martedì 13 settembre 2022

Il Mostro di Firenze 7: gli ultimi omicidi: Giogoli, Vicchio, Scopeti



Non c’è modo migliore per non essere creduti che dire la verità.

Sveva Casati Modignani




Nell'ultimo post. Lettore, concludevo con l'affermazione che Francesco Vinci, in seguito alle accuse di Stefano Mele, sarebbe ritornato in gattabuia.

Questa é un'imprecisione, perché ad essere precisi, Francesco Vinci in gattabuia lo era già; dal 15 agosto, denunciato dalla moglie per maltrattamenti. Così semplicemente, venne raggiunto lì dal mandato di cattura.

Ma non subito.

In effetti, Lettore, l'arresto di Francesco Vinci non é automatico, dopo il primo interrogatorio di Stefano Mele.

Stefano Mele già istruito, ha anche ricevuto il biglietto dallo "Zio Pieto"; ma si guarda bene dal seguirne le direttive, accusando invece Francesco Vinci

In seguito a ciò, vengono esperite indagini, che in realtà non conferiscono apporti sostanziali; non più sostanziali di ciò che era già risaputo.
Ma Stefano Mele continua ad accusare risolutamente Francesco Vinci; considerata la situazione al momento, é ovvio che Stefano Mele debba venire creduto, e Francesco Vinci  incriminato.

Vengono comunque interrogati i fratelli di Francesco Vinci, ed il nipote, Antonio, figlio di Salvatore (il "Carlo" di Mario Spezi); ed anche Silvano Vargiu.

Alla fine, nel settembre del 1982, si torna ad interrogare Stefano Mele. Egli é sempre più diffidente e sospettoso; non si fida degli inquirenti, tanto da chiedere al P.M. una dichiarazione scritta nella quale si assicuri come egli non potrà essere sottoposto ad nuovo processo per il medesimo reato.

Vinta così la sua ritrosìa, rassicurato dell'immunità egli ribadisce le sue accuse contro Francesco Vinci; solo dopo due mesi di ulteriori indagini, verrà emesso il mandato di cattura per il Vinci.




Tra le motivazioni, vi sarebbe anche quella per cui il Mele avrebbe reiterato le accuse anche dopo l'espiazione della pena, quando non avrebbe più avuto interesse a farlo.

Tuttavia, ciò che vede chi vuole far riaprire la questione collegata al caso di Signa é invece solo un nuovo stallo.

Per la verità, la situazione non sarebbe statica. Francesco Vinci continua a proclamarsi innocente, e querela Stefano Mele. Vengono esperite ancora indagini, e disposta una perizia psichiatrica su Francesco Vinci.

Nell'aprile dell'83, poi, si verifica un avvicendamento nell'istruzione del processo (da Vincenzo Tricomi a Mario Rotella), ed il nuovo Giudice Istruttore sembra voler vederci chiaro e non trascurare niente. Quindi a nuovo Giudice Istruttore corrispondono nuove indagini. Ma non dissimili dalle vecchie.

Così, Rotella, interroga ancora una volta Francesco Vinci. Poi toglie l'incarico della perizia psichiatrica disposta dal suo predecessore, che sembrava tirare troppo per le lunghe, e la affida ad altri consulenti.

Affida anche una nuova perizia balistica ad Arcese e Iadevito. Si ribadiscono qui, Lettore, due concetti fondamentali, se mai ve ne fosse ancora bisogno:

1) i bossoli ed i proiettili relativi al delitto del 1968 sono sempre quelli ritrovati nel 1982, e non esiste alcuna documentazione fotografica realizzata nel 1968. In altri termini, non vi é alcun modo di essere certi che i reperti ritrovati nel 1982 siano realmente quelli che vennero repertati nel 1968

2) poiché la balistica terminale di bossoli e proiettili segue strade diverse, l'esame può accertare l'identità dell'arma tra bossoli e tra proiettili, ma non tra bossoli e proiettili; non vi é modo di accertare che sia i bossoli, sia i proiettili, siano stati esplosi con la medesima arma, e men che meno che un dato bossolo ed un dato proiettile fossero parte, in origine, della medesima cartuccia

Così Arcese ed Iadevito non potranno che confermare la provenienza da un'unica arma dei bossoli e dei proiettili a loro consegnati.

Insomma vengono ripetute tutte le iniziative già intraprese, ed il risultato delle quali era già conosciuto.

Fondamentalmente, la perizia Arcese-Iadevito conferma agli inquirenti il legame tra Signa ed i successivi delitti del "Mostro di Firenze", e ciò, per il "Mostro", é una buona cosa.

Però, si insiste su un incolpevole Francesco Vinci; ma ciò per il "Mostro" non è una buona cosa. E ciò che non é buono, richiede di essere rimediato. Tale rimedio viene posto il 9 settembre 1983 in un campo lungo la via di Giogoli; ne fanno le spese due ragazzi tedeschi: Wilhelm Friedrich Horst Meyer e Uwe Jens Rüsch.



Giogoli

Wilhelm Friedrich Horst Meyer e Uwe Jens Rüsch vengono uccisi all'interno di un furgone camperizzato




sono due turisti, ambedue di sesso maschile, provenienti dalla Germania




Non é mai stato del tutto chiaro se fossero omosessuali o meno, ma questo, alla fin fine, non é che abbia tutta questa importanza.

Non ne ha per il "Mostro", al quale interessa solo lasciare sul luogo di un delitto "di coppia" (qualunque cosa si intenda con tale espressione) un nuovo set di bossoli e proiettili da far paragonare ai precedenti.

Non interessa nemmeno ad inquirenti, giornalisti e mostrologi, che a fronte della palese difformità dell'atto rispetto a tutti i precedenti delitti, che colpisce con l'impatto un gancio di Mike Tyson, guardano solo all'identità dei reperti balistici, senza nemmeno chiedersi il significato di tale macroscopica anomalia.

In pratica, Lettore, non si cerca una speigazione razionale per motivare un evento assolutamente anomalo, quanto piuttosto un scusa qualunque per poter continuare la saga del "Mostro di Firenze".

Una delle scuse più frequentemente adoperate sarebbe: il "Mostro di Firenze" si é sbagliato, scambiando i due per una coppia uomo-donna, a motivo dei capelli lunghi di uno dei due. Errore poco credibile per qualcuno così attento come il "Mostro di Firenze", e che adopererebbe la sua particolare attenzione anche nel colpire  prima che inizi il rapporto sessuale, scelta che avrebbe le motivazioni psicologiche più fantasiose, ma che implicherebbe comunque una precisa osservazione delle vittime.

Poiché, per i suddetti motivi, la scusa regge poco, l'alternativa considerata é stata quella della punizione ai due omosessuali. Ma se il simbolismo della punizione é poi l'arma bianca, non si capisce come mai non venga usata sui ragazzi. "Ma perché sono due uomini!" esclama inviperito un esercito di Mostrologi come se fosse una cosa ovvia; ma allora, se l'oggetto della "punizione" é la donna, perché mai va in giro ad ammazzare due uomini?

L'unica evidenza che apparirebbe ovvia é invece il fatto che Il "Mostro" sia stato costretto a lanciare un segnale che faccia comprendere come la strada intrapresa sia errata.
E' evidente non solo per me, ma anche per il PM, Silvia della Monica, la quale sembra recepire perfettamente il segnale:

"Non riuscimmo a stabilire... io parlo con la consapevolezza del momento... se ci fosse stata una volontà di intervenire per risolvere la posizione di Vinci, e questo avesse determinato un errore, o se era una serialità già programmata e irrefrenabile, per cui le cose fossero andate in questo modo"

"Guardi, se non ricordo male... il delitto poteva essere un errore, ma poteva anche essere qualcosa che avveniva in seguito all'arresto del... di Vinci, il primo dei fratelli Vinci, Francesco. Francesco Vinci era la "pista sarda". "

" Mentre Vinci era detenuto per questo reato [maltrattamenti] avvenne l'altro omicidio, quello dei due tedeschi. Resta sempre da chiedersi, facendo sempre naturalmente una ricostruzione storica della vicenda... io non... non ricordo più con esattezza le carte, non le conosco nemmeno tutte, perché poi fu costruita la squadra investigativa antimostro, ci sono state altre tecniche d'indagine...ma, facendo, così, un ritorno al passato, c'é... ci sarebbe da chiedersi, e in via semplicemente storica, se quell'omicidio fosse stato commesso per liberare un soggetto che era detenuto, o per un errore, come appariva..."

Purtroppo la medesima ricettività non é mostrata dal GI, che in pratica dice:
"Va bene, sono state ammazzate due persone, e lasciato il "set" di bossoli e proiettili sul posto, ma in realtà, Francesco Vinci sarebbe attualmente accusato solo del delitto del 1968, non di altri. Se ne sono accaduti altri, non é stato lui. E se non é stato lui, ma la pistola é stata la stessa, ciò vuol dire soltanto che la pistola é passata di mano, ovvero che il "Mostro di Firenze" sta facendo il furbo per scagionare il Vinci. Tanto più che stavolta sono due uomini. Quindi, niente da fare: il Vinci rimane in gattabuia".
 
 Rotella non lo dice esattamente in questi termini, quanto piuttosto in quest'altro modo:

non è possibile una immediata risposta all'istanza di escarcerazione presentata dai difensori. Essa è logicamente fondata su una premessa erronea, ancorata al tipo d'autore, e al presupposto chela pistola non possa aver cambiato mano dopo il 1968 e fino all'arresto di Francesco Vinci. In questo senso non vien meno neppure il primo motivo del mandato a suo carico

ma il concetto é il medesimo. Pertanto, l'istanza di scarcerazione presentata dai legali di Francesco Vinci viene rigettata

Qui comincia ad essere difficile distinguere chi non capisce da chi finga di non capire. La differente interpretazione di Rotella e della Della Monica potrebbe rispecchiare una semplice difformità di vedute, oppure una precisa volontà da parte del GI.

A ben rifletterci, Mario Rotella e Silvia Della Monica attribuiscono lo stesso significato al delitto di Giogoli: scagionare Vinci. Ma, mentre la Della Monica ritiene che ciò avvenga da parte dei veri assassini (da notare che Silvia Della Monica, nelle interviste, parla del "Mostro" al plurale), Rotella ritiene che avvenga da parte di "complici" del Vinci, il quale rimarrebbe il vero assassino del 1968.

Pertanto, Rotella cerca tali ipotetici complici di Francesco Vinci principalmente nel suo ambito familiare, compreso il nipote Antonio (che poi darà origine all'ipotesi "Carlo" di Spezi), figlio di Salvatore.

In questa fase, che l'omicidio dei tedeschi possa ricevere una diversa considerazione, derivante da interpretazioni discordanti, é ciò che ci si aspetta. Così, il "Mostro" non può aspettarsi che alla morte dei due ragazzi consegua immediatamente la scarcerazione di Francesco Vinci, ed il viraggio delle indagini verso la giusta direzione. Però, con ogni probabilità, che ciò dia inizio ad una nuova fase, la cui conclusione sia quella del cambiamento di rotta delle indagini, questo sì, se lo aspetta.

Ed in effetti la nuova fase comincia; e inizialmente sembrerebbe andare nella direzione giusta; occorre considerare infatti che Francesco Vinci é comunque accusato da chi era sicuramente presente sulla scena del delitto del 1969, e cioè Stefano Mele.

La tappa obbligata deve quindi essere necessariamente quella di interrogare ancora Stefano Mele; il quale, il 16 gennaio del 1984, dopo un'intera giornata di interrogatorio ed un confronto con Francesco Vinci, fa finalmente il nome del colpevole: "Virgilio".

Ma non viene creduto.



L'arresto di Giovanni Mele e Piero Mucciarini (ancora sullo ZIO PIETO)

Non mi é mai stato chiaro, Lettore, perché si sia sempre esclusa a priori la colpevolezza di Carmelo Cutrona; e questo nonostante sia stato tra gli ultimi a farsi vedere a casa Mele, nonostante avesse la positività del guanto di paraffina, nonostante non esistessero fotografie né dati precisi su di lui, nonostante sia misteriosamente sparito dalla scena... trovo solo un riferimento su un blog specializzato che indica una data, 11 settembre 1983, nella quale si sarebbe eseguita una perquisizione domiciliare nell'abitazione di Carmelo Cutrona. Ma di tale perquisizione sembrerebbe non esservi traccia presso nessun altra fonte di documentazione; né la sentenza Rotella ne fa la benché minima menzione. Inoltre, la data di tale presunta pequisizione domiciliare sarebbe antecedente al nuovo interrogatorio, di Stefano Mele, nel quale egli rivela finalmente il nome. Quindi: perché Carmelo Cutrona non può "per definizione" essere colpevole? E' miopia o malafede? Non saprei, al riguardo, come interpretare nemmeno quanto riportato nella sentenza Rotella

La nuova accusa di Mele contro Cutrona, nel gennaio 1984, non metteva, né mette tuttora conto di essere presa in considerazione. È palese che se ha accusato Vinci, sinché ha potuto, e cioè quando ha trovato credito, prima presso i suoi stessi difensori, poi presso i compagni di detenzione (Vargiu Silvano, il Conticelli, Murgia Giuseppe — v. retro), infine presso i nuovi inquisitori, lo ha fatto per una ragione emotiva fortissima.

[...]

il suo astio per lui poteva essere sopito, ma mai spento. La ripresa delle indagini lo aveva rinfocolato, aggiungendo, come si è visto, la paura di subire ulteriori conseguenze.

[...]

..dovendo rinunciare ad accusarlo, riprendeva corpo la paura dell'inquisizione, che obiettivamente non avrebbe più avuto ragion d'essere, essendo stato rassicurato, sin per iscritto, dagl'inquirenti. E, per evitarla, provava a ripetere le accuse, secondo quello che stimava fosse l'indirizzo di chi indagava.


In buona sostanza, Rotella qui dice che Stefano Mele accusava Vinci per vendetta; anche essendo emerso nel corso degli indagini e degli interrogatori, come Vinci non potesse essere colpevole, Stefano Mele, avndo ottenuto la rassicurazione di non poter più essere inquisito, perseverava nelle accuse verso chi, oltetutto, riteneva fosse anche il bersaglio degli inquirenti.

Bene, ma se così é, ciò vorrebbe che costretto a ritrattare, avrebbe fatto il nome del vero colpevole, e cioè Cutrona.

E questo in effetti avviene, il 16 gennaio, cosa che avrebbe condotto il "Mostro" ad un passo dalla fase finale, e cioè la riapertura delle indagini nella direzione corretta; ma tale risultato viene inopinatamente vanificato da un imprevisto: Rotella non gli crede.

Il 20 settembre é deceduta Antonietta Mele, e da allora Giovanni Mele e Piero Mucciarini convivono; anche Stefano si trova nello stesso stabile, insieme aalla sorella Maria.

Rotella, intenzionato a perseverare a qualunque costo (ma non a sue spese) sulla "Pista sarda", dispone una perquisizione personale e domiciliare che porta al rinvenimento del famigerato biglietto dello "Zio Pieto".




Abbiamo già visto nel post precedente come l'esistenza di tale biglietto rivestisse un'importanza capitale nella conduzone delle indagini, ed invece la sua esistenza, all'epoca della redazione di esso, e cioè un anno e mezzo prima, non sia stata nemmeno considerata. Ma ciò avveniva sotto la "gestione Tricomi"

Per la verità, il giudice Rotella rileva perfettamente una tale macroscopica anomalia, e lo scrive pure in sentenza:

Maria Mele sosteneva, di fronte alle prospettazioni del p.m., di non aver alcun interesse alla revisione del processo in favore del fratello. Il suo sgomento, allorché il vecchio padre Palmerio aveva indicato quale correo di Stefano al p.m. (v. retro) F. Vinci, il diniego di firma del verbale d'ispezione, la resistenza acché i magistrati interpellassero anche sua sorella Antonietta, allora in effetti gravemente ammalata, prima interpretati come sintomi di paura, appaiono, ora (gennaio 1984) che le accuse contro il Vinci sono svanite, in luce sospetta.
Le intercettazioni telefoniche sulla sua utenza, subito dopo l'inizio delle indagini, attestano infine(v. r. 4.6), in quell'agosto 1982, un lavorio di Giovanni Mele, al quale Maria faceva da spalla, intorno a quello che avrebbero dovuto dire agl'inquirenti, a parte altri congiunti (Teresa), Stefano e Natalino.
Dalle telefonate si apprende che Giovanni aveva lasciato qualcosa per iscritto a Stefano e chiamato il nipote per istruzioni e ragguagli. E quest'ultimo, che nel 1968 aveva accusato del delitto suo marito Piero Mucciarini, era stato già chiamato dalla zia Antonietta per telefono, la sera stessa in cui aveva subito, stando a letto, l'escussione dei magistrati, interrotta su parere del medico presente.
Infine, all'evidenza, nessun effetto aveva sortito l'impegno preso con il p.m., da tutti i suoi fratelli, di spinger Mele a dir la verità, per ottenere la revisione del processo (v. r 4.6 e 4.7. e capi II e III, per tutto quanto).


Questo non stupisce perché sarebbe ovvio per qualunque investigatore che se una persona moribonda, subito dopo il colloquio con i magistrati, si affretta a convocare il nipote, e questo nipote farà da tramite per lìinvio di una direttiva che dal marito della moribonda giunge a colui che al momento é il fulcro delle indagini, ciò che occorrerebbe fare é cominciare a controllare, subito e in maniera inapparente, il marito della moribonda, per vedere con chi, a sua volta ha contatti, anziché arrestarlo due anni più tardi.

Ciò che invece stupisce é l'interpretazione che ne dà, e le azioni che intraprende al riguardo.

Occorre considerare che Stefano Mele é stanco, scocciato, impaurito e diffidente, e pertanto tenta di essere "accondiscendente" verso ogni ipotesi che gli appaia come gradita agli inquirenti, risparmiandogli complicazioni. Quindi usa quei pochi indizi disponibili come strumenti per giungere allo scopo, e cioè essere lasciato in pace. 

Il biglietto dello "Zio Pieto" non può fare eccezione. Da un lato, gli é stato trovato nel portafogli, dove lo tiene da un anno e mezzo, senza mai farne parola nel corso dei precedenti interrogatori; e questo potebbe generare sospetti, mettendolo ancora una volta in difficoltà. Dall'altro, il biglietto si riferisce certamente al delitto del 1968, e contiene due riferimenti personali altrettanto certi: l'emissario ("Lo- Zio Pieto") ed il redattore/latore (Giovanni Mele). Considerato che le accuse rivolte verso Francesco Vinci sono ormai divenute poco credibili, e quelle a Carmelo Cutrona non hanno mai riscosso il gradimento degli inquirenti, quale potrebbe mai essere la via rimasta per chiudere la faccenda? Quale migliore occasione per trarsi d'impaccio?

E per il giudice Rotella, quale miglior occasione per continuare sulla "Pista sarda"?

Tutti d'accordo, quindi. Giovanni Mele e Piero Mucciarini sono quelli che rimangono, e ciò va bene per Rotella; Stefano Mele, d'altra parte, non ha più scrupoli verso chi si é adoperato per convincerlo ad incolparsi anzichè aiutarlo a scagionarsi. Condizione rilevata dallo stesso Rotella 

"...il problema della validità intrinseca delle dichiarazioni di Stefano Mele. Vale a dire che ne poneva indirettamente in luce motivi di dissenso e di disamoramento per la sua famiglia."

"Mele, che si era sentito rifiutato dalla famiglia, scaricava su di essa il suo rancore."


e vi é addirittura un riferimento documentale, e cioè il biglietto.

Essenzialmente sulla base di una dichiarazione di Rosalia Barranca riguardo a qualcosa che le era stato detto probabilmente da Giovanni Mele al processo Mele, nonché della testimonianza di una sorta di "amante" di Giovanni Mele, la cui sanità mentale appare dubbia, il giudice Rotella fa spiccare mandato di arresto per Giovanni Mele e Piero Mucciarini.




E' a questo punto che Silvia Della Monica richiede di essere sollevata dall'incarico, ritenendo ormai basate sul nulla le iniziative di Rotella. Ed é qualcosa che ha sempre detto e rimarcato nel corso di diverse interviste:

"Io leggevo... le notizie sui giornali rientrando dagli Stati Uniti, leggemmo... che... di questi arresti, ed io trassi la conclusione... insomma, mah, forse é stata ritrovata la pistola! Io,eh... fu allora che io chiesi al Procuratore di esonerarmi dalle indagini. Lo dico per la prima volta, é passato tanto tempo... che vorrei che.. fosse chiaro che la necessità di non portare all'attenzione dell'opinione pubblica una diversità di vedute era più che evidente. Soltanto che non condividevo; ed era abbastanza difficile poter portare avanti qualcosa come pubblico ministero se non lo condividi. Se io e Piero Vigna fossimo stati convinti della pista sarda, non avremmo avuto esitazioni a lanciarci sulla stessa, ma ripeto, gli elementi di prova, anche a carattere indiziario, per l'emissione di misure cautelari per reati così gravi, che diventavano seriali... eh, dovevano essere elementi seri, ecco!"

"... l'avevo lasciata, d'intesa con il Procuratore della Repubblica, dopo l'omicidio dei due tedeschi... perché, era un periodo in cui io mi occupavo moltissimo di criminalità arganizzata, avevamo un processo che toccava non soltanto Firenze e la Toscana, ma anche la Sicilia, quindi collaboravamo con Giovanni Falcone, e gli Stati Uniti, e spesso eravamo, in rogatoria, negli Stati Uniti. Quando... io ero all'estero, insieme ad altri colleghi, per queste rogatorie... molto importanti... noi disarticolammo una parte della famiglia di Porta Nuova, da Firenze, fu una grande acquisizione arrestammo Tommaso Spadaro ed altri per un grandissimo traffico di droga...in aereo io ricorsdo che leggevamo con i colleghi i giornali italiani, e apprendemmo dell'arresto dei due cognati, quelli che venivano definiti "i due cognati", credo che fosse un fratello di Stefano Mele, per quello che io ricordo... e Piero Mucciarini. E siccome erano personaggi su cui stavamo indagando, prima che io partissi per gli Stati Uniti... Piero Vigna tra l'altro era impegnato in altre indagini... può immaginare... Piero, é sempre stato preso, soprattutto d storie di terrorismo... e... sicuramente pensammo che era stata ritrovata l'arma del delitto. Lo dico... l'ho detto a distanza di tempo perché l'importante era comunque avere l'unitarietà di un ufficio giudiziario. Rientrata, e appreso che l'arma del delitto non c'era, non trovavo giustificato, onestamente...questo arresto, per cu dissi al Procuratore della Repubblica dell'epoca, guarda io non me la sento di continuare, ti metterei in difficoltà l'ufficio. Un pubblico ministero che non é convinto della tesi dell'accusa non può assolutamente sostenerla."

Ma, soprattutto, SIlvia Della Monica aveva comunque intuito che ciò che stava dietro l'omidio del 1968 fosse da ricercare in un'altra direzione:

" Nonono, non lo dò per certo che fosse opera dei sardi perché in realtà poi noi non potemmo più investigare, sotto questo profilo... perché, con l'uscita di... di Francesco Vinci dalla scena, e poi... fu necessario anche cercare di ampliare il raggio delle... che già era abbastanza ampio ed in quel momento si era focalizzato su Francesco Vinci, non lo dò assolutamente per certo"

Comunque fosse, per quel che riguarda gli scopi dell'operazione, la situazione pare essersi assestata su una posizione estremamente negativa

Stefano Mele alla fine ha parlato, ma non é stato dato alcun seguito alla cosa nel senso da lui indicato.

Il GI é più che mai incaponito sulla pista sarda

La PM, che era quella più propensa a cambiare direzione, ha mollato.

In galera, oltre a Francesco Vinci che qualcosa, comunque, sa, ora vi é anche Piero Mucciarini, che sa molto più di Francesco Vinci.

In pratica, oltre al fatto che le indagini stanno ormai puntando nella direzione opposta, vi é anche il pericolo che il "Mostro" venga, in qualche modo, smascherato.

Obiettivamente, le perplessità non assalivano solo Silvia della Monica. Quando la PM chiede di lasciare l'incarico, il suo ruolo, in attesa della nomina di un altro sostituto procuratore, viene assunto dal titolare dell'ufficio della procura. Enzo Fileno Carabba, e anch'egli é convinto dell'innocenza dei tre che al momento sono in galera. Ed anche la stampa ne é convinta.




Solo il GI sembra non vedere l'evidenza, non recedendo dai suoi propositi, e l'11 maggio del 1984 organizza un confronto tra Stefano Mele ed i due cognati. Abbastanza ovviamente, nessuna novità viene fuori da ciò.



Vicchio

Al "Mostro" non rimane allora che colpire ancora; e lo fa il 29 luglio 1984, uccidendo Pia Rontini e Claudio Stefanacci.




Ed eseguendo un delitto "esemplare", che colpisca l'opinione pubblica; non é un semplice omicidio a colpi di pistola di due turisti tedeschi.




Vi é l'omicidio di una coppia di fidanzatini, giovanissimi, com mutilazioni ben più evidenti delle precedenti: oltre allo scuoiamento della regione pubica, anche la mammella sinistra viene asportata.

Sul particolare della mammella asporata, che qui sembra essere una new entry, desidererei aprire un inciso. E' una breve digressione per esprimere nulla di più che un parere personale; ma perché qui compare anche una delle innumerevoli incongruene interpretative, che da un lato vorrebbero attribuire a questa particolare azione il significato di una non meglio identificata "evoluzione" (ma evoluzione di cosa, specificatamente? Di una patologia psichiatrica? E quale, esattamente? Quale sarebbe la diagnosi? Di un progetto? Di una mentalità? Di una strategia? Che cosa, precisamente, avrebbe subito un'evoluzione?); dall'altro, però, riterrebbero che essa sia riconducibile alla lettura di un fumetto pornografico.

Il fatto di voler ricercare nella causa di comportamenti omicidiari con vilipendio del cadavere, presunti traumi infantili, e poi equiparare a questi ultimi l'influenza della trama di un fumetto porno si inserirebbe perfettamente nel filone che vede il mostro come un uomo che ha fatto il pastore ma facendolo ha conseguito un diploma di scuola superiore, che ha un'auto vecchia che però cambia spesso, che é un ex carabiniere ma ha una lunga storia criminale con periodi trascorsi in istituti o in carceri, che fa un lavoro da artigiano ma ha a che fare con autopsie di piccoli animali, che ha denunce per piccoli reati contro la persona ma non ne ha mai commessi, che non é sposato ma ha una moglie e dei figli, e così via

E' un'incongruenza macroscopica. Il fatto che qualcuno mosso da pulsioni psicologiche, qualunque esse siano, possa essere condizionato o cambiare le sue modalità di azione sulla base di un fumetto é concettualmente assurdo. Che il fumetto tragga ispirazione dalle vicende reali é un conto, specialmente se, dichiaratamente, si chiama "Attualità gialla"




ma che le vicende reali traggano ispirazione da un fumetto é un altro.

Diverso é invece il concetto di quella che é una "rappresentazione", una finzione, una messa in scena, una storia. Che chi desidera porre in essere artatamente una rappresentazione che impressioni chi vi assiste, sia che si tratti del ristretto gruppo di lettori di una pubblicazione discutibile o dell'intera opinione pubblica italiana, attinga a qualunque fonte, anche la più popolare, le idee per incrementare al massimo l'impatto sul proprio target é proprio ciò che ci si aspetta. Ed infatti, anche "Coniglio il Martedì" avrà preso qualche spunto dal fumetto, come ad esempio la Renault 5 di una delle coppie (che nella realtà non é mai stata l'auto di alcuna delle vittime), l'Alfa Romeo del "mostro", o la possibilità, ventilata nel fumetto, che il "mostro" mangiasse le parti asportate (come si verifica, per l'appunto, nel romanzo)

Così, se gli esecutori degli ultimi due omicidi dovessero aver tratto qualche forma di ispirazione dal fumetto, é verosimile che anche il cognome "Farini" gli sia rimasto impresso; chi ha commesso l'omicidio di Vicchio così come ha mutuato le modalità delle mutilazioni può anche avere tratto il cognome dal fumetto, considerato che deve averlo letto (lettura che pare aver interessato molti più appassionati del genere di quanto non si crederebbe).

E, d'altra parte, ciò non costituirebbe una novità per il "Mostro di Firenze". Se chi avesse avuto intenzione di ingigantire la teatralità del suo operato avesse tratto ispirazione dalla pseudo-letteratura costituita dai fumetti pornografici, non avrebbe fatto altro che reiterare ciò che era già avvenuto ai tempi del delitto di Rabatta. Su "Il Giornale d'Italia" comparve, il 17 settembre del 1974, un articolo a firma Alfredo Scanzani, dal titolo "Il "rito" copiato da una porno-rivista?", citava la descrizione, in una rivista "per soli uomini", di un delitto con caratteristiche simili a quello Pettini-Gentilcore, compresa l'uso di un  tralcio di vite nel contesto delle violenze subite dalla donna. Ma nessuno sembra ricordarsene più; se ne ricordò De Gothia, anche se non riuscì a procurarsi la rivista.Bisogna sottolineare, per amor di precisione, che le informazioni non (più) verificabili avrebbero anche potuto essere false; ma se dicessi che Alfredo Scanzani era un Massone, entrerei francamente nel campo della dietrologia.

Detto ciò, consideriamo il fatto che, almeno per il delitto di Baccaiano, abbiamo degli indizi "gravi precisi e concordanti" del fatto che chi ha eseguito l'omicidio, o qualcuno ad esso strettamente connesso, abbia assistito alle operazioni di scoccorso della "Misericordia". Non abbiamo modo di sapere se ciò facesse parte della prassi, se sia accaduto solo a Baccaiano per verificare l'esito di un'operazione andata male, o se proprio per questa ragione sia divenuta prassi dopo Baccaiano.

Se chi ha compiuto l'operazione a Vicchio avesso voluto assistere in incognito ai rilievi delle forze dell'ordine, mescolandosi alla folla dei curiosi, per farlo avrebbe evidentemente dovuto attendere che i cadaveri venissero scoperti, e che successivamente qualcuno si radunasse nei pressi della scena del crimine, come fu per Baccaiano.

Fatto ciò, e volendo andar via, il fatto di voler minimizzare la possibiltà di essere intercettati, anche per un semplice controllo dei documenti (che avrebbe comunque lasciato una traccia) é comprensibile. Non so quante unità fossero allora a disposizione del nucleo radiomobile della Compagnia di Borgo San Lorenzo, se ne siano state coinvolte altre, etc. ; ma é ovvio (anche da come andarono i fatti) che da un lato vi debba essere stata una convergenza verso l'area del duplice omicidio, mentre dall'altra qualche unità si sarà dovuta mantenere a disposizione per eventuali emergenze, altri interventi. Se l'intenzione di chi aveva commesso il crimine fosse stata quella di allontanarsi in direzione Dicomano, il fatto di dirottare l'unità radiomobile in direzione opposta é un'idea abbastanza razionale. Pur essendo il re dei "dietrologi", non riesco a vedere alcun significato recondito nella telefonata, nessuna "sfida agli inquirenti"; solo un comportamento razionale, e persino ovvio.

Se, in generale, passiamo in rassegna l'atteggiamento adottato da reali serial killer che abbiano voluto sfidare che dava loro la caccia, ci rendiamo conto di come esso sia palese, mai mascherato dietro comportamenti difficili da interpretare, che lascino adito a dubbi. Le stesse lettere inviate da Zodiac, sebbene criptate, avevano provenienza e significato chiari ed inequivocabili; la criptazione dei contenuti faceva parte della sfida. In altri termini, la comunicazione é funzionale alla sfida; quindi quest'ultima non consiste mai nel dover indovinare da chi la comunicazione provenga, o in cosa la sfida debba consistere.

Una telefonata con possibile riferimento al fumetto, che alluda ai contenuti di esso, così come il lembo di cute di mammella inviato senza una parola, sono difficili da riportare ad una figura di serial killer; un esempio per meglio comprendere cosa io intenda può essere rappresentato dalla differenza che intercorre nei messaggi di accompagnamento del lembo cutaneo di Nadine Mauriot inviato a Silvia Dalla Monica, ed il frammento di rene di Catherine Eddowes che pervenne a George Lusk da parte di Jack the Ripper: nullo nel primo caso, esplicito nel secondo. Sempre di un frammento di parte anatomica si tratta, ma le modalità di comunicazione sono diverse, così come diverso é il messaggio lanciato, comunque perfettamente intelligibile anche nel primo caso, tanto che Silvia della Monica non ebbe difficoltà ad interpretarlo; perché a differenti modalità di comunicazioni si riferiscono messaggi diversi, a cui devono evidentemente corrispondere finalità diverse

Chiuso l'inciso, ritorniamo alla storia.

Nel frattempo, il Procuratore capo di Firenze Enzo Fileno Carabba é passato a miglior vita, ma é stato nominato il sostituto Carlo Bellitto. Senza dubbio il delitto colpisce. E Carlo Bellitto richiede l'istituzione della SAM.

Qui, anche Pier Lugi Vigna diviene sostituto procuratore, nell'ambito dell'istituzione della SAM

Il giudice Rotella, sorretto da granitica cocciutagine (o dalla deliberata intenzione di evitare di prendere la giusta direzione), rigetta l'istanza di scarcerazione per Mele e Mucciarini:
 
La libertà dei congiunti del Mele è perciò troppo importante perchè questo giudice ne disponga senza aver avuto il tempo di riflettere, di fare riscontri, di proseguire le indagini. Non si è riuscito a far prima perchè una pistola ha sparato più velocemente del pensiero

Ma forse, l'impari confronto, più che alla velocità di sparo della pistola, é dovuto alla esasperante lentezza del pensiero.

Una coincidenza degna di nota é che tale rigetto avviene la mattina del 18 agosto 1984, mentre la sera precedente, 17 agosto 1984, Lorenzo Allegranti, in vacanza a Rimini, riceve una telefonata di minaccia. 
Molti (Paolo Canessa compreso), non trovando nessuna logica in questo accanimento su Lorenzo Allegranti a distanza di oltre due anni dal delitto di Baccaiano, riterranno tale telefonata uno scherzo fatto all'autista, sebbene di pessimo gusto; ed é certamente possibile che lo sia. 
Ma é altrettanto possibile che il "Mostro", considerata la validità, ormai palese,delle sue fonti di informazione, avendo appreso di come Rotella sia in procinto di decidere per la scarcerazione, abbia ritenuto di lanciare l'ennesimo messaggio: "sono qui e telefono; quindi, chi é in galera non può essere il Mostro". 
Vista così, una logica vi sarebbe eccome.

L'iniziativa intrapresa, a questo punto, da Rotella, é quella di considerare "la pagina tralasciata" percorrendo l'unica ramificazione della "pista sarda" ancora non battuta: Salvatore Vinci.




Stefano Mele aveva fatto un accenno a Salvatore Vinci nel gennaio del 1984; era l'unico che mancava, dopodiché rimanevano solo vecchi, donne e bambini, le categorie che tradizionalmente tutti cercano di salvaguardare in ogni circostanza tragica. Anzi, nemmeno "vecchi" poiché Palmerio Mele é deceduto l'anno precedente; e sempreché vogliamo ostinarci a considerare ancora "giovani" Giovanni Mele e Piero Mucciarini, ormai sessantenni.

Ma quelle a Salvatore Vinci furono allusioni, non accuse dirette. Il colonnello Torrisi redigerà al riguardo un rapporto la cui lettura avrebbe dovuto essere vietata ai minori di anni 18 (o, per una mera questione di decenza, vietata tout court); viene da pensare che sia stata l'occasione della sua vita per dare sfogo alle sue più intime ed inconfessabili pulsioni. Ma ciò che dà ancor più da pensare é che Torrisi era colonello dei Carabinieri; e vedremo più avanti cosa ciò possa significare.

Con Francesco Vinci fu facile. Fu facile arrestarlo, per motivi che non avevano a che fare con i delitti del Mostro; fu facile incolparlo poi di quelli, in virtù delle accuse dirette di Stefano Mele.

Per Salvatore non era altrettanto semplice: mancavano ambedue i presupposti. Così, in attesa di crearli, si iniziò un attività di pedinamento e di intercettazioni telefoniche, mentre ci si preparava un'accusa di omicidio a danno della prima moglie, Barbarina Steri. Qui, Lettore, troverai, se vuoi, una breve disamina del'inconsistenza dell'ipotesi accusatoria al riguardo.

Ma in tutto ciò cosa poteva mai fare il "Mostro"? Soltanto cercare l'appoggio (sembra un'espressione ridicola, ma in fondo é così) dell'unica persona che in questa vicenda sembrava aver mostrato di possedere i cosiddetti "attributi", pur essendo femminuccia: Silvia Della Monica.

Silvia Della Monica aveva tirato, tre anni prima, un colpo basso alla squadretta di Baccaiano, facendoli preoccupare seriamente riguardo al fatto che Mainardi avesse parlato.

Silvia Della Monica aveva perfettamente intuito il significato dell'omicidio di Giogoli.

Silvia Della Monica si era tirata indietro, in maniera ferma, ma molto elegante e nel pieno rispetto delle istituzioni che rappresentava, quando la mancata condivisione della sua linea di pensiero ostacolava le indagini e teneva in carcere degli innocenti.

Ma, soprattutto, Silvia Della Monica non era affatto convinta che il delitto del 1968 fosse stato compiuto dai "sardi"

" Nonono, non lo dò per certo che fosse opera dei sardi perché in realtà poi noi non potemmo più investigare, sotto questo profilo... perché, con l'uscita di... di Francesco Vinci dalla scena, e poi... fu necessario anche cercare di ampliare il raggio delle... che già era abbastanza ampio ed in quel momento si era focalizzato su Francesco Vinci, non lo dò assolutamente per certo"

A questo punto, un aiuto al "Mostro" poteva venire solo da lì; occorreva soltanto sollecitarla, e farla rientrare, volente o nolente, nelle indagini.



Scopeti

Però il "Mostro" che certamente apprezza Silvia Della Monica ma che, in qualche modo, si sente tatticamente superiore (o, Lettore, se vogliamo dirlo con un espressione meno ricercata, si sente più furbo di lei), per ottenere questo, non poteva certo mandarle una letterina, come si fa con Babbo Natale o Gesù Bambino, chiedendole di esaudire il suo desiderio.

Certo, l'intenzione di mandare una letterina c'era, ma prima occorreva preparare il terreno; ed il terreno era precisamente quello di una piazzola di via degli Scopeti




mentre la preparazione di esso consisteva nella presenza dei cadaveri di Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot




che proprio in quella piazzola avevano incautamente deciso di piantare la loro tenda.

Anche qui il "Mostro" pasticcia abbastanza, non quanto a Baccaiano, ma quasi; ma ciò non ha importanza in quanto occorre un delitto di forte impatto emozionale, affinché il "richiamo" sia abbastanza incisvo; e l'impatto emozionale é assicurato dalle mutilazioni inferte alla povera Nadine: vello pubico e mammella sinistra.

Eseguito il delitto degli Scopeti, manda alla d.ssa Della Monica la lettera con un lembo cutaneo della mammella di Nadine Mauriot, e le fa anche una telefonata anonima




Silvia Della Monica, per sua espressa dichiarazione, comprende perfettamente come il "Mostro" stia cercando di tirarla nuovamente dentro

"Quando... mi arrivò, la lettera... eh be', quella sembrò quasi un richiamo... alle indagini che erano state da me lasciate; cosa che non poteva sfuggire naturalmente a chi, essendo interessato alle stesse come autore del fatto, voleva in qualche maniera rimettersi in attenzione"

ma essendo in realtà forse meno furba, ma di sicuro più intelligente del "Mostro", dice a Vigna che non vuole più saperne nulla di questa storia.

"...Piero Vigna era convintissimo che io avessi fatto parte... molti... della mia opinione che il mostro avrebbe potuto farci trovare i cadaveri attraverso un invito... tipo la lettera, contenente magari un macabro reperto... e quindi voleva un po' sorvegliare i miei amici, le persone con cui ero venuta in contatto... era un periodo un po' complesso. Io dissi: va bene. Però, non... dopo questo, che sicuramente mi induce ancora di più ad allontanarmi dalla... dalle indagini, che peraltro, ripeto, avevo già lasciato, io non voglio sapere più niente di questa vicenda".



L'entrata in scena del SISDe

Nel 1984, subito dopo la richiesta di istituzione della SAM, il SISDe fa il suo ingresso nella vicenda.

Apparentemente, l'attività consiste nella redazione di elaborati da parte di singole persone, e nell'emissione di note informative.
Ma la valenza di tali iniziative appare, nella migliore delle ipotesi, nulla. Ai fini dell'indagine, almeno.

Gli eleborati ufficialmente commissionati sarebbero dovuti al prof. Francesco Bruno, ed alla sig.ra Teresa Lucchesi; più tardi, a mostro già scomparso, ve ne sarà un terzo, per così dire, "spontaneo" dovuto ad un altro consulente, che si sarebbe ispirato a quanto scritto dal prof. Bruno.

Il lavoro di Bruno, neuropsichiatra, criminologo, consisterebbe in tre elaborati diversi di cui il primo sarebbe stato chiesto direttamente da Vincenzo Parisi, l'allora direttore del SISDe, ma non si é mai trovato, il secondo sarebbe poi stato "riadattato" a perizia per il processo Pacciani, la quale costituirebbe il terzo. Di esso (come sembrerebbe, dei precedenti), vi sono alcuni capitoli "riservati" e non divulgabili




leggendoli, tuttavia, non sono chiari i motivi della riservatezza. In particolare, il capitolo 7.2 appare un ibrido, nei concetti, tra un adventure game degli anni '80 , e l'interpretazione delle centurie di Nostradamus




La sig.ra Teresa Lucchesi, firmataria dell'altro elaborato, sarebbe un'impiegata del SISDe con diploma di Istituto Tecnico Commerciale; interrogata in data 16 novembre 2001 ha dichiarato di aver elaborato il rapporto su richiesta del Capo centro del 1985, e avvalendosi di articoli di stampa sull'argomento, mentre il riferimento all'esoterismo nasce da valutazione strettamente personali. Sempre lo stesso giorno, però sarebbe stata interrogata anche Simonetta Costanzo, moglie di Francesco Bruno, la quale sarebbe la reale autrice dello "studio", uno stralcio del quale sarebbe apparso due settimane prima sul Corriere della Sera.

Il lavoro scritto in autonomia, o presunto tale, sarebbe il libro di Aurelio Mattei "Coniglio il martedì", edito da Sperling&Kupfer, che, nonostante il basso volume di vendita, meriterà comunque addirittura una ristampa.

Poiché però il volume sarà pubblicato nel 1993, la sua menzione qui sarebbe cronologicamente fuori luogo, così ne parleremo nel prossimo, conclusivo post. Ma andiamo avanti.

Le note informative emanate dal SISDe forniscono, nell'arco di tre anni, quattro diversi nominativi come possibili "Mostri di Firenze"; essi sono forniti separatamente nell'arco di questi tre anni, ed ognuno di essi sarebbe da intendersi come possibile "Killer unico"; non c'é bisogno di dire come essi facciano riferimento a persone che praticamente non entreranno mai nelle indagini.

Qual é la possibile interpretazone di ciò, Lettore?

Forse la prima che viene in mente a chi ha a che fare con le varie incarnazioni della Pubblica Ammnistrazione, é che sia stato, semplicemente un modo per prendere i classici due piccioni con una fava: dimenarsi, mostrando una certa attività istituzionale, e favorire degli amici pagandoli per delle consulenze. 
Commissionare perizie, studi di fattibilità, consulenze su argomenti che non verranno mai presi in considerazione, elargire borse di studio, etc.. é un classico; chiunque abbia avuto a che fare con la PA lo sa bene; un'attività dispendiosa che non verrà mai fatta rientrare in alcuna "spending review", con buona pace dei Cottarelli di turno. 
Ma potremmo rifarci a Celestino Massucco quando, traducendo Orazio, fa salire addirittura a tre il numero dei piccioni da prendere sempre con la stessa fava; perché oltre a mostrare di svolgere un lavoro, e far avere qualche prebenda agli amici, si consegue un fine ben più elevato: il depistaggio. Ed anche in una maniera elegante ed inapparente.

Infatti, un Servizio di riferimento quale il SISDe, dall'alto della sua autorevolezza, sta di fatto fornendo degli orientamenti che vanno verso il killer solitario, e sta fornendo delle motivazioni che stanno a metà tra la psicopatologia e l'esoterismo, volgendo in realtà le azioni investigative verso direzioni errate. Contribuisce efficacemente in tal modo alla dispersione del flusso delle indagini in mille rivoli.

Questo, Lettore, é al contempo confortante e sconfortante.

E' confortante perché, alla fin fine, mostra che il SISDe il suo mestiere, più o meno, lo sa fare; in che mani saremmo se il nostro servizio di intelligence interno basasse veramente la propria attività su relazioni messe insieme da un perito tecnico commerciale sulla base dei ritagli di giornale, o sulle consulenze di chi afferma che inviare lettere ad un PM che fa "Della Monica" di cognome significa fare riferimento ad una suora?!?

E' però sconfortante nel constatare a cosa le abilità del servizio siano finalizzate; in che mani siamo se il nostro servizio di intelligence depista invece di fornire almeno validi spunti di investigazione, se non vere e sostanziali informazioni, come dovrebbe essere?

Eppoi, come si concilierebbe questo con il resto?

L'interpretazione di questa ben strana ed improduttiva ingerenza sarebbe in realtà abbastanza lineare. Ma per illustrarlo mi trovo nella necessità di eseguire una piccola, ma noiosa, digressione

Addirittura già nell'Italia pre unitaria vi era una divisione di fatto tra servizi segreti che si occupavano degli affari esteri e quelli che si occupavano di quelli interni, tra servizi che considerassero le minacce provenienti da Stati stranieri, e quelle all'interno dello stato stesso, tra servizi con funzione di difesa militare, e quelli con fuzione di difesa civile. Questa divisione che nascava da esigenze diverse, e dal diverso modo di affrontarle ebbe risvolti diversi, con numerosi addentellati fra le due tipologie di servizio, divise in sezioni a volte numerose e spesso poste a cavallo delle due posizioni. Abbiamo visto qui come durante il periodo fascista a fianco di un servizio segreto militare esistesse una polizia politica le cui funzioni ispettive erano svolte dall'OVRA, e di come molti dirigenti dell'OVRA siano poi transitati nei servizi repubblicani.

Durante il periodo monarchico/fascista non vi erano solo SIM e OVRA, ma diversi altri servizi di intelligence; tuttavia, giusto per rendere chiaro il concetto, possiamo ricorrere ad un'estrema semplificazione. Questa, bada bene, Lettore, é un'"oversimplification", una semplicazione tanto spinta da rendere formalmete errati i concetti che esprime. E' solo per illustrare proprio questo concetto, e consentirci di progredire nel discorso.

Nell'Italia repubblicana é dopo il 1948 che la diversificazione tra le due esigenze, esterna ed interna, militare e civile, diviene molto più distinta.

Tale assetto più definito può essere concretizzato nell'evoluzione dei due servizi, che si può sintetizzare nel dualismo

SIM SIFAR SID

e

OVRA UAR IGAT

Il Servizio Militare avrebbe dovuto avere a che fare con l'estero e gli Affari Riservati con la sicurezza interna.

E sempre per motivi storici, alla fine il dualismo si rispecchia anche negli aspetti operativi dei due gruppi di servizi, con il servizio militare gestito e svolto dall'Arma dei carabinieri, e quello civile dalla Polizia

Nel 1977, ambedue i nuclei vengono sottoposti al controllo del medesimo organo centrale, parlamentare, il CESIS, mentre i servizi militare e civile assumono le denominazioni di SISMi e SISDe; qui, il SISDe avrebbe il compito precipuo di garantire l'integrità del regime democratico esattamente come l'OVRA doveva garantire quello del regime fascista.
Il dualismo era palese anche dalla dipendenza da due diversi ministeri: Difesa e Interni; anche se per la verità, qui si verificò una situazione considerata anomala (anomalia che avrebbe una certa attinenza con la vicenda con cui stiamo avendo a che fare) che consistette nel porre sempre un militare anche alla direzione del SISDe, cioè il Servizio Segreto civile.

Comunque sia, il procedere verso l'oversimplification, comporta l'estensione del concetto ad ogni forma di concretizzazione di esso, in ogni passaggio burocratico e gestionale; e ciò si sintetizzerebbe nelle due "equazioni":


Ministero della Difesa = Servizi Segreti Militari = Carabinieri = Tribunale = Giudice Istruttore

Ministero degli Interni = Servizi Segreti Civili = Polizia = Procura = Pubblico Ministero 


La comparsa del SISDe tra gli attori segna quindi l'ingresso dell'altra branca dei Servizi nell'operazione

Ma da cosa deriverebbe tale sopravvenuta necessità? Come abbiamo visto prima, fino al 1984 l'indagine é stata saldamente in mano alla prima catena operativa, quella militare, tanto che la Silvia Della Monica si é vista costretta a mollare; se quindi é vero che finora non si é giunti a nulla nell'individuazione delle motivazioni dell'evento di Signa, é altrettanto vero che a nulla si é giunti riguardo ai colpevoli dei delitti più recenti.

L'istituzione della SAM, però, varia gli equilibri, e rende concreto il rischio che si possa giungere alla verità relativamente non tanto alle motivazioni del delitto di Signa, ma alla reale modalità della loro esecuzione e quindi alla consistenza dell'entità "Mostro di Firenze".

E' necessario allora alzare delle protezioni nel caso in cui la nuova sezione investigativa arrivi, in qualche modo, pericolosamente vicino alla reale essenza del "Mostro". E poiché in questo genere di depistaggi dovrebbero essere più versati i Servizi civili, essi si attivano

Ma soprattutto occorre tenere presente un concetto fondamentale. "SISDe" sarebbe l'acronimo di " Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica". Il SISDe, in accordo con quanto riportato nel testo della legge istitutiva (801 del 24 ottebre 1977, articolo 6), avrebbe come scopo precipuo quello di assolvere "a tutti i compiti informativi e di sicurezza per la difesa dello Stato democratico e delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento contro chiunque vi attenti e contro ogni forma di eversione.". In altri termini, esattamente gli stessi scopi dell'OVRA, con l'unica e ovvia differenza che mentre il SISDe avrebbe operato una difesa "dello Stato democratico e delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento", l'OVRA avrebbe difeso lo Stato fascista nei riguardi delle attività antifasciste e "antinazionali". Ogni regime, dittatoriale o democratico che fosse, difende se stesso dicendo di difendere lo Stato, in quanto in qual momento esso impersona lo Stato.

Se le indagini relative al "Mostro di Firenze" avessero messo in evidenza e portato all'attenzione dell'opinione pubblica una situazione nella quale apparati "parastatali" avessero commesso gravi reati per perseguire i loro fini, ciò avrebbe potuto compromettere la pubblica sicurezza tramite una destabilizzazione sociale e politica. In una tale situazione, l'intervento del SISDe per scongiurare una tale possibilità é d'obbligo. Fa parte, semplicemente, dei suoi compiti istituzionali.

Inoltre, vi sarebbe un particolare da non trascurare. La persona che rimase a capo del Servizio occulto fino alla morte, avvenuta nel novembre del 1981, ed a cui ci si riferisce qui come "testa del Mostro", era rintracciabile ad un numero telefonico di Roma (3270958), che era un numero del SISDe.

Resterebbe da chiedersi, Lettore, perché proprio nel 1984... be', é proprio nel 1984 che il SISDe ritorna nel pieno controllo del Qualcunaltro; e si fa fatica ad intravedere una semplice coincidenza nel fatto che, non appena ciò accade, immediatamente ci si attivi in tal senso, chiedendo al prof. Bruno di redigere una relazione.

Per la verità, nel contempo anche il Servizio che sta conducenzo le operazioni, anch'esso sotto il controllo del Qualcunaltro, pare essersi attivato, anche se maniera molto meno apparente; e questa sarebbe un'altra coincidenza.

Forse sarà quest'ultimo aspetto al quale Giuttari, più tardi, giungerà involontariamente ed inconsapevolmente molto vicino, e che ne determinerà le vicissitudini, fatte di false promozioni e veri trasferimenti; una sorta di "mobbing polizesco", nel quale però, Lettore, non possiamo addentrarci. Ciò tuttavia avverrà molto più tardi, quando ormai il "Mostro" avrà cessato di esistere da un pezzo.

Perché il "Mostro", di fatto, qualche tempo dopo il delitto degli Scopeti, semplicemente, sparisce.

Ma il motivo di ciò dobbiamo vederlo nel prossimo post.