venerdì 10 luglio 2015

LA VIA DEI BORGHI.40: L'ultima fase dei borghi rurali siciliani. I villaggi Schisina



Come già accennato in più di un’occasione, pare che la realizzazione di un borgo in contrada Schisina, nei pressi di Francavilla di Sicilia, fosse comunque nei piani dell’ECLS. Questo è riportato a pag 362 del testo di Liliane Dufour più volte citato, insieme a Borgo Manganaro, Ingrao e Ciclino, e, come “Borgo Francavilla”, in una pubblicazione di Tiziana Basiricò. Liliane Dufour non riporta il riferimento bibliografico relativo all’informazione; mentre la fonte di Tiziana Basiricò è molto probabilmente una mappa contenuta nella pubblicazione “22 anni di Bonifica Integrale”, edito dall’IRES per conto dell’ERAS. La stampa è del 1952, e di conseguenza, i dati riportati devono essere necessariamente antecedenti: ma di quanto?

La denominazione di Borgo Bassi come “Borgo Ummari”, Borgo Ventimiglia segnato come “in costruzione”, Borgo Ingrao marcato come “in progettazione” e l’assenza di Borgo Caracciolo sembrerebbero indicare che i dati relativi ai borghi siano compresi tra la fine del 1940 ed il 1946; più probabilmente tra l’inizio del 1941 e la fine del 1942, con la cancellazione dell’esistenza di Borgo Caracciolo (e le aggiunte delle “zone irrigabili”) prima di dare alle stampe la mappa




Sebbene la pianificazione di un “Borgo Francavilla” cadrebbe pertanto in epoca ECLS, la progettazione di borghi in contrada Schisina però ebbe luogo solo negli anni Cinquanta, con l’applicazione della legge di riforma agraria nr 104 del 27 dicembre 1950.

La legge 104 infatti prevedeva una serie di espropri (denominati “conferimento straordinario” nel testo di legge). da attuarsi secondo modalità esposte nella legge stessa. Vi erano comunque una serie di deroghe ed eccezioni, una delle quali contenuta nell’art. 33, che dava al proprietario la facoltà di “[...] offrire spontaneamente all'Ente per la riforma agraria in Sicilia la quota da conferire, purché il terreno offerto soddisfi alle condizioni previste all'articolo precedente. Se l'offerta è accolta prima dell'approvazione del piano di conferimento e comunque non oltre centottanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, la quota da conferire è ridotta del 5 per cento.” L’offerta, qualora accettata, avrebbe quindi “sanato” la sua posizione evitando conferimenti forzati. L’acquisizione dei fondi da parte dell’Ente avrebbe comunque avuto il carattere di un esproprio; i terreni, cioè, sarebbero stati pagati.

Era ovvio che in simili condizioni i proprietari avessero tutto l’interesse a sbarazzarsi delle terre improduttive, ricavando un vantaggio economico dalla cessione. Meno ovvia sarebbe apparsa l’accettazione da parte dell’ERAS di certe proposte chiaramente svantaggiose per l’Ente, da cui quest’ultimo sarebbe risultato protetto dai contenuti dell’"articolo precedente”:

Art. 32. (Qualità dei terreni da conferire). La quota da conferire deve possibilmente costituire unico appezzamento e deve comprendere terreni di media qualità, tenuto conto della fertilità, dell'ubicazione e degli altri elementi che caratterizzano nel complesso le estensioni soggette a conferimento.

Esiste sempre, Lettore, una dissonanza tra teoria e pratica, tra una regola e la sua applicazione: così come un'analoga dissonanza é avvertibile tra le affermazioni di coloro che sostengono a spada tratta la tesi secondo la quale il regime fascista si sarebbe alleato con i proprietari terrieri, e ciò che effettivamente accadde quando quel regime venne rovesciato. Un esempio paradigmatico di tutto questo viene appunto offerto dalla vicenda relativa alla cessione dei fondi Morfia, Piano Torre, Malfitano




e di alcuni terreni limitrofi in località Monastero




e San Giovanni. I fondi furono spontaneamente conferiti dalla contessa Maria Maiorca Mortillaro, e su di essi venne eseguito il piano di ripartizione, dando così luogo alla realizzazione dei Villaggi Schisina. I fondi Morfia, Piano Torre e Malfitano, compresi nei piani di ripartizione 2a e 2c, erano estesi circa 530 Ha, mentre a poco meno di 360 ettari ammontavano i terreni rimanenti, per un totale di Ha 891.87.74 (divisi in 149 lotti, tra i cinque ed i sei ettari)




Riporterò qui, Lettore, quanto asserito da diverse fonti riguardo alla qualità dei terreni ceduti dalla contessa; sono sicuro che, paragonando i diversi punti di vista, sarai in grado di farti un’idea molto più obiettiva di quella che potrebbe derivarne esponendo la mia.

Nella relazione dell’ERAS riguardante il piano di ripartizione dei fondi Piano Torre, Morfia e Malfitano, al paragrafo “CARATTERI DEL SUOLO” si legge testualmente:

"Tutto il terreno dei fondi Piano Torre e Morfia (Ha. 405.69.59) e Malfitana (Ha. 125.60.33) appartiene alla tristemente famosa formazione delle filladi (scisti lucenti) in cui per la esposizione al sole e le conseguenti dilatazioni, e per le contrazioni notturne, è provocato il distacco dei fogli di scisto, che precipitano a valle. Le filladi sono spesso frammiste a venature di quarzo. Il terreno agrario è però, per la maggior parte, derivato dal disfacimento dei sovrastanti conglomerati a cemento siliceo-argilloso (puddingh); in questi conglomerati poligenici si trovano ciottoli anche grossi di natura diversa o di granito.
[...]
Si tratta di terreni, come si é detto, a grana grossolana, permeabili, cosparsi di grosso pietrame di tutte le dimensioni, di scarsissima fertilità umica e di discreta fertilità chimica, il terreno agrario, in genere, ha reazione acida per effetto di dilavamento.
[...]
In estate, dato lo scarso strato di terreno agrario, la scarsezza di humus, la siccità fa tristemente risentire i suoi effetti: tutto scompare e secca rimanendo verdi solo gli arbusti spinosi della macchia mediterranea e le felci.
[...]
Le terre sono tutte in pendio più o meno accentuato; si va dal 10% al 40%; prevalgono le pendenze del 25%; nei compluvi, valloni e burroni le pendici hanno il 60 e più %. Alcune di queste pendici sono completamente nude, la maggior parte però, per quanto presentano l'aspetto desolato, possono essere risanate con un'adeguata sistemazione idraulico-agraria."

Questa è una descrizione necessariamente "benevola" della situazione, considerato che è contenuta in una relazione sulla base della quale l'ERAS accettò il conferimento spontaneo, ritenendo quindi che i terreni potessero essere considerati "di media qualità".

Questa è invece la breve descrizione che ne fa il prof. Sapienza in un articolo su Agorà:

"La contessa cedette volontariamente diverse porzioni di terreno e per questo le venne riconosciuto un buon compenso economico.
[...]
L’operazione, come detto, fu un totale fallimento: quasi nessuno andò ad abitare in quei luoghi, per la poca produttività dei terreni – lo spessore di terra coltivabile risultò essere, in media, di soli 10 cm – per l’insufficienza dei servizi essenziali – mancavano l’acqua potabile e l’energia elettrica – per l’eccessiva distanza dal paese e infine perché le aree non cedute all’Ente rimasero in uso alla pastorizia, attività notoriamente incompatibile con l’agricoltura.".

La prof. La China invece così si esprime in un articolo comparso su Limes nel 2009:

“[…] fu la ditta Maria Maiorca Mortillaro […] a offrire spontaneamente come «quota di conferimento» circa 890 ettari di terreni ricadenti nel territorio di Francavilla di Sicilia, accettati dall’ERAS nel corso del 1951, e nei quali venne realizzato il borgo. Ovviamente, la transazione non avvenne gratuitamente, e la contessa intascò circa 23 milioni di lire, laddove la reale rendita dei terreni era di poco superiore allo zero. Le terre conferite, appartenenti a quattro fondi-feudi distinti, apparvero subito di scarsa qualità, tanto da far classificare 100 ettari come inutilizzabili […] “

Su Wikipedia, infine, alla voce “Villaggi Schisina” si legge, tra l’altro:

I terreni assegnati, essendo stati da sempre adibiti solamente a pascolo, avevano bisogno di opere di bonifica, che però erano fuori dalla portata sia economica e sia tecnica dei contadini. Molti di essi, non potendosi permettere di lasciare un lavoro sicuro di braccianti, per un’impresa più grande delle loro poche forze, dovettero rinunciare.
[…]
Oltre a tutto questo, l’area interessata era frammista ai pascoli lasciati in mano ai vecchi proprietari, le cui greggi sconfinavano nelle concessioni agricole danneggiandole.

Era quindi questo il palcoscenico sul quale ci si muoveva per inscenare una nutrita edificazione di borghi e abitazioni, che avrebbe dato vita ad un imponente sistema edilizio rurale il quale, nei piani originali, doveva essere composto da un borgo di servizio di tipo “A”, due borghi residenziali e quattro borghi di tipo misto (borghi residenziali con annessi servizi di un borgo di tipo “C”).

Tale organizzazione probabilmente risentiva in parte dell’eredità dell’ECLS, il quale aveva già nei piani la costruzione di un borgo nella zona che doveva necessariamente, attenendosi ai principi ereditati dall’Istituto VE III, essere un borgo di servizio; d’altra parte, la rimozione del veto sull’aggregazione dei contadini, ed il conseguente venir meno dell’assunto sulla “Città Rurale” si manifestava nella pianificazione dei borghi misti. Così come un’analoga manifestazione può ravvisarsi nel fatto che il borgo di servizio avrebbe servito dei borghi residenziali, non case sparse; non era più necessario che le case venissero disperse sul territorio.

In pratica, le nuove politiche dell’ERAS avrebbero condotto a realizzare i quattro borghi misti, mentre i due borghi residenziali, distando 700 metri e 250 metri in linea d’aria dal borgo di servizio, avrebbero costituito con questo una quinta “unità” mista. Quest’ultima soluzione avrebbe costituito un compromesso tra la pianificazione secondo le precedenti direttive, mantenendo formalmente l’ereditato borgo di servizio, ed i recenti orientamenti, rendendo però nei fatti borgo Schisina il nucleo servizi di un borgo misto.

Il piano di ripartizione prevedeva la divisione in 149 lotti di estensione compresa tra i cinque ed i sei ettari, per i quali vennero costruite 148 abitazioni (al lotto 27 venne assegnata una casa rurale preesistente e compresa nel conferimento). Le 149 abitazioni vennero ripartite in nove gruppi:

Il primo ed il quinto gruppo avrebbero costituito la parte residenziale di Borgo Morfia

Il secondo ed il terzo gruppo avrebbero costituito la parte residenziale di Borgo Piano Torre

Il quarto gruppo avrebbe formato borgo Pietrapizzuta

Il sesto ed il settimo gruppo avrebbe formato borgo Malfitano

l’ottavo gruppo avrebbe costituito la parte residenziale di Borgo Monastero-Bucceri

Il nono gruppo la parte residenziale di Borgo San Giovanni

A motivo di tale suddivisione, nella documentazione ESA relativa ai borghi della serie Schisina, Piano Torre è menzionato come “Piano Torre II-III”, e Morfia come “Piano Torre I-V”.

La suddivisione dei lotti seguì quella delle abitazioni; a Morfia e Piano Torre fecero capo 56 lotti da cinque o sei ettari di cui due o tre disponibili come seminativo e l’estensione rimanente “che parzialmente potrà essere destinata a seminativo dopo conveniente sistemazione”. A Malfitano furono assegnati 24 lotti, di estensione compresa tra Ha 4.80 e Ha 5.40 “tenendo conto che nei lotti comprendenti una superficie maggiore degli altri è inclusa una parte della superficie attualmente non coltivabile”; insieme ad esso, 14 lotti avrebbero dovuto essere assegnati ai residenti a Pietrapizzuta, che con Malfitano faceva riferimento a Schisina. Gli altri due borghi autonomi, e cioè Monastero e San Giovanni, comprendevano rispettivamente 30 e 25 abitazioni, e sorgevano nei fondi dei relativi lotti.

Mentre i fondi Morfia, Piano Torre e Malfitano erano comunque attraversati dalla statale, Monastero e San Giovanni si trovavano relativamente lontani dalle carrabili, indovati in luoghi reconditi e quasi inaccessibili. Per raggiungere la zona di Borgo Monastero si sarebbe dovuto guadare il greto del torrente Zaniani; per borgo San Giovanni, invece si rese necessaria la costruzione di una strada di accesso di circa due chilometri e mezzo, che consistette, in realtà, nel riadattamento della strada di cantiere.



Borgo Schisina

Progettato dal Servizio Ingegneria dell’Ente, tradisce le sue origini ECLS in diversi aspetti, uno dei quali consiste in “un particolare attaccamento al linguaggio estetico dei borghi del regime” per esprimersi con le parole dell’architetto La China. Sulle tavole del progetto esecutivo è apposta la firma, oltre che del responsabile del servizio (l’ing. Pasquini, di provenienza Istituto VEII), di un’altra persona, verosimilmente l’effettivo progettista, ma relativamente al quale non vi è timbro. e la cui firma non è decifrabile




Sebbene esse rechino la data del 27 novembre 1953, posteriore a quella degli altri progetti della serie, fu il primo tra essi ad essere appaltato; fu costruito tra il 1954 ed il 1957 dall’impresa Arcovito. Borgo Schisina è situato sulle pendici del crinale che delimita ad Ovest il vallone del torrente Zaniani




Il borgo si sviluppa lungo una strada a “C” che si snoda lungo il fianco sudovest del rilievo , secondo un principio per certi versi simile a quello adottato per borgo La Loggia




la strada di accesso, che si dirama dalla SS 185




dopo aver descritto il tornante, si allarga in una piazzetta il cui margine Sud dà sulla vallata sottostante




La piazzetta è in piano, su un terrapieno retto da un imponente muro di contenimento, mentre le costruzioni poste lungo la strada si trovano a diversi livelli altimetrici, edificate in pendio; pertanto, esse comprendono un piano seminterrato.

Il borgo consta di undici edifici più cabina di trasformazione. A nord della statale si trovano una delle botteghe artigiane




e la cabina di trasformazione




Questo è un altro degli aspetti che denotano le radici ECLS di borgo Schisina. Ambedue le costruzioni, infatti sono analoghe a quelle di borgo Manganaro dove, come si è visto, la planimetria delle botteghe artigiane




seguiva da vicino quella degli analoghi edifici progettati dall’Istituto VEIII per la bonifica della Sicilia.

Sempre lungo la statale si trova l’abbeveratoio, con due vasche a diverse altezza per ovini e per bovini




estremamente semplice nello stile, si ritrova identico nelle altre costruzioni del gruppo




Il primo edificio che si incontra lungo la strada di accesso alla piazza, lungo il margine Sud, è la collettoria postale




due piani fuori terra più uno seminterrato




Proseguendo, sul versante opposto della strada, sorgono ambulatorio medico




casa dell’Ente




e caserma dei carabinieri




Mentre anche il progetto del primo, a meno del portico ad archi




risulta identico all’analogo di Borgo Manganaro e di Borgo Africa




quello dell’ultima




appare, nella distribuzione dei volumi e nella pianta, in qualche modo ispirato alla caserma del centro rurale di tipo piccolo dell’Istituto VEIII




La strada, come si è detto, prima di allargarsi nella piazza traccia una curva di 180 gradi all’esterno della quale si trova la seconda delle botteghe artigiane




anch’essa con planimetria analoga a quella di Borgo Manganaro.

La piazza




è delimitata a Nord da una ripa sulla quale decorre la strada, mentre verso Sud guarda verso la vallata. Ad Ovest, vi è la chiesa




a navata singola, con annesse canonica e sala catechismo




mentre la quinta Est è costituita dal fianco dell’edificio della delegazione municipale




Il prospetto di quest’ultimo dà sulla strada, ed allineato con esso sorgono trattoria, con locanda, e l’edificio adibito a forno e scuderia




anche questo presenta una planimetria che costituisce l’immagine speculare di quella dell’analoga costruzione di Borgo Manganaro




La scuola, invece, sorge sul margine opposto della strada, verso Sud, ad un livello altimetrico inferiore




Si sviluppa su due elevazioni




ma l’accesso dalla piazza è assicurato da un ponticello che si raccorda direttamente a livello del piano superiore




e che è in linea con una scalinata




che dall’ingresso del borgo conduce direttamente alla piazza, e che avrebbe consentito agli alunni di raggiungere direttamente, dalla statale, l’edificio scolastico




Da un certo punto di vista, lo stile architettonico complessivo rispecchierebbe quello di Borgo Manganaro. Alcuni edifici sono, come già sottolineato, basati sullo stesso progetto degli omologhi di Borgo Manganaro; altri presentano elementi comuni quali la presenza di portici ad arco e una zoccolatura in pietra a faccia vista che si continua in un bugnato in corrispondenza dei seminterrati. Il tema dell’arco è ripreso anche come motivo decorativo in corrispondenza di alcune aperture. Ritengo siano queste le caratteristiche che la prof. La China definisce come “particolare attaccamento al linguaggio estetico dei borghi del regime




La struttura degli edifici è costituita da muratura portante, in conci di arenaria e mattoni pressati, con l’esclusione di alcune strutture in calcestruzzo armato. Il sistema di viabilità pedonale interna è costituito dalla scalinata precedentemente menzionata, con gradini in mattoni rossi, allineata con il ponticello che consente l’accesso all’edificio scolastico.

Vi sono tre piccole “incongruenze” tra il progetto e la sua realizzazione, incongruenze alle quali non sono stato in grado di trovare una spiegazione. La prima riguarda questo edificio, visibile nelle immagini satellitari almeno fino agli inizi del 2012




Esso risulta visibile, oltreché sulle carte IGM




già nelle riprese del film l’Avventura (di cui si parlerà brevemente più avanti)




la sua costruzione pertanto deve essere non posteriore alla seconda metà degli anni Cinquanta. In pratica, se non è coevo al borgo, deve essere stato realizzato soltanto un paio d’anni dopo. E’ stato demolito nella prima metà del 2012, ma le sue immagini si trovano ancora nelle StreetView di GoogleEarth




La sua struttura appare diversa dagli altri fabbricati, ma il muro di recinzione sembrerebbe in uno stile analogo a quello della casa artigiana, ed in contiguità con esso. Non so cosa fosse, ma sicuramente sorgeva su terreno demaniale, e pare improbabile che fosse un’abitazione privata abusiva.

La seconda incongruenza è relativa alla planimetria del borgo.

La rappresentazione assonometrica originale prevedeva che la piazza del borgo, all’estremità opposta allo sbocco della strada a “C” che origina dalla SS 185, si raccordasse nuovamente alla statale tramite un ponte che consentisse di superare un avvallamento del terreno (1). Inoltre, la caserma dei carabinieri si sarebbe trovata più a NordEst, proprio in corrispondenza dell’accesso del borgo (2)




La planimetria invece, pur riportando ancora il raccordo tra piazza e statale, mai realizzato, risulta coerente con la realizzazione finale per ciò che riguarda ubicazione e planimetria della caserma. Quest’ultima appare assolutamente difforme da quanto raffigurato nelle tavole del progetto esecutivo; ha perso il volume semicilindrico contraddistingueva, analogo a quello che caratterizzava il progetto della caserma del “centro rurale di tipo piccolo” dell’Istituto VEIII ed in assoluto la pianta appare notevolmente diversa. Non è presente tra i disegni un progetto che coincida con l’edificio attualmente presente; e nemmeno sono stato in grado di stabilire quando sia stata introdotta la variante di progetto




Sebbene nella mancata realizzazione del ponte di raccordo possa venire intravista la necessità di una riduzione della spesa, risulta meno immediato trovare una spiegazione relativa alla variazione della caserma.

La terza incongruenza consiste nell’intestazione “Borgo residenziale” sulle tavole del progetto esecutivo di Borgo Schisina. Borgo Schisina è unicamente un borgo di servizio, e cioè l’esatto opposto di un borgo residenziale; a meno che in esso non si volessero ricomprendere anche i suoi due “satelliti”.



MALFITANA E PIETRAPIZZUTA

I “satelliti” residenziali di borgo Schisina sono Malfitana e Pietrapizzuta, due gruppi di, rispettivamente, 24 e 14 case.




Il più vicino è Malfitana che, pur distano solo 250 m in linea d’aria, non risulta visibile da Schisina in quanto sorge sul versante opposto del crinale, quello che costituisce la vallata del torrente Zaniani; l’accesso avviene tramite una strada sterrata, lunga poco più di un centinaio di metri, che si dirama dalla SS 185 un po’ più a Nord di Borgo Schisina.

Pietrapizzuta è quasi un chilometro a Nord di Schisina; anche qui l’accesso avviene dalla SS 185, attraverso una strada sterrata lunga circa 250 m




Ambedue gli agglomerati sono costituiti da abitazioni rurali disposte su tre file




che si allungano sul pendio




Le case sorgono ravvicinate, su terrazzamenti (né d'altra parte potrebbe essere altrimenti, considerato che sono ubicate sul fianco della montagna)




ed è presente un abbozzo di viabilità interna




Sia Pietrapizzuta




sia Malfitana




sono dotati del loro abbeveratoio.

Tutti gli edifici sono basati sulla medesima planimetria: due stanze, una stalla, un portico, un minuscolo vano con forno. La struttura è in muratura portante in mattoni e coperture a solaio in laterocemento




Le case erano in origine intonacate, ed ornate ognuna con una maiolica raffigurante una scena sacra, posta al di sopra della porta di ingresso.

I centri sono praticamente abbandonati; solo qualche casa di Malfitana è utilizzata per il ricovero di animali




I bovini usano la chiesa di borgo Schisina per ripararsi dalle intemperie e dalla calura estiva




I fabbricati sono in cattive condizioni estetiche, ma non sembrerebbero presentare danni strutturali rilevanti. Gli edifici in condizioni migliori sono quelli di Borgo Schisina, ma essi subirono, all’inizio degli anni Sessanta, un incisivo intervento di manutenzione per l’adattamento a colonia Montana, in seguito al quale gli edifici, con l’eccezione della chiesa, persero la funzione originaria; le poste furono trasformate in alloggi per gli insegnanti




la scuola, olterchè in alloggi, in refettorio e dormitorio




così come dormitori divennero municipio, trattoria e botteghe artigiane.

Le case di Malfitana e Pietrapizzuta presentano l’intonacatura esterna quasi completamente mancante, in special modo sui muri rivolti verso la vallata




Su qualche casa si possono vedere ancora residui della maiolica che ornava l’ingresso





Piano Torre e San Giovanni

Sono borghi di tipo misto, residenziali e di servizio, nei quali il nucleo dei servizi sarebbe equivalente a quello di un borgo di tipo “C” (chiesa, scuola ed alloggio per l’insegnante) secondo le direttive antecedenti al D.A. nr 295 del 1 aprile 1953.

I progetti infatti furono ultimati nel 1953, e quindi commissionati prima della promulgazione del predetto decreto; furono redatti, su incarico dell’ERAS dall’ing. Vincenzo Catalano.

L’ubicazione dei borghi, più distante dalla statale di quelle di Schisina e dei suoi satelliti, richiese la progettazione di strade d’accesso, di cui quella per Piano Torre lunga circa 750 m




e quella per San Giovanni lunga 2.8 km




anche se essa come sottolineato più sopra venne realizzata per consentire agli automezzi dell’impresa di costruzioni di raggiungere il cantiere, e poi venne sistemata sommariamente rendendola strada di accesso.

A Piano Torre vennero costruite 28 case; come già accennato, al lotto 27 venne assegnata una costruzione preesistente all’estremo Ovest del borgo (marcata in rosso sulla foto satellitare – in giallo una casa che ha subito notevoli modifiche), per un totale di 29 abitazioni. 18 di esse sono disposte sulle pendici della collina in file regolari, mentre le rimanenti sono ubicate ad Ovest di tale nucleo secondo una disposizione dettata dall’orografia locale




Ai piedi di tale agglomerato si trova un piazzale nel quale trovano posto i due edifici che costituiscono i servizi del borgo




Questo a Sud è rivolto verso la vallata, e quasi interamente occupato, verso Ovest, dall’edificio scolastico




che avrebbe compreso l’abitazione per l’insegnante




mentre nella parte Est era prevista una fontana, mai realizzata




Oltre l’estremità Est vi è la chiesa




piccolo edificio ad una sola navata e campanile a vela




Anche qui vi è un sistema di viabilità interna, con la strada di accesso che si continua oltre il piazzale descrivendo un paio di tornanti che si snodano tra le case




Dopo il primo la strada si allarga leggermente, come in una seconda piazzetta, dove trova posto l’abbeveratoio




Borgo San Giovanni nello stile degli edifici denuncia la sua origine comune con Borgo Piano Torre




Alla base del solito agglomerato di case, disposte prevalentemente in file parallele




vi è un piazzale sul quale sorgono scuola




e chiesa, quest’ultima molto simile nell’impianto e nello stile a quella di Piano Torre




Il piazzale è stabilizzato da un muro si contenimento e delimitato da un parapetto in metallo




In corrispondenza della zona Ovest è posizionato l’abbeveratoio




La strada di accesso a Borgo San Giovanni, già in origine pavimentata in macadam, è ormai in pessime condizioni, con il fondo ridotto ad una pietraia. Lo stato degli edifici appare lievemente migliore di quello degli altri borghi della serie, forse anche a motivo del luogo in cui si trova il borgo, che lo renderebbe un po’ meno esposto all’azione degli agenti atmosferici.




Un paio di case di Piano Torre sono abitate (una ha subito notevoli interventi di ristrutturazione), mentre borgo San Giovanni è totalmente abbandonato




in considerazione dell’ubicazione, della distanza dalla statale e dello stato della strada di accesso, ciò non sorprende.



Morfia e Monastero

Anche i loro progetti, a firma dell’ing. Pietro Torina, risalgono al 1953. L’impianto di Morfia è simile a quello già visto per gli altri borghi: una strada di accesso che si allarga in un piazzale posto alla base di un agglomerato di case,




che qui sono ventisette, il quale ospita scuola e chiesa




Ed anche in questo caso il piazzale è sostenuto da un muro di contenimento, delimitato da parapetti, e si continua in una strada parte della viabilità interna.

La chiesa di borgo Morfia, caratterizzata da forme geometriche semplici e regolari, è tuttavia particolare, anche per le proporzioni dell’aula e per il peculiare campanile




Forse, nel disegno in prospettiva dell’ing. Torina il risultato estetico non sarebbe proprio cattivo




ma visto nella realtà, il borgo abbandonato non suscita sentimenti piacevoli. E’ lugubre, borgo Morfia; nei muri nelle case, nello stile schematico della chiesa. Il suo aspetto richiama le ambientazioni di certi giochi per PC in 3D in soggettiva di quindici o venti anni fa, quando i programmatori, per ricreare gli edifici, erano costretti a ricorrere all’integrazione di semplici solidi geometrici




Ed anche la scuola desta un’analoga impressione




impressione resa ancor più marcata dal maestoso muro di contenimento che protegge l’abbeveratoio




Il borgo, come gli altri è abbandonato ed usato prevalentemente per il ricovero di animali




mentre la chiesa e la scuola sono divenute delle stalle a tutti gli effetti




La tetra originalità che caratterizza borgo Morfia si riscontrerebbe molto meno nel progetto di borgo Monastero, almeno sulla carta




Qui, a differenza degli altri borghi misti della serie, la piazza con gli edifici di servizio




si sarebbe trovata il posizione più elevata




con le file di case poste più in basso che si sarebbero allungate verso la fiumara (“La Chiesa stessa per la sua posizione sovrasterà ancora tutte le abitazioni, quasi a dominarle in mistica protezione.”)




chiesa che avrebbe avuto un aspetto meno tetro di quella di Borgo Morfia




Gli edifici di servizio, tuttavia, non vennero mai realizzati. Sebbene ciò non possa venire considerato chissà quale grave perdita (anche considerato che nessun edificio della serie venne mai adibito all’uso per il quale era stato destinato), non sono comunque chiare le vicende che ne abbiano impedito la costruzione. Da ciò che può desumersi dalla documentazione, pare sia stata eseguita una rielaborazione del progetto originale, rielaborazione che avrebbe richiesto un’ulteriore approvazione da parte del Provveditorato alle OO PP. La presentazione del nuovo progetto, però, sarebbe stata “subordinata alla possibilità di rinvenire e captare i necessari quantitativi d’acqua per l’approvvigionamento idrico del Borgo.”, possibilità che non si concretizzò mai. Poiché le abitazioni vennero comunque realizzate, ciò sarebbe equivalente ad affermare che il parroco o l’insegnante non potessero vivere decentemente senza approvvigionamento idrico, ma lo stesso concetto non sarebbe stato applicabile ai contadini; ed inoltre l’inesistenza di un impianto di rifornimento idrico funzionale non fu comunque di ostacolo alla costruzione di un abbeveratoio




Il problema in realtà non si sarebbe mai posto, in quanto anche Monastero non sarà abitato mai. Qualche casa, come negli altri casi, risulta adibita a ricovero per animali




Nei fatti, come si è visto, questo è applicabile all’intera serie dei villaggi Schisina. Nel corso degli anni, forse solo un paio di contadini vi hanno messo piede. Le case minuscole, gelide d’inverno e roventi in estate, non sono mai state accoglienti. Mancava l’acqua e non solo a Monastero; mancava anche la corrente elettrica. I terreni assegnati erano praticamente inutilizzabili dal punto di vista agricolo; mentre la pastorizia, attività rurale che difficilmente riesce a convivere con l’agricoltura, non cessò mai di essere praticata. Alla fine, l’unica saltuaria e parziale utilizzazione degli edifici è venuta proprio da pastori ed armenti.

Come già accennato, nella prima metà degli anni ’60 borgo Schisina venne utilizzato come colonia estiva. La chiesa fu oggetto di un intervento di manutenzione straordinaria, e gli altri fabbricati vennero resi funzionali al nuovo utilizzo. Le variazioni relative alla nuova destinazione d’uso incisero sulla suddivisione interna degli edifici, mentre l’esterno venne lasciato esteticamente immodificato, con l’eccezione della trattoria-rivendita. Come mostrato prima, la scuola divenne refettorio ed alloggio per il personale di servizio. L’ambulatorio (infermieristico, nel caso della colonia) fu spostato in una delle botteghe artigiane




non so invece con certezza a quale uso vennero adibiti l’originale ambulatorio medico e la caserma dei carabinieri. Tutti gli altri edifici, con l’eccezione dell’ex ufficio postale, furono trasformati in dormitori




L’unica vistosa modifica esterna fu la realizzazione di un’area coperta sul prospetto della trattoria, in corrispondenza del portico ad archi




poiché essa non è presente sui disegni esecutivi di progetto




non ho idea riguardo alla funzione di tale struttura; viste le dimensioni e la relativa vicinanza all’ex scuola (ove erano ubicate le cucine) si potrebbe ipotizzare una sorta di refettorio all’aperto.

Borgo Schisina venne poi ceduto al comune di Francavilla di Sicilia in data 21 marzo 1978. Questo costituisce un esempio ancora più evidente della palese incongruenza relativa all’applicazione della legge 890. Venne progettato e costruito un borgo, avendone già pianificato la cessione ad un comune, ma i cui servizi previsti non sono stati mai nemmeno attivati, e che è stato ceduto, ormai trasformato in colonia montana, con un generico vincolo di destinazione a pubblica utilità. Dove starebbe il senso nell’ aver pianificato la costruzione di una scuola, di una caserma, di un ambulatorio medico…?

Così come senza senso è stata la realizzazione e la cessione degli altri borghi della serie, avvenuta in data 28 agosto 1983, con l’eccezione di Pietrapizzuta, Malfitana e Monastero, i quali, essendo in pratica solo degli agglomerati di case coloniche, non hanno mai compreso alcun edificio destinato a “servizi di competenza comunale”.

Ma la vicenda in un modo o nell’altro, si protrae fino a tempi recenti, assumendo toni che hanno del paradossale. Riassumendo quanto detto sopra, l’ERAS progetta e costruisce, tra gli altri, borgo Schisina, e lo fa sapendo che poi lo cederà al comune di Francavilla di Sicilia. I servizi del borgo non vengono mai attivati, e l’ERAS, prima della cessione, lo trasforma in colonia estiva. Dopo averlo ceduto (anche se non si capisce quali edifici avrebbe dovuto cedere, considerato il fatto che la colonia estiva non rientra tra i servizi di competenza comunale), come ESA, nell’ambito del progetto “La Via dei Borghi”, sottoscrive, in data 15 aprile 2011, un accordo a tempo indeterminato per l’uso e la riqualificazione di Borgo Schisina. Meno di un mese più tardi, la giunta comunale delibera, unilateralmente, una modifica dell’articolo 6 dell’accordo, al fine di porre dei limiti alla durata dello stesso e far sì che la struttura rientri, in tempi brevi, nella piena disponibilità del comune di Francavilla; e a questo. l’ESA risponde, in pratica, come per poter usufruire dei finanziamenti relativi all’accordo sia necessario rispettare determinati limiti temporali, non inferiori a dieci anni.

Ma in questa contesa giocata a colpi di delibere e telegrammi, Borgo Schisina continua ad essere totalmente abbandonato dal 1969.

La serie dei borghi Schisina compare in almeno due filmati, di registi famosi. Il primo, del 1960, è il film l’Avventura, di Michelangelo Antonioni. Le scene sono girate in un borgo Schisina deserto, ma in perfette condizioni; sullo sfondo si vede, in lontananza borgo Piano Torre. Alla domanda di Monica Vitti, che ritiene un “cimitero” borgo Piano Torre e chiede come mai il villaggio sia deserto, Gabriele Ferzetti replica con un altro interrogativo: “C’è da chiedersi perché lo abbiano costruito”. I due si allontanano senza darsi una risposta, ma la risposta è contenuta nell’altro filmato, un documentario di Roberto Rossellini girato nel 1968. Le riprese sono effettuate a Borgo San Giovanni, e gli otto anni di differenza sono evidenti sullo stato dell’intonaco degli edifici. Anche da borgo San Giovanni viene inquadrato ad un tratto borgo Piano Torre che si scorge in lontananza, mentre la voce fuori campo dice “… assurda speculazione”.

Posso concordare con le affermazioni, Lettore, ma non con l’aggettivo usato. Le speculazioni raramente sono assurde; quasi sempre sono socialmente ingiuste, ma seguono sempre una logica. Perché perseguono un fine, e per farlo si avvalgono di mezzi.

La contessa Maria Maiorca Mortillaro, vedova Pecoraro, era madre di Concetta Pecoraro, la quale era comproprietaria di altri feudi, nel comprensorio di Contessa Entellina, che sarebbero stati di lì a breve ceduti, nonché moglie di Franco Restivo; e questi era figlio di Empedocle Restivo e deputato nazionale, nonché presidente della regione. Che la famiglia Restivo avesse “mezzi” è chiaro non solo dalla vicenda dei borghi Schisina, ma anche da quella dei borghi di Contessa Entellina; che li abbia ancora oggi è chiaro dalla vicenda di Danilo Restivo, nipote di Franco Restivo, che è stato fatto fuggire in Gran Bretagna (dove però i mezzi sembrano non essere stati sufficienti).

E qui, riallacciandomi al concetto espresso precedentemente anche questo fornisce un’idea della differenza esistente tra ciò che i detrattori del fascismo propagandano e ciò che è realmente accaduto.

Non sono fascista; sono nato ben dopo la caduta del regime, e poiché un “Partito Fascista” è da allora illegale, parto dal punto di vista che i veri “fascisti” siano ormai tutti morti, e nessun altro “fascista” possa più esistere. Per motivi analoghi non posso essere un “nostalgico”, non potendo avere nostalgia di qualcosa che non ho mai vissuto. Sono convinto, inoltre, che in un regime anti individualista come quello fascista una persona come me avrebbe vissuto malissimo; non avrei mai avuto, infatti, l’opportunità di scrivere tutto ciò che avrei voluto, come molti dei post che possono essere letti su questo blog. Invero, non sono in grado di farlo del tutto neanche nel regime attuale, nonostante le false democrazia e libertà di pensiero che lo connotano, regime nel quale mantengo comunque una coerenza che non mi consente di cogliere ben altre “opportunità” (cui accenno altrove) che invece molti miei colleghi sanno abilmente sfruttare; figuriamoci in una condizione più palesemente (quindi meno ipocritamente) coercitiva quale quella che si rileva in un regime dittatoriale. Pertanto, personalmente, non credo affatto che mi sarei trovato bene durante il ventennio; non posso assolutamente esser un “simpatizzante”. Ma proprio perché non ho idee politiche, proprio perché anch’io, come Beppe Grillo (uno dei pochi principi sui quali il mio pensiero collima totalmente con quello del comico genovese), penso che non esistano idee di destra o di sinistra, ma solo buone o cattive idee, credo di poter guardare ai fatti da un osservatorio privilegiato; privilegiato perché super partes. E dal mio osservatorio ciò che vedo è che il fascismo aveva preso dal latifondismo il concetto di contadino assimilabile ad un oggetto, una cosa da usare e gettare via, e l’aveva reso persona, assegnando poderi da venti ettari e garantendogli l’acqua. Chi è venuto dopo, gli ha dato una pietraia arida da dissodare, ha costruito delle topaie senz’acqua, in un luogo indegno di ospitare un parroco o un’insegnante, e se ne è pure vantato, deprecando l’operato di chi lo aveva preceduto; ha usato le proprie misere azioni come propaganda, spacciando per propaganda ciò che era stato fatto prima. E questi sono fatti; con buona pace di tutti gli storici di parte.

Non solo, ma denaro pubblico, raggranellato tassando dei poveri disgraziati, parte della società, è stato sprecato, dato a qualcuno che in “cambio” ha ceduto qualcosa che come era inutile per sé stesso, lo era per la società. Ed inoltre, come se non fosse stato abbastanza, per giustificare queste magnifiche azioni, si è messo in scena un grandioso spettacolo, con costose coreografie costituite da case e chiese, scuole ed abbeveratoi, sempre caricandone i costi sulle spalle della collettività. E', ancora una volta, l’uso della cosa pubblica come fosse propria. Ancora una volta, la mentalità mafiosa, ma senza il paravento del regime, stavolta; senza poter invocare la propaganda fascista a giustificazione di certe azioni. Ed anche questo, con buona pace di tutti gli storici di parte.

Non basta avere ascendenti illustri, o aver intitolato piazze e strade, per essere brave persone.