giovedì 19 aprile 2007

OPERE DI INGEGNO 2

Le riflessioni di qualche giorno addietro hanno importanti implicazioni. La prima delle quali è: non esiste una legge "naturale" in base alla quale possa stabilirsi la proprietà intellettuale. Non esiste alcun criterio oggettivo. Esistono delle leggi che non sono affatto oggettive, ma danno la forte impressione di esse state pensate per motivi ben definiti, e cioè per perseguire il plagio (non la riproduzione) di opere musicali e letterarie, e di essere state "patchate" alla bell'e meglio per adattarsi agli interessi di qualcuno (per Microsoft è ormai prassi consolidata in quanto Microsoft vive di patch almeno dai tempi di Windows 95).

Quando la presenza, all'interno di una nazione, di questo qualcuno non è fondamentale o determinante, l'andamento "naturale" vuole che non esista una legge che lo protegge, o se esiste, i controlli sono tutt'altro che rigorosi. E questo è uno dei motivi del fatto che la Cina è la capitale mondiale dei falsi.

Qual è il modo di ovviare a questo problema? Evidentemente, far divenire determinante la presenza dei "qualcuno" anche in Cina. Esistono fondamentalmente due modi per ottenere questo scopo. Il primo è quello di far acquisire potere, economico e politico, ai qualcuno, cosicchè possano pilotare l'operato dei governi, come avviene in Occidente.

Il secondo è, molto semplicemente, "fare amicizia". I capi di governo o i loro delegati si recano periodicamente in Cina, si fanno fotografare mentre stringono la mano per un'ora e mezza a Hu Jintao, parlano di investimenti, di accordi e di mercato internazionale. Spiegano che vi sono diversi interessi economici comuni, e che, all'infuori di qualche dettaglio senza importanza inerente ai diritti umani, Cina e Occidente sono simili ed hanno gli stessi interessi. Economici. Così quando qualche governo riceve lamentele da parte di qualcuno riguardo alla concorrenza dei "contraffattori cinesi", effettua una telefonatina dicendo: "Ma come, siamo amici e voi ci rovinate il lavoro interno?". E le autorità cinesi distruggono la merce "contraffatta".

Riflettiamo un momento: se alla differenza di prezzo corrispondesse una reale differenza di qualità, il proprietario del marchio contraffatto sarebbe ben lieto di come si mettono le cose: la cattiva qualità dei prodotti a basso costo sarebbe la dimostrazione inequivocabile che il costo dell'"originale" è pienamente giustificato. Ma se il proprietario vende marchi e non oggetti, la contraffazione del marchio diviene una concorrenza temibile. Quindi, il motivo di tutto questo accanimento risulta chiaro: è la concorrenza nel libero mercato. I produttori occidentali possono seguire tre strade. La prima è quella di offrire prodotti di vera qualità al prezzo attuale; ovviamente guadagnerebbero meno. La seconda è quella di abbassare i prezzi mantenendo gli standard attuali, anche in questo caso guadagnerebbero meno. La terza è eliminare la concorrenza facendo pressioni a livello governativo, e guadagnando lo stesso di adesso (e cioè tantissimo). Abbastanza ovviamente, scelgono la terza strada.

La cosa ridicola è la maniera in cui lo giustificano. Le giustificazioni che adducono sono essenzialmente due. La prima è che la concorrenza cinese porta fatalmente alla chiusura delle fabbriche con incremento della disoccupazione. La seconda è che le condizioni lavorative dei cinesi sono tali per cui si configura una violazione continuativa dei diritti umani.

Dal punto di vista logico, il discorso è ineccepibile. Dal punto di vista pratico lo sarebbe pure. Se i produttori occidentali non facessero produrre le loro merci in Cina. Quindi, la differenza tra gli sfruttatori cinesi e quelli occidentali è solo che i primi, almeno, non sono ipocriti.

Ora, vediamo un pò come funziona. Per la legge italiana (e credo per tutta l'Europa) l'origine di un prodotto può essere dichiarata relativamente all'ultima lavorazione che ha determinato una differenza sostanziale sul prodotto finito. Detto così sembra complicato. Un esempio lo chiarisce meglio. Ammettiamo che io sia un fabbricante di scarpe. Se faccio produrre le scarpe in Cina, e poi in Italia stampo solo un marchio, commetto un illecito, perchè le scarpe sono state prodotte in Cina, e quindi il loro ingresso in Italia è un'importazione. Però, una scarpa con la tomaia scucita è inusabile. Allora, se io faccio produrre in Cina le scarpe per intero, ma non faccio cucire la tomaia, porto le scarpe dalla Cina in Italia e faccio eseguire le cuciture, ho eseguito sulle scarpe una lavorazione che ha determinato una sostanziale differenza. Ora possono essere indossate. Ed io posso legalmente stampare sulla scarpa "Fabbricata in Italia".

Ciò che avviene in pratica è che io, industriale occidentale, commissiono all'industria cinese 40 000 scarpe con la tomaia scucita. I cinesi ne fabbricano 100 000. Indi, invio un addetto al controllo di qualità in Cina che effettua i controlli a campione sui vari lotti di produzione, sceglie i migliori e mi fa avere 40 000 scarpe con la tomaia scucita. Poichè i controlli sono fatti a campione è meno probabile che vi siano scarpe difettate tra le mie che non tra le 60 000 rimaste in Cina; ma questo non vuol dire che le mie saranno tutte perfette e le 60 000 rimaste ai cinesi facciano tutte schifo. La differenza è solo probabilistica. Qui in Italia io eseguo 40 000 cuciture, appiccico "Made in Italy" e vendo un paio di scarpe 250 euro. I cinesi eseguono 60 000 cuciture, portano le (stesse) scarpe in Italia come prodotto di importazione "Made in China" e le vendono 25 euro. Ok?

Sicuramente non tutti i prodotti sono di qualità pari a quella occidentale, ma la differenza di prezzo è tanto abissale da non poter in alcun modo rispecchiare una differenza di qualità

Ho comprato un binocolo cinese 12x70, per la cifra di...15 euro! Certamente non è uno Zeiss, e vi è un abisso tra uno Zeiss ed il binocolo che ho comprato; ma uno Zeiss costerebbe almeno cento volte tanto. Per 15 euro, alla Zeiss al più mi rivolgono la parola. Fa realmente differenza se sul binocolo c'è scritto "Zeiss" o "Nikula"?

Un altra categoria di oggetti di cui ho avuto esperienza personale sono le chitarre "contraffatte" e segnatamente le Gibson; riguardo a queste ultime, la polemica dilaga.Le chitarre cinesi con il marchio Gibson sono (e non sempre) tanto belline a vedersi, costruite con ottimi legni e ben rifinite. Ma non sono chitarre. Sono pezzi di legno ben rifiniti. Poichè però per le chitarre non ci si rivolge ai mobilieri bensì ai liutai, la cosa avrà il suo significato. Per rendere suonabile una "Gibson" cinese occorre spendere un altro pò di tempo e di denaro. Alla fine del percorso, però non ci sarà comunque una vera Gibson, ma solo una chitarrina che fa la sua figura.

Ho scritto alla Gibson dicendo che per loro questa è un'ottima pubblicità, la prova tangibile che solo Gibson è in grado di costruire una Gibson, e che il prezzo è giustificato. Mi hanno risposto con una serie di frasi fatte, dicendo che la politica Gibson è quella di assumere una posizione ferma e decisa nei confronti dei contraffattori, etc.

Una cosa sgradevole che recentemente ha cominciato a verificarsi con le Gibson è che qualcuno ha cominciato a venderle come prodotti realmente contraffatte, e cioè cercando di spacciarle per vere.

Ma di questo parlerò un'altra volta