, ed al termine di un percorso molto più accidentato, e reso ancor più disagevole dall'assenza di illuminazione lunare.




Quale dovrebbe essere la ragione per la quale Natalino sarebbe stato portato a due chilometri e mezzo di distanza, al buio, lungo un sentiero sterrato interroto da cumuli di detriti, anziché "consegnato" molto più agevolmente all'abitazione nei pressi?

Un'opinione diffusa, dichiarata esplicitamente da alcuni, velatamente o allusivamente da altri, vorrebbe che tale comportamento apparentemente assurdo sia stato dettato dalla volontà di lasciare Natalino nelle mani di Silvano Vargiu che all'epoca (verosimilmente) dimorava in una casa che dava sul medesimo piazzale della palazzina ove si trovava l'abitazione del De Felice.

E questo sarebbe stato dovuto al fatto che chi aveva accompagnato Natalino avrebbe avuto con lui un legame di sangue (in pratica, ne sarebbe stato il padre), ed avrebbe altresì avuto un forte legame con il Vargiu (cioè, ne sarebbe stato "l'amante"). E tutto ciò punterebbe nella direzione di Salvatore Vinci.

Fermo restando il fatto che mai Salvatore Vinci avrebbe dimostrato una particolare attitudine ad essere un padre attento e protettivo (basta leggere le dichiarazioni del figlio Antonio), e che le attitudini sessuali di Salvatore Vinci sono state tanto particolarmente quanto immotivatamente enfatizzate dal colonnello Nunziato Torrisi, (il quale, per qualche sconosciuta ragione, pare esser rimasto estremamente impressionato da fatti assolutamente analoghi a quelli che giornalmente e diffusamente si verificavano in ogni campagna sarda, siciliana, lucana e possibilmente anche toscana), nei fatti Natalino suonò il campanello di casa De Felice, e non si rivolse a Vargiu.

Se ricorriamo ad un esempio, possiamo forse valutare meglio la logica che sta dietro alla pretesa per cui Natalino sarebbe giunto lì per venire affidato al Vargiu.

Ammettiamo che io debba consegnare qualcosa di veramente importante a qualcuno che abita in un'altra città, tanto importante da stabilire di non poter fidarmi di alcun corriere o spedizionere.

Decido allora di mettermi in ferie dal lavoro per recarmi personalmente nella città ove risiede il destinatario dell'importantissimo oggetto. Acquisto due biglietti aerei, andata e ritorno, ed una volta giunto nell'aeroporto della città di destinazione affitto un'automobile per recarmi dall'aeroporto alla casa del destinatario.

Una volta giunto nei pressi della destinazione, però, mi rendo conto di come siano vigenti, nella zona in cui abita il destinatario, delle restrizioni alla circolazione stradale, per cui solo i residenti possano accedere con l'automobile alla strada nella quale risiede il destinatario. Allora, cosa faccio? Fermo il primo che passa e che, da residente, ha la possibilità di accedere alla strada... e gli chiedo di consegnare l'oggetto al destinatario al posto mio?!? In pratica, avrei impiegato una quantità notevole di risorse personali, per vanificare il risultato, alla fine per una sciocchezza?!?

Perché chi ritiene plausibile l'ipotesi del Vargiu, sostiene implicitamente questo. Chi ha accompagnato Natalino si é fatto due chilometri e mezzo a piedi, di strada accidentata, al buio, portando a cavalluccio Natalino perché senza scarpe, e arrivato sul posto... non si cura neanche di verificare che Natalino prema il pulsante del campanello giusto?!?

Nella risposta precedente Ti avevo fatto l'esempio degli "indovinelli regressivi" e della logica che consentirebbe di scartare le risposte non corrette alle domande che servono a giungere alla soluzione; ecco, questo é un esempio di come ciò possa avvenire. Ed infatti, in accordo a quanto prima affermato, la logica del "pensiero laterale" consente di trovare la spiegazione che é l'unica ragionevolmente possibile (confrontate alla miriade di ipotesi irragionevoli possibili):

era necessario introdurre un ulteriore intervallo temporale tra l'evento omicidiario e l'allertamento delle forze dell'ordine.

Questa é l'unica spiegazione, tanto ragionevole quanto banale, possibile.

Quindi la domanda da farsi deve essere riformulata. La domanda non é "Perché Natalino é stato condotto alla casa di De Felice anziché in quella più vicina?", ma diviene: "qual era il motivo che rese necessario ritardare l'intervento delle forze dell'ordine di un'ora o giù di lì? Cosa doveva accadere in quell'intervallo di tempo?"

E Ti garantisco, Lettore, che anche alla domanda formulata in questo modo puoi trovare la risposta corretta utilizzando la stessa metodica del "pensiero laterale" applicata all'"indovinello regressivo".

Ma passiamo al secondo "mistero irrisolto" di Fanpage



L'arma non si é mai trovata




Questo è un altro dei paradossi di questa vicenda; ma Lettore, il paradosso non sta nel fatto che l'arma non si trovi, ché questo é esattamente ciò che ci si aspetta. Il paradosso sta nel fatto che ci si meravigli di ciò, che lo si consideri un "mistero".

Vediamo, in dettaglio, il perché.

E' evidente ormai da decenni, dai rapporti di PG, dalle testimonianze, dalle confessioni rese da Stefano Mele e dalla "pista sarda", come Stefano Mele non possa essere stato l'autore del delitto. Non avrebbe avuto né la possibilità, né i mezzi, né la motivazione; secondo la criminologia giallistica mancherebbero "l'occasione, l'arma ed il movente".

Qualcun altro ha compiuto il delitto e, confezionando bene un'occasione (meno bene un movente) ha fatto incolpare il Mele. Ma per l'arma é tutt'altra cosa.

E' stato ripetuto ad nauseam che le armi usate per commettere un omicidio non passano mai di mano perché dall'arma é possibile risalire al suo possessore. Nel corso di mezzo secolo lo hanno detto gli investigatori, i magistrati, i mostrologi... persino io l'ho scritto qui. E se persino un blogger da strapazzo come me é stato in grado di apprendere un tale concetto, possiamo affermare che lo sappiano anche le pietre. E se lo sanno anche le pietre, a maggior ragione lo sapeva benissimo chi agì a Signa.

Ora

SE si doveva far incolpare Stefano Mele, e...

SE dall'arma sarebbe stato possibile ipotizzare chi fosse il vero colpevole

NE DISCENDE OVVIAMENTE CHE il ritrovamento dell'arma avrebbe potuto scagionare Stefano Mele

e, secondo Te, Lettore, se ci si era data tanta pena per far incriminare Stefano Mele, si sarebbe compromesso tutto ciò facendo ritrovare l'arma?!? Ma é lapalissiano che questo sarebbe stato un errore puerile da parte di un "Mostro" che invece aveva costruito il delitto di Signa per un motivo ben preciso! Se si fosse ritrovata l'arma, il costrutto sarebbe crollato come un castello di carte, nonostante la confessione di Stefano Mele; é concepibile che gente capace di tenere in scacco gli inquirenti per mezzo secolo avrebbe commesso un errore così stupido, come quello di consentire il ritrovamento dell'arma? Messa in una borsa, gettata in un canale, lasciata sul luogo... ma dài! Qui, neanche il "pensiero laterale" é necessario.

Proseguendo lungo questa linea, Lettore, si aprirebbero nuovi fonti di ricerca e di interpretazione dei fatti. Ciò però potrebbe conseguire solo a particolari apertura mentale ed amore per la verità, il che nella pratica dovrebbe tradursi in un unico principio: mettere da parte.

Mettere da parte preconcetti e pregiudizi, e mettere da parte interessi economici.

Il primo concetto, come indicato qui, si traduce nel cartesiano "mettere ogni cosa in dubbio, fin dove sia possibile".

Il secondo concetto é quello, mettendo da parte ogni forma di modestia, quello che puoi vedere sempre qui, ma in tutto il blog: niente pubblicità, niente richiesta di abbonamenti... fornire delle informazioni per il solo gusto di farlo, riconoscendo al contempo i limiti della propria interpretazione di esse.

Perché, Lettore, l'informazione dovrebbe essere libera per tutti. Non é nella gelosa custodia delle informazioni che sta la differenza tra gli individui, ma nell'uso che ognuno di essi é capace di farne. Se Tu dovessi avere delle capacità superiori alle mie, usando le informazioni meglio di me, il fatto che io le tenga per me priva la collettività di un potenziale vantaggio.

Devo dire, Lettore, che per quel che riguarda la vicenda MdF, vi sono molti siti Web che mettono a disposizione moltissime informazioni, e senza chiedere nulla in cambio; ma "fino ad un certo punto". Forse sarebbe ora di eliminare il limite costituito da questo "certo punto"; e questo vale anche e soprattutto, per il procuratore Luca Turco


sabato 9 luglio 2022

IL MOSTRO DI FIRENZE, OVVERO LE OPINIONI, PARMENIDE, CARTESIO E LA RICERCA DELLA VERITÀ: Post Scriptum



I gotta admit that I'm a little bit confused. Sometimes it seems to me as if I'm just being used. Gotta stay awake, gotta try and shake off this creeping malaise. If I don't stand my own ground, how can I find my way out of this maze?

Pink Floyd




Sebbene questo post possa apparire come la malcelata intenzione di continuare la serie di post sul "Mostro di Firenze" (cosa che, se non in altro, almeno nei comportamenti mi assimilerebbe ad un "mostrologo"), in realtà esso costituisce solo un ulteriore tentativo di dimostrare come la valutazione dei "fatti" possa risentire pesantemente dei pregiudizi (che sono "opinioni"), e non il contrario, come dovrebbe essere, e cioè che i giudizi non vengano formulati a priori (pre-giudizi) ma seguano una logica basata sui fatti. Ovviamente, non vi é alcuna garanzia che un ragionamento logicamente corretto, basato sui fatti, conduca a conclusioni altrettanto corrette; ma indubbiamente se vi é qualche possibilità di giungere vicini alla verità, o addirittura di sfiorarla, é più probabile che ciò avvenga seguendo ragionamenti corretti.

I ragionamenti logicamente corretti infatti, in assenza di un numero sufficiente di prove o di dati, restano ipotesi, e presentano comunque delle aree di incertezza, delle falle, delle soluzioni di continuo, che vanno colmati con, appunto, la sola logica; ma la logica non sempre é univoca, e diversi tipi di "Logica" possono prestarsi a fare da trait d'union in corrispondenza delle soluzioni di continuo.

La valutazione della validità di una soluzione piuttosto che di un'altra rimane purtroppo soggettiva, e ciò conduce alla formulazioni di diverse ipotesi, tutte possibili, ma più o meno plausibili, anche se, come vedremo, ciò può essere parzialmente ovviato considerando la vicenda del "Mostro di Firenze" alla stregua di un "indovinello regressivo".

Nello specifico caso dell'oggetto di questo post, l'ispirazione é venuta da una sorta di incongruenza apparentemente insanabile (una delle tante, per la verità) che ha fatto la sua comparsa in questa vicenda, e, soprattutto, da come essa sia stata affrontata. Rilevando qualche difficoltà a dirimere le questioni relative, nella fattispecie, alle modalità con i quali si é giunti al recupero del fascicolo relativo a Stefano Mele ed alla sua condanna, ho ricercato e letto quanto ipotizzato da altri.

La suddetta incongruenza non costituisce certo una novità; già ne "la notte del Cittadino Amico", De Gothia scriveva:

Sulla nascita della "Pista Sarda" esiste una leggenda ufficiale di cui tutti dubitano, pur continuando a citarla ed a presentarla come realmente accaduta; al contrario esiste una storia, altrettanto ufficiale, di cui tutti paiono dimenticarsi, salvo citarla una volta ogni dieci anni. Questa dicotomia tra storia e leggenda è da ritenersi ormai del tutto insanabile...

De Gothia(abbastanza ovviamente, per chi ha letto qualcosa sul "Mostro di Firenze") si riferisce alla leggenda secondo la quale si sarebbe giunti ad individuare il duplice omicidio di Signa come uno dei delitti del "Mostro di Firenze" solo sulla base del prodigioso ricordo del maresciallo Francesco Fiori, che nel 1968 si trovava a Lastra a Signa (sebbene non abbia nemmeno partecipato alle indagini).

La storia altettanto ufficiale, invece, tenderebbe ad attribuire ad un anonimo, il "Cittadino Amico", la paternità di una segnalazione che avrebbe messo i Carabinieri sulle tracce dei sardi.

Ed esisterebbero almeno altre due segnalazioni anonime che farebbero parte della "storia altrettanto ufficiale" che consisterebbero nella ricezione, alla caserma di Borgo Ognissanti, di un ritaglio di giornale relativo al processo contro Stefano Mele, ed una (o più d'una) lettera anonima il cui destinatario sarebbe stato Silvia Della Monica

Nello specifico, però, ciò che mi ha spinto ad una riflessione un po' più approfondita sull'argomento é una serie di post che risalgono a cinque anni addietro, sul blog di uno dei "Mostrologi" più attivi, che si firma con lo pseudonimo di Omar Quatar, e che considera tutte le versioni della "storia altrettanto ufficiale", cioè ritaglio di giornale, Cittadino Amico e lettera anonima.

E riguardo a ciò, Omar Quatar propone, sei versioni alternative della dicotomia insanabile, che denomina:

1) Ipotesi minimalista (Rotella).

2) Ipotesi Fiori.

3) Ipotesi “Cittadino amico” di De Gothia.

4) Ipotesi Fiori con aiutino.

5) Ipotesi rivendicazione (Filastò).

6) Ipotesi massimalista (depistaggio).

per i dettagli di ognuna delle quali Ti rimando al suo blog. Ognuna di esse lascerebbe comunque fuori alcuni fatti, o presunti tali. Tra esse, egli ne predilige due, e cioè quelle che definisce "ipotesi Rotella" e "ipotesi Fiori con aiutino", considerando le quali l'invio del ritaglio di giornale o addirittura qualunque segnalazione anonima, sarebbero dicerie, leggende, false informazioni.


Complottisti e creduloni


Uno di passaggi, nei post di Omar Quatar, che mi sono rimasti particolarmente impressi é il seguente:

Il G.I. Tricomi, preventivamente allertato dai CC, ha chiesto il fascicolo del processo Mele a Perugia il 17 luglio, ma non l’ha ricevuto, perché le carte se ne sono tornate a Firenze. Se è vero, come deve essere vero, quanto scritto nella requisitoria del PM Mignini, Tricomi richiede il fascicolo a Firenze il 20 luglio e c’è da credere che lo riceva nella stessa giornata, unitamente ai reperti impropriamente spillati al fascicolo

(Nota.
Cadono in un colpo due cavalli di battaglia dei complottisti: che il depistaggio è avvenuto a Perugia, città massonica per eccellenza e residenza di un personaggio successivamente coinvolto nell’inchiesta; e che per forza i reperti dovevano essere distrutti, quindi non più esistenti. Tricomi chiede espressamente il corpo di reato, segno indubbio che si aspetta che fosse tuttora disponibile; semmai la sede in cui è stato conservato – spillato al fascicolo anziché nell’apposito ufficio del tribunale – non è quella corretta).

Focalizzerei innanzitutto l'attenzione sul termine "complottisti", riportandone la definizione teorica del dizionario Treccani:

complottista s. m. e f. e agg. Chi o che ritiene che dietro molti accadimenti si nascondano cospirazioni, trame e complotti occulti.

Ad esempio, un tale viene trovato impiccato sotto ad un ponte. Le indagini portano alla conclusione che il tale si sia suicidato. Qualcuno non vuole credere alla conclusione degli inquirenti, e ritiene che sia un omicidio mascherato da suicidio. Quel qualcuno é un "complottista".

Oppure, un aereo di linea precipita, e tutti gli occupanti muoiono. Le indagini etichettano il disastro come “incidente aereo”. Qualcuno non vuole credere alla teoria dell’incidente, e ritiene che l'aereo sia stato, in qualche modo, fatto precipitare. Quel qualcuno é un "complottista".

Nel caso, però, in cui il nome del tale fosse Roberto Calvi, o l'aereo precipitato fosse un DC9 dell'ITAVIA, si troverebbe poi come i "complottisti" in realtà abbiano semplicemente visto la faccenda per quella che era. Il problema non stava nella loro visione, ma in quella di tutti gli altri; quelli che avevano acriticamente e passivamente accettato le (false) spiegazioni che erano state propinate loro.

Anche per essi il dizionario Treccani contiene la definizione appropriata

credulóne s. m. (f. -a) [accr. di credulo]. – Persona che, per troppa ingenuità, è pronta a credere a tutto quanto altri dice o vanta o promette.

Va da sé che, se nel caso di Calvi, della strage di Ustica (o, se é per questo, di tante altre vicende che hanno mostrato risvolti assimilabili) si é appreso di come stessero realmente le cose, ciò non é certo avvenuto per volere degli autori dei crimini. Anzi. Proprio gli autori dei crimini avrebbero cercato di operare in modo che l'opinione diffusa fosse quella dei creduloni e non quella dei complottisti. Se così non é andata, é semplicemente perché, proprio in quei casi, non vi sono riusciti. Ma in tanti altri sì, e non abbiamo modo di saperlo. O, almeno, di provarlo.

Per cui, nei casi in cui le vicende non siano chiare, limpide ed inequivocabili, probabilmente un atteggiamento cauto rimane quello più corretto. Se non per altro, perché il fatto che qualcuno sia "complottista" può essere poco o tanto verosimile, ma non può essere provato. Il fatto di essere "credulone", invece sì. Il "complottista" può continuare a sostenere le sue tesi fino alla morte, qualunque cosa accada, mentre il "credulone", una volta acclarato che le cose non stavano come gli erano state propinate, cosicché alla fine era il "complottista" ad avere ragione, non può che rassegnarsi.

Ovviamente, in assenza di prove in un senso o nell'altro, non é dato di conoscere la "verità", se non quella romana.

E' questo il motivo per il quale, nel tentativo di avvicinarsi alla verità scientifica, dovrebbe solo essere adottato un atteggiamento cautamente possibilista, equidistante dagli estremi; e solo da quella posizione sarebbe conveniente valutare i fatti, lasciandone fuori il minor numero possibile.


Sanare la "dicotomia insanabile" di De Gothia


Sembra, così considerando la faccenda, che tutti gli eventi a cui si attribuisce l'imbocco della "pista sarda", non possano essere tutti, contemporaneamente, autentici. Questo si risolve in pratica nella "dicotomia insanabile" che De Gothia menziona nel suo scritto. Dentro di me, però, alla riflessione ha fatto seguito una domanda: davvero la dicotomia é insanabile?

In altri termini: sarebbe possibile assumere un atteggiamento "di mezzo", né complottista né credulone, che sia compatibile con tutte le versioni fornite, facendo salve le posizioni di tutti, al netto di eventuali errori od omissioni commessi in buona fede? Dopo tutto, poiché in medio stat virtus, potremmo estendere il concetto di "virtus" fino a comprendere quello di "veritas", rinunciando alla pretesa di una verità matematica. Tale rinuncia non sarebbe un compromesso, bensì la posizione del cosiddetto "giusto mezzo".

Così, Lettore, ho deciso di provarci, e sottoporTi il risultato dei miei ragionamenti, la cui possibile validità verrà, come sempre, giudicata da Te. Entrando maggiormente nello specifico, gli aspetti di tale vicenda che non potrebbero essere tutti parallelamente veri sarebbero:

1) l'indagine é stata indirizzata verso la "pista sarda" da una segnalazione anonima

2) l'indagine é stata indirizzata verso la "pista sarda" da un ricordo del maresciallo Fiori

3) la segnalazione anonima é consistita in una lettera inviata alla Della Monica

4) la segnalazione anonima é consistita in diverse lettere

5) la segnalazione anonima é consistita in un ritaglio di giornale, andato inspiegabilmente perso

6) la segnalazione anonima é venuta da un "Cittadino amico" al quale si sono appellati i Carabinieri a mezzo stampa.

Esse in effetti sembrerebbero incompatibili, ma é effettivamente così?

Esiste una spiegazione che costituisca un “giusto mezzo” e che consenta a che tutte queste condizioni risultino verificate, cosicché nessuno al riguardo abbia mentito?

Cerchiamo innanzitutto di definire gli estremi tra i quali dovremmo cercare tale "giusto mezzo", quello "complottista" e quello "credulone" Sempre rifacendoci a quanto scritto da Omar Quatar, potemmo identificare l’estremo complottista con la posizione di colui per il quale "per forza i reperti dovevano essere distrutti, quindi non più esistenti", mentre "Tricomi chiede espressamente il corpo di reato, segno indubbio che si aspetta che fosse tuttora disponibile".

L'altro estremo sarebbe invece costituito dalla sequenza "ufficiale" degli eventi, quella fornita dall'autorità precostituita, che nel caso specifico può essere impersonata dal giudice Rotella, per il quale la connessione tra il Mostro di Firenze ed il delitto di Signa con apertura della “pista sarda”sarebbe stata generata dal ”…ricordo del m.llo Fiori, in servizio presso il Comando Gruppo Carabinieri di Firenze, e nel 1968 alle dipendenze della Compagnia di Signa. Egli rammentava al comandante del Reparto Operativo, T. Col. Dell'Amico, che in quell'anno dirigeva il Nucleo Investigativo dello stesso Gruppo, che nel 1968, appunto, era stata uccisa una coppia in Castelletti di Signa a colpi di pistola. L'arma non era mai stata rinvenuta. Un colpevole era stato trovato inpersona del marito della donna uccisa, per quanto se ne sapeva condannato dalla Corte d'Assise di Firenze nel 1970

In altri termini, sempre rifacendoci a Omar Quatar , i due estremi sarebbero costituiti, com’è logico che sia, l'uno dall’ipotesi massimalista, per la quale tutto è stato ordito per generare la “pista sarda”, e e l'altro dall'ipotesi minimalista, per cui l’unico evento reale è il ricordo del maresciallo Fiori, ed il resto sono leggende.

Per allontanarci dagli estremi ed avvicinarci al punto di mezzo, allora:

Da un lato, volendo iniziare a prendere le distanze dalla posizione dei "complottisti", notiamo come non sia rigorosamente vero che i reperti vadano sempre distrutti; la distruzione (o l'alienazione, se é per questo) vengono disposti dall'Autorità Giudiziaria allorquando la stessa riconosca che la loro utilità probatoria sia venuta a cessare. Fino a quel momento, essi devono rimanere custoditi presso l'Ufficio Corpi del Reato, ma la custodia deve essere messa in pratica secondo regole ben precise che, per gli oggetti al di sotto di una certa dimensione, consiste nella conservazione in scatole di cartone sigillate ed il cui coperchio sia assicurato da spago sul quale sia apposto un ulteriore sigillo; é, insomma, la modalità che viene ben descritta in "Coniglio il Martedì" e dalla quale non si potrebbe derogare, men che meno affidandone la discrezionalità a qualche impiegato dell'Ufficio, come qualche Mostrologo depositario della Verità avrebbe ipotizzato. Pertanto, se Tricomi avesse avuto una qualche evidenza (anche di natura procedurale) per cui l'ordine di distruzione avrebbe potuto non essere stato dato, il fatto che chieda i reperti é ciò che ci aspetta; ciò che non ci aspetta é che essi si trovino spillati nel fascicolo, e di ciò il giudice Tricomi non mostra di avere, nella sua richiesta, la benché minima contezza. Di fatto, però, l'anomala modalità di conservazione ha interrotto la "catena di custodia" e ciò fa venire meno il valore probatorio dei reperti.

Ora, Lettore, se qualcuno non avesse seguito le procedure di checklist su un aeroplano prima del decollo, l'aeroplano precipitasse ed il perito rilevasse che le procedure non sono state seguite, il perito sarebbe "complottista"?

Se qualcuno avesse un incidente in autostrada, il perito rilevasse che egli non aveva allacciata la cintura di sicurezza ed attribuisse a ciò un possibile maggiore danno degli occupanti il veicolo, il perito sarebbe "complottista"?

I magistrati che, già prima ed a prescindere dalle risultanze peritali, hanno rilevato che sulla funivia Stresa-Mottarone non erano state seguite le prescritte procedure di sicurezza e manutenzione sono "complottisti"?

In altri termini, l'importanza del fatto che i proiettili siano stati ritrovati nel fascicolo non consiste nella loro mancata distruzione, ma nella mancata conservazione.

Questo rende possibile una facile manipolazione. E’ per questo che esiste una normativa precisa che regola le modalità di applicazione della catena di custodia; se non si fosse ritenuto come ciò sia necessario, nessuna normativa sarebbe mai stata formulata, ed ognuno lascerebbe i reperti dove più gli aggrada, senza timore che qualcuno possa manipolarli e nella certezza che a distanza di tempo essi possano costituire sempre e comunque una prova inoppugnabile. Se invece così non é, la cosa avrà il suo motivo; e questo motivo é la falla che si é venuta a creare nel momento in cui così non é stato per il fascicolo del Mele. Pertanto, vorrei che si comprendesse l'assurdità nel giudicare "complottista" il vedere una possibilità di manipolazione nella mancata applicazione di precise norme legali che regolano le modalità di conservazione dei reperti.

Con buona pace dei "non-complottisti" o dei "creduloni" che siano.

Dall'altro, secondo Rotella il Cittadino Amico, nel caso specifico, non esisterebbe:

…possibilità, smentita in maniera assoluta dagli accertamenti, che la notizia del precedente del 1968 fosse stata ottenuta diversamente, per esempio attraverso una confidenza. Analogamente non ha nessun fondamento che sia pervenuto al G.I. dell'epoca (1982) un anonimo, nel quale fosse menzionato in relazione agli omicidi delle coppie, il precedente di Signa.

pur tuttavia, esiste sicuramente il trafiletto di giornale con il quale i carabinieri gli richiesero ulteriore collaborazione; sarebbe allora un tentativo di depistaggio condotto dagli stessi Carabinieri?

Anche nell'intervista che Davide Rossi richiese ad un carabiniere in quiescenza, ai tempi in servizio alla caserma Corsi, il quale asserisce di aver visto il ritaglio di giornale con i propri occhi, lo stesso afferma di non avere idea riguardo a cosa possa riferirsi l'espressione "Cittadino Amico", del quale non avrebbe mai sentito parlare; ma non conoscere l'esistenza di qualcosa non equivale in alcun modo a conoscere la non esistenza di quel qualcosa.

Il fatto che il carabiniere intervistato non abbia idea di cosa sia un "Cittadino Amico" non può voler dire in alcun modo che esso non esista, tanto più che é stato pubblicato il trafiletto sul giornale.

Ma a proposito del ritaglio, in tale intervista Davide Rossi chiede esplicitamente, del ritaglio di giornale:

“Lei lo ha visto?”

“Con i miei occhi”


Prendiamo allora in considerazione proprio tale intervista, nella quale il carabiniere in quiescenza che viene intervistato riferisce di aver visto "con i propri occhi" il ritaglio di giornale; riguardo ad essa, si hanno solo tre possibilità, e nessun'altra:

1) Davide Rossi mente (nessun carabiniere che abbia visto il ritaglio di giornale é mai stato intervistato)

2) il carabiniere mente (il carabiniere ha effettivamente dichiarato a Davide Rossi di aver visto il ritaglio di giornale con i propri occhi, ma in realtà non vide un bel nulla)

3) la busta con il ritaglio di giornale arrivò realmente a Borgo Ognissanti

Quartum non datur

Riguardo alla prima possibilità: perché Davide Rossi avrebbe dovuto mentire? La sua ricerca é stata eseguita per passione, per curiosità professionale; né inventarsi l'arrivo della busta anonima sarebbe stata funzionale alla dimostrazione della sua tesi, né tantomeno egli ha cercato di sfruttare la sua ricostruzione a fini di lucro, cosicché gli servisse una sorta di scoop. Fare qualcosa per il piacere di farlo, ma barare persino con sé stessi mentre la si fa, sarebbe un atteggiamento tanto assurdo che mi sentirei davvero "complottista" se pensassi che egli abbia potuto deliberatamente inventarsi tutto.

Un discorso assolutamente analogo varrebbe per la seconda possibilità. Davide Rossi giunge al carabiniere in congedo attraverso dei canali che non vuole rendere espliciti. Il carabiniere non vuole che si faccia il suo nome, né alcun riferimento che possa valere ad identificarlo; perché dovrebbe inventarsi un episodio simile? Anche e soprattutto qui io vedrei un "complotto" se supponessi che mente, senza alcuna motivazione logica.

Non resta che la terza possibilità.

Mettendola in questi, semplici, termini, ma supponendo che lo sviluppo della vicenda sia quella che ci é sempre stata proposta, ciò che viene prospettato presterebbe comunque il fianco a delle critiche, le stesse, identiche, critiche che valgono se si voglia dubitare della veridicità dei contenuti dell'intervista rilasciata a Davide Rossi: allora sarebbero gli altri a mentire? Il maresciallo Fiori, l'appuntato Piattelli, il giudice Rotella, il giornalista Sgherri...e perché dovrebbero farlo?



Cronologia vs. successione temporale


Se, in premessa mi sono proposto di assumere un atteggiamento di cauto equilibrio tra le varie posizioni, che dia il beneficio della buona fede a tutti, devo trovare una possibile spiegazione al fatto che, fatte salve le necessità investigative (ad es. non svelare le fonti), nessuno abbia mentito, se non marginalmente ed in buona fede, a causa di un ricordo magari non più così vivido. D'altra parte, la spiegazione deve essere coerente con i fatti, dove con "fatti" non possiamo riferirci a prove documentali dirette, ma dovremmo evitare di presumere arbitrariamente ciò che non viene dichiarato.

Ad esempio, ritornando sempre ad Omar Quatar, egli afferma:

Detto questo, possiamo anche fare un’ipotesi sul contenuto dell’anonimo; che non indicava nomi di possibili colpevoli (è pur vero che le indagini del 1982 si concentrarono subito su Francesco Vinci, ma riguardando gli atti il nome balzava comunque agli occhi senza bisogno di suggerimenti espliciti), ma affermava, forse dicendo anche altro che non sappiamo, l’esistenza di un episodio analogo e precedente avvenuto in altra località della provincia. Il fatto che si parlasse di un quinto duplice omicidio aiuta a collocare temporalmente la segnalazione dopo il quarto duplice omicidio fino ad allora noto; mentre non sappiamo se l’anonimo arrivò prima o dopo l’avvio della ricerca di precedenti richiesta dalla procura il 3 luglio 1982

In realtà “che si parlasse di un quinto duplice omicidio” non è un fatto: da dove verrebbe fuori tale “fatto”? "Il fatto che si parlasse di un quinto duplice omicidio" é una presunzione arbitraria; sono Tricomi e la Della Monica a parlarne, non é un'informazione che si estrae direttamente dalla segnalazione anonima. Ma noi,senza avere idea dei reali contenuti della segnalazione anonima, non abbiamo modo di saperlo. Se la segnalazione avesse menzionato un "altro" (ulteriore, precdente, quellochevuoiTu) duplice omicidio, questo sarebbe stato "un quarto" dopo Calenzano, per divenire "quinto" solo dopo Baccaiano, "sesto", dopo Giogoli, e così via. Se le comunicazioni di Tricomi e della Della Monica vengono scritte tra le date di Baccaiano e Giogoli, ciò porterebbe il numero totale degli omicidi, fino a quel momento, a "cinque"; ma non vi é alcuna evidenza che ciò si trovasse scritto nella comunicazione anonima, qualunque essa fosse. Pertanto l’affermazione esatta riguardo ai fatti sarebbe, semmai: “Il fatto che si parlasse di un quinto duplice omicidio aiuta a collocare temporalmente la richiesta di Silvia Della Monica (e non la comunicazione in sé) dopo il quarto duplice omicidio fino ad allora noto

Per poter supporre, sempre senza esserne certi, qualcosa riguardo ai contenuti, sarebbe necessario conoscere almeno le date in cui le comunicazioni giunsero.

Allo stesso modo, ritornando all'intervista di Davide Rossi al carabiniere, la prima domanda da porsi é: se é vero che il carabiniere vide busta e ritaglio di giornale con i propri occhi, quando ciò sarebbe accaduto? Dice il carabiniere:

Era arrivata una busta. Ne arrivavano a centinaia tutti i giorni. Certe cose incredibili… chi denunciava il vicino, chi il collega di lavoro, chi addirittura il fratello… tutti mostri, insomma!

Si, ma a quando risalgono questi “giorni”? A che periodo ci si riferisce? Lo stesso Omar Quatar afferma:

"Di segnalazioni anonime dopo Calenzano, che segnò lo stabilirsi definitivo del concetto “Mostro di Firenze”, ce ne furono migliaia"; ed anche nella dichiarazione che Tricomi rilasciò a Spezi, si legge, come lo stesso Omar Quatar riporta, che il ritaglio di giornale gli sarebbe stato mostrato: “presumibilmente nell’inverno 1982”...
Pertanto, dall'intervista di Davide Rossi si ricaverebbe con certezza (a meno di spudorate ed inutili menzogne da parte di qualcuno) come il ritaglio di giornale sia certamente giunto, sia stato conservato in un cassetto dall'ufficiale superiore comandante di chi lo aveva ricevuto, e di come quest'ultimo non lo avesse più visto.

Inoltre, sempre Tricomi dichiara come il “maresciallo Fiore” gli avesse chiesto se fosse possibile richiedere gli atti del processo, e lui avesse risposto come sì, certamente lo fosse; ma senza mai affermare che lo avrebbe fatto: “ Mi chiese se era possibile acquisire il processo e io lo ritenni del tutto possibile”.

Detto ciò, elenchiamo i riscontri documentali di cui abbiamo contezza, tutti databili senza incertezze con l’eccezione dell’intervista (la quale rimane però con certezza l’ultima in ordine di tempo):


- delitto di Baccaiano (19 giugno 1982)

- il trafiletto del Cittadino Amico (20 luglio 1982)

- la richiesta del fascicolo di Tricomi (17 luglio 1982)

- la richiesta della Della Monica (20 agosto 1982)

- la richiesta di Tricomi al Tribunale di Palermo (29 ottobre 1982)

- l'articolo di Sgherri (7 novembre 1982)

- l'articolo di Franca Selvatici (9 novembre 1982)

- la testimonianza del Maresciallo Fiori (28 novembre 1986)

- la sentenza Rotella (13 dicembre 1989)

- il biglietto di Tricomi (15 gennaio 2002, con riferimento imprecisato all'inverno 1982)

- l'intervista di Davide Rossi, contenente il fatto che il carabiniere vide il ritaglio, ma nulla sa riguardo al Cittadino Amico (tra il 2019 ed il 2020, ma senza precisi riferimenti ad un periodo)

Le date si riferiscono ai documenti in sé, e non agli eventi che vi sono menzionati. Le date di questi ultimi non hanno tutti una data, ma ad essi può essere attribuita una collocazione ben precisa nell’ambito di una sequenza temporale, con l'eccezione di tre: il "ricordo" del maresciallo Fiori, l'evento menzionato nel biglietto che Tricomi rilasciò a Spezi, e l'arrivo del ritaglio di giornale alla caserma Corsi.

Ma vi sono due circostanze che vengono riferite e che, anche se non consentono sicuramente la precisa datazione, consentono altrettanto sicuramente di determinarne una precisa sequenza cronologica.

Infatti, nell'intervista rilasciata a Davide Rossi dal carabiniere in quiescenza, quest'ultimo dichiara:


“E poi c’era sottolineato a penna, nel testo,dell’articolo, “calibro 22”… e infine un altro dato importante, che ci colpì… ci colpì la competenza, del linguaggio,… cioè, mica tutti sanno cos’è una Corte d’Assise d’appello, no? ”

“E quindi capiste che faceva riferimento al Mostro?”

“Sì! Ma lì per lì non si prese così sul serio. Ma il comandante... no, forse no... un tenente, ci disse di farlo subito presente al Giudice Istruttore. Tutto andava preso in considerazione ed andammo da Tricomi”

“Quindi, lei ed il maresciallo andate da Tricomi col ritaglio di giornale...”

“No, no! Il ritaglio é rimasto al comando. Prima di partire il tenente ci ha mandato dal comandante... o dal vice, non ricordo... lesse il ritaglio e lo mise nel cassetto dicendo che quello restava lì. Avremmo riferito la cosa al giudice, punto e basta”


Vi sono contenute tre informazioni interessanti. La prima è come non fosse inequivocabilmente chiaro che il ritaglio di giornale si riferisse al “Mostro di Firenze”, ma sia stato in un certo modo, dedotto. La seconda é che al suo arrivo, l'invio del ritaglio di giornale non fu preso tanto sul serio.

La terza é che chi avvisò Tricomi nell'immediatezza, lo fece senza mostrargli il ritaglio di giornale; di conseguenza, l'evento narrato dal carabiniere nell’intervista deve essere necessariamente antecedente all’episodio del quale Tricomi raccontò a Spezi, sottoscrivendolo, ed in cui egli dichiarò di aver visto il ritaglio.

Sempre relativamente a tale evento, Tricomi dichiara come l’episodio accadde “presumibilmente nell'inverno del 1982”, quindi prima dell'omicidio di Baccaiano; se l'evento del ritaglio di giornale fosse stato direttamente connesso, temporalmente, all'omicidio di Baccaiano, é estremamente improbabile che Tricomi avesse questa incertezza sul periodo. Pertanto, a meno che Tricomi non menta, possiamo assumere che il maresciallo Fiori (o, meglio, Fiore) abbia mostrato il ritaglio di giornale dopo che Tricomi era già stato informato una prima volta, ma sempre prima dell'omicidio di Baccaiano. Bada bene, Lettore, come il riferimento di Tricomi all'inverno dell'82 non possa comunque essere liquidato come una semplice svista o un errato, sbiadito, ricordo. Nel suo libro "Memorie di un ottantenne", edito nel 2012 Tricomi ribadisce, senza possibilità di dubbio alcuno", come

La sera del 22 ottobre arrivò una telefonata dei carabinieri per avvertirmi che nella campagna vicino a Prato era stato commesso un altro duplice omicidio con modalità analoghe ai precedenti. Anche in questo caso la ragazza era stata mutilata con l'asportazione del pube. A questo punto era evidente l'estraneità dello Spalletti [..] Chiesi poi alle questure e ai comandi dei carabinieri in territorio italiano e all'Interpol per l'estero se si fossero mai verificati episodi simili. Non risultò che nel mondo, almeno in tempi recenti, ci fossero duplici omicidi con la particolare mutilazione della donna, ma ugualmente questa richiesta ebbe la conseguenza di imprimere una svolta al processo. Una mattina arrivò infatti un sottufficiale dell'arma dei carabinieri, credo che appartenesse al nucleo investigativo, portandomi un pezzettino di un giornale, nel quale c'era un articolo che parlava della scarcerazione di tale Stefano Mele, dopo avere scontato la pena inflittagli dalla corte d'assise di Firenze di sette anni di reclusione [...] Inoltre l'arma non era stata trovata dagli inquirenti ed era indubbiamente la stessa che aveva ucciso nel 1974 nel giugno e nell'ottobre del 1981. Avevamo finalmente una pista da seguire."

Pertanto, Tricomi conferma, a distanza di dieci anni, come il ritaglio di giornale gli sia stato mostrato dopo l'omicidio di Calenzano, non dopo quello di Baccaiano. E non dice esplicitamente che fu la visione del ritaglio di giornale a determinare la richiesta del fascicolo processuale relativo a Stefano Mele.

L'incertezza rimane riguardo alla data in cui il maresciallo Fiori e l'appuntato Piattelli discutono del delitto di Signa. Sia dalle dichiarazioni di Fiori e di Piattelli, sia da quelle del colonnello Olinto Dell'Amico sembrerebbe potersi desumere indubbiamente che la discussione tra Fiori e Piattelli avvenne dopo il delitto di Baccaiano.

In un'intervista, il luogotenente Fattorini dichiarò di aver avuto conferma direttamente da Piattelli del fatto che vi fu una discussione al riguardo, che vi era disaccordo sull'anno del delitto di Signa, e che nessuno dei due, né Fiori né Piattelli, aveva alcun ricordo dell'arma utilizzata; pertanto, personalmente considererei inattendibili le affermazioni di Olinto Dell'Amico, il quale in un'altra intervista affermò come sicuramente non sia mai arrivata alcuna segnalazione anonima (cosa che sappiamo essere falsa), e che Tricomi contattò innanzitutto il perito di Signa (Innocenzo Zuntini) in seguito all'illuminazione di cui fu oggetto il duo Piattelli-Fiori (cosa a questo punto probabilmente falsa). In altri termini, se qualcuno in questa vicenda mente, é il colonnello Dell'Amico; e questa sembra un'evidenza. Sul perché menta, vale sempre il principio già enunciato in un precedente post: opiniones non fingo.

Sulle affermazioni, poi, che vedrebbero nella storpiatura del cognome del maresciallo (“Fiore” anziché “Fiori”) la prova di ricordi nebulosi ed imprecisi sulla vicenda, non posso che ripetere quanto ho già affermato in un altro post: sebbene la storpiatura sia certamente possibile, e sia resa anche plausibile dal fatto che il cognome “Fiore” sia molto comune, molto più comune di “Fiori”, tale condizione rende altresì probabile che un carabiniere “Fiore” possa essere stato in servizio a Borgo Ognissanti, e che quindi “Fiore” e “Fiori” siano due persone diverse. Fin quando verificando l’organico degli effettivi in servizio alla caserma Corsi in quegli anni non venga esclusa l’esistnza di un sottufficiale “Fiore” non può, in ugual modo, escludersi che quando si parla di “Fiore” si stia facendo riferimento ad una persona diversa dal maresciallo Francesco Fiori.

Assumiamo comunque che la "rimembranza" sia un evento posteriore all'omicidio di Baccaiano, e sulla base di ciò vediamo di ricostruire una sequenza di eventi che sia plausibile e che veda tutti quanti dire se non "LA" verità, almeno "UNA" verità, per quanto parziale e personale (con l'ovvia eccezione di Olinto Dell'Amico), comprendendo contemporaneamente tutte e sei le ipotesi di Omar Quatar


Ricostruzione della sequenza temporale

Nell'inverno del 1982 giunge, a Borgo Ognissanti, una busta contenente un ritaglio di giornale relativo al processo subito da Stefano Mele, con il suggerimento di andare a rivedere il fascicolo del processo Mele in Corte d'Assise d'Appello a Perugia, ed un riferimento all'uso della calibro 22. (Questa equivale a "L'ipotesi depistaggio"di Omar Quatar).

Chi riceve il biglietto non vi dà molto peso, classificandolo mentalmente tra le centinaia di segnalazioni del periodo, ma lo consegna comunque al (vice)comandante della caserma, il quale, trattenendo il ritaglio di giornale, gli impartisce l'ordine di riferirne al giudice istruttore.

Il carabiniere, insieme ad un maresciallo, riferisce al giudice Tricomi, ma la cosa non ha alcun seguito.

La voce gira, ed un indefinito “maresciallo Fiore” si fa carico di sollecitare nuovamente il giudice istruttore, mostrandogli, questa volta il ritaglio, e chiedendogli se sia possibile acquisire la documentazione processuale; Tricomi risponde che sì, é certamente possibile richiedere la documentazione. Ma il fatto che sia “possibile” non vuole significare che verrà realmente fatto; anche stavolta la faccenda muore lì, e così con ogni probabilità il ritaglio, come avveniva per la maggior parte della miriade di comunicazioni anonime che giungevano, va perso.

Passa qualche tempo, ed accade l'omicidio di Baccaiano; e subito dopo esso giunge la segnalazione del "Cittadino Amico" (per inciso, Lettore, ciò spiegherebbe anche perché il carabiniere intervistato da Davide Rossi non sapeva nulla della faccenda "Cittadino Amico"). Nell'immediatezza, si cerca di sfruttare la fonte, probabilmente nella speranza di recuperare qualcosa di analogo al ritaglio di giornale, e si pubblica il trafiletto. (Questa equivale all'ipotesi "Cittadino Amico").

In seguito a ciò, il maresciallo Franceesco Fiori parla con l'appuntato Ugo Piattelli, ed ambedue tentano di ricordare a cosa esattamente potesse fare riferimento la faccenda; si ricordano del ritaglio di giornale che era giunto prima, si rendono conto di come esso fosse in realtà una cosa seria, e non da assimilare alle migliaia di segnalazioni anonime senza fondamento, ed avvertono il colonnello Olinto Dell'Amico. (Qui compare "L'ipotesi Fiori con aiutino").

Poiché il ritaglio di giornale é andato perso, Olinto Dell'Amico avverte Tricomi, ma senza fare alcun riferimento al famoso ritaglio che gli era stato mostrato tempo prima; viene così iniziata un'attività di richiesta e recupero dei fascicoli, dalla quale ogni riferimento al ritaglio perso viene prudenzialmente lasciato fuori, e facendo riferimento solo alla memoria prodigiosa del maresciallo Fiori. (Qui siamo a "L'ipotesi Fiori")

Mentre ci si si attiva comunque per recuperare il fascicolo Mele, chi sta inviando queste comunicazioni anonime, ritenendo che esse non stiano avendo effetto (magari nei tempi che l’anonimo desidera), invia un'ulteriore comunicazione indirizzata alla Della Monica, della quale alla stessa viene data notizia verbale, ma che probabilmente va accidentalmente (volendo presumere la buona fede di chi l'ha ricevuta) persa come il ritaglio di giornale. Oppure, per evitare imbarazzanti riferimenti al ritaglio di giornale, viene fatta sparire.

Nel frattempo il fascicolo viene recuperato, ci si accorge dell'identità dell'arma (per reale o fittizia che essa sia) e con essa dell'importanza che le comunicazioni avessero. Le informazioni trapelano, Sgherri scrive il suo articolo, e Tricomi indice la conferenza stampa. (Questa é "L'ipotesi rivendicazione").

Ma le informazioni relative alla modalità di nascita della “pista sarda” e alle segnalazioni anonime che vi starebbero dietro girano nell’ambito giornalistico, così anche Franca Selvatici scrive.

Quando poi il giudice Rotella si adopererà per ricostruire l'andamento dei fatti che avrebbero condotto alla pista sarda, si sottacerà su parte delle comunicazioni ricevute e soprattutto sulla fine che esse abbiano fatto, e si parlerà soprattutto del ricordo del maresciallo Fiori. Da qui quanto scritto nella sentenza Rotella (e finalmente giungiamo anche a “L'ipotesi minimalista” di Omar Quatar)

EccoTi, Lettore, una sequenza di eventi che mette d'accordo tutti; ma che con ogni probabilità, non piace a nessuno.

E non piace perché, sebbene risolva il problema dell'insanabile dicotomia di cui parlava De Gothia, ne genera al contempo un altro di dimensioni ben maggiori, invertendo la sequenza temporale tra la prima segnalazione, e l'omicidio di Baccaiano.

Se infatti secondo le ipotesi classiche, minimalistiche o complottistiche che siano, il "depistaggio" o "l'impistaggio" verso la "Pista sarda" avverrebbe come diretta conseguenza dell’esito insoddisfacente del delitto di Baccaiano e del potenziale rischio ad esso associato, l'inversione temporale potrebbe lasciar supporre che il delitto di Baccaiano sia invece la conseguenza dell'inerzia degli inquirenti dopo l'invio del ritaglio di giornale.

E da un certo punto di vista, un supporto “preterintenzionale” a tale possibilità sarebbe involontariamente offerto anche dallo stesso Omar Quatar quando scrive:

In tutte le ipotesi in cui si ammette l’esistenza dell’anonimo, inoltre, occorre segnalare un’altra incredibile combinazione, questa volta a carattere temporale: il 3 luglio viene emanato l’ordine di ricercare precedenti (ma non oltre il 1970), prima del 17 luglio arriva un anonimo che riporta al 1968; il lasso temporale è di meno di due settimane. La domanda è se il mittente potesse sapere che la ricerca era in corso, ma con parametri sbagliati. E’ pur vero che di segnalazioni anonime ce ne saranno state centinaia, ma guarda caso quella giusta (o che almeno venne ritenuta giusta all'epoca) arrivò proprio quando doveva arrivare.

Così, il “Mostro di Firenze”, dopo aver inviato un ritaglio di giornale, e non aver avuto riscontri, né suscitato reazioni, si sarebbe affrettato a commettere il delitto di Baccaiano, rapidamente, senza adeguata preparazione, in cattive condizioni, senza accoltellare nessuno a rischio di lasciare qualcuno in vita (come in effetti fu), e con risultati apparentemente deludenti. Ma conseguendo alla fine l’effetto, non ottenuto con il solo invio del ritaglio, di focalizzare, finalmente, l’attenzione su Signa.

Certo, é un'ipotesi complottistica, inverosimilmenente complottistica. Però Lettore, considerato che ho ormai assunto ufficialmente la posizione del complottista, lasciamela mantenere fino in fondo. Negli scorsi post ho già avanzato, anche se solo per dare sfogo alla mia fantasia, una tanto ardita quanto eretica ipotesi complottistica; ipotesi che comprendeva anche delle indirette "prove circostanziali", consistenti in una mera coincidenza delle date di certi eventi con certi delitti del MdF. Le date non sono state scritte esplicitamente, ma le avrei in qualche modo "nascoste" in uno dei post, ma soltanto per non toglierTi il piacere di una piccola "caccia al tesoro" (ma solo qualora Tu ne avessi voglia, beninteso; non dovessi averne voglia puoi sempre leggere il solo raccontino, ma senza avere contezza dei passaggi logici che conducono ad esso). Solo il delitto di Baccaiano sembrerebbe non avere riferimenti cronologici riguardo alle possibili motivazioni, e ciò nonostante le sue caratteristiche: azione approssimativa, vittima lasciata in vita, niente ricorso all'arma bianca, preferendo usare i proiettili per spegnere i fari piuttosto che per finire la vittima, telefonate successive... insomma un pasticcio che lascerebbe intravedere una necessità di agire rapidamente, un'impellenza, sacrificando pianificazione e precisione a tale necessità.

Per certi versi, un atteggiamento inspiegabile; però l'ipotesi complottistica rimetterebbe a posto anche questo. Per non parlare poi dello "Zio Pieto"...