domenica 30 dicembre 2012

LA VIA DEI BORGHI.7: la terza fase dei borghi rurali siciliani: i villaggi operai



Per introdurre questo argomento vorrei riagganciarmi a quanto brevemente riportato nella parte relativa alla realizzazione del progetto, e precisamente ai contenuti del Regio Decreto 2874 che all’ art. 14 recita :”Quando le opere, per le quali è richiesto largo e continuativo impiego di lavoratori migranti, quali le bonifiche e le grandi trasformazioni fondiarie, le sistemazioni dei corsi d'acqua, la costruzione di gruppi di strade ordinarie e di ferrovie e altre, sono eseguite in località spopolate o malsane, gli alloggiamenti possono avere carattere di stabilità. Le costruzioni sono erette in gruppi, secondo tipi prestabiliti, e in modo tale da essere, a trasformazione o ad opera compiuta, rapidamente adattate a villaggi agricoli, per alloggio delle famiglie coloniche, e in genere per gli usi di campagna."

Uno dei “tipi prestabiliti” cui fa riferimento il decreto può essere fatto risalire a tre anni prima,  e consiste-rebbe in un progetto dal Ministero dei Lavori Pubblici “Tipo di villaggio per alloggiamento operai addetti all’esecuzione di importanti opere pubbliche in località disabitate successivamente utilizzabile per i primi nuclei di coltivatori”, redatto dall’ing. Pasquale Prezioso nel giugno del 1925, ed originariamente contenuto in una circolare. Più che un progetto, il Ministero forniva una schema, una pianta, a cui si sarebbero uni-formate, per disposizione e stile, le costruzioni realizzate di volta in volta seguendo progetti diversi.


 Lo schema prevedeva la realizzazione di quattro edifici ai margini di una piazzetta ottagonale (ancora quattro canti, dunque), ed una serie di altre costruzioni a pianta rettangolare disposte lungo le strade che si incrociavano ortogonalmente al centro della piazza, o lungo parallele ad esse. Queste ultime avrebbero potuto essere di “tipo A”, con cinque vani , due ingressi alle estremità ed uno centrale, o di “tipo B”, con due ingressi separati alle estremità; non è chiara la planimetria degli edifici della piazzetta. Dopo la conversione in villaggio rurale, gli edifici della piazzetta centrale avrebbero ospitato i servizi, mentre da ognuna delle altre costruzioni sarebbero stati ricavati due alloggi distinti per il “tipo B”, ognuno dei quali comprendente una cucina, una camera da letto, un magazzino ed i servizi igienici, e tre per il “tipo A”, con il terzo alloggio in corrispondenza dell’apertura centrale (ex refettorio), più piccolo, e di due stanze più ritirata.

Il disegno mostra la baracca di “tipo A” prima e dopo la conversione.


 Questo:


 dovrebbe essere il disegno degli edifici centrali, anche se realizzato secondo una forma prospettica di difficile comprensione. Avrebbe avuto un ingresso centrale, due finestre sul prospetto e due laterali.

E’ difficile però capire a cosa si riferiscano esattamente i gradini alle estremità e come si rapportino esattamente con il resto della costruzione. Inoltre, i quattro edifici della piazza dovrebbero presentare delle aperture diverse per ognuno di essi

In Sicilia vennero costruiti quattro villaggi seguendo tale schema; forse un quinto sarebbe dovuto sorgere in Contrada Gerace. lungo l'attuale Strada Provinciale nr 78 di Enna, realizzato dalla Società Siciliana Anonima Strade Ordinarie. Altri ne furono costruiti al di fuori della Sicilia, ma l’aspetto delle costruzioni era abbastanza diverso da quello dei villaggi siciliani. Anche tra i villaggi siciliani vi sono differenze, che si evidenziano soprattutto nello stile delle decorazioni (ridotte all’essenziale invero) e nei materiali utilizzati; ma l’impianto segue fedelmente la direttiva ministeriale.

L’attuale condizione di essi varia dalla perfetta conservazione alla quasi totale distruzione; e uno dei fattori che hanno contribuito al loro diverso destino risiede nell’ubicazione.

Vi è qualche incertezza sugli scopi originarii della costruzione di questi villaggi, ed un’incertezza  maggiore nel cercare di quantificare i costi di tali opere. Il costo globale dei villaggi sarebbe stato di £ 5 000 000, ed essi avrebbero dovuto dare alloggio, in tutto, a 73 famiglie; così almeno è riportato ne “Il Ventennale delle Opere Pubbliche in Palermo e Provincia”. Anche se la cifra relativa al costo globale fosse corretta, risulta però difficile risalire al costo di realizzazione dei singoli villaggi facendo riferimento al costo di ogni opera per la quale il relativo villaggio venne edificato; anzi, sembrano esservi delle  incongruenze nelle cifre riportate.
Un quinto villaggio operaio, destinato a divenire anch’esso borgo rurale, segue invece un progetto completamente differente.

Borgo Littorio

Se tu, Lettore, dovessi per caso aver letto anche la, probabilmente noiosa, parte introduttiva, forse ricorderai l’accenno fatto al minuscolo villaggio abbandonato, costituito da edifici in pietra, nel quale mi imbattei  mentre scendevo con la moto lungo le pendici di Rocca Busambra. Il villaggio estremamente suggestivo che mi ero ripromesso di andare a fotografare, la promessa fatta a me stesso che non mantenni.

 Quello era Borgo Littorio,  il primo dei villaggi rurali ad essere stato costruito, quello a cui Liliane Dufour dedica poche righe. E fra quelli che seguono lo schema del “Villaggio Tipo” del Ministero dei LL.PP. è anche l’unico ad avere una propria denominazione, indipendente dalla contrada nella quale si trova.


Quello che eluse Antonio Pennacchi, che lo cercò disperatamente nella zona di Petralia, concludendo che probabilmente non esisteva.

Quello che Samuels fu costretto a ricostruire con programmi di fotoritocco, per poterne inserire sul  sito una mappa completa in stile GoogleEarth.

Ma Borgo Littorio esisteva,  ed almeno in parte continua ad esistere, anche se non so per quanto tempo ancora; si trova in su un piccolo altopiano, estremamente isolato, sulle pendici del versante Sud di Rocca Busambra, all’estremità Est; sicuramente  un luogo dove difficilmente si può passare per caso, sebbene a me sia accaduto. Petralia Soprana è distante 60 km da qui, in linea d’aria, ma sembrano 600; il comune, all’epoca della realizzazione, era quello di Mezzojuso, mentre adesso dovrebbe essere Corleone, per quanto il sito sia molto più vicino a Campofelice di Fitalia. Antonio Pennacchi risentì dello svantaggio, oltreché di informazioni errate, di non poter ricorrere né a GoogleEarth, né al Portale Cartografico Nazionale sul quale, con una ricerca tra i toponimi IGM, l’avrebbe trovato, anche se come “Ex Borgo Littorio”. E se Joshua Samuels avesse fatto ricorso al PCN non avrebbe avuto la necessità della ricostruzione; vi avrebbe trovato le foto aeree risalenti allo stesso periodo in cui lo attraversai con la moto, quando, al di fuori della copertura dei tetti, era integro. Questa è la foto aerea del periodo: la piazza ottagonale, e quattro edifici disposti lungo uno degli assi della piazza. La strada che proviene da Nord e che passa attraverso la piazza curvando ad Ovest era quella lungo la quale attraversai il villaggio.


 Nella primavera del 2012 l’aspetto era questo:


 La piazza non esiste più; sono rimasti solo i due edifici al confine Sud del villaggio.  In ognuno dei due si vedono le quattro finestre su ogni lato più lungo e le due porte di accesso con gradini, ognuna sul lato più corto della pianta, che avrebbero consentito l’accesso ai due alloggi separati. Le baracche sarebbero state quindi di “tipoB”


 Ma forse la cosa che desta più impressione è che degli altri non è rimasto assolutamente nulla; guardando da Nord l’altopiano sul quale sorgeva il villaggio, si ha l’impressione che esso non sia mai nemmeno esistito.


Non un muro, un rudere, un cumulo di macerie… nulla. Eppure, esso non solo è esistito, ma è anche stato abitato. Questa fotografia venne ripresa dalla stessa angolatura della precedente, solo da un posizione un po’ più elevata:


Dalla fotografia si può vedere come le aperture sulla facciata degli edifici della piazza non siano conformi a quanto riportato nel disegno, e non siano uguali tra loro. Ed anche le aperture nella parte posteriore non sono uguali, rispecchiando probabilmente la diversa destinazione d’uso degli edifici; mentre nell’edificio a destra, sulla parte obliqua vi sono cinque piccole finestrelle, nella parte corrispondente a sinistra vi sono due finestre grandi.

Samuels data la costruzione di Borgo Littorio al 1926; dalla citata relazione del Ventennale delle Opere Pubbliche , invece, la data dell’inaugurazione dovrebbe essere quella del 13 aprile del 1927. Quale che sia l’anno di costruzione, quando lo vidi per la prima volta aveva comunque meno di sessantacinque anni, e circa ottantasei la seconda.

Sempre nella relazione menzionata sopra Borgo Littorio è incluso tra le “Opere Stradali del Comune e della Provincia di Palermo”. Esso può essere raggiunto dalla provinciale che collega Mezzojuso con Prizzi, passando per Campofelicie di Fitalia; le opere d’arte presenti lungo la strada (muri di contoripa, sottovia per lo scolo delle acque, ponticelli, etc) ricalcano lo stile delle realizzazioni dell’epoca

In considerazione , però, del fatto  a pochi metri dall’area originale sulla quale insistevano gli edifici passa la condotta interrata dell’acquedotto, che si sviluppa sempre in prossimità della strada, è possibile che la finalità originaria del borgo possa essere in relazione sia con la costruzione della strada, sia con quella dell’acquedotto. Il villaggio sarebbe comunque stato edificato dall'ICSIS dell'ing. Mario Beer, impresa che realizzò diversi edifici a Palermo, come ad esempio il Palazzo delle Ferrovie.

Nondimeno, sembra che Borgo Littorio sia stato abitato. Non sono stato in grado di datare la fotografia, e non so quindi se gli abitanti ivi visibili siano operai o contadini (o comparse ingaggiate per la foto di propaganda, o se addirittura si tratti di un fotomontaggio). Così, non so se, conformemente al più volte citato RD, si sia mai verificata la conversione alla destinazione d’uso come borgo rurale da quella originale, anche se ciò, considerato che venne assegnato al Commissariato alle Migrazioni e Colonizzazioni , dovrebbe essere accaduto. Qualunque fosse la situazione, sembra che gli edifici non si siano rivelati particolarmente resistenti, in quanto già dieci anni dopo la sua realizzazione vi erano, da parte di contadini intenzionati ad occuparlo, richieste di manutenzione; e le successive operazioni di manutenzione  non vennero mai eseguite. La tecnica di costruzione di Borgo Littorio è tale da risentire pesantemente dell’azione degli agenti naturali una volta che venga asportato l’intonaco esterno; ma anche considerando tutto ciò, una simile repentina distruzione è difficilmente immaginabile. In quanto tempo è andato distrutto Borgo Littorio?

Poco più di tre anni. Nel 2000 erano crollati gli edifici a SudEst della piazza


Nel 2003, oltre a quelli attualmente presenti, soltanto uno resisteva ancora in piedi:


e nel 2005 anche quello non esisteva più



Se guardi la foto aerea meno recente, Lettore, potrai rilevare la presenza di residui della copertura del tetto sugli edifici a Sud; nota, per favore, che la medesima copertura è presente ancora oggi


Come è possibile che siano crollate in soli tre anni delle costruzioni il cui tetto in tegole è stato, sebbene in parte,  in grado di resistere per più di ottant’anni? L’arcano mi è stato svelato da chi mi ha fornito la foto d’epoca.

Nella zona non esistono cave di pietra. A qualcuno è servito il materiale di costruzione per realizzare muri a secco. Così, il qualcuno non solo ha demolito gli edifici, ma ha anche asportato il risultato della demolizione. Ecco perché gli edifici sono spariti in tre anni senza lasciare traccia.

Sul Web si trova questa fotografia a bassissima risoluzione  nella quale Borgo Littorio è in una condizione intermedia tra l’originale e l’attuale, solo parte degli edifici della piazza è ancora in piedi. Pubblico l’immagine senza alcun permesso, ed anche se essa dovrebbe risalire a più di dieci anni fa, mi affretterò comunque a toglierla  se  dovesse venirmi richiesto.


Non so quale sia stato il criterio per il quale le ultime due costruzioni siano state risparmiate; e così non so nemmeno quanto rimarranno ancora in piedi. Di sicuro, Lettore, resterà la testimonianza descrittiva e fotografica alla quale ti trovi davanti.



Sferro

Sferro venne costruito sempre nel 1927 dalla Società Sicula-Lombarda Costruzioni, per ospitare gli operai che lavoravano alle strade di bonifica della Piana di Catania. Sorge, frazione del comune di Paternò, nelle adiacenze dell’autostrada Palermo-Catania, sulla SS192 , in un luogo che oggi è discretamente trafficato, ma che comunque, almeno in seguito alla realizzazione delle strade della bonifica, isolato non deve essere stato mai. Riconoscere lo schema del “Villaggio Tipo” qui può essere meno immediato, in quanto gli edifici originali sono inframmezzati da costruzioni più moderne:



ma la piazzetta ottagonale è inconfondibile


Uno degli edifici della piazzetta, la casa sanitaria,  è parzialmente crollato


 ma tutti gli altri sono in perfette condizioni.


Nella relazione sulle Opere Pubbliche della provincia di Catania è incluso tra le opere stradali a diretta gestione dello Stato ed il costo del solo villaggio sarebbe stato di £ 1 000 000, cifra che appare proporzionalmente bassa se rapportata ai cinque milioni del costo dei quattro villaggi.  Vi viene descritto come composto da venti padiglioni, mentre la Dufour riporta 11 fabbricati ed un ambulatorio oltre agli edifici della piazzetta.
In realtà gli edifici originali sono attualmente 12, uno di essi si trova dalla parte opposta della statale.


Durante l’ultimo conflitto mondiale, il villaggio subì notevoli danni, e venne ripristinato, anche se probabilmente solo in parte. Già all’epoca della costruzione, comunque, i fabbricati vennero realizzati lasciando vaste aree vuote tra essi, aree che in un primo momento sarebbero state utilizzate per finalità agricole, ma in un periodo successivo avrebbero consentito di aggiungere ulteriori costruzioni per ampliare e popolare il nuovo centro.
Le baracche non sembrano conformi nè al “tipo A” e neppure al “tipoB”; a meno che non abbiano subito un profondo processo di ristrutturazione; processo che avrebbe provveduto anche a ricreare le cornici decorative su porte e finestre seguendo il modello originale. Anche gli edifici della piazza centrale presentano notevoli differenze con quello del disegno; la porta centrale è sostituita da una finestra, mentre gli ingressi divengono doppi, e non vi sono finestre alle estremità.

Sferro fu convertito in villaggio rurale ed affidato, come gli altri dello stesso tipo, al Commissariato alle Migrazioni e Colonizzazioni nel 1932. Nelle intenzioni iniziali,  Sferro avrebbe dovuto costituire il nucleo di una città nuova; e, da un certo punto di vista, così è stato, sebbene non abbia conosciuto una notevole espansione.  Probabilmente, il destino diverso da quello di Borgo Littorio è dovuto all’ubicazione. Sferro continua ad essere abitato; e nel 2005 si sono verificati una serie di problemi burocratici relativi all’assegnazione definitiva degli alloggi alle famiglie che li occupavano da decenni, dovuti al fatto che il borgo sorge su terreno demaniale. Questo ha condotto uno degli abitanti del borgo a creare un sito Web nel quale si parla del luogo e delle sue problematiche. I problemi connessi alla proprietà sembrano non aver comunque impedito a qualcuno di mettere in vendita uno dei fabbricati.


Altri edifici, di vari tipi, si sono comunque aggiunti nel corso degli anni. La chiesa, ad esempio, è chiaramente posteriore. Quella originaria, che Samuels  identifica con questo edificio


si sarebbe invece trovata in realtà nel fabbricato più ad Ovest


Abbastanza stranamente, tra gli edifici costruiti nelle adiacenze di Sferro vi è un altro borgo, più recente; ma di questo si parlerà molto più avanti.


Borgo Recalmigi

Anche questo fu costruito nel 1927. Una lapide di marmo posta su uno degli edifici all’ingresso del borgo toglie ogni dubbio riguardo alla  data di costruzione del villaggio. La lapide, arcinota in quanto fotografata spesso, riporta infatti la dicitura “Anno V” (1927, come Littorio e Sferro); a giudicare dal cemento che la circonda, è stata riposizionata successivamente alla costruzione del villaggio


Borgo Recalmigi, frazione di Castronovo di Sicilia,  si trova in una zona sperduta, sulle alture che segnano l’estremo limite Nord della valle del Tumarrano; l’occhio può spaziare da Ovest ad Est senza incontrare null’altro che fattorie isolate. Non vi sono acquedotti rurali nelle vicinanze, né sembra che possa essere stata una zona particolarmente infestata dall’anofele; le uniche strutture visibili sembrano essere proprio quelle della strada che dalla stazione di Valledolmo si inerpica verso il borgo. Strada che Antonio Pennacchi paragona ad un percorso del Camel Tourist Trophy; sicuramente non è un’autostrada, ma lo scrittore adotta tale paragone estremo probabilmente solo perché non ha mai girato per le strade urbane di Palermo. Sulla strada per Recalmigi, almeno, i dislivelli dovuti ai crolli sono sterrati; a Palermo, scalini di altezza paragonabile sono spigolosi ed asfaltati, cosicchè distruggere l’auto risulta molto più semplice, senza alcun bisogno di spingersi fino a Recalmigi.

Come Borgo Littorio, Borgo Recalmigi  è incluso tra le “Opere Stradali del Comune e della Provincia di Palermo” (dove è menzionato come “Borgo Regalmici” - la dizione "Recalmigi" è quella riportata sulla lapide, nonchè quella che si trova nella toponimia IGM), ed il costo riportato per i due villaggi sarebbe di £ 30 000 000; qui si rileva una delle incongruenze cui accennavo sopra,  anche se probabilmente la cifra includerebbe anche le spese relative alle realizzazioni stradali. Questo confermerebbe comunque che Borgo Recalmigi sia stato costruito nell’ambito delle realizzazioni stradali della zona, finalzzato soltanto alla realizzazione della strada Stazione Valledolmo – Stazione Cammarata; xiò peraltro darebbe un significato preciso all’iscrizione presente sulla lapide di marmo (dalla staz. di Valledolmo km 5.160 – dalla staz. di Cammarata km 9.590), che altrimenti avrebbe poco senso. Anch'esso sorse ad opera  dell'ICSIS di Mario Beer




Forse perché, procedendo lungo la strada, il borgo comincia ad essere visibile da una certa distanza, la sensazione di isolamento suscitata dalla vista degli edifici è molto minore che per Borgo Littorio


Borgo Littorio, quando lo vidi per la prima volta, comparve all’improvviso ed inaspettatamente;  i centri abitati più vicini si trovano forse a distanza molto più breve di quanto non accada per Recalmigi, ma Borgo Littorio è nascosto, ricorda  la valle del “paese dei ciechi” di Herbert George Wells. Alle spalle di Borgo Recalmigi invece si vedono altre costruzioni; isolate, sì, ma che danno l’impressione che qualcun altro, oltre i suoi abitanti, frequenti il luogo e sia a conoscenza  dell’esistenza del villaggio. E forse è stato proprio questo che ha riservato a Recalmigi un destino diverso da quello di Borgo Littorio; ambedue non hanno dato luogo ad alcuna “città nuova”, ma almeno Recalmigi è stato abitato fino a poco tempo fa. Ma quanto tempo fa?

La prima volta che vidi Borgo Recalmigi era una giornata di metà primavera, un periodo in cui di solito, in Sicilia i cieli sono tersi, di un blu intenso. Invece, quel giorno il cielo era nuvoloso, e piovigginava.
Quando, dopo aver percorso la strada di accesso fiancheggiata dalle costruzioni più periferiche, giunsi al centro della piazzetta, l’atmosfera mi apparve tetra. Le finestre ed alcune porte, contrariamente a quelle degli edifici esterni alla piazza, erano parzialmente aperte, e attraverso esse si poteva vedere il contenuto dell’interno. Un lampadario rotto penzolava da uno dei soffitti


Un’antenna da radioamatore si erigeva, intatta, su uno dei tetti, e poco più distante vi era la carcassa di un’auto.


Entrai in uno degli alloggi abbandonati. Poco oltre l’ingresso, una sedia con la seduta in paglia, ed una giacca di foggia femminile sulla spalliera.


 Nella camera da letto, l’armadio aperto ed i vestiti sparsi per terra.


In un altro alloggio, la cucina  ancora parzialmente attrezzata, con bottiglie sui ripiani


Diedi allora un’occhiata agli altri edifici, quelli con le porte chiuse. Non vi erano chiavistelli, ma le porte erano accuratamente accostate, come per una forma di rispetto che chi era andato via avesse voluto usare verso quei muri che per tanti anni erano stati la sua casa. Anche la porta dell’edificio con la scritta “TAVERNA” era accostata; all’interno, un congelatore lasciato aperto, come si fa con gli apparecchi frigoriferi  momentaneamente disattivati, ma che si tornerà ad utilizzare.


Una lavatrice relativamente nuova si intravedeva attraverso la porta di un’altra casa.

Devo dire che la sgradevole sensazione iniziale lasciò il posto ad uno stato d’animo molto diverso.  Sempre cupo, ma di una struggente tristezza, piuttosto che tetro. L’impressione adesso era quella di persone che avessero malvolentieri abbandonato le abitazioni che dovevano aver rappresentato la loro vita per molti anni,e continuavano  a rispettare esse ed il loro contenuto come se vi abitassero ancora. Un calendario appeso ad una parete era rimasto aperto sul settembre del 1994


in un'altra casa, ve ne era uno del 1997. Tuttavia, almeno alcuni degli oggetti presenti all’interno delle case sembravano abbandonati da meno di quindici anni. Tornai sul posto un paio di mesi più tardi; la lavatrice era scomparsa. Qualcuno mi spiegò poi che probabilmente la giacca sulla sedia era stata lasciata apposta.

Così, non sono stato in grado di interpretare inequivocabilmente ciò che ho visto. Di sicuro, Borgo Recalmigi è disabitato, ma frequentato. Gli edifici sono “in stato di abbandono”, ma non “abbandonati”. Alcuni di coloro che vi hanno abitato hanno un legame di parentela con un gruppo familiare che abita nella valle del Tumarrano; pare che nella chiesetta del villaggio l'ultima messa sia stata officiata non molto tempo addietro. Non mi è stato però possibile capire se le presenze sporadiche siano da attribuire al ritorno di qualcuno  degli antichi abitanti, oppure siano riconducibili a piccoli furti o atti vandalici da parte di visitatori occasionali.

La pianta del borgo ricalca lo schema del “Villaggio Tipo” molto più fedelmente di quanto non accada per Sferro


e questo è immediatamente evidente anche quando ci si trova all’interno del villaggio, senza la necessità di verificarlo su foto aeree o satellitari


Infatti, gli edifici sono posti lungo le linee parallele che delimiterebbero le strade interne, a breve distanza gli uni dagli altri, e simmetrici rispetto alla piazza


Oltre ai quattro fabbricati posti ai canti della piazza ottagonale, ve ne sono altri otto. Uno di essi è in rovina, un edificio della piazza centrale è diroccato


 ma gli altri sono ancora in piedi. Il fabbricato all’estremità NordOvest è quello che fungeva da chiesetta, riconoscibile dalla struttura sovrastante che ancora regge la campana


Analoghi a quelli di Borgo Littorio appaiono sia gli edifici della piazza, sia parte delle baracche a pianta rettangolare.

Queste ultime infatti sono in parte di “tipo B”, ed in parte più piccole


mentre gli edifici della piazza presentano la medesima disposizione delle aperture, sia per quel che riguarda il prospetto (cfr. foto precedente della piazzetta con l’edificio della piazzetta a sinistra, in posizione  più arretrata nella foto di Borgo Littorio) , sia per il retro prospetto ( con le cinque piccole aperture cfr. con l’edificio sulla destra, in posizione più avanzata)


Lo stato di conservazione delle strutture è molto variabile; accanto ad edifici tutto sommato ancora in buono stato, se ne trovano altri ridotti a rudere. Altri ancora sembrano resistere, ma sembrano aver subito danni strutturali notevoli; sebbene contengano ancora tracce residue della presenza di occupanti (mobili, etc,) sembrerebbero dover essere considerati pericolanti e quindi assolutamente inagibili.


Borgo Recalmigi, insieme a Borgo Littorio, fu rifiutato nel 1937 dal Commissariato alle Migrazioni e Colonizzazioni cui erano stati assegnati nel 1932, come del resto Sferro. Il Commissariato non ritenne possibile la loro gestione in tal senso “essendosi dimostrato praticamente inefficace ogni tentativo diretto alla loro valorizzazione”; ma mentre la situazione di Borgo Littorio ne condizionò la distruzione, Borgo Regalmici ha potuto sfidare le insidie del tempo, anche se sembra comunque destinato ad un inesorabile declino. E ciò nonostante sia menzionato nell’allegato A della (inutile) proposta di legge relativa a “Disposizioni per il recupero e la valorizzazione delle città e dei nuclei di fondazione in Italia”.


Filaga

Se Borgo Recalmigi e Borgo Littorio hanno diversi tratti in comune, Filaga ne ha con Sferro. Come questo ha una struttura non immediatamente riconoscibile, come questo sorge in un luogo frequentato, come questo è stato integrato con un borgo di costruzione più recente, e come questo è ancora abitato ed in perfette condizioni.
Borgo Filaga fu costruito su un preesistente insediamento, borgo San Ferdinando, il quale a sua volta venne fondato dal barone Rostagni a cui era stato concesso il feudo di “La Filaca”, che prendeva il nome dal casale che costituiva il primo insediamento del luogo. In occasione della realizzazione del borgo, si ritornò quindi alla denominazione originaria.

Joshua Samuels sostiene che il villaggio fu realizzato per ospitare gli operai addetti alla bonifica antimalarica Da altre fonti sembra però potersi dedurre che Borgo Filaga fu probabilmente costruito  dalle Ferrovie dello Stato, nell’ambito dei lavori per la realizzazione dell’acquedotto di Montescuro , denominato successivamente “Montescuro Est” (esiste un “Montescuro Ovest” che  serve la provincia di Trapani) e dell’invaso di Piano del Leone. In effetti, l’acquedotto venne costruito tra il 1929 ed il 1934 (esiste anche un filmato propagandistico dell’Istituto LUCE al riguardo), ad uso promiscuo, e cioè a  prevalente uso delle ferrovie, ma con la possibilità di rifornire anche i centri abitati. La realizzazione dell’acquedotto (e dell’invaso di Piano del Leone), avrebbe seguito la procedura prevista dal regime, e cioè sarebbero stati reclutati lavoratori da tutta Italia che si sarebbero stabiliti in loco seguendo la normativa sulle migrazioni interne, e quindi il villaggio sarebbe stato costruito per ospitarli, variandone la destinazione d’uso ad opera completata.

Non ho i precisi riferimenti legali, ma, ad esempio,  sul Supplemento alla GU nr 70 del 25 marzo 1925,  foglio delle inserzioni, pag 1426 della gazzetta, è riportata la concessione alle FF.SS. per la parziale derivazione delle sorgenti di Montescuro, San Cristoforo, San Benedetto e Fontana Grande  nell’acquedotto ad uso promiscuo.
Pertanto, ritengo che il fatto che il borgo sia stato realizzato dalle FF.SS. per questo motivo, e non per gli addetti alla bonifica antimalarica sia una possibilità concreta.

L’iscrizione “ANNO VI” sui medaglioni posti sugli edifici identifica inequivocabilmente il periodo in cui fu costruito, di un anno posteriore agli altri tre villaggi


 Dovrebbe essere stato inaugurato il 28 ottobre 1928 .

Le costruzioni rispecchiano più fedelmente che negli altri villaggi quanto mostrato dai disegni e schematizzato in pianta. Gli edifici della piazza presentano un singolo ingresso al centro, e finestre alle estremità, benché queste siano diverse da quelle presenti sui disegni.. Vi sono baracche di “tipo A”, con due ingressi alla estremità ed uno al centro, accanto a costruzioni che probabilmente sono state modificate.

Il sito è però è inusuale sia come impianto, sia come aspetto esteriore delle costruzioni. La pianta di Filaga corrisponde a quella di “mezzo” villaggio tipo


con due soli edifici che delimitano metà della piazza ottagonale, mentre l’altra metà è aperta sulla via


che costituirebbe una delle due strade ortogonali che nello schema del Ministero dei LL. PP.  si incrociano al centro della piazza. Gli edifici a pianta rettangolare che nel progetto del villaggio tipo circondano la piazza, si trovano solo da un lato della strada principale. Dalla parte opposta di essa vi è solo una struttura in pietra, verosimilmente il basamento di una scultura che, essendo mancante, avrà probabilmente raffigurato qualche simbolo del Regime


Anche la costruzione degli edifici è differente, sia nei rivestimenti esterni, sia nelle tegole utilizzate


I muri esterni degli edifici non sono intonacati, e l’effetto visivo globale è quello di un’integrazione dei nuovi edifici con i vecchi



che presentano i muri in pietra viva


La presenza dei classici lampioni stradali in ferro battuto, apposti dai Beni Culturali sugli edifici dei siti ritenuti di particolare interesse, contribuiscono a creare una visione d’insieme del borgo profondamente diversa dall’impressione che genera borgo Recalmigi


Nel 1954, l’ERAS provvide a costruire, nei dintorni di Filaga,  27 case coloniche; e più tardi, un borgo di tipo “C”.

Pertanto, Filaga, come Sferro, gode ancora oggi di ottima salute; ma a differenza di questo non è afflitto dai problemi dovuti al fatto di essere stato edificato su terreno demaniale. Pertanto, è prevedibile che la sua integrità verrà preservata ancora per molti anni.


Bardara di Lentini

Mentre Liliane Dufour assimila Bardara di Lentini ai villaggi operai visti prima, Joshua Samuels lo classifica tra quelli nati dalla collaborazione tra pubblico e privato. Io abbraccio la visione della prima. Benché nella personale classificazione delle fasi io abbia distinto una “fase parallela”  che comprende gli altri borghi che Samuels raggruppa sotto la voce “Pubblico-Privato”, Bardara di Lentini non possiede le peculiari caratteristiche che lo accomunano a quegli altri che ho riunito nella “fase parallela”; ma di ciò parlerò molto più avanti. Di contro, sebbene Bardara di Lentini sia strutturalmente diverso dagli altri villaggi operai riconvertiti, ne condivide una serie di elementi comuni, non ultimo il fatto di non essere mai stato utilizzato come villaggio rurale.

Bardara di Lentini venne edificato dal Consorzio di Bonifica del lago di Lentini.


Il lago di Lentini era un bacino artificiale, creato intorno al XII secolo sbarrando il corso del San Leonardo. Sebbene la profondità delle acque fosse davvero ridotta, era comunque, in gran parte, navigabile con piccole barche, ed ospitava diverse specie di animali e piante, che ne facevano un’oasi naturalistica di notevole bellezza. Ospitava però anche l’anofele, cosa di cui narra anche Giovanni Verga, rendendo i terreni circostanti difficili da sfruttare.
Agli inizi del ventennio fascista, si considerò quindi la bonifica del lago; anzi, esso era tra i  siti in Italia per i quali la bonifica era considerata prioritaria. Vi erano però delle indecisioni riguardo ai risultati da conseguire. Scartata la possibilità dell’uso del bacino per la produzione idroelettrica, l’incertezza riguardò l’alternativa tra il prosciugamento totale o quello parziale del lago, e ci si orientò verso la prima soluzione.

Nei piani iniziali era prevista la costruzione di altri due villaggi operai oltre Bardara , di cui uno su poggio Marchese e l’altro presso la stazione di Valsavoia. Il progetto dei villaggi risale al 1927, ed quindi contemporaneo alla realizzazione di quelli visti prima. I servizi previsti comprendevano chiesa, scuola, ufficio postale, stazione dei carabinieri e lavanderia, oltre una serie di altre infrastrutture.

Il progetto iniziale di Bardara avrebbe compreso, oltre gli alloggi, i servizi e gli abbeveratoi nella piazzetta centrale, anche due edifici di maggiori dimensioni


la Dufour ritiene che uno di essi avrebbe dovuto ospitare il centro antimalarico. Gli edifici adibiti ad alloggio sarebbero stati a due piani, con finestre munite di reti antimalariche di protezione.

Per motivi economici, fu realizzato il solo villaggio Bardara, e composto solo da otto fabbricati uguali, situati ai lati una piazzetta con una fontanella e due abbeveratoi posti a semicerchio, ma senza gli edifici più grandi.
















Gli operai della bonifica preferirono comunque alloggiare a Lentini, a causa del fatto che il villaggio non era stato provvisto di approvvigionamento idrico e di rete fognaria. Inoltre, questo allora sorgeva praticamente sulle rive del lago, come si può vedere in questo fotogramma tratto da un documentario dell’Istituto Luce sulla bonifica del lago.



Gli altri due villaggi non vennero mai nemmeno iniziati; oltretutto, adesso poggio Marchese è in parte sott’acqua. Negli anni Settanta del secolo scorso, infatti, si ritenne di dover ricreare il lago prosciugato dalla bonifica; il bacino attuale è meno esteso, ma più profondo dell’originario, e poggio Marchese ne è stato parzialmente sommerso. Sulle carte IGM 1:25000 è ancora riportata la topografia del luogo prima che venisse realizzato il nuovo bacino; e si ha un’idea di quante strade interpoderali e quante costruzioni vi siano sul fondo del lago.

Il villaggio quindi non fu mai utilizzato né come villaggio operaio e nemmeno come villaggio rurale. L’unica volta che ne venne consentito un utilizzo, vi fu realizzato il centro per il recupero di disabili “Nuova Vita”, del quale sono ancora presenti le insegne sui cancelli 


Su un sito Web si vorrebbe far risalire tale attività ad una ventina di anni fa; personalmente ritengo però che “Nuova Vita” risalga ad un’epoca almeno due volte più lontana nel tempo. Infatti, il termine usato nei cartelli posti agli ingressi, “handicappato”, vent’anni fa già non sarebbe stato più considerato “politically correct”; sono più propenso a credere che la presenza di “Vita Nuova” nel villaggio risalga agli anni Settanta. Ed è probabile che l’attuale recinzione che cinge l’intero villaggio sia stata realizzata proprio dal centro.

Attualmente il villaggio è occupato abusivamente da, come si leggeva su un forum qualche tempo fa, “pastori che minacciano fisicamente chiunque osi avvicinarsi”.

In effetti, il villaggio è utilizzato come ricovero per animali. Uno degli edifici si trova a ridosso della SP 67, e la recinzione, verosimilmente realizzata da “Nuova Vita”, si raccorda ad esso  ad ambedue le estremità , mentre per il resto circonda l’intero villaggio. Pertanto, tale edificio è usato come ingresso, senza la necessità di passare per i cancelli; una sorta di rimessa che comunica con la piazzetta centrale è chiusa da porte di fortuna, ed è attraverso esse che gli attuali occupanti accedono al complesso.


Gli edifici sono in cattive condizioni, molti privi di tetto, con le aperture esterne murate, e le strutture danneggiate 


Ancora in buone condizioni gli abbeveratoi disposti a semicerchio, con l’effige del fascio littorio


Su siti Web e blog che riguardano le attività locali si è parlato a più riprese di restauro (in questi casi, di solito, più che di restauri si tratta di ristrutturazioni) del villaggio, al quale anzi in un’occasione si è fatto riferimento come “villaggio turistico” (!); tuttavia, ritengo esigue le probabilità che ciò possa realmente avvenire.

La tecnica costruttiva usata per costruire questo villaggio, così come gli altri della stessa epoca, e cioè la muratura portante, credo che presenti delle caratteristiche di maggior solidità e durata rispetto al cemento armato, ma soltanto qualora ne venga assicurata la manutenzione periodica. Quando l’intonaco esterno si scrosta completamente, la struttura dei muri è esposta agli agenti atmosferici. La dilatazione termica nel periodo estivo sgretola allora la malta che assicura la coesione degli elementi, malta che viene poi lavata via dalle piogge in inverno. E le piante che crescono negli interstizi fanno il resto. Alla fine ciò porta al crollo improvviso di muri o di interi edifici, come vedremo più avanti a proposito dei borghi ECLS o di quelli della fase successiva. E, considerati i tempi della nostra burocrazia e l’impegno della nostra politica quando non vi siano di mezzo interessi precisi, questa è probabilmente la fine che Bardara di Lentini è destinato a fare prima che qualcuno intraprenda azioni concrete per salvaguardarne l’esistenza. 



Su questa immagine della Sicilia è segnata l'ubicazione degli insediamenti oggetto del presente post; la risoluzione della mappa è bassa ma, entro i limiti di essa, l'accuratezza della posizione è elevata. Per poter leggere le etichette è comunque necessario aprire l'immagine originale