sabato 26 settembre 2015

LA VIA DEI BORGHI.41: L'ultima fase dei borghi rurali siciliani. INTRODUZIONE


Lo sperpero dell'eredità dell'ECLS

Sebbene si sia già parlato dell’ottava fase a proposito dei villaggi Schisina e quindi in un certo senso, essa sia stata introdotta, scrivere successivamente un’ introduzione è una scelta deliberata, non un errore o una svista. Si era incluso borgo Schisina nell’ottava fase in ragione dello sperpero che i villaggi e le relative terre avevano rappresentato; ma, come si era visto, borgo Schisina (ma solo quello, non gli altri villaggi del comprensorio) sarebbe rientrato a buon diritto tra le “ultime volontà” del defunto ECLS, insieme a borgo Manganaro; era stata la commistione con il nuovo corso dell’ERAS, il new deal introdotto dall’amministrazione regionale (e dal radicale cambiamento della forma di governo) ad ergerlo a rappresentante dello sperpero. Perché, Lettore, lo sperpero operato dall’ERAS nel suo primo decennio di vita, che la portò tra l’altro ad un tanto precoce quanto inutile commissariamento, fu di tali dimensioni, e su tutti i fronti, da rendere irriconoscibile l’Ente come figlio dell’ECLS.

Così veniva descritta l’attività dell’ERAS nella relazione del presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, redatta nel corso della VI legislatura:

Non si può, in primo luogo, dimenticare che il governo regionale impedì, per quasi cinque anni, l’applicazione della legge di riforma. Soltanto nel 1955 […] si riuscì a dare il via all’assegnazione delle terre. Ma intanto gli agrari avevano avuto modo di vendere la parte migliore dei loro fondi…
[…]
Né era possibile che l’ERAS contribuisse a un effettivo rinnovamento dell’agricoltura, se nel 1955 la sua gestione era caratterizzata da un parassitismo dilagante e senza freni, quale venne rilevato da un apposito comitato presieduto dal presidente del Consiglio di giustizia amministrativa. Laureati in agraria percepivano stipendi simbolici, nettamente inferiori a quelli che percepiva il personale non qualificato tecnicamente, che costituiva una vera e propria turba ed ogni mattina faceva la fila dinanzi alla sede dell’ente, solo per apporre la firma e quindi per andare via, non avendo niente da fare e nemmeno un tavolo di lavoro. Intere famiglie erano collocate dall’Ente come per ricevere un’assistenza in denaro, uno stuolo di studenti universitari percepiva dall’ERAS, a titolo di stipendio o d’indennità, il denato necessario per frequentare l’Università. Infine uno stuolo di consulenti tecnici, di assistenti legali (circa cento!), di maestri e così via, completeva il quadro.

Questa descrizione riguardava, in generale, stato ed attività dell’Ente; ma gli effetti della condizione sono assolutamente evidenti anche riguardo alla particolare attività relativa all’argomento di cui si parla qui, e cioè i borghi rurali, come si può leggere in questo estratto della relazione della Corte dei Conti al Parlamento del 1964.




Riprendendo quanto già brevemente descritto qui, nel 1950 venne redatta una legge di RA dalla Sicilia e per la Sicilia. Essa faceva, almeno temporalmente, seguito alla “Legge 21 ottobre 1950, n. 841 Norme per la espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini.”, la quale a sua volta era la generalizzazione su scala nazionale della “Legge 12 maggio 1950, n. 230 Provvedimenti per la colonizzazione dell'Altopiano della Sila e dei territori jonici contermini. (GU n.115 del 20-5-1950 )”.
A mio modo di vedere, Lettore, semmai ce ne fosse il bisogno, il paragone tra i contenuti della legge nr 1 del 1940, della 841 del 21 ottobre 1950 e della legge regionale 104 risulterebbe illuminante riguardo ai possibili intrecci tra politica e latifondismo; alla luce di ciò, vicende come quelle dei villaggi Schisina divengono di comprensione più immediata.

Come viene specificato qui, la legge di RA 104 del 27 dicembre 1950 non faceva alcuna menzione dei borghi rurali, né di quelli già costruiti, né tantomeno di quelli da costruire.
In conformtà all’art. 2 della legge 104, L’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano assunse la denominazione di "Ente per la Riforma Agraria in Sicilia". Apparentemente, quindi, per l’ECLS tutto si risolveva in un cambio di denominazione (“Nei casi espressamente previsti, l'Assessorato si avvale dell'Ente di colonizzazione del latifondo siciliano, che assume la denominazione di Ente per la riforma agraria in Sicilia, e dei consorzi di bonifica.”), ma i suoi compiti, almeno in teoria, sarebbero stati limitati ai “casi espressamente previsti”. La funzione “preminente” dell’Ente sarebbe stata enunciata sempre nell’articolo 2, più avanti: “Dev'essere funzione preminente dell'Ente per la riforma agraria in Sicilia quella di valorizzare le premesse per la formazione di cooperative tra lavoratori e di cooperative tra i sorteggiati, di cui al successivo art. 40, in modo che sia sempre più diffusa nella Regione la conduzione cooperativistica.
L’ERAS, così come era avvenuto per l’ECLS, si sarebbe potuto sostituire ai proprietari inadempienti nell’attuazione dei piani particolari di bonifica, in applicazione dell’art. 42 del RG 215 del 13 febbraio 1933. In questo l’articolo 13 della legge 104 ricalcava l’art. 7 della legge nr 1 del 1940; ma in altri aspetti non era più così.
Venivano meno le norme contenute nell’art. 10 della legge del 1940, quelle che avevano consentito, qualche anno prima, l’esproprio della Ducea Nelson e la costruzione di Borgo Caracciolo; mentre per ciò che riguardava le altre attività l’Ente era equiparato ai Consorzi di Bonifica. La compilazione dei piani generali di bonifica nei comprensori classificati era sempre a carico dei consorzi, mentre quelli dei comprensori non classificati sarebbe stata a cura dell’assessorato, che avrebbe potuto avvalersi, “ove occorra”, dell’Ente. I piani generali di bonifica, comunque redatti, avrebbero dovuto

di regola, prevedere, in rapporto alla natura ed ubicazione dei terreni ed alla estensione dei fondi, la sistemazione dei seguenti elementi:

a) viabilità aziendale ed interaziendale;

b) eventuali approvvigionamenti idrici ed opere irrigue aziendali ed interaziendali;

c) sistemazione idraulico-agraria del terreno;

d) opere di piccola bonifica;

e) costruzioni di abitazioni per i lavoratori, di ricovero per gli animali, di fabbricati adatti a sufficienti ai bisogni ed alla destinazione dell'azienda;

f) eventuali piantagioni arboree.


La costruzione dei borghi rurali sembrava quindi scomparsa dai piani di attuazione della nuova riforma. L’Ente comunque avrebbe continuato l’attività della progettazione e della realizzazione di borghi, sebbene a ritmo molto ridotto.
Questo era, tra l’altro, in relazione alle disastrose condizioni finanziarie in cui l’ECLS versava, che avevano condotto all’emanazione di una sorta di legge di “salvataggio” (provvedimento legislativo del 19 febbraio 1946, a firma Gullo). L’attività dell’Ente nell’ultima periodo del conflitto bellico ed al termine di esso si concretizzerà solo nella manutenzione o nel tentativo di completamento dei borghi già iniziati, e nella progettazione di Borgo Quattro Finaite Giardo e Borgo Africa; è solo con la trasformazione in ERAS che l’attività concernente i borghi rurali riprenderà, anche se in tono minore, ove si eccettuino situazioni, quali quelle dei villaggi Schisina o di Contessa Entellina, che risultavano particolarmente “importanti” per qualche motivo; e molti progetti redatti in quel periodo verranno comunque realizzati più avanti. Ma quanto più avanti? e perché?

Non sono a conoscenza di certi meccanismi, Lettore, ne ho preso visione di alcuna documentazione che possa considerarsi attinente a o condizionante questa vicenda, sebbene come si è visto prima, nell’ambito delle relazioni presentate alle commissioni parlamentari antimafia si sia visto nell’immobilismo del primo quinquennio il preciso intento di consentire la vendita ai proprietari; sta di fatto però, che nella seconda metà degli anni CInquanta, l’attività dell’Ente, con particolare riguardo a pianificazione progettazione e costruzione dei borghi rurali, riprese con rinnovato vigore.
L’unico evento palese e “ufficiale” che si potrebbe associare a tale mutamento è la promulgazione della legge nr 9 del 5 aprile del 1954.

Art. 4.
Per il raggiungimento dei fini della bonifica previsti dai piani generali si provvederà, a mezzo dei competenti consorzi di bonifica o dell'E.R.A.S., alla costruzione di borghi rurali, restando la relativa spesa a totale carico della Regione.
Le caratteristiche dei diversi tipi di borgo rurale nonché il limite massimo della spesa relativa, saranno determinati con decreto dell'Assessore per l'agricoltura e le foreste di concerto con quello per le finanze.


La pianificazione della costruzione dei borghi subì allora una spinta propulsiva i cui effetti sono chiaramente visibili nella mappa dei borghi aggiornata al 1 gennaio del 1956: la superficie dell’intera isola risulta completamente coperta dalle circonferenze dei raggi di influenza, alcune segnate in verde (borghi ERAS), altre in nero (borghi dei Consorzi).
Fa particolare impressione verificare come, in certe aree, la superficie determinata dai cerchi di influenza possa essere circa venti volte maggiore di quella compresa nelle aree interessate dai piani di ripartizione della riforma agraria.




Ad un’attività di pianificazione così intensa sembrò corrisponderne una di progettazione altrettanto fervida, affidando incarichi a consulenti esterni, costruendo strade di accesso e case per assegnatari. Apparentemente, le attività di progettazione dei borghi rurali da parte degli uffici dell’Ente furono altrettanto vive, ma le cose al riguardo andavano probabilmente in maniera diversa. I numerosi borghi progettati, di volta in volta, dai Servizi Ingegneristici, o da quelli di viabilità e borghi rurali, constavano in realtà in un assemblaggio di “pezzi” precostituiti, un accostamento di vari edifici tipo, sempre uguali, anche se, contrariamente a quanto aveva fatto l’Istituto VE III, dichiaratamente progettati per servire allo scopo e codificati.

L’assemblatore di turno diveniva “il progettista”, che firmava il “progetto” congiuntamente ad un capo ufficio e, spesso, ad un responsabile e/o un redattore. Probabilmente, tale situazione costituiva un ulteriore “completamento del quadro” secondo quanto riportato nella relazione del presidente della commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, la dimostrazione che certe attività, all’interno dell’Ente, fervevano. Veniva apparentemente eseguito un intenso lavoro di progettazione, che in realtà consisteva nella ricopiatura dei medesimi disegni esecutivi, il quale giustificava così l’esistenza di una molteplicità di progettisti e di figure che di volta in volta firmavano ciò che in realtà altro non erano che i medesimi progetti.

Ad onor del vero è doveroso precisare che almeno una parte dei borghi progettati servendosi di un tale metodo di assemblaggio non figurano nella mappa del 1956, e sarebbero stati a servizio di lotti originariamente inclusi all’interno di circonferenze di borghi, solitamente di tipo “A”, la cui realizzazione, mai avvenuta, sarebbe stata a carico dei Consorzi. Ed inoltre, per i borghi progettati in tal modo ma mai realizzati, a volte furono esperite diverse gare d’appalto andate deserte.

Non saprei Lettore quale sia l’origine effettiva della mappa del 1956, se essa sia stata redatta sulla base di una reale collaborazione tra Enti, o sia stata solo un’estrapolazione dell’ERAS, una pianificazione unilaterale basata, al più, su comunicazioni. Sta di fatto che dei borghi che i consorzi avrebbero dovuto produrre, pochissimi vennero realizzati; mentre altri ne vennero costruiti che non sono riportati sulla mappa. Si intravede così la possibilità che, almeno collateralmente, questo modo di procedere sia stato conseguente ad una defaillance dell’attività dei Consorzi, che alla fine non avrebbero realizzato ciò che era stato originariamente pianificato, costringendo l’Ente a “rimediare” con progetti dell’ultima ora.

Ad un certo punto la confusione sembrò essere tale che non era possibile sapere esattamente cosa fosse stato costruito e cosa no. E’ proprio a quel periodo che risale la sanzione che l’Assessorato avrebbe comminato all’Ente per il mancato utilizzo dei fondi per gli interventi di manutenzione di Borgo Borzellino, interventi che invece erano stati eseguiti, e nessuno sembrava saperlo.

In questo guazzabuglio, è difficile riuscire a mettere ordine, ad usare un criterio sistematico. Temporale, per epoca? Ma di progettazione o di costruzione? Spaziale? Per provincia o per comprensorio consorziale? Per tipologia? Ma secondo quali parametri, quali regolamenti?

Perché, Lettore, come sottolineato in più occasioni, la tipologia dei borghi avrebbe fatto riferimento alla Decreto Assessoriale 295 del 1 aprile 1953 che, riprendendo il Decreto Interministeriale del 3 Gennaio 1941, nr 11255 (che, a sua volta, traeva ispirazione dalla classificazione dell’Istituto VE III), suddivideva i borghi in tre tipologie, “A”,”B” e “C”, ognuna delle quali avrebbe dovuto rispondere a requisiti precisi. Sebbene il decreto assessoriale consentisse una maggiore libertà nella pianificazione, per cui la tipologia dei borghi sarebbe genericamente stata determinata ”in relazione con la presumibile densità demografica dei singoli settori della colonizzazione”, di fatto la pianificazione era restata ancorata al rigido schematismo precedente che si avvaleva della misura dei raggi di influenza; la mappa del 1956 è ancora redatta secondo tale principio:




Ma tutti i criteri vennero disattesi nella confusione che governava le attività dell’Ente. Ad un tratto, dai borghi di tipo “C” scomparvero le chiese, mentre aveva fatto la sua comparsa stabile una “sede cooperativa” (verosimilmente, l’applicazione pratica dell’interpretazione che l’ERAS dava al comma finale dell’articolo 2 della legge 104). In alcuni casi l’unico edificio di servizio era costituito da una scuola; gli uffici dell’ERAS destinati alle progettazioni cominciarono a preferire la denominazione di “borgo ridotto” a quella di borgo “C”.

Sul perché dell’improvvisa scomparsa degli edifici ecclesiastici mi sono sempre interrogato; perché mai? Sebbene, come ribadito più volte, non sia religioso (nel senso più ampio in cui questa affermazione possa essere intesa), mi rendo conto di come la religione per diverse persone possa essere un’esigenza. E che ciò sia particolarmente vero per il ceto rurale siciliano è dimostrato, se non da altro, almeno dalla toponimia; la maggior parte dei luoghi sono “San” qualcosa, quando non “Madonna” di qualcosa. Persino a chi ha dato una sistemata agli archivi dell’Ente non è nemmeno passato per la mente che “S. Giuliano” potesse essere “Salvatore Giuliano” e non “San Giuliano”.

Ma allora, perché privare i contadini di un servizio che vedevano come importante, tanto importante da tassarsi per l’ultimazione di una chiesa? O, come vedremo più avanti, da richiederne esplicitamente la costruzione? Non saprei se vedere in tale atteggiamento, il prevalere di una corrente fortemente laica all’interno dell’Ente, o la deliberata intenzione di escludere le autorità ecclesiastiche dalla gestione dei servizi; vista la prevalenza della corrente politica dei tempi, ambedue le spiegazioni risulterebbero poco verosimili.

Quindi, come sottolineato prima, l’ERAS aveva meticolosamente ricoperto di borghi rurali l’intera Sicilia, almeno sulla mappa del 1956; ma senza che a tale, apparentemente, accurata pianificazione corrispondesse un’altrettanto attenta e coordinata azione. Segno del fatto che la pianificazione, fine a sé stessa, avveniva nel chiuso degli uffici, senza la benché minima cognizione di quali fossero le reali situazioni e le effettive necessità. Cognizione che d’altra parte sarebbe stata superflua se qualunque progettazione, realizzata o meno che fosse stata, veniva intrapresa con il presupposto che il borgo, una volta costruito, sarebbe stato ceduto al comune nel comprensorio del quale ricadeva, e quindi non sarebbe mai servito allo scopo per il quale sarebbe nato. Evidentemente, erano ben altre le spinte propulsive che conducevano a pianificare una tale pletora di borghi da donare ai comuni.

Dei borghi rurali pianificati, alcuni vennero progettati ma mai realizzati, a volte affidando l’incarico a professionisti esterni all’Ente, regolarmente pagati.

Altri borghi vennero pianificati ma mai nemmeno progettati; tuttavia ne vennero realizzate le strade d’accesso, appaltate ad imprese anch’esse regolarmente pagate, ma che in qualche caso si fecero addirittura rimborsare a consuntivo manufatti eseguiti di propria iniziativa, senza alcuna autorizzazione preventiva.

Altri borghi ancora vennero progettati, adottando un metodo per certi versi simile a quello adoperato dall’Istituto VEIII, e cioè utilizzando tipologie standard di edifici. Le tipologie non erano comunque codificate; si assemblavano edifici a volte simili, secondo una planimetria variabile, apparentemente senza un criterio preciso. Fu proprio per tali progetti che si tralasciò persino di aderire alle direttive assessoriali sulla tipologia dei borghi, per cui questi venivano indicati con la dicitura “borgo ridotto”, non possedendo le caratteristiche che potessero farli ricadere in una delle categorie di tipo “A”, “B” o “C”. Alcuni dei borghi che rientrano in questo gruppo vennero in effetti realizzati, ma mai utilizzati come tali.

L’unico modo che ho trovato per tentare di descrivere in modo sistematico la produzione ERAS è stato quello di fare riferimento sia alla cronologia, sia alla tipologia dei progetti. La descrizione che seguirà non intende essere in alcun modo una classificazione; solo un metodo di descrizione. Sperando che, nelle differenze che hanno caratterizzato vari “periodi” della produzione progettuale, qualcuno possa ritrovare analoghe variazioni in quelli che furono gli assetti politici e sociali dell’Isola.



Sei gruppi

Ho così suddiviso i progetti dei borghi in sei gruppi.

Il primo gruppo racchiude borghi con edifici e planimetria originali, commissionati a professionisti esterni all’Ente; essi risalgono al periodo compreso tra il 1953 ed il 1957, e nessuno di essi vide mai la luce; dal gruppo sono esclusi Baccarato, Bruca, Grancifone e Portella della Croce, che invece furono realizzati.

Il secondo gruppo comprende tutti i borghi, pianificati, per i quali vennero costruite le strade di accesso, ma che non fanno riferimento a nessun progetto effettivamente realizzato. Ciò avvenne intorno in un ampio arco di tempo, compreso tra il 1954 ed il 1961. Ovviamente, nessuno di essi esiste, se non come nome.

Il terzo, il quarto ed il quinto gruppo sono caratterizzati dall’essere composti da edifici basati su progetti comuni, anche se, ovviamente, diversi per i tre gruppi; i “borghi” del quarto gruppo consistono in un singolo edificio. Tutti e i tre gruppi comprendono borghi che non avrebbero previsto una chiesa, e pertanto non rientrano nella classificazione di cui al Decreto Assessoriale 295 del 1 aprile 1953. I progetti dei primi due gruppi recano date comprese tra il 1958 ed il 1959; alcuni di essi furono effettivamente costruiti. I progetti del quinto gruppo sono di poco più recenti, e nessuno venne mai realizzato.

L’ultimo gruppo racchiude borghi che, apparentemente, segnerebbero un ritorno ai criteri progettuali del passato. Tutti comprendono la chiesa e sembrerebbero costituire progetti originali; ma in realtà, come si vedrà, non è così. Questi vennero progettati poco prima che l’ERAS divenisse ESA; nessuno di essi sarà mai costruito.

Il vocabolo “sperpero” si riferisce all’insieme di tutto questo: lavoro inutile, competenze sprecate, soldi (pubblici) gettati al vento, ma soprattutto gli atteggiamenti di clientelismo e favoritismo tesi a rendere più marcati quei privilegi, la cui l’eliminazione era invece proprio lo scopo per il quale le leggi di riforma agraria esistevano. Sebbene appaia inevitabile che l’evolvere della società e conseguentemente delle condizioni sociali dovesse avere notevolissimi riflessi sul modo di concepire e mettere in pratica le politiche agricole, la parallela evoluzione dell’erede dell’ECLS tra tutte le strade possibili sembrava aver imboccato una delle peggiori, annullando quanto di positivo,per poco o molto che fosse, potesse aver concluso “l’assalto al latifondo”