venerdì 17 maggio 2013

LA VIA DEI BORGHI.16: La quinta fase dei borghi rurali siciliani. BORGO SALVATORE GIULIANO


Borgo Giuliano: Cronaca di una morte annunciata.

Notato che un gruppo di ribelli si apprestava ad assalire improvvisamente un nucleo di operai intenti a lavorare sulla strada, dopo aver dato l’allarme, imbracciava il fucile e affrontava animosamente il nemico. Rimasto ferito dalle prime scariche avversarie, persisteva nella lotta fulminando taluni ribelli. Cadeva poi da prode, colpito da nuove scariche che ne martoriavano il corpo, con la serenità dei forti. Esempio di sereno coraggio, dedizione al dovere spinto fino al sacrificio e grande sprezzo del pericolo

Un altro tipico esempio di scelta poco felice del nome, tanto poco felice che Borgo Giuliano è l’unico dei borghi di questa serie per il quale la denominazione non à stata assegnata con Regio Decreto, pubblicato sulla gazzetta Ufficiale. Salvatore Giuliano, nato a Roccella Valdemone, era Caposquadra 3a Legione lavoratori dell’Asmara. Probabilmente, il regime non aveva trovato alcuna alternativa tra i decorati nati in zona, ed aveva così ripiegato su quello che per i più era un perfetto sconosciuto. Tanto sconosciuto che la “S” puntata di “Salvatore” è spesso stata scambiata per l’abbreviazione di “San”. Così, la strada principale del borgo è divenuta “via San Giuliano”, e negli archivi ESA il fascicolo del borgo non si trova tra “Borgo Giambra” e “Borgo Gurgazzi” ma tra “Borgo San Giovanni - Verde” e “Borgo San Piero Barbusa”; ambedue i fatti sono riportati nella monografia del prof. Sapienza. Ad onor del vero occorre precisare che un primo, parziale riordino dell’archivio ESA fu condotto da persone che non sapevano bene cosa stessero maneggiando; in una lista ad uso interno che specifica le eventuali date di cessione ai comuni, Borgo Giuliano (sebbene indicato come “S. Giuliano”) si trova nella posizione corretta, al numero 13. Mentre il Web è invece strapieno di menzioni di questo fantomatico “Borgo San Giuliano” in provincia di Messina. Persino uno dei residenti di Borgo Cascino, il quale ha intenzione di scrivere  sui borghi, aveva un elenco nel quale si trovava scritto a chiare lettere “Borgo San Giuliano”; così, gli dissi che non esisteva alcun borgo San Giuliano, ma la denominazione corretta era “Borgo Salvatore Giuliano”. Con in volto un’espressione tra l’ironico e lo stupito mi chiese “Salvatore Giuliano chi, il bandito?”. No, gli risposi, non era il bandito, chè quello sarebbe arrivato dieci anni più tardi.


Ma per una strana coincidenza, un nesso, sebbene indiretto, tra il bandito ed il borgo esiste, ed è mediato dall’EVIS (Esercito Volontario per l'Indipendenza della Sicilia). Presso il borgo, infatti, si sarebbero verificati alcuni incontri tra Antonio Canepa ed i separatisti della Sicilia Nord-Orientale che a lui facevano capo. E per una seconda, strana, coincidenza, il terreno su cui venne costruito il borgo fu espropriato a Ninetto Leanza Amato, che diventerà il referente dell’EVIS nella zona di Cesarò. Queste informazioni sono desunte da una pubblicazione di Totò Gliozzo, nella quale viene altresì fatta menzione della posizione del Leanza, dichiaratamente contraria alle politiche anti-latifondistiche di regime. Le informazioni sono riportate anche nella monografia del prof. Sapienza, ove egli in maniera più o meno esplicita fa riferimento alle posizioni del Leanza come possibile causa dell’esproprio.

Non saprei dire se le motivazioni della scelta riguardo ai terreni sa espropriare siano esattamente queste; è certo però che il prezzo pagato per l’esproprio, £ 1 280 539 è il più basso tra quelli dei borghi di questa prima serie.


E le peculiarità non terminano di certo qui. Si è già accennato a come nel raggio di influenza di Borgo Giuliano siano compresi ben due paesi (San Teodoro e Cesarò)


situati più a Nord, a cui gli agricoltori avrebbero potuto far capo per i servizi; mentre più a Sud vi sono diverse alture che avrebbero costituito una migliore ubicazione per il borgo. Migliore non solo dal punto di vista topologico, ma anche da quello geologico. Attualmente infatti, le alture sono occupate da costruzioni che non sembrano affette da particolari problemi strutturali. Invece, già prima di iniziare i lavori, l’instabilità del suolo della collinetta sulla quale sorge il borgo era ben conosciuta. Inoltre, il piazzale fu realizzato in parte costipando alla bell’e meglio del materiale di riporto, rendendo ancor più precarie le fondamenta delle costruzioni. In tale situazione, era assolutamente prevedibile che il borgo avrebbe avuto vita breve. Tanto prevedibile da spingere il progettista a chiedere all’ECLS una liberatoria prima di consegnare il progetto; anche questo particolare è menzionato nella monografia del prof. Sapienza, specificando che si tratta di notizia non documentabile, ottenuta verbalmente dal figlio del progettista.

Progettista che fu l’ing. Guido Baratta, professionista che all’epoca del conferimento dell’incarico aveva già superato i quaranta da qualche anno. Il progetto di Borgo Giuliano reca la data del 14 dicembre 1939; venne approvato il 24 gennaio dell’anno successivo, ma già il 15 dicembre l’Impresa Castelli che avrebbe costruito il borgo era stata incaricata della realizzazione.

Il contratto per fu formalizzato il 23 marzo 1940, per la cifra di £ 1 287 923,92, con la riserva, come usuale, di una revisione del prezzo finale. La concessione reca la data del 3 giugno 1940.


Il termine per la consegna, da contratto, sarebbe dovuto essere il 31 maggio 1940 (addirittura, come spesso accadeva, anteriore alla concessione), ma i lavori terminarono a novembre dello stesso anno, in tempo per l’inaugurazione di dicembre. E, sempre seguendo un iter comune agli altri borghi, si invocò lo stato di guerra per giustificare l’incremento del prezzo finale, di £ 1 135 000, e l’uso di materiali di scarsa qualità. Il costo preventivato fu quindi di poco inferiore a quello totale (preventivo più incremento finale) di Borgo Cascino, e venne quasi raddoppiato alla fine. La richiesta di concessione per la maggiorazione di prezzo venne firmata da Mazzocchi Alemanni il 26 novembre del 1941. Al costo finale andrebbe poi sommata la cifra per la costruzione dell’acquedotto, consistente in ulteriori £ 330 225,49 incrementata a £ 466 700, sempre affidata all’Impresa Castelli. Ed ancora verrà approvata una perizia del 1946 per ulteriori £ 654 984,54. A fronte di un costo di esproprio eccezionalmente basso, quindi, i costi di realizzazione si rivelarono eccezionalmente alti.


Il borgo si trova lungo la SS120: una breve strada di accesso, fiancheggiata da un muro di controripa    

si dirama da essa per condurre ad una piazza rettangolare con gli assi sfalsati, ed il lato maggiore disposto lungo la direttrice NordEst-SudOvest. Un asse viario ortogonale al primo avrebbe tagliato la piazza attraversando il sagrato della chiesa

 
Per certi versi, dal punto di vista planimetrico l’impianto del borgo richiamerebbe quello di Borgo Cascino; per la piazza rettangolare con gli assi sfalsati, per la chiesa posta di fronte la strada di accesso, per lo sviluppo svolto interamente ai margini della piazza.
 
 
 Diversamente da Borgo Cascino, però, lo spazio tra gli edifici è maggiore, specialmente lungo il lato Sud-Est; inoltre, l’impatto visivo fornito dalla chiesa risulta diverso da quello di Borgo Cascino e più simile a quello di Borgo Schirò. E ciò sia per la maggiore pendenza della strada d’accesso, che non consente di scorgere la chiesa fin quando non si sia già nei pressi della piazza, sia per l’assenza di grandi edifici lungo il margine sinistro della strada, come accade per Borgo Fazio


Ma il secondo dei due aspetti non è sempre stato così evidente, come vedremo più avanti.

La planimetria originale del borgo, infatti, prevedeva sette fabbricati di dimensioni relativamente grandi, disposti intorno alla piazza, ed uno minore, ad Ovest, posteriormente alla canonica


Il primo edificio che si trova lungo la strada di accesso, a destra, avrebbe contenuto trattoria,  botteghe ed abitazioni degli artigiani


 Si sviluppa su due elevazioni, ed è caratterizzato da un portico ad arcate sul prospetto, con una balconata sovrastante


Da quanto sembra potersi desumere dalla relativa planimetria, avrebbe ospitato quattro esercizi, comunicanti con i relativi alloggi


A seguire, sempre lungo il margine destro della strada, in corrispondenza dello sbocco nella piazza sorge l’edificio sede degli uffici dell’Ente


E’ una piccola costruzione su due elevazioni, con pianta a “T” poco pronunciata


ed un balcone al primo piano


sul prospetto può leggersi ancora la scritta “ECLS”


  Oltre la palazzina degli uffici si trova il dispensario medico


costruzione a pianta irregolare costituito da otto vani


l’unico, oltre chiesa e canonica, che si sviluppa unicamente su una singola elevazione, ma che presenta un tetto a terrazza; ha comunque una superficie coperta superiore a 180 mq


 Lo spazio esistente tra il dispensario e la chiesa, la quale si trova lungo il bordo Sud Ovest della piazza, avrebbe consentito il decorso di un’asse viario ortogonale alla strada di accesso


La chiesa si trova in corrispondenza dello sbocco della strada di accesso nella piazza, dalla parte opposta


L’aula, a pianta rettangolare, è a navata unica con abside semicircolare, e tre piccole cappelle per lato.


Una settima cappella con funzione di battistero si trova in posizione simmetrica alla torre campanaria


Anche la canonica è a pianta rettangolare


con l’asse maggiore perpendicolare a quello della chiesa, che si sviluppa verso Nord


A Sud si trova invece la prosecuzione dell’asse viario di accesso che decorre tra la chiesa e la scuola. Quest’ultima, posta in corrispondenza del vertice SudOvest della piazza


originariamente una pianta ad “L”. La parte dell’edificio che ospitava le aule si sviluppava su una sola elevazione, una costruzione a pianta rettangolare con il lato maggiore orientato perpendicolarmente all’asse maggiore della piazza.

L’unico edificio a sorgere sul bordo SudEst della piazza è quello destinato a sede del PNF
 
 
costituito da  una costruzione a pianta rettangolare
 

su due elevazioni, con un porticato al piano terreno ed un balcone arengario al primo piano

 
Lungo il margine SudEst della strada di accesso si sarebbero trovati infine ufficio postale e caserma dei carabinieri, ospitati all’interno di una costruzione su due elevazioni, con pianta ad L.

Il borgo fu in effetti costruito rispettando la planimetria descritta, come peraltro comprovato dalle riprese fotografiche dell’epoca.
 
 

e seguendo esattamente le tavole del progetto esecutivo




Un riscontro si ha inoltre sulle mappe catastali, dove vengono riportate le costruzioni conformi alla planimetria
 

 Circa sei mesi dopo, però, la caserma e l’ala della scuola che comprendeva le aule vennero demolite nel corso di un più vasto intervento di consolidamento. Rimasero dei residui della zoccolatura dei muri perimetrali, ancora in parte visibili, e che delineano la pianta delle costruzioni non più esistenti nelle foto aeree


Questo è il primo di una serie di interventi, alcuni dei quali solo progettati, messi in atto per rimediare alla patologia congenita da cui il borgo era affetto, e cioè l’instabilità del suolo sul quale sorge.

Furono condotti diversi studi per stabilire a cosa esattamente fosse dovuta tale instabilità. Essenzialmente, questa appariva riconducibile alla struttura del terreno, costituito da un’alternanza di straterelli argillosi (argilloscisti) e rocciosi (arenarie); tale struttura avrebbe facilitato i movimenti franosi sotto la spinta della gravità, anziché opporvi resistenza.

Lo stesso ing. Baratta aveva poi individuato, tra le cause, l’esistenza di due strati a diverso grado di permeabilità; uno più superficiale, permeabile che insisteva sul sottostante strato, impermeabile all’acqua
 
 
Inoltre, come già accennato, parte dell’area di sedime su cui insistevano gli edifici era costituita da materiale di riporto non adeguatamente compattato; tanto che la sosta di alcuni mezzi pesanti sotto il portico della sede del PNF causò l’avvallamento della pavimentazione.

Tale situazione, unitamente alla pressione esercitata dal peso degli edifici ed alle infiltrazioni d’acqua, diede luogo ad una serie di movimenti franosi, il primo dei quali, di una certa entità si verificò appunto nel 1941, e condusse al primo intervento di consolidamento, nel corso del quale furono eliminate la caserma e parte della scuola. Le linee di lesione interessavano principalmente il versante Sud della collinetta, e quindi scuola, caserma e sede PNF. Di quest’ultima venne preservata la totale integrità.
 

La demolizione delle costruzioni implicò il trasferimento della caserma dei carabinieri nell’edificio adibito a sede dell’ECLS.

Ulteriori interventi vennero eseguiti negli anni 1942-43, ed ultimati nel 1946; si sovrapposero quindi a quelli relativi alla riparazione dei danni bellici, affidati all’Impresa La Spina. Ed opere di consolidamento vennero realizzate ancora due anni più tardi; queste ultime riguardarono la sistemazione dei valloncelli a SudEst del dosso sul quale si trova il borgo.

Ma l’intervento di entità maggiore avrebbe dovuto essere quello programmato nel 1955 , pianificato in seguito ad una perizia commissionata al prof. Floridia, geologo dell’Università di Palermo ed eseguita nel gennaio del 1955. La somma stanziata fu di £ 20 000 000, con appalto da assegnare con gara al ribasso.

L’intervento avrebbe dovuto estrinsecarsi in tre direzioni:

1) L’imbrigliamento dei valloncelli a Sud ed a Sud Ovest, da eseguirsi in due fasi successive

2) La sistemazione agrario-forestale, ottenuta tramite la piantumazione di eucalipti lungo i valloncelli e nei      pressi delle briglie, integrata da semina di ginestre
3) La ristrutturazione degli edifici, volta a rendere perfettamente fruibili gli edifici della zona Nord del sito, ed a garantire la conservazione di quelli della zona Sud, in attesa di ulteriori interventi che ne consentissero il totale recupero

La realizzazione del primo punto sarebbe dovuta avvenire tramite la realizzazione di briglie in muratura


ed in terra battuta


per variare la pendenza dei valloncelli; la valutazione degli interventi di questo tipo da eseguire in un secondo tempo avrebbe tenuto conto dei risultati conseguiti nel primo tempo

La ristrutturazione degli edifici prevedeva sia radicali interventi di tipo strutturale, sia opere di ripristino e rifinitura.

Il lavori furono appaltati, con un ribasso sulla base d’asta del 10,56%, all’Impresa Geom. Vincenzo Franza che avrebbe dovuto provvedere alla realizzazione dei punti 1) e 3) visti sopra; in corso d’opera si rese inoltre necessaria la demolizione e ricostruzione di un muro di contenimento a valle dell’edificio sede del PNF
 

Il rapporto tra Ente ed Impresa non fu lineare, con due sospensioni dei lavori, ed un contraddittorio interposto; ciò condusse comunque ad un esito favorevole della perizia di collaudo, datata 25 luglio 1959. E’ chiaro che la perizia di collaudo si basa su saggi volti a verificare la conformità dei lavori eseguiti a quanto riportato nel capitolato d’appalto, e che i saggi confermarono tale corrispondenza; ma resta più difficile ritrovare ispettivamente detta corrispondenza. Non sono in atto visibili, infatti, le parti in muratura di mattoni che avrebbero dovuto sostituire quella in pietrame; Il prof. Sapienza le identifica con quelle in conci squadrati visibili, ad esempio, nella parte superiore del dispensario

 
così come non è rilevabile, sulle foto aeree o satellitari, la presenza di tutte le briglie previste
 
 
ma è chiaro che un’approssimativa valutazione sulle immagini satellitari non è paragonabile al grado di attendibilità di una perizia. Ciò che sembra inequivocabile, invece, è l’assenza di qualunque intervento di sistemazione agrario-forestale. Non vi è traccia di eucalipti lungo i valloncelli, e non sembra che la densità delle macchie di ginestre sia qui più elevata rispetto alle zone viciniori.

Anche l’impianto per l’approvvigionamento idrico ebbe una storia tormentata. Scartate altre soluzioni (raccolta acqua piovana, sfruttamento della sorgente del monte Ficarazzo) venne stabilito di realizzare un acquedotto completo, le cui opere di presa, costruite appositamente per il borgo, avrebbero attinto alle stesse sorgenti che rifornivano San Teodoro e Cesarò. L’acquedotto comprendeva appunto le opere di presa, le condutture in eternit ed il serbatoio di raccolta; sarebbero stati realizzati inoltre l’impianto interno del borgo, un lavatoio e tre fontanelle. Il lavatoio pubblico è la piccola costruzione a Nord della chiesa
 
 
Una delle fontanelle si trova tra questo e la chiesa
 
 
mentre non sono stato in grado di determinare la posizione delle altre due. Il serbatoio è posto a NordEst del borgo a circa 300 metri da esso, lungo la trazzera per San Teodoro, ad un livello di circa 40 metri superiore quello della piazza. Non ha l’aspetto monumentale esibito da quelli di Borgo Rizza o Borgo Lupo, ma è meno banale di quello di Borgo Fazio
 

Non sono stato in grado di determinare se lo scrostamento del rivestimento esterno al di sopra dell’ingresso sia dovuto all’asportazione di qualche simbolo o al semplice deterioramento

 
Ciò che non risulta chiaro sono i rapporti temporali tra la realizzazione dell’impianto idrico ed il primo intervento di manutenzione nel corso del quale vennero abolite la caserma dei carabinieri e parte della scuola. Se infatti il progetto risale al 2 novembre 1940, il rilascio della concessione venne deliberato nell’adunata del 3 dicembre 1940, il contratto con la ditta Castelli reca la data del 19 maggio 1941, ed i decreti ministeriali di concessione sono dell’ottobre del 1941 e del febbraio del 1943. Il collaudo avvenne comunque nel marzo del 1945, a guerra finita ed acquedotto non funzionante a causa dei danni subiti per gli eventi bellici. Questi vennero attribuiti alle occupazioni militari del borgo (da parte delle truppe tedesche inizialmente, dal comando tedesco poi, e dagli inglesi successivamente) ed imputati soprattutto al passaggio dei mezzi pesanti inglesi lungo la trazzera per San Teodoro, dove erano stati interrati i tubi in Eternit a profondità insufficiente a garantirne la protezione nel caso di sollecitazioni di tale tipo. Un ulteriore danno, al termine delle operazioni belliche, sarebbe derivato dall’asportazione di vari elementi (saracinesche, tubi, lucchetti, etc.) costitutivi dell’impianto.

In realtà, almeno parte delle tubazioni decorre a livello della superficie del terreno, lateralmente alla trazzera, risultando parzialmente visibile persino sulle foto aeree o satellitari. Non saprei dire se la visibilità dei tubi sia attribuibile solo agli interventi di riparazione, ma sicuramente parte di essi attualmente non sono interrati.

Il collaudo ebbe comunque esito favorevole, desumendo la conformità dei lavori eseguiti dalle ispezioni effettuate sulle strutture rimaste.

Sebbene nella parte iniziale della perizia relativa agli interventi del 1955 si legga testualmente:

In dipendenza dello stato di guerra – per il divieto di impiego di cemento e ferro – le diverse strutture previste in cemento armato, (solai, architravi, scale, etc.) vennero invece eseguite in legno, materiale questo che, tra le altre, in quel periodo, sia per l’accresciuto consumo, che per le difficoltà di approvvigionamento, si era costretto ad accettare nelle partite (misure ed essenze) che era possibile reperire sul mercato ed impiegare anche se insufficientemente stagionate, e quindi tecnicamente non perfettamente idonee.”

simili espressioni sembrerebbero costituire una sorta di introduzione “standard” in uso in quel periodo per sottolineare la necessità di interventi di manutenzione. Nella relazione di progetto di Guido Baratta, infatti, viene esplicitamente escluso, per i solai, l’uso del legno; quest’ultimo è limitato alle strutture portanti delle coperture. Gli edifici sono in muratura portante, realizzata in “pietrame arenario - calcareo compatto della località.”, con l’impiego di conglomerato cementizio per le fondazioni del campanile, per sottofondi di pavimenti e gradini, e per i cordoli di aggancio dei solai. Questi ultimi sono in laterocemento; le coperture sono realizzate con tegole a canale. La realizzazione dei tramezzi non prevedeva l’uso di laterizi, ma di lastre di conglomerato di pomice etnea.

All’ingresso del borgo erano stati previsti due piloni; uno di essi sarebbe servito da supporto ad un’asta portabandiera, ed avrebbe recato alla base un’iscrizione in bronzo relativa al nome del borgo. Di tali strutture vennero probabilmente realizzati solo i basamenti; questo è ciò che resta di quello di sinistra
 

Nella planimetria del 1955 si rileva la presenza di una piccola costruzione, etichettata come “ricovero equino”

 
che non trova riscontro sulle altre planimetrie o sulle mappe catastali, né sull’assonometria. Essa è tuttavia realmente esistente, ma non sono stato in grado di determinare quando sia stata realizzata, e con quale scopo
 

Sulla sinistra si intravedono i resti della zoccolatura dei muri della caserma, sul sedime della quale, stando alla planimetria, si sarebbero dovute realizzare delle aiuole.

Un ampliamento, ovviamente mai realizzato, fu commissionato all’ing. Baratta dall’ECLS. Questo prevedeva la costruzione di ulteriori (nove) edifici, e la realizzazione di due aree all’aperto, contigue, allo scopo di ospitare fiere e servire da campo giochi ed esercitazioni
 
 
Il prof. Sapienza farebbe risalire il progetto intorno al 1950. Desidererei però avanzare un’ipotesi alternativa riguardo alla datazione, basata su alcune osservazioni. Nella perizia relativa ai lavori di manutenzione straordinaria del 1955, viene più volte sottolineata l’esiguità delle somme stanziate per le riparazioni, sia per ciò che riguarda le riparazioni attuali, sia per le precedenti. Tra le varie fasi che ho ritenuto di dover individuare riguardo ai borghi rurali di Sicilia, ve ne sarà una in cui verrà eseguito ogni sorta di progetto con la certezza quasi assoluta che non verrà mai realizzato; ma questo accadrà dopo. E’ improbabile che nel 1950, ed in un momento di ristrettezze finanziarie, venisse commissionato, ad un professionista esterno all’Ente, un lavoro da retribuire a parte e per il quale vi era l’assoluta certezza dell’irrealizzabilità. Queste sono determinazioni tipiche di periodi successivi. Inoltre il fatto che venga conservata la denominazione di “Organizzazione P.N.F.” per l’edificio che sarebbe poi divenuto “Delegazione Municipale”, e la presenza di un campo che, oltre che per i giochi, servisse anche a delle “esercitazioni” collocherebbe molto più probabilmente il progetto in un periodo antecedente alla caduta del regime fascista. Ma quando, esattamente? La presenza della caserma dei carabinieri e dell’ala dell’edificio scolastico, eliminate nella primavera del 1941, porterebbe a pensare che il progetto debba essere antecedente a tale periodo, mentre la presenza di strutture pertinenti all’impianto idrico (fontana e lavatoio) condurrebbe a ritenere che la planimetria debba essere successiva al progetto dell’acquedotto. E’ pertanto possibile che la planimetria dell’ampliamento possa essere stata redatta a cavallo tra il 1940 ed il 1941.

 Sebbene nella zona non fosse stata prevista la realizzazione di altri borghi, e Borgo Giuliano continui a mostrarsi isolato sulle carte che riportano i borghi ed i relativi raggi di influenza al gennaio 1956
 
 
 
tra tutte queste vicissitudini, almeno per un periodo di tempo esso fu, almeno parzialmente, funzionale. Che lo sia stato è certo; vi sono diverse testimonianze, sia orali, sia documentali, al riguardo. Tra le prime vi è quella riportata dal prof, Sapienza nella sua monografia e che viene dal prof. Gliozzo, l’autore della pubblicazione “Antonio Canepa e l’esercito per l’indipendenza della Sicilia”, da cui sono desunte le informazioni citate all’inizio del post. Egli riferisce come abbia insegnato presso il borgo agli inizi della sua carriera, mentre la moglie avrebbe prestato servizio presso l’ambulatorio. Tra le prove documentali vi sono, ad esempio, le richieste di trasferimento della scuola nei locali “Alloggi Impiegati” (ex botteghe artigiane), o quella di apertura al culto della chiesa. Mentre la prima venne avanzata nel novembre del 1956
 

ed è quindi contemporanea ai lavori di manutenzione iniziati nel 1955 e terminati nel 1958, la seconda è antecedente all’inizio dei lavori
 

E’ chiaro quindi che negli anni Cinquanta il borgo, in qualche modo, era frequentato. Ma, all’interno di esso, mentre da un lato in qualche modo la vita continuava, dall’altro la malattia progrediva, inarrestabile. Il continuo movimento del terreno provocò un progressivo allontanamento reciproco dei muri della chiesa, fin quando il tetto crollò; l’effetto finale sulla fu simile a quello del colpo di un’enorme mannaia, lasciando l’edificio senza tetto e con i muri laterali divergenti

 
L’ascia gigantesca si abbatté dal cielo sulla chiesa in una notte di fine ottobre del 1964, come può desumersi dalla comunicazione che il custode del borgo relazionò in data 2 novembre. Il fatto che siano passati giorni dall’evento alla denuncia di esso è evocativo del fatto che già a quell’epoca il custode fosse divenuto l’unico abitante del borgo. Ulteriori movimenti si determinarono due anni più tardi, in seguito ai quali venne richiesta la demolizione di chiesa, scuola e delegazione municipale, in quanto pericolanti, allo scopo di poter in qualche modo ripristinare l’agibilità dei fabbricati a Nord e consentirne l’uso senza mettere a repentaglio l’incolumità di coloro che si trovassero nei pressi degli edifici a rischio di crollo. La richiesta evidentemente non fu mai esaudita, ed il borgo cadde nell’oblìo; probabilmente, l’oblìo interessò anche l’unico abitante rimasto, il custode, al quale per mesi non venne corrisposto lo stipendio, come se non esistesse
 
 
Nel 1988 il borgo venne temporaneamente consegnato alla Cooperativa S. Giuliano; sei anni più tardi il comune di S. Teodoro ne deliberò l’acquisizione ai sensi della legge 890 dell’8 giugno del 1942, che venne formalizzata nel 1996.

Credo che sia proprio in funzione del trasferimento al comune di San Teodoro che nel 1996 venne eseguita un’ulteriore perizia da parte di funzionari delle sede provinciale di Messina dell’E.S.A.. Abbastanza stranamente, i periti confusero il piccolo edificio adibito a “Ricovero Equino” con la caserma dei carabinieri demolita nel 1941. Nella perizia si legge infatti: “Si evidenzia che il fabbricato contrassegnato con la part. 43, erroneamente riportato nello stralcio catastale allegato, nella realtà, non ha né quell’ingombro né occupa quella posizione, bensì quella ridisegnata con velatura rosa”.
 

Ciò, se da un lato dimostra come per più di mezzo secolo non si siano aggiornate le mappe catastali, dall’altro non denota forse uno studio particolarmente approfondito, da parte di chi ha redatto la perizia, della storia e quindi della condizione preesistente del borgo.

Attualmente, come avrai compreso, Lettore, tutti i fabbricati sono considerati pericolanti. Gli edifici meno danneggiati restano ovviamente quelli più a Nord
 
 
Tra essi, quella che doveva essere la sede  trattoria e botteghe, e dove fu spostata la scuola, resta quello apparentemente in migliori condizioni, senza evidenti compromissioni strutturali
 

Anche quella che era originariamente la sede degli uffici dell’ECLS, e che fu poi trasformata in caserma non presenta grossolane lesioni sui muri perimetrali, sebbene la copertura, contrariamente a quella delle botteghe, risulti fortemente danneggiata.

E così è anche per l’ex dispensario, il cui tetto a terrazza però, anche se appare ancora integro, soffre per l’ossidazione delle strutture in ferro
 

La copertura è invece assente sul lavatoio, sulla canonica, e ovviamente sulla chiesa. La canonica, inoltre sembra aver subito danni strutturali di una certa gravità.

Della chiesa si è già detto; le mura fuori piombo non puntellate, sono destinate a crollare. La torre campanaria, forse anche per la differente struttura delle fondazioni, è ancora in piedi
 

La scuola, o meglio quel che ne resta, manifesta notevoli danni soprattutto nelle parti più a Sud. Sono visibili i resti dell’ala demolita dell’edificio, lasciati, come specifica il prof. Sapienza, a fare da contrafforti sulla parete Sud: E’ possibile che la loro presenza sia riuscita a limitare i danni, mantenendo ancora in piedi i muri, che altrimenti sarebbero crollati. La copertura è estesamente danneggiata

 
La sede del PNF presenta anch’essa danni strutturali imponenti; vi è un crollo relativo all’angolo NordOvest, che corrisponde alla linea di frattura manifestatasi nel 1941, e che condusse alle demolizioni su scuola e caserma
 
 
Anche il “Ricovero Equino” appare seriamente danneggiato e privo di copertura.

Il comune di San Teodoro, dopo aver ricevuto Borgo Giuliano, lo ha rimesso nelle disponibilità dell’E.S.A., che ha provveduto ad inserirlo nel programma de “La Via dei Borghi”. Ma, in tutto ciò, la condizione resta quella appena descritta, in quanto gli ultimi interventi sono sempre quelli di mezzo secolo fa, e condotti in economia; nelle intenzioni dell’E.S.A. vi sarebbero il recupero dei fabbricati a Nord (la storia si ripete) e la limitazione dell’accesso alle aree che potrebbero risultare pericolose. Di fatto, poiché nulla ha arrestato la progressione del processo di smottamento, il fatto che i fabbricati finiranno per crollare è inevitabile; come altrettanto inevitabile è il fatto che questo deteriorerà irrimediabilmente l’aspetto del sito. E questo sempreché i fabbricati a Nord resistano indefinitamente. E nonostante le cifre spese per realizzazione e manutenzione.

Ma quale sarebbe stato l’aspetto originario del borgo, Lettore? Che tipo di atmosfere avrebbe evocato? Che impatto visivo o emozionale avrebbe offerto?

Il borgo, sebbene si trovi a poco più di tre chilometri, in linea d’aria, da Cesarò e da San Teodoro, sorge in una zona tuttora estremamente isolata, dove le accentuate asperità dell’orografia locale nascondono alla vista anche i centri abitati relativamente vicini, ed accentuano il senso di solitudine. In questa cornice, compariva, inaspettato e surreale, Borgo Salvatore Giuliano. Sebbene, analogamente a quanto avvenuto per Borgo Cascino, gli interventi di manutenzione non abbiano alterato l’architettonica originale del borgo, il degrado del tempo gli ha sottratto parte del fascino. Infatti, nonostante l’aspetto da “paesino di collina” più volte citato sia marcato per borgo Giuliano, l’ingresso nella piazza del borgo avrà probabilmente ispirato altre sensazioni, generate dalla presenza dei porticati, dall’arengario del PNF sormontato dai simboli ed aggettante sulla piazza, dalla presenza di un’architettonica che in quel contesto paesaggistico risulta, appunto, surreale
 

Ma questa Lettore, non sarebbe il tipo di surrealismo al quale mi sono trovato di fronte e che sono stato in grado di apprezzare.

La prima volta che giunsi a Borgo Giuliano erano le sette di sera di una giornata di fine estate. Il sole calante incendiava il cielo dietro la chiesa, mentre ad Est il cielo assumeva già quella tonalità tra il grigio e l’azzurro tipica dei crepuscoli estivi
 


Il sito era completamente recintato, con cartelli, bene in vista, di divieto di accesso all’area e ai fabbricati. Percorsi la rampa d’ingresso velocemente, nel timore che la il sole calasse prima che riuscissi a fotografare ciò che volevo
   

Il borgo era ovviamente deserto, ma evocava un abbandono totale, non la solitudine apparente che si sperimenta nei luoghi temporaneamente poco frequentati a causa dell’orario o delle circostanze, ma nei quali la presenza umana è tangibile. Quel luogo sembrava deserto da anni

 
Gli edifici in rovina conservavano l’intonaco esterno meglio di quanto non avessero fatto i loro omologhi in altre zone dell’isola. Manifestavano chiaramente il dissesto più di quanto non manifestassero il degrado
 
 
I colori degli intonaci si intonavano perfettamente con quelli del tramonto; la fine del giorno declinava alla perfezione la fine del borgo.
 

Non so se le immagini riescano a rappresentare in qualche misura ciò che vorrei esprimere; avevo la consapevolezza che se fossi arrivato minuti più tardi non sarei stato in grado di riprendere le fotografie, e che alla stessa impossibilità mi sarei trovato di fronte se fosse arrivato un anno più tardi. Avrei voluto che quel momento durasse in eterno, ma nella consapevolezza che era invece proprio la fugacità del momento a renderlo così unico.

Continuai a riprendere immagini finchè la luce me lo permise
 
 
Mentre mi lasciavo alle spalle la piazza del borgo, scendendo lungo la rampa d’accesso, sorridevo pensando che mi era stato consentito di vedere la fine del giorno prima di quella del borgo. Che mi era stato permesso di conservare il ricordo fotografico di quello spettacolo prima che l’evoluzione della patologia di Borgo Giuliano lo rendesse impossibile, ponendo termine alla sua lenta, inesorabile, agonia.