Il presente post sulle case cantoniere è stato totalmente riscritto. Questa precisazione è d’obbligo, se non altro perché esistono sul Web copie del post precedente, archiviate da qualche Lettore su “archive.is”
Nella nuova stesura sono state corrette alcune imprecisioni o inesattezze, ma la decisione di riscriverlo non nasce da questo; le imprecisioni si sarebbero potute rettificare mantenendo il post originale. La decisione consegue alla sopravvenuta consapevolezza di aver commesso un errore di interpretazione, ed alla necessità di correggerlo. Cercherò nel prosieguo, Lettore, di spiegare in cosa consista questo errore e da cosa abbia avuto origine.
Il post sulle case cantoniere avrebbe voluto illustrare (e lo fa tuttora) una quarta fase nella quale la nascita di nuovo borghi rurali in Sicilia fu caratterizzata dal fatto che essi sorgevano come agglomerati di case cantoniere sulle strade carrozzabili. Poiché ciò sarebbe avvenuto durante il ventennio fascista essa configurerebbe altresì una “seconda fase” relativa al ventennio fascista, dopo quella dei villaggi operai.
Nella nuova stesura sono state corrette alcune imprecisioni o inesattezze, ma la decisione di riscriverlo non nasce da questo; le imprecisioni si sarebbero potute rettificare mantenendo il post originale. La decisione consegue alla sopravvenuta consapevolezza di aver commesso un errore di interpretazione, ed alla necessità di correggerlo. Cercherò nel prosieguo, Lettore, di spiegare in cosa consista questo errore e da cosa abbia avuto origine.
Il post sulle case cantoniere avrebbe voluto illustrare (e lo fa tuttora) una quarta fase nella quale la nascita di nuovo borghi rurali in Sicilia fu caratterizzata dal fatto che essi sorgevano come agglomerati di case cantoniere sulle strade carrozzabili. Poiché ciò sarebbe avvenuto durante il ventennio fascista essa configurerebbe altresì una “seconda fase” relativa al ventennio fascista, dopo quella dei villaggi operai.
L’esistenza di una fase, preceduta, in generale, da altre tre fasi diverse, nella quale la comparsa di nuovi centri rurali in Sicilia possa essere stata prevalentemente caratterizzata dalla costruzione di agglomerati di case cantoniere sarebbe logica, e probabilmente persino inevitabile in un territorio nel quale si cominciava a passare dalle “regie trazzere” a vere strade carrozzabili. La corrispondenza, poi, di tale fase con una “seconda fase” relativa al susseguirsi degli avvenimenti durante il periodo fascista è un concetto che è stato mutuato da chi si è occupato dell’argomento; ma essa sembra sia stata affrontata in maniera piuttosto sbrigativa.
Probabilmente, una delle cause di ciò è da ricercare nella mancanza di sistematicità e nel numero ridotto di siti che sarebbero stati realizzati in tale fase. O almeno, questo è ciò che ritengono gli Autori che li hanno presi in considerazione; ti mostrerò invece, Lettore, come ciò non sia corrispondente al vero. Un ulteriore problema che tale fase pone potrebbe essere quello relativo alla datazione; ma per quest’ultimo, attualmente non ho soluzione.
Per ciò che riguarda strettamente quanto avvenuto nel corso del ventennio, Antonio Pennacchi, il cui viaggio è anteriore all’uscita del volume di Liliane Dufour, individua due soli siti relativi a questo periodo, classificandoli come “sottoluoghi”, e collocandoli temporalmente, in maniera piuttosto indeterminata, nel decennio compreso tra il 1927 ed il 1938: tale periodo verrebbe compreso in tre delle sue fasi, la fine della prima, e le due seguenti
Probabilmente, una delle cause di ciò è da ricercare nella mancanza di sistematicità e nel numero ridotto di siti che sarebbero stati realizzati in tale fase. O almeno, questo è ciò che ritengono gli Autori che li hanno presi in considerazione; ti mostrerò invece, Lettore, come ciò non sia corrispondente al vero. Un ulteriore problema che tale fase pone potrebbe essere quello relativo alla datazione; ma per quest’ultimo, attualmente non ho soluzione.
Per ciò che riguarda strettamente quanto avvenuto nel corso del ventennio, Antonio Pennacchi, il cui viaggio è anteriore all’uscita del volume di Liliane Dufour, individua due soli siti relativi a questo periodo, classificandoli come “sottoluoghi”, e collocandoli temporalmente, in maniera piuttosto indeterminata, nel decennio compreso tra il 1927 ed il 1938: tale periodo verrebbe compreso in tre delle sue fasi, la fine della prima, e le due seguenti
Anche Liliane Dufour menziona soltanto due siti; ma soltanto uno è in comune con quelli descritti da Antonio Pennacchi. E rispetto a quest’ultimo appare, almeno quantitativamente, ancora più sbrigativa: liquida l’argomento in poco più di una pagina, e nemmeno include gli insediamenti nella sua mappa dei borghi. E’ però precisa nei riferimenti , e pubblica foto d’epoca dei due siti, fornendo date e cifre. Ma ad una lettura attenta del testo si rivela un’incongruenza, di cui parlerò più avanti
Joshua Samuels, che ha avuto modo di trattare l’argomento dopo aver letto sia il volume di Antonio Pennacchi, sia quello di Liliane Dufour, sintetizza le informazioni dei due. Descrive così i tre siti, e delimita più esattamente il periodo di tempo in cui si realizzò la fase, comprendendolo tra l’anno di inaugurazione del prime (1936) e dell’ultimo (1938) dei tre villaggi, anche se in realtà non è chiaro da dove sia stata desunta la data del 1938, data comunque presumibilmente corretta, come si vedrà in seguito
L’esistenza dei tre centri è ripresa nel famigerato elenco di Wikipedia, con una datazione di dieci anni anteriore per uno dei tre (evidente errore di copiatura). Invece l’Allegato A dell’altrettanto famigerata proposta di legge (che viene riproposta, sempre uguale, ad ogni legislatura, forse per dimostrare che esiste un’”attività parlamentare”) comprende solo i due villaggi riportati nel libro Antonio Pennacchi, dal quale gli autori della proposta sembrerebbero aver scopiazzato tutto.
La mia opinione (che, ribadisco ancora una volta, non conta nulla, ma che non posso tralasciare in quanto è il motivo stesso per il quale sto scrivendo) è che questa fase sia in realtà da considerare un po’ più complessa di quanto non traspaia da quanto hanno scritto i tre Autori, e che la semplificazione della quale è stata oggetto dipenda, almeno in parte, dal fatto di non considerare che “villaggio rurale” e “villaggio agricolo” non sono sinonimi.
E d’altra parte, la realizzazione di una vera rete stradale in Sicilia costituisce una situazione nuova per la regione, la prima a poter richiedere la fondazione di centri rurali con finalità diverse da quelle agricole. Pertanto è probabile che le motivazioni alla base delle realizzazioni e la normativa che ne avrebbe regolato le conversioni siano diverse dipendentemente dall’ubicazione e dalla costruzione del villaggio, per cui non tutti i villaggi di case cantoniere hanno lo stesso ruolo nell’ambito di questa fase.
Sembravano esistere, durante il ventennio fascista, due direttive che avrebbero risposto a due "esigenze" diverse. La prima sarebbe stata quella di "sfollare le città", la seconda quella della "ruralizzazione" della società o di parte di essa. Le due direttive, lungi dall'essere incompatibili, ed anzi spesso praticamente identificabili, muovevano però da due idee diverse.
Inoltre, individuare una “fase delle case cantoniere” tra quelle che hanno condotto alla realizzazione dei borghi rurali di Sicilia, e collocarla alla fine degli anni Trenta del ventesimo secolo è un’operazione che contiene un’affermazione implicita: quella che soltanto durante il ventennio sia improvvisamente nata l’idea di ruralizzare i cantonieri. Ma ritenere che una fase che porti ad identificare cantoniere e contadino fosse limitata al periodo fascista sarebbe un errore.
Infatt, diversi insediamenti stabili costituiti da case cantoniere sono preesistenti al ventennio fascista. Essi erano, in fondo, la manifestazione di una necessità, ancor di più in una condizione come quella siciliana; in una terra vasta (la Sicilia è la più grande regione d’Italia), montuosa, isolata, e totalmente priva di qualsiasi infrastruttura, la costruzione di strade (o di altro, se è per questo) nelle deserte e sconfinate zone dell’interno equivaleva ad una sorta di colonizzazione. In un’epoca nella quale il trasporto su ruote era ancora agli albori, e con una rete ferroviaria in fieri, spostamenti giornalieri a piedi o a dorso di mulo per decine, a volte centinaia di chilometri per procurarsi il necessario sarebbero stati impensabili. Che i cantonieri nelle zone dell’interno dovessero essere autonomi, in tutto, per giorni, era indispensabile. Se lo erano i cantonieri delle strade ferrate (le case cantoniere delle ferrovie avevano orto, pollaio, forno, etc.), che vedevano comunque passare il treno più volte al giorno, a maggior ragione era necessario che lo fossero i cantonieri delle strade carrozzabili.
Nella pratica, quindi, la figura del cantoniere-contadino, in Sicilia, era nell’ordine naturale delle cose; né avrebbe potuto essere diversamente da così.
E di questo vi sono esempi che precedono il ventennio fascista, evidenze dell’esistenza, anche se non codificata né pianificata, di insediamenti, relativamente autonomi, in cui i cantonieri risiedevano stabilmente. Tra essi possono essere menzionati la cantoniera “La Catena” nel messinese, lungo la SS 113, o l’insediamento sulla SP 78 di Enna ad Est di Camitrici; o ancora, sebbene più piccole, la cantoniera sulla SP2 di Caltanissetta, nei pressi della deviazione per Santa Rita, la cantoniera sulla SS 118 prima di Prizzi, o la cantoniera S.Venera sulla SS 643
La mia opinione (che, ribadisco ancora una volta, non conta nulla, ma che non posso tralasciare in quanto è il motivo stesso per il quale sto scrivendo) è che questa fase sia in realtà da considerare un po’ più complessa di quanto non traspaia da quanto hanno scritto i tre Autori, e che la semplificazione della quale è stata oggetto dipenda, almeno in parte, dal fatto di non considerare che “villaggio rurale” e “villaggio agricolo” non sono sinonimi.
E d’altra parte, la realizzazione di una vera rete stradale in Sicilia costituisce una situazione nuova per la regione, la prima a poter richiedere la fondazione di centri rurali con finalità diverse da quelle agricole. Pertanto è probabile che le motivazioni alla base delle realizzazioni e la normativa che ne avrebbe regolato le conversioni siano diverse dipendentemente dall’ubicazione e dalla costruzione del villaggio, per cui non tutti i villaggi di case cantoniere hanno lo stesso ruolo nell’ambito di questa fase.
Sembravano esistere, durante il ventennio fascista, due direttive che avrebbero risposto a due "esigenze" diverse. La prima sarebbe stata quella di "sfollare le città", la seconda quella della "ruralizzazione" della società o di parte di essa. Le due direttive, lungi dall'essere incompatibili, ed anzi spesso praticamente identificabili, muovevano però da due idee diverse.
Inoltre, individuare una “fase delle case cantoniere” tra quelle che hanno condotto alla realizzazione dei borghi rurali di Sicilia, e collocarla alla fine degli anni Trenta del ventesimo secolo è un’operazione che contiene un’affermazione implicita: quella che soltanto durante il ventennio sia improvvisamente nata l’idea di ruralizzare i cantonieri. Ma ritenere che una fase che porti ad identificare cantoniere e contadino fosse limitata al periodo fascista sarebbe un errore.
Infatt, diversi insediamenti stabili costituiti da case cantoniere sono preesistenti al ventennio fascista. Essi erano, in fondo, la manifestazione di una necessità, ancor di più in una condizione come quella siciliana; in una terra vasta (la Sicilia è la più grande regione d’Italia), montuosa, isolata, e totalmente priva di qualsiasi infrastruttura, la costruzione di strade (o di altro, se è per questo) nelle deserte e sconfinate zone dell’interno equivaleva ad una sorta di colonizzazione. In un’epoca nella quale il trasporto su ruote era ancora agli albori, e con una rete ferroviaria in fieri, spostamenti giornalieri a piedi o a dorso di mulo per decine, a volte centinaia di chilometri per procurarsi il necessario sarebbero stati impensabili. Che i cantonieri nelle zone dell’interno dovessero essere autonomi, in tutto, per giorni, era indispensabile. Se lo erano i cantonieri delle strade ferrate (le case cantoniere delle ferrovie avevano orto, pollaio, forno, etc.), che vedevano comunque passare il treno più volte al giorno, a maggior ragione era necessario che lo fossero i cantonieri delle strade carrozzabili.
Nella pratica, quindi, la figura del cantoniere-contadino, in Sicilia, era nell’ordine naturale delle cose; né avrebbe potuto essere diversamente da così.
E di questo vi sono esempi che precedono il ventennio fascista, evidenze dell’esistenza, anche se non codificata né pianificata, di insediamenti, relativamente autonomi, in cui i cantonieri risiedevano stabilmente. Tra essi possono essere menzionati la cantoniera “La Catena” nel messinese, lungo la SS 113, o l’insediamento sulla SP 78 di Enna ad Est di Camitrici; o ancora, sebbene più piccole, la cantoniera sulla SP2 di Caltanissetta, nei pressi della deviazione per Santa Rita, la cantoniera sulla SS 118 prima di Prizzi, o la cantoniera S.Venera sulla SS 643
tutti edifici chiaramente precedenti il ventennio fascista.
Invece, la cantoniera doppia sulla SP 78 di Caltanissetta
Invece, la cantoniera doppia sulla SP 78 di Caltanissetta
che in un territorio totalmente privo di servizi deve avere svolto anche almeno la funzione di posto telefonico pubblico, come è deducibile dai sostegni dell’insegna
sarebbe risalente al Ventennio; ma è anche accaduto che durante il regime si sia intervenuti su quanto già esisteva. Come nel caso di Domingo.
Domingo
In contrada Domingo, provincia di Trapani, sulla SS 113, in corrispondenza dell’imboccatura della SP44, sono presenti due costruzioni relativamente grandi, più un abbeveratoio, ed una terza costruzione, più piccola, posta esattamente all’angolo tra la statale e la provinciale
In considerazione delle testimonianze e dei riferimenti temporali forniti dagli abitanti del luogo (“hanno più di ottanta anni”) almeno uno degli edifici risalirebbe alla fine del XIX secolo, ampliato successivamente, nel 1904, per un costo di £ 7500
Non è chiaro se l’ampliamento sia consistito nella costruzione del secondo edificio, il più grande, o se questo sia stato realizzato nel periodo fascista dall’AASS
Al ventennio fascista risale sicuramente invece la terza costruzione
che si trova in pratica sul bordo della provinciale, realizzata, per la Provincia, dal Consorzio di Birgi; puoi confrontare, Lettore, lo stile dell’edificio con quello adibito a stazione dei Carabinieri sulla piazza di Pergusa.
Negli edifici principali
Negli edifici principali
oltre gli alloggi dei cantonieri e delle loro famiglie, ebbe sede una scuola, che fu successivamente spostata in baglio vicino. Il terzo edificio
realizzato dal Consorzio, fu adibito a stazione dei Carabinieri.
Di fronte le cantoniere vi era l’abbeveratoio
Di fronte le cantoniere vi era l’abbeveratoio
che però sembra più un fontanile con vasca, e non ha l’aspetto degli abbeveratoi delle zone agricole; pare non vi siano stati realizzati altri servizi. Le persone del luogo non sanno riferire se vi fosse qualcosa di simile ad un ambulatorio medico; tenderebbero ad escludere, però, che vi sia mai stata una chiesa, considerando quella di Borgo Bassi, relativamente vicino, come il luogo di culto di riferimento. I più anziani ricordano bene come l’insediamento fosse un luogo di aggregazione per i coloni del circondario, specialmente nelle serate d’estate.
L’insediamento rimase popolato fino agli inizi degli anni ’60. Prima andarono via i Carabinieri, in seguito ad un attentato subito da un’altra postazione isolata nella zona. Poi anche gli abitanti di Domingo lasciarono il luogo.
Apparirà evidente, più avanti, la similitudine con Grotta Murata, e la differenza con gli altri villaggi di cantoniere.
Ecco allora quale fu la peculiarità della fase del ventennio fascista: quella di sfruttare una condizione preesistente cercando di istituzionalizzarla, favorendo e codificando una conversione che da anni avveniva spontaneamente. E tale tentativo si inseriva, più in generale, nel contesto di tutte le iniziative volte a “sfollare le città”, e non solo ad incrementare specificamente le attività agricole. Quindi, ciò che di peculiare avvenne durante il ventennio fascista fu il tentativo di ufficializzare un ruolo, di formalizzare l’esistenza del cantoniere-contadino il quale, prima cantoniere a tempo determinato, sarebbe divenuto, poi, indefinitamente contadino.
Come viene specificato qui è un concetto in linea generale simile a quello della riconversione dei villaggi operai; lì veniva riconvertita la struttura, qui l’individuo.
Cercherò, se non di dimostrare, almeno di rendere plausibili le mie affermazioni, partendo dai contenuti del volume della Dufour, e dalla lieve incongruenza ivi rilevabile, e che avevo menzionato prima. Ciò che esprime la Dufour è paradigmatico, proprio perché essa prende in considerazione soltanto due siti, le cui differenze nella genesi e nella struttura sarebbero da considerare, in un certo senso, dimostrative dell’esistenza delle due diverse esigenze menzionate prima.
Inizialmente, la Dufour dice che “Nel 1934, l’Azienda Autonoma delle Strade si propone di stimolare nei cantonieri il senso di attaccamento alla casa a loro assegnata. Due anni dopo, coinvolta nell’ondata di ruralizzazione, l’azienda compie un passo ulteriore, con la fondazione in Sicilia, sulla statale Corleone-Agrigento [...] creando così un aggregato di vita comune, destinato nell’avvenire a maggiori sviluppi. Sulla scia di questo primo esperimento, la provincia di Palermo dava l’avvio al [...] primo gruppo di abitazioni che il Regime ha voluto costruire per famiglie numerose dei cantonieri delle strade provinciali. Il primo contributo di lire 400.000 è stato dato dal Duce [...] Questo primo gruppo di case a tipo colonico...”
Da quanto riportato, sembra potersi dedurre che i due villaggi di case cantoniere siano stati progettati ed edificati da Enti diversi e con caratteristiche diverse in quanto destinati a finalità diverse. L’AASS costruisce un villaggio rurale, suscettibile di espansione, ma destinato comunque ad ospitare cantonieri; e lo costruisce su una strada statale. La Provincia, invece, realizza, con il contributo di Mussolini, un villaggio per ospitare i cantonieri delle strade provinciali, costituito da case “a tipo colonico”, che quindi sembra dover evolvere in villaggio agricolo; anch’esso è un villaggio rurale, ma finalizzato all’agricoltura. E la seconda iniziativa sembra trovare il suo fondamento normativo in due leggi del 1928 già citate precedentemente, la 3134 (“Provvedimenti per la bonifica integrale”, pubblicata sulla GU del 15 gennaio 1929), e la 2874 (“Disposizioni per la disciplina e lo sviluppo delle migrazioni interne”, pubblicata sulla GU del 29 dicembre del 1928). Nella prima all’articolo 6 si legge: “Nell'Italia meridionale e nelle isole le strade necessarie alla trasformazione fondiaria dei terreni sono considerate come strade di bonifica e regolate con le norme del testo unico 30 dicembre 1923, n. 3250.”, mentre la seconda all’articolo 14 dice :”Quando le opere [...]sono eseguite in località spopolate o malsane, gli alloggiamenti possono avere carattere di stabilità. Le costruzioni sono erette in gruppi, secondo tipi prestabiliti, e in modo tale da essere, a trasformazione o ad opera compiuta, rapidamente adattate a villaggi agricoli, per alloggio delle famiglie coloniche, e in genere per gli usi di campagna”.
In pratica, diversamente a quanto accadrebbe per i gruppi di cantoniere sulle statali (ed analogamente a quanto avvenuto per i villaggi operai) le costruzioni nate per realizzare le provinciali, che sono considerate strade di bonifica, devono essere strutturate per essere adattate a villaggi agricoli; e questo è pienamente rispecchiato nel fatto che le case sono “a tipo colonico”.
La Dufour prosegue citando i contenuti di un carteggio dell’Archivio di Stato di Palermo, dal quale si deduce che la finalità della realizzazione del villaggio era quello di creare piccole aziende agricole autonome come modelli preliminari per la colonizzazione del latifondo. Ed in questo si può vedere una pianificazione a medio termine, in cui il periodo dei villaggi di case cantoniere costituisce una fase preliminare, cui ne deve seguire una successiva. E di questa fase avrebbe dovuto far parte il villaggio sulla provinciale, ma non sembra che quello sulla statale possa inserirsi in tale progetto. Progetto che, sempre citando la Dufour, avrebbe previsto nove di tali villaggi, per un totale di 35 case cantoniere, più altri cinque gruppi costruiti successivamente. Nei quattordici villaggi avrebbero trovato posto circa trecento persone, ed ogni insediamento sarebbe stato equiparato ad un borgo rurale, con scuola, pronto soccorso ed alloggio per i funzionari tecnici. A questo punto la Dufour dice testualmente: “Il costo dei primi nove gruppi di case fu di L. 1.900.000, somma alla quale contribuì il Duce...”, ma poco dopo dice ancora che “Nel quadro della politica di bonifica, in Sicilia si possono contare solo pochi esperimenti: cinque villaggi operai. [...] e due nuclei rurali per cantonieri”. E qui si presenta l’incongruenza che avevo menzionato sopra. Poco prima, la Dufour sembra asserire che i nove gruppi furono edificati, e ne individua il costo in 1.900.000 lire; poco dopo però dice che ne furono realizzati solo due, includendo nel novero anche quello costruito sulla statale Corleonese-Agrigentina. Allora, ne furono costruiti soltanto due, o erano di più? Ed i nove gruppi, dove sarebbero stati ubicati?
Probabilmente, Lettore, pensi di avere già la risposta alla prima domanda se hai letto il libro di Pennacchi, o anche se soltanto ti ricordi quanto scritto sopra: due villaggi per Liliane Dufour, due, ma diversi, per Antonio Pennacchi, tre per Joshua Samuels, di cui uno è quello sulla statale. A questo punto la risposta potrebbe essere: tre, se includiamo quello sulla statale, solo due se lo escludiamo. Considera, Lettore, che il fatto che la Dufour descriva due villaggi di cantoniere, e dica che ne sono stati costruiti due non significa necessariamente che si riferisca ai due che ha descritto; almeno in un altra occasione descrive qualcosa (Borgo Littorio) che poco dopo menziona come se non ne avesse mai parlato prima. A volte sembra che il testo sia stato scritto da più di una persona, separatamente.
Ma credo che la risposta corretta non sia due, e neppure tre; e lo stesso Samuels sul suo sito dice “I am aware of three of these Casa Cantoniera villages” , “sono a conoscenza di tre di questi villaggi di case cantoniere” senza voler affermare che siano gli unici esistenti.
E per essere a conoscenza di una diversa risposta, Lettore, non ti resta che continuare su queste pagine. Prima, però, di continuare con i villaggi considerati dalla Dufour, costituiti da case cantoniere, vorrei prendere in considerazione una realizzazione possibilmente riconducibile all’ applicazione dell’articolo 14 descrivendo un sito in cui esistono delle costruzioni “erette in gruppi, secondo tipi prestabiliti, e in modo tale da essere, a trasformazione o ad opera compiuta, rapidamente adattate a villaggi agricoli, per alloggio delle famiglie coloniche, e in genere per gli usi di campagna”: Vaccarizzotto
L’insediamento rimase popolato fino agli inizi degli anni ’60. Prima andarono via i Carabinieri, in seguito ad un attentato subito da un’altra postazione isolata nella zona. Poi anche gli abitanti di Domingo lasciarono il luogo.
Apparirà evidente, più avanti, la similitudine con Grotta Murata, e la differenza con gli altri villaggi di cantoniere.
Ecco allora quale fu la peculiarità della fase del ventennio fascista: quella di sfruttare una condizione preesistente cercando di istituzionalizzarla, favorendo e codificando una conversione che da anni avveniva spontaneamente. E tale tentativo si inseriva, più in generale, nel contesto di tutte le iniziative volte a “sfollare le città”, e non solo ad incrementare specificamente le attività agricole. Quindi, ciò che di peculiare avvenne durante il ventennio fascista fu il tentativo di ufficializzare un ruolo, di formalizzare l’esistenza del cantoniere-contadino il quale, prima cantoniere a tempo determinato, sarebbe divenuto, poi, indefinitamente contadino.
Come viene specificato qui è un concetto in linea generale simile a quello della riconversione dei villaggi operai; lì veniva riconvertita la struttura, qui l’individuo.
Cercherò, se non di dimostrare, almeno di rendere plausibili le mie affermazioni, partendo dai contenuti del volume della Dufour, e dalla lieve incongruenza ivi rilevabile, e che avevo menzionato prima. Ciò che esprime la Dufour è paradigmatico, proprio perché essa prende in considerazione soltanto due siti, le cui differenze nella genesi e nella struttura sarebbero da considerare, in un certo senso, dimostrative dell’esistenza delle due diverse esigenze menzionate prima.
Inizialmente, la Dufour dice che “Nel 1934, l’Azienda Autonoma delle Strade si propone di stimolare nei cantonieri il senso di attaccamento alla casa a loro assegnata. Due anni dopo, coinvolta nell’ondata di ruralizzazione, l’azienda compie un passo ulteriore, con la fondazione in Sicilia, sulla statale Corleone-Agrigento [...] creando così un aggregato di vita comune, destinato nell’avvenire a maggiori sviluppi. Sulla scia di questo primo esperimento, la provincia di Palermo dava l’avvio al [...] primo gruppo di abitazioni che il Regime ha voluto costruire per famiglie numerose dei cantonieri delle strade provinciali. Il primo contributo di lire 400.000 è stato dato dal Duce [...] Questo primo gruppo di case a tipo colonico...”
Da quanto riportato, sembra potersi dedurre che i due villaggi di case cantoniere siano stati progettati ed edificati da Enti diversi e con caratteristiche diverse in quanto destinati a finalità diverse. L’AASS costruisce un villaggio rurale, suscettibile di espansione, ma destinato comunque ad ospitare cantonieri; e lo costruisce su una strada statale. La Provincia, invece, realizza, con il contributo di Mussolini, un villaggio per ospitare i cantonieri delle strade provinciali, costituito da case “a tipo colonico”, che quindi sembra dover evolvere in villaggio agricolo; anch’esso è un villaggio rurale, ma finalizzato all’agricoltura. E la seconda iniziativa sembra trovare il suo fondamento normativo in due leggi del 1928 già citate precedentemente, la 3134 (“Provvedimenti per la bonifica integrale”, pubblicata sulla GU del 15 gennaio 1929), e la 2874 (“Disposizioni per la disciplina e lo sviluppo delle migrazioni interne”, pubblicata sulla GU del 29 dicembre del 1928). Nella prima all’articolo 6 si legge: “Nell'Italia meridionale e nelle isole le strade necessarie alla trasformazione fondiaria dei terreni sono considerate come strade di bonifica e regolate con le norme del testo unico 30 dicembre 1923, n. 3250.”, mentre la seconda all’articolo 14 dice :”Quando le opere [...]sono eseguite in località spopolate o malsane, gli alloggiamenti possono avere carattere di stabilità. Le costruzioni sono erette in gruppi, secondo tipi prestabiliti, e in modo tale da essere, a trasformazione o ad opera compiuta, rapidamente adattate a villaggi agricoli, per alloggio delle famiglie coloniche, e in genere per gli usi di campagna”.
In pratica, diversamente a quanto accadrebbe per i gruppi di cantoniere sulle statali (ed analogamente a quanto avvenuto per i villaggi operai) le costruzioni nate per realizzare le provinciali, che sono considerate strade di bonifica, devono essere strutturate per essere adattate a villaggi agricoli; e questo è pienamente rispecchiato nel fatto che le case sono “a tipo colonico”.
La Dufour prosegue citando i contenuti di un carteggio dell’Archivio di Stato di Palermo, dal quale si deduce che la finalità della realizzazione del villaggio era quello di creare piccole aziende agricole autonome come modelli preliminari per la colonizzazione del latifondo. Ed in questo si può vedere una pianificazione a medio termine, in cui il periodo dei villaggi di case cantoniere costituisce una fase preliminare, cui ne deve seguire una successiva. E di questa fase avrebbe dovuto far parte il villaggio sulla provinciale, ma non sembra che quello sulla statale possa inserirsi in tale progetto. Progetto che, sempre citando la Dufour, avrebbe previsto nove di tali villaggi, per un totale di 35 case cantoniere, più altri cinque gruppi costruiti successivamente. Nei quattordici villaggi avrebbero trovato posto circa trecento persone, ed ogni insediamento sarebbe stato equiparato ad un borgo rurale, con scuola, pronto soccorso ed alloggio per i funzionari tecnici. A questo punto la Dufour dice testualmente: “Il costo dei primi nove gruppi di case fu di L. 1.900.000, somma alla quale contribuì il Duce...”, ma poco dopo dice ancora che “Nel quadro della politica di bonifica, in Sicilia si possono contare solo pochi esperimenti: cinque villaggi operai. [...] e due nuclei rurali per cantonieri”. E qui si presenta l’incongruenza che avevo menzionato sopra. Poco prima, la Dufour sembra asserire che i nove gruppi furono edificati, e ne individua il costo in 1.900.000 lire; poco dopo però dice che ne furono realizzati solo due, includendo nel novero anche quello costruito sulla statale Corleonese-Agrigentina. Allora, ne furono costruiti soltanto due, o erano di più? Ed i nove gruppi, dove sarebbero stati ubicati?
Probabilmente, Lettore, pensi di avere già la risposta alla prima domanda se hai letto il libro di Pennacchi, o anche se soltanto ti ricordi quanto scritto sopra: due villaggi per Liliane Dufour, due, ma diversi, per Antonio Pennacchi, tre per Joshua Samuels, di cui uno è quello sulla statale. A questo punto la risposta potrebbe essere: tre, se includiamo quello sulla statale, solo due se lo escludiamo. Considera, Lettore, che il fatto che la Dufour descriva due villaggi di cantoniere, e dica che ne sono stati costruiti due non significa necessariamente che si riferisca ai due che ha descritto; almeno in un altra occasione descrive qualcosa (Borgo Littorio) che poco dopo menziona come se non ne avesse mai parlato prima. A volte sembra che il testo sia stato scritto da più di una persona, separatamente.
Ma credo che la risposta corretta non sia due, e neppure tre; e lo stesso Samuels sul suo sito dice “I am aware of three of these Casa Cantoniera villages” , “sono a conoscenza di tre di questi villaggi di case cantoniere” senza voler affermare che siano gli unici esistenti.
E per essere a conoscenza di una diversa risposta, Lettore, non ti resta che continuare su queste pagine. Prima, però, di continuare con i villaggi considerati dalla Dufour, costituiti da case cantoniere, vorrei prendere in considerazione una realizzazione possibilmente riconducibile all’ applicazione dell’articolo 14 descrivendo un sito in cui esistono delle costruzioni “erette in gruppi, secondo tipi prestabiliti, e in modo tale da essere, a trasformazione o ad opera compiuta, rapidamente adattate a villaggi agricoli, per alloggio delle famiglie coloniche, e in genere per gli usi di campagna”: Vaccarizzotto
Vaccarizzotto
Un insediamento di case “a tipo colonico” poste lungo la strada è costituito da Vaccarizzotto. anche se è difficle ipotizzare chi a chi se ne debba la realizzazione. Sicuramente non fanno capo né all’istituto VE né, tantomeno, all’ECLS; il primo aveva pianificato la costruzione di due “centri rurali” nel comprensorio del consorzio. Il consorzio di bonifica della zona è quello del Medio e dell’Alto Belice. Le case sono 10, costruite lungo un breve tratto della SP 98, di cui quattro allineate sul bordo della provinciale, in corrispondenza dell’imbocco di una strada di bonifica finanziata dalla Cassa per il Mezzogiorno, quindi, comunque, posteriore al periodo fascista
Questo è un luogo nel quale, Lettore, ritorneremo più avanti, nel corso della settima fase; ma l’insediamento di cui stiamo parlando adesso risale al Ventennio, e pare sia l’unica realizzazione del periodo nel territorio di Contessa Entellina.
L’aspetto del sito richiama quello di altri che verranno descritti più sotto, con quattro case dall’aspetto simile a quelle presenti nei villaggi descritti più avanti
L’aspetto del sito richiama quello di altri che verranno descritti più sotto, con quattro case dall’aspetto simile a quelle presenti nei villaggi descritti più avanti
allineate lungo la strada
Una strada sterrata posta a semicerchio intorno a due delle case del gruppo si allarga posteriormente ad esse; sul lato opposto del piazzale sorge una grande costruzione, apparentemente basata su un capannone industriale
mentre ai margini del piazzale si trova una cabina di trasformazione
Il capannone e la cabina di trasformazione appaiono notevolmente più recenti delle case; ma uno sguardo alla solita carta topografica IGM svela un impianto leggermente diverso. Al centro del piazzale vi sarebbe stato “qualcosa”, ed un edificio più piccolo ed a pianta più articolata (come gli edifici servizi dei villaggi descritti più avanti) avrebbe lasciato il posto al capannone in tempi più recenti
La tipologia delle case, il loro allineamento lungo la provinciale, e la presenza di un diverso edificio, richiamano la struttura dei villaggi rurali basati su case cantoniere “a tipo colonico”. Non posso esser certo che Vaccarizzotto sia stato ispirato dal progetto su cui questi si basano, nè sono in possesso di elementi che ne consentano la datazione; ma, a mia conoscenza, non vi sono altri siti simili, e così non saprei dove collocare questo se non nella “Quarta Fase”. L’unico insediamento che in qualche modo potrebbe essere paragonabile a Vaccarizzo (ma non ha nulla a vedere con le cantoniere) è un gruppo di tre case coloniche in contrada Lippone, nel trapane
Sia il fatto che già negli anni Settanta una delle tre fosse un rudere
sia stile e tecnica di costruzione
potrebbero collocarne la realizzazione nel periodo fascista.
Non saprei se la tecnica di realizzazione della muratura possa essere d’aiuto nel collocare temporalmente Vaccarizzotto
Non saprei se la tecnica di realizzazione della muratura possa essere d’aiuto nel collocare temporalmente Vaccarizzotto
Il R.D. nr 2105 del 22 novembre 1937 prescriveva che la muratura in pietrame, quando questo non presentasse piani di posa regolari, dovesse venire interrotta da corsi di mattoni o fasce di cemento; ma probabilmente l’unico caso in cui si fece scrupolosa attenzione a tale norma fu quello di Borgo Ingrao.
Qualunque sia la sua origine, Vaccarizzotto presenta un impianto che si ritroverà nei villaggi di cantoniere edificati dalla Provincia. L’ho portato ad esempio senza essere certo che si tratti di un’applicazione dell’art. 14 del RD; non ho la benché minima evidenza di ciò. Ma devo ammettere che non saprei che altra spiegazione trovare. Perché il comprensorio di Contessa Entellina è sempre stato, nei fatti, restio alle trasformazioni fondiarie; nella sostanza, almeno, se non nella forma. E le case sono state probabilmente costruite dal Consorzio, considerato che dovrebbero essere state edificate nel Ventennio, anche se non sono a conoscenza della data precisa; conosco invece quella di Grotta Murata: 1936
Qualunque sia la sua origine, Vaccarizzotto presenta un impianto che si ritroverà nei villaggi di cantoniere edificati dalla Provincia. L’ho portato ad esempio senza essere certo che si tratti di un’applicazione dell’art. 14 del RD; non ho la benché minima evidenza di ciò. Ma devo ammettere che non saprei che altra spiegazione trovare. Perché il comprensorio di Contessa Entellina è sempre stato, nei fatti, restio alle trasformazioni fondiarie; nella sostanza, almeno, se non nella forma. E le case sono state probabilmente costruite dal Consorzio, considerato che dovrebbero essere state edificate nel Ventennio, anche se non sono a conoscenza della data precisa; conosco invece quella di Grotta Murata: 1936
Grotta Murata
La denominazione ufficiale del villaggio sembra essere “Grotta Murata”, e non “Grottamurata”; almeno così è riportato nei documenti dell’Archivio Centrale dello Stato e tra i toponimi IGM; e questa differenza sembra abbia causato delle difficoltà a Samuels nel localizzare il sito.
Grotta Murata si trova lungo il margine della SS118, nei pressi di Sant’Angelo Muxaro
Grotta Murata si trova lungo il margine della SS118, nei pressi di Sant’Angelo Muxaro
Fu costruito nel 1936 dall’Azienda Autonoma Strade Statali con lo scopo dichiarato, come riportato più sopra, di stimolare nei cantonieri il senso di attaccamento alla casa a loro assegnata. E’ verosimile che la vera motivazione fosse semplicemente quella di realizzare un villaggio rurale, un aggregato di vita comune, destinato nell’avvenire a maggiori sviluppi; in pratica, uno stratagemma per “sfollare le città”.
Questa è un’immagine del villaggio appena ultimato; verosimilmente un’immagine di propaganda che mostra, come quella di Borgo Littorio, l’intera popolazione del villaggio che passeggia nella piazzetta e lungo la strada come se non avesse null’altro da fare
Questa è un’immagine del villaggio appena ultimato; verosimilmente un’immagine di propaganda che mostra, come quella di Borgo Littorio, l’intera popolazione del villaggio che passeggia nella piazzetta e lungo la strada come se non avesse null’altro da fare
Non sono stato in grado di determinare se il villaggio comprendesse otto o nove costruzioni; in atto sono otto, ma una potrebbe essere andata completamente distrutta.
Sto avanzando l’ipotesi dell’esistenza di una nona costruzione solo per una questione di simmetria nella pianta,e per la presenza di detriti nella posizione in cui avrebbe dovuto esservi la costruzione mancante; ma obiettivamente, non vi è traccia di essa nemmeno su foto aree di più di venti anni fa
Sto avanzando l’ipotesi dell’esistenza di una nona costruzione solo per una questione di simmetria nella pianta,e per la presenza di detriti nella posizione in cui avrebbe dovuto esservi la costruzione mancante; ma obiettivamente, non vi è traccia di essa nemmeno su foto aree di più di venti anni fa
Il villaggio comprendeva, oltre le abitazioni, la stazione dei carabinieri e la scuola; dal lato opposto della strada vi è la chiesa
Il villaggio è “rurale” in quanto sorge in campagna, ma non ha assolutamente la struttura del villaggio agricolo; pertanto, nasce come villaggio per cantonieri per restare tale. Il forno ed i servizi igienici esterni sono racchiusi in un unica costruzione
è possibile che vi fosse una seconda costruzione, analoga ed in posizione simmetrica, che sarebbe quella andata distrutta. Gli altri edifici, con l’eccezione di quello in posizione centrale, e della chiesa, sono anch’essi tutti simmetrici sia come posizione sia come struttura; vi sono due cantoniere doppie
due singole
due corpi bassi, l’edificio centrale
la costruzione che ospita forno esterno e servizi igienici, e la chiesa
Erano verosimilmente adibite ad alloggi le due cantoniere doppie e la singola; probabilmente l’altra cantoniera singola ospitava la caserma dei carabinieri mentre l’edificio centrale era adibito a scuola. La funzione svolta dai due corpi bassi in posizione più arretrata avrebbe dovuto essere quella di magazzino.
Nel 1942 gli occupanti erano in tutto 41, ma non ho idea riguardo a quando il villaggio sia divenuto completamente disabitato; la presenza di un inginocchiatoio all’interno della chiesa lascia supporre che non debba essere trascorso moltissimo tempo da quando è stata abbandonata
Nel 1942 gli occupanti erano in tutto 41, ma non ho idea riguardo a quando il villaggio sia divenuto completamente disabitato; la presenza di un inginocchiatoio all’interno della chiesa lascia supporre che non debba essere trascorso moltissimo tempo da quando è stata abbandonata
Attualmente il sito viene usato dall’ANAS. Le cantoniere sembrano in condizioni discrete, e così l’edificio centrale; pare però che quest’ultimo e le cantoniere singole vengano utilizzate, mentre le cantoniere doppie siano in disuso. I due corpi bassi sono invece in cattive condizioni; uno di essi è diroccato.
In realtà gli edifici sono stati tinteggiati qualche tempo fa, e questo contribuisce a farli apparire in migliori condizioni di quanto non siano realmente. Alcuni di essi presentano chiari segni di danno strutturale, mentre la chiesa sembra in uno stato migliore. Globalmente il sito dà comunque l’impressione di un luogo in stato di abbandono.
Come visto prima, Grotta Murata fu un’iniziativa dell’AASS, ente nazionale, senza che ciò implicasse l’esistenza di alcun progetto definito a medio termine; già sempre sulla stessa statale esisteva, ma molto più a Nord, la cantoniera Cicìo, con diversi alloggi, magazzini e forno separati.
Nel caso della Sicilia, però, un esperimento di conversione sistematica fu eseguito dalla Provincia di Palermo, che aveva pianificato la costruzione di nove villaggi di case cantoniere e, successivamente, di altri cinque. Ed è qui che subentra la motivazione per la quale il post è stato riscritto.
Gli unici villaggi che vengono di solito menzionati sono Bellolampo e Fellamonica, cosa che ha ingenerato la falsa opinione che siano stati gli unici realizzati.
Personalmente, ne avevo “trovati” altri cinque, per un totale di sette, di cui tre nella zona occidentale della provincia (come i due noti), e due in quella orientale. L’ubicazione non era l’unica differenza tra i due blocchi. Vi erano anche delle, seppur minime, differenze architettoniche che sembravano creare una netta dicotomia tra le costruzioni occidentali e quelle orientali. Sicuramente la costruzione era stata affidata ad imprese diverse; ma io avevo interpretato questa differenze anche come la manifestazione dell’appartenenza alle due diverse fasi della pianificazione. Nella consapevolezza che il primo ad essere stato costruito ed inaugurato fossa stato quello di Bellolampo, avevo ritenuto che i cinque insediamenti ad Ovest, omogenei nelle loro caratteristiche estetiche, facessero parte dell’insieme dei primi nove, ed i due ad Est della susseguente serie di cinque. Avevo così dedotto (e scritto) come cinque dei primi nove insediamenti, e due dei cinque a seguire, fossero stati realizzati. E d’altra parte sembrava logico.
La logica, apparentemente inoppugnabile, subì però un ferale colpo quando mi imbattei in una fotografia che ritraeva uno dei due insediamenti che ritenevo fosse da collocare tra i cinque gruppi, con la didascalia:
" Veduta d'insieme delle case cantoniere dell'VIII gruppo Madonnuzza-Alimena”.
Quindi, se il villaggio da me fotografato era l’ottavo, esso non poteva appartenere all’insieme dei cinque; doveva necessariamente appartenere alla prima serie, quella dei nove.
Ed anche se la costruzione si fosse interrotta lì, i villaggi esistenti avrebbero dovuto essere almeno otto, mentre io ne avevo trovati, in tutto, sette.
Come è finita, Lettore? Per me è finita a dover riscrivere il post; lo stesso post che sarai costretto a continuare a leggere se desideri conoscere la risposta.
In realtà gli edifici sono stati tinteggiati qualche tempo fa, e questo contribuisce a farli apparire in migliori condizioni di quanto non siano realmente. Alcuni di essi presentano chiari segni di danno strutturale, mentre la chiesa sembra in uno stato migliore. Globalmente il sito dà comunque l’impressione di un luogo in stato di abbandono.
Come visto prima, Grotta Murata fu un’iniziativa dell’AASS, ente nazionale, senza che ciò implicasse l’esistenza di alcun progetto definito a medio termine; già sempre sulla stessa statale esisteva, ma molto più a Nord, la cantoniera Cicìo, con diversi alloggi, magazzini e forno separati.
Nel caso della Sicilia, però, un esperimento di conversione sistematica fu eseguito dalla Provincia di Palermo, che aveva pianificato la costruzione di nove villaggi di case cantoniere e, successivamente, di altri cinque. Ed è qui che subentra la motivazione per la quale il post è stato riscritto.
Gli unici villaggi che vengono di solito menzionati sono Bellolampo e Fellamonica, cosa che ha ingenerato la falsa opinione che siano stati gli unici realizzati.
Personalmente, ne avevo “trovati” altri cinque, per un totale di sette, di cui tre nella zona occidentale della provincia (come i due noti), e due in quella orientale. L’ubicazione non era l’unica differenza tra i due blocchi. Vi erano anche delle, seppur minime, differenze architettoniche che sembravano creare una netta dicotomia tra le costruzioni occidentali e quelle orientali. Sicuramente la costruzione era stata affidata ad imprese diverse; ma io avevo interpretato questa differenze anche come la manifestazione dell’appartenenza alle due diverse fasi della pianificazione. Nella consapevolezza che il primo ad essere stato costruito ed inaugurato fossa stato quello di Bellolampo, avevo ritenuto che i cinque insediamenti ad Ovest, omogenei nelle loro caratteristiche estetiche, facessero parte dell’insieme dei primi nove, ed i due ad Est della susseguente serie di cinque. Avevo così dedotto (e scritto) come cinque dei primi nove insediamenti, e due dei cinque a seguire, fossero stati realizzati. E d’altra parte sembrava logico.
La logica, apparentemente inoppugnabile, subì però un ferale colpo quando mi imbattei in una fotografia che ritraeva uno dei due insediamenti che ritenevo fosse da collocare tra i cinque gruppi, con la didascalia:
" Veduta d'insieme delle case cantoniere dell'VIII gruppo Madonnuzza-Alimena”.
Quindi, se il villaggio da me fotografato era l’ottavo, esso non poteva appartenere all’insieme dei cinque; doveva necessariamente appartenere alla prima serie, quella dei nove.
Ed anche se la costruzione si fosse interrotta lì, i villaggi esistenti avrebbero dovuto essere almeno otto, mentre io ne avevo trovati, in tutto, sette.
Come è finita, Lettore? Per me è finita a dover riscrivere il post; lo stesso post che sarai costretto a continuare a leggere se desideri conoscere la risposta.
Bellolampo
Bellolampo venne costruito lungo la SP1 per ospitare i cantonieri che lavoravano alla costruzione della strada. La SP1 consente di raggiungere Partinico da Palermo, valicando i monti che cingono la città a SudOvest. Ed il villaggio si trova proprio in corrispondenza del valico, in una zona relativamente brulla, e quasi del tutto priva di alberi; è quel raggruppamento di case che cito nella parte introduttiva, quelle che tentai di fotografare alla luce della luna una notte di tanti anni fa.
A poca distanza dall’insediamento, si trova l’ex caserma dei Carabinieri di Bellolampo, tristemente assurta agli onori della cronaca per le vicende collegate al bandito Salvatore Giuliano
A poca distanza dall’insediamento, si trova l’ex caserma dei Carabinieri di Bellolampo, tristemente assurta agli onori della cronaca per le vicende collegate al bandito Salvatore Giuliano
ed è verosimile che la scelta del sito sia avvenuta anche in funzione della relativa vicinanza alla caserma
L’inaugurazione avvenne il 19 agosto del 1937, e ad essa partecipò lo stesso Mussolini; nella fotografia del villaggio appena ultimato si scorgono le iscrizioni “DUCE” apposte ad intervalli regolari lungo il muro di contenimento che separa il sito dalla strada. Si vedono anche i riquadri sulla parete laterale delle case, che riportavano diversi motti fascisti
L’inaugurazione avvenne il 19 agosto del 1937, e ad essa partecipò lo stesso Mussolini; nella fotografia del villaggio appena ultimato si scorgono le iscrizioni “DUCE” apposte ad intervalli regolari lungo il muro di contenimento che separa il sito dalla strada. Si vedono anche i riquadri sulla parete laterale delle case, che riportavano diversi motti fascisti
Tutto il villaggio è costituito da quattro case cantoniere più un edificio di servizio, destinato ad ospitare scuola, ambulatorio medico ed alloggi dei funzionari. L’edificio di servizio è piccolo, con un minuscolo portico ad archi (un solo arco per lato)
a due piani
e con un balconcino al primo piano
Le case cantoniere sono profondamente diverse da quelle di Grotta Murata; sono strutturate come delle vere case coloniche. Sono piccole, ma ognuna di esse ha il proprio forno, il proprio pollaio e la propria stalla
E sempre diversamente da come accade per Grotta Murata, sono allineate lungo l’asse stradale, con l’edificio di servizio posto nel mezzo, con la possibilità di accesso direttamente dalla strada. Completano l’insediamento una chiesetta all’aperto (che è quella che provai a fotografare)
ed una fontana, sul lato opposto della strada
Le costruzioni sono in ottimo stato, con l’intonaco esterno rifatto di recente. Un paio di edifici sono utilizzate dalla Protezione Civile
le costruzioni rimanenti sono abitate da privati
Ovviamente, i motti fascisti sono stati cancellati, e lo spazio sulle pareti esterne è stato eliminato tinteggiandolo. Già nel 1949 non esistevano più le scritte "DUCE" lungo il muro di sottoscarpa che delimita l'insediamento, come si può vedere in quest'immagine, tratta da un filmato dell'Istituto LUCE
ma i motti sulle pareti esterne erano ancora presenti
Bellolampo avrebbe dovuto costituire il primo dei nove insediamenti citati prima; alla sua costruzione contribuì personalmente il Duce, con una donazione di 400000 lire. Tuttavia, la Dufour, per asserendo che il costo dei nove insediamenti fu di 1900000 lire, non menziona l’esistenza di altri villaggi oltre i due appena descritti.
Anche Antonio Pennacchi non era a conoscenza di altri villaggi costituiti da case cantoniere, in quanto la sua fonte (“Le Vie D’Italia” del novembre 1939) citava solo Bellolampo. Ma lo scrittore, oltre a voler visitare i siti menzionati sulla rivista, desiderava anche e soprattutto vedere i borghi rurali recensiti sul numero del maggio 1941 della rivista “Architettura”, in un articolo a firma di Maria Accascina. Questi sono borghi che appartengono alla fase successiva, e che descriverò più avanti. Tra di essi, il più vicino a Palermo è Borgo Schirò, nel comune di Monreale.
Se tu, Lettore, volessi verificare sulle carte topografiche (ad esempio sulle carte IGM) quali siano i confini del comune di Monreale, probabilmente penseresti ad un errore di redazione. Il comune di Monreale si estende infatti per 529 km quadrati; per estensione è il sesto d’Italia. Le sue propaggini si insinuano nei territori dei comuni limitrofi, cosicché rientrano nel territorio del comune di Monreale anche località distanti 50 km in linea d’aria dalla cittadina. E 50 km in una regione dall’orografia tormentata come quella siciliana, sembrano 500. Così Borgo Schirò, sebbene ricada nel comune di Monreale, sembra da tutt’altra parte, raggiungibile com’è dalla SP4 che congiunge San Cipirello a Corleone. E la SP4 si imbocca dalla SP2 alla quale, a sua volta si può accedere dalla SP1, lungo la quale si trova Bellolampo. L’itinerario più logico da seguire per vedere sia Bellolampo sia Borgo Schirò è allora quello che si snoda lungo la SP1 fino a Partinico, seguendo poi la SP2 da Partinico a San Cipirello, per imboccare infine la SP4 che va percorsa fin quasi a Corleone.
Ed è l’itinerario che, abbastanza razionalmente, scelse Antonio Pennacchi.
Anche Antonio Pennacchi non era a conoscenza di altri villaggi costituiti da case cantoniere, in quanto la sua fonte (“Le Vie D’Italia” del novembre 1939) citava solo Bellolampo. Ma lo scrittore, oltre a voler visitare i siti menzionati sulla rivista, desiderava anche e soprattutto vedere i borghi rurali recensiti sul numero del maggio 1941 della rivista “Architettura”, in un articolo a firma di Maria Accascina. Questi sono borghi che appartengono alla fase successiva, e che descriverò più avanti. Tra di essi, il più vicino a Palermo è Borgo Schirò, nel comune di Monreale.
Se tu, Lettore, volessi verificare sulle carte topografiche (ad esempio sulle carte IGM) quali siano i confini del comune di Monreale, probabilmente penseresti ad un errore di redazione. Il comune di Monreale si estende infatti per 529 km quadrati; per estensione è il sesto d’Italia. Le sue propaggini si insinuano nei territori dei comuni limitrofi, cosicché rientrano nel territorio del comune di Monreale anche località distanti 50 km in linea d’aria dalla cittadina. E 50 km in una regione dall’orografia tormentata come quella siciliana, sembrano 500. Così Borgo Schirò, sebbene ricada nel comune di Monreale, sembra da tutt’altra parte, raggiungibile com’è dalla SP4 che congiunge San Cipirello a Corleone. E la SP4 si imbocca dalla SP2 alla quale, a sua volta si può accedere dalla SP1, lungo la quale si trova Bellolampo. L’itinerario più logico da seguire per vedere sia Bellolampo sia Borgo Schirò è allora quello che si snoda lungo la SP1 fino a Partinico, seguendo poi la SP2 da Partinico a San Cipirello, per imboccare infine la SP4 che va percorsa fin quasi a Corleone.
Ed è l’itinerario che, abbastanza razionalmente, scelse Antonio Pennacchi.
Fellamonica
Così lo scrittore dopo essere giunto a Partinico, seguì la SP2 che nel primo tratto decorre lungo il contorno Est del lago Poma; e poco prima di abbandonare il lago sulla destra, si imbatté nelle cantoniere di Fellamonica.
Mentre il villaggio di Bellolampo non ha una denominazione sulle carte IGM, le cantoniere di Fellamonica sono segnate come “Case Coloniche Fellamonica”; queste sono le costruzioni simili a quelle di Bellolampo, che cito nella parte introduttiva
Mentre il villaggio di Bellolampo non ha una denominazione sulle carte IGM, le cantoniere di Fellamonica sono segnate come “Case Coloniche Fellamonica”; queste sono le costruzioni simili a quelle di Bellolampo, che cito nella parte introduttiva
In realtà, le costruzioni di Fellamonica non sono simili, ma pressoché identiche a quelle di Bellolampo. Le case cantoniere sono tre anziché quattro, e manca la chiesetta; ma per il resto non vi sono differenze
L’edificio servizi ha una pianta che è l’immagine speculare di quello di Bellolampo, con il portico sulla destra anziché sulla sinistra
Joshua Samuels afferma che Fellamonica sia stato inaugurato nel 1938, anche se non ho capito su cosa basi la sua affermazione (a meno che non abbai notizie sulla data di realizzazione della SP2).
Gli edifici non devono mai essere stati oggetto di manutenzione, in quanto le pareti conservano ancora i riquadri che riportano i motti fascisti
Gli edifici non devono mai essere stati oggetto di manutenzione, in quanto le pareti conservano ancora i riquadri che riportano i motti fascisti
Le frasi sono ormai leggibili con difficoltà, ma ancora presenti
Le costruzioni sono in uno stato sorprendentemente buono considerati il tempo trascorso e l’assenza di manutenzione
Le aperture dell’edificio servizi sono state murate
ma le case devono essere state utilizzate per diverso tempo, ed in parte lo sono forse ancora
Alcune aperture sono chiuse da porte o saracinesche, ed i lucchetti sembrerebbero mostrare che, se non ancora in uso, gli edifici lo sono stati fino a poco tempo fa.
Poiché quasi nessuno sembra interessarsi al destino di Fellamonica, è probabile che esso andrà incontro a lenta ed inesorabile distruzione, destinato ad affievolirsi fino a svanire come i motti che si leggono appena sui fianchi delle costruzioni. Ed anche Antonio Pennacchi è riuscito a leggerne qualcuno, prima di proseguire per Borgo Schirò sulla SP4; ma qui, ora, accade qualcosa che trovo davvero strano.
Poiché quasi nessuno sembra interessarsi al destino di Fellamonica, è probabile che esso andrà incontro a lenta ed inesorabile distruzione, destinato ad affievolirsi fino a svanire come i motti che si leggono appena sui fianchi delle costruzioni. Ed anche Antonio Pennacchi è riuscito a leggerne qualcuno, prima di proseguire per Borgo Schirò sulla SP4; ma qui, ora, accade qualcosa che trovo davvero strano.
Pietralunga
Lungo la SP4 si può vedere, e già da una certa distanza, una grande rupe che possiede una forma inusuale. Nel contesto di un paesaggio collinare che non può dirsi pianeggiante, ma che è comunque caratterizzato da modestissime ondulazioni e dolci pendii, uno sperone roccioso si distacca, solitario, dal suolo; è Pietralunga. Visto da una certa distanza, e da una certa angolazione, ha la forma di un’ogiva; sembra un gigantesco proiettile di roccia in procinto di essere sparato verso il cielo.
Ma, percorrendo la strada, con il cambiare del punto di vista prospettico, la rupe sembra assumere una morfologia allungata. La SP4 esegue una curva di più di 160° intorno allo sperone di roccia, che così, in pochi minuti, viene visto da diverse angolazioni. Il repentino cambiamento di morfologia è apprezzabile molto più facilmente percorrendo la SP4 da Corleone verso San Cipirello; nondimeno, la forma della rupe è talmente peculiare da aver dato il nome alla contrada.
Ma l’accadimento strano non è questo. Ciò che trovo strano è che Antonio Pennacchi, che prima notò l’esistenza di Fellamonica e che poi dovette percorrere la SP4, non abbia notato qualcosa di altrettanto evidente. Poco dopo aver oltrepassato Pietralunga, lungo la SP4, analogamente a quanto visibile sulle SP1 ed SP2, ci si imbatte in quattro case cantoniere assolutamente identiche a quelle di Bellolampo o di Fellamonica, allineate allo stesso modo lungo la strada
Ma l’accadimento strano non è questo. Ciò che trovo strano è che Antonio Pennacchi, che prima notò l’esistenza di Fellamonica e che poi dovette percorrere la SP4, non abbia notato qualcosa di altrettanto evidente. Poco dopo aver oltrepassato Pietralunga, lungo la SP4, analogamente a quanto visibile sulle SP1 ed SP2, ci si imbatte in quattro case cantoniere assolutamente identiche a quelle di Bellolampo o di Fellamonica, allineate allo stesso modo lungo la strada
Queste sono segnalate sulle carte IGM con il toponimo “Cantoniere Pietralunga”
Due di esse, quelle più a Sud, sono in condizioni migliori
una appare ancora occupata, mentre l’altra deve esserlo stato fino a poco tempo fa; il corpo basso annesso, che ospita stalla, pollaio, forno, etc., è ancora chiuso
Le due più a Nord sono in condizioni peggiori, e probabilmente non hanno mai visto manutenzione
si distinguono chiaramente ancora gli spazi sulle pareti esterne predisposti per l’iscrizione dei motti
La fondamentale differenza con Bellolampo e Fellamonica sembra consistere nell’assenza di un edificio dedicato ai servizi.
Ma in questo ci vengono in aiuto le carte topografiche IGM, che, non aggiornate da diversi decenni, ancora riportano situazioni risalenti a quasi mezzo secolo fa. La SP4 venne ammodernata in diversi tratti, chiudendo dei segmenti di strada che apparivano particolarmente tortuosi, e raccordando le estremità del percorso con segmenti di nuova costruzione. Ciò è avvenuto anche in corrispondenza delle cantoniere di Pietralunga; il tratto di strada vecchio è ancora ben visibile in corrispondenza delle due prime cantoniere. Nel punto in cui il nuovo segmento di strada interseca il vecchio, le carte IGM segnalano la presenza di una quinta costruzione, andata distrutta nel corso dell’operazione
Ma in questo ci vengono in aiuto le carte topografiche IGM, che, non aggiornate da diversi decenni, ancora riportano situazioni risalenti a quasi mezzo secolo fa. La SP4 venne ammodernata in diversi tratti, chiudendo dei segmenti di strada che apparivano particolarmente tortuosi, e raccordando le estremità del percorso con segmenti di nuova costruzione. Ciò è avvenuto anche in corrispondenza delle cantoniere di Pietralunga; il tratto di strada vecchio è ancora ben visibile in corrispondenza delle due prime cantoniere. Nel punto in cui il nuovo segmento di strada interseca il vecchio, le carte IGM segnalano la presenza di una quinta costruzione, andata distrutta nel corso dell’operazione
L'immagine sottostante è stata ripresa prima delle modifiche apportate al tracciato della provinciale. In essa risulta ben visibile la presenza dell'edificio servizi, la cui pianta appare analoga a quella dell'omologo di Bellolampo (nel riquadro), e quindi speculare rispetto a quello di Fellamonica; l'asse maggiore dell'edificio era perpendicolare all'asse stradale
I materiali risultanti dalla demolizione furono semplicemente ammucchiati sul bordo Ovest della strada, e sono ivi ancora visibili; questo cumulo di detriti è ciò che resta del quinto edificio
Su alcune fotografie satellitari di GoogleEarth, specialmente quella del 25 ottobre 2004, il cumulo risulta ancora ben evidente, ancor di più sulle foto aeree di qualche anno prima
Sembrerebbe quindi che nella realizzazione delle strade provinciali, almeno nella prima fase, l’applicazione delle norme citate prima sia stata molto più frequente da quanto non si deduca dal lavoro di Liliane Dufour.
Sant'Agata
L’unica relazione di contiguità tra la Strada Provinciale 4 e la Strada Provinciale 5 è quella numerica: La SP 5 congiunge infatti Altofonte alla SS118 (quella sulla quale, molto più a Sud, si trova Grotta Murata) nei pressi di Ficuzza, passando da Piana degli Albanesi. Il percorso, fino a Monte Kumeta, è per certi versi simile a quello della ferrovia Palermo-Camporeale; mentre a Sud di Kumeta il tracciato della ferrovia incompiuta si dirige decisamente ad Ovest, la SP5 punta verso Sud, dopo aver valicato il monte anziché attraversarlo con una galleria. A due chilometri circa dal valico, è presente il quarto insediamento composto da case cantoniere “a tipo colonico” ed edificio servizi.
Il sito mostra due peculiarità rispetto ai precedenti: il prospetto delle costruzioni non è parallelo all’asse stradale, ed è presente una nuova tipologia di edificio
Il sito mostra due peculiarità rispetto ai precedenti: il prospetto delle costruzioni non è parallelo all’asse stradale, ed è presente una nuova tipologia di edificio
L’edificio servizi è identico a quello di Fellamonica, con il porticato a destra guardando il prospetto
E’ stato ristrutturato relativamente di recente, e da una targa apposta sul balcone si deduce che la ristrutturazione sia stata eseguita affinchè la costruzione venisse utilizzata dalla Protezione Civile. La porta d’ingresso è però stata forzata; e dallo stato dell’interno sembra potersi dedurre che ciò sia avvenuto prima che la ristrutturazione fosse ultimata. Anche due delle tre cantoniere sono state sottoposte a ristrutturazione
ma sembrano siano state abitate
anche esse hanno però subito delle intrusioni, ed attualmente non vi è nulla che ne impedisca l’ingresso ad estranei.
La cantoniera più a Sud, invece non è stata oggetto di nessun ripristino. Le aperture sono murate, e la costruzione che comprende forno e stalle è diroccata
La cantoniera più a Sud, invece non è stata oggetto di nessun ripristino. Le aperture sono murate, e la costruzione che comprende forno e stalle è diroccata
così come diroccata è l’altra costruzione
alle spalle dell’edificio servizi, che non sembra avere omologhi negli altri villaggi di questo tipo. Sembra essere divisa in due sezioni distinte, ma non sono stato in grado di farmi un’idea riguardo alla funzione che dovesse svolgere. Una parte, quella in condizioni migliori, sembra essere un magazzino
ma la struttura dell’altra parte è troppo danneggiata per poter ipotizzare a cosa servisse. E’ improbabile che fosse una chiesa all’aperto simile a quella di Bellolampo; gli edifici utilizzati come luoghi di culto sono riportati come tali sulle carte IGM, e questa non è contrassegnata dall’apposito simbolo.
Portella della Paglia
Un altro insediamento costruito a poca distanza da una caserma dei carabinieri, tristemente famosa quanto quella di Bellolampo, è quello di Portella della Paglia, ubicato al km 5 della SP20
Anche l’impianto di Portella della Paglia risulta differente da tutti gli altri; esso consta di tre case cantoniere, un centro servizi ed una chiesetta all’aperto, ma gli edifici sorgono su ambedue i lati della strada anziché trovarsi su un solo lato
Ciò è probabilmente in relazione all’estrema tortuosità del percorso stradale, che difficilmente avrebbe consentito il raggruppamento delle costruzioni. L’area sulla quale la strada si snoda è inoltre boscosa; se le costruzioni fossero state edificate lungo il medesimo bordo stradale, sarebbero risultate distanti e completamente nascoste alla reciproca vista.
Lo schema degli edifici è invece identico a quello di Bellolampo. L’edificio servizi presenta, analogamente a quello di Bellolampo e diversamente da tutti gli altri, il porticato sulla sinistra, guardando il prospetto
Lo schema degli edifici è invece identico a quello di Bellolampo. L’edificio servizi presenta, analogamente a quello di Bellolampo e diversamente da tutti gli altri, il porticato sulla sinistra, guardando il prospetto
ed è presente la chiesetta all’aperto
caratteristica, anche questa, in comune con Bellolampo e limitata soltanto ai due insediamenti.
Una delle cantoniere appare ristrutturata di recente, anche questa sede di Presidio Operativo Provinciale della Protezione Civile
Una delle cantoniere appare ristrutturata di recente, anche questa sede di Presidio Operativo Provinciale della Protezione Civile
le altre due sono in condizioni decisamente peggiori
sebbene sembrino essere in qualche modo in uso
Su una delle due è ancora possibile leggere il motto “Più profondo il solco, più alto il destino”
Anche l’edificio servizi è stato oggetto di ristrutturazione; ma, analogamente a quanto si verifica per Sant’Agata, sembra che vi abbiano avuto accesso diverse persone, e l’impressione è quella di un immobile in stato di abbandono
Non vi è fontana, ma vi è un pozzo
il villaggio è inoltre dotato di un sistema di viabilità interna pedonale, che consente l’accesso alla chiesetta non solo dalla provinciale, ma anche dall’edificio servizi o dalla cantoniera adiacente.
In corrispondenza dell’imboccatura del viale che sale verso la chiesa vi è una pietra miliare dell’epoca, sulla quale si legge ancora “K5”
In corrispondenza dell’imboccatura del viale che sale verso la chiesa vi è una pietra miliare dell’epoca, sulla quale si legge ancora “K5”
Poco oltre la chiesetta vi è la caserma dei Carabinieri presso la quale dovevano essere di stanza i militi che caddero nell’imboscata di Portella della Paglia
Le ristrutturazioni di Bellolampo, Sant’Agata e Portella della Paglia sono state eseguite in seguito a delibere della Provincia, che ha ritenuto di dover utilizzare, per i presidi territoriali, immobili che erano già di proprietà dell’Ente. E’ quindi implicito che tali insediamenti risultassero già di proprietà della Provincia, dato consistente con l’esistenza di un progetto comune relativo alla realizzazione di villaggi sulle strade provinciali, ed una differenza tra questi ed i villaggi di case cantoniere costruiti sulle strade statali.
Vaccarizzo
Una tale consistenza sembrerebbe però negata dall’esistenza di Vaccarizzo. Il sito è lungo la SS290, la quale collega la SS121 (la “Catanese”) con la SS120; credo però che il tratto compreso tra la SS120, bivio Madonnuzza ed Alimena, sia stato riclassificato, ed in origine fosse una strada provinciale, la SP11. Ed è appunto lungo questo tratto che si trova Vaccarizzo. La zona è recintata, e viene utilizzata dall’ANAS sicuramente come depositi, ma forse anche per altre finalità.
Attualmente vi sono due cantoniere e l’edifico servizi
Attualmente vi sono due cantoniere e l’edifico servizi
sempre dalle carte IGM sembrerebbe possibile dedurre come in passato vi fossero altri tre edifici posteriormente
ma in realtà non è facile stabilire esattamente cosa fossero gli altri edifici segnati sulla carta IGM. La denominazione originale del villaggio è "Madonnuzza" ("Vaccarizzo" è quella odierna, riferita alla contrada e segnata anche su una delle cantoniere); da questa immagine, che ritrae appunto il villaggio “Madonnuzza”, pare potersi desumere come nella seconda metà degli anni Trenta la configurazione del villaggio fosse identica a quella attuale
L'immagine dovrebbe essere del 1938; ciononostante, il villaggio potrebbe ancora non essere stato terminato. Infatti la sua costruzione è sicuramente posteriore a quella di Bellolampo o di Fellamonica, in quanto non compare sulle carte militari usate dall'esercito USA durante l'occupazione della Sicilia, che altro non erano che le carte IGM redatte sui rilievi del 1930 ed aggiornate, per ciò che riguarda la viabilità, al 1940
Le cantoniere sono sempre identiche a quelle di Bellolampo e Fellamonica
la struttura del corpo principale sembra in buone condizioni, mentre quella del corpo basso che racchiude forno e stalla non lo è
L’edificio servizi ha la stessa pianta di quello di Fellamonica
con il porticato a destra, guardando il prospetto. Le uniche differenze visibili riguardano la realizzazione del bugnato, lo stile del balconcino, con i laterali curvi qui e squadrati a Fellamonica, ed il porticato. Quest’ultimo è realizzato con dei pilastri più piccoli ed una trave orizzontale, sagomata in modo da richiamare la forma di un arco a sesto ribassato
Il tetto sovrastante il porticato è a padiglione, anzichè spiovente; tutto sommato, però, il sito si presenta come la copia degli insediamenti visti prima
ove si eccettui la diversa distribuzione degli edifici rispetto all’asse stradale.
Ed è possibile che le differenze estetiche rilevate nell’edificio servizi siano in relazione ad una “interpretazione” lievemente diversa del progetto, che nella zona della Sicilia Occidentale, comprendente Bellolampo/Fellamonica/Pietralunga/Sant’Agata/Portella della Paglia, venne realizzato da un'impresa, mentre possibilmente le costruzioni della zona delle Madonie furono affidate ad un'impresa diversa. Infatti, soluzioni estetiche analoghe si ritrovano in un altro insediamento della zona.
Ed è possibile che le differenze estetiche rilevate nell’edificio servizi siano in relazione ad una “interpretazione” lievemente diversa del progetto, che nella zona della Sicilia Occidentale, comprendente Bellolampo/Fellamonica/Pietralunga/Sant’Agata/Portella della Paglia, venne realizzato da un'impresa, mentre possibilmente le costruzioni della zona delle Madonie furono affidate ad un'impresa diversa. Infatti, soluzioni estetiche analoghe si ritrovano in un altro insediamento della zona.
Cammisini
Lungo la SP9bis che congiunge Collesano a Scillato è possibile vedere, in contrada Cammisini, un altro insediamento simile a Vaccarizzo
Anch’esso consta di due cantoniere ed un edificio servizi; inoltre, vi è una costruzione più piccola sul retro
Nelle carte IGM (sulle quali l’insediamento è riportato semplicemente come “Cantoniera”)
non vi sono segnati altri edifici, ed inoltre la morfologia del terreno è tale che non vi sarebbe stato spazio per ulteriori costruzioni. Il villaggio è visibile con difficoltà sia per l’esiguo numero degli edifici, sia per la contiguità degli stessi, che ne rendono le dimensioni davvero minime; inoltre è circondato da alti alberi che lo nascondono in parte alla vista.
Il sito è completamente recintato, ma non vi sono insegne; la presenza di alcuni cartelli stradali, e di pietre miliari risalenti all’epoca fascista accatastate nel cortile, fanno supporre che anche questo sia utilizzato dall’ANAS. Lo schema progettuale delle cantoniere sembra quello solito
Il sito è completamente recintato, ma non vi sono insegne; la presenza di alcuni cartelli stradali, e di pietre miliari risalenti all’epoca fascista accatastate nel cortile, fanno supporre che anche questo sia utilizzato dall’ANAS. Lo schema progettuale delle cantoniere sembra quello solito
L’edifico servizi, ove si eccettui il bugnato ed il tetto sovrastante il porticato, è identico a quello di Vaccarizzi
con balconcino arrotondato e porticato con arco a sesto ribassato
Tutte le aperture a pianterreno sono murate, pertanto deve essere in disuso da tempo. E’ interessante la presenza dei gradini in corrispondenza di quello che doveva essere l’ingresso dell’edificio; essi ne avrebbero consentito l’accesso direttamente dalla strada
Anche Cammisini è inserito in una delle delibere della Provincia che, previa ristrutturazione, ne avrebbero previsto l’uso come POP della Protezione Civile; ma qui la ristrutturazione non è mai nemmeno iniziata.
Paratore
La denominazione “Paratore” per l’ottavo villaggio è assolutamente personale. Esso sorge all’interno del parco delle Madonie, lungo la SS 286 in una zona che non è identificata come “Contrada”. In tale zona sono compresi delle “Case Paratore” ed un “Cozzo Paratore”, da cui la scelta del nome
Anche qui la statale è stata riclassificata; nella relazione del Ventennale è menzionata come provinciale “Malpertugio-Castelnuovo” e “Bivio Geraci-Castelnuovo” (Castelbuono).
Il sito comprende il solito edificio servizi
Il sito comprende il solito edificio servizi
e due case, poste sul lato opposto della strada ad una certa distanza
più una quarta costruzione che sembrerebbe un magazzino
Sulle foto satellitari sarebbe visibile una terza casa cantoniera
ma questa è preesistente, risalente alla fine del XIX secolo
E’ possibile che la scelta dell’ubicazione sia stata condizionata dall’esistenza della cantoniera; essendo questa strutturata in maniera non dissimile dalle altre (forno, stalla, etc.) si sarebbe risparmiata una casa durante la costruzione
I particolari architettonici (portico, tetto, balconcino) sono i medesimi che caratterizzano Cammisini e Vaccarizzo
Non vi è chiesetta; solo una minuscola edicola sul ciglio della strada, cui corrisponde la “croce” riportata sulla carta IGM
L’insediamento è disabitato; le case, l’accesso alle quali è precluso da un cancello
sono forse utilizzate saltuariamente. L’edificio servizi, precedentemente usato dall’ANAS, è abbandonato
Il fatto che non sia stato ristrutturato consente di avere un’idea di cosa esso prevedesse. Il piano terreno sarebbe dovuto venire usato per i servizi, con due stanze più grandi con accessi diretti dall’esterno (una avrebbe dovuto essere l’aula scolastica); al piano soprastante avrebbero dovuto esserci i due o tre alloggi per i funzionari (i servizi igienici sono due), con cucina in comune
Frisino
Un insediamento a Frisino, contrada nel comune di Bompietro, ma a breve distanza da Alimena, sulla SS 290, avrebbe probabilmente dovuto costituire il nono villaggio della prima serie di insediamenti. Non ho alcuna evidenza documentale che sia così, ma la casa cantoniera che vi si trova è assolutamente identica a quelle degli altri otto villaggi visti prima
e non ho mai trovato case cantoniere basate su tale progetto al di fuori di quelle comprese nei villaggi sud descritti
Vista la conformazione del suolo ed il percorso della statale, è probabile che gli edifici sarebbero stati costruiti “in ordine sparso”, come a Portella della Paglia o a Paratore, piuttosto che in linea o raggruppati
Contrariamente a quanto accade per Pietralunga, non vi è comunque traccia della loro possibile esistenza, né in loco, né sulle carte
Non sembra possano essere stati demoliti; semplicemente, non sono mai stati costruiti. Nei pressi della cantoniera vi è un grande abbeveratoio
ma questo è stato costruito dall’ERAS nel 1959. Vi è anche una costruzione su singola elevazione (1), ed i resti di qualcos’altro (2), meglio visibili su questa foto, che ha una bassa risoluzione, ma risale a quando la vegetazione era meno rigogliosa
O la costruzione, o i resti sono segnati come ruderi sulle carte IGM; ma ciò che è riportato come rudere dovrebbe avere più di cento anni in quanto risulta già come tale sulle carte del 1930, quando né la cantoniera né tantomeno l’abbeveratoio esistevano ancora
Non sono stato in grado di stabilire se le altre macerie siano in qualche modo riconducibili alla cantoniera, cioè se essi siano quanto resta dell’inizio della costruzione di un altro edificio. Tra esse e la strada vi è una minuscola costruzione (3) con il tetto a capanna
di cui non sono riuscito a comprendere appieno lo scopo. Non pare fosse un’edicola; sembrerebbe l’imboccatura di un pozzo odi una cisterna.
Nondimeno, l’edificio è stato utilizzato fino a qualche tempo addietro
Nondimeno, l’edificio è stato utilizzato fino a qualche tempo addietro
e certamente proprio come casa cantoniera, anche in considerazione del fatto che l’assenza di una lastra di vetro in una delle finestre del piano superiore è stata rimediata con un cartello stradale che riporta l’indicazione “FASANO
Ritengo pertanto (opinione della quale non ho prove certe) che Frisino fosse l’ultime dei nove villaggi, e che la sua costruzione non sia andata mai al di là di quella della singola cantoniera. L’insufficienza dei fondi a disposizione, la secolare incuria dei politici siciliani, la consapevolezza dell’inutilità pratica di una tale iniziativa, o la combinazione dei tre elementi avranno fatto terminare prematuramente l’esperimento.
Questo, Lettore, rimette le cose a posto. Rettifica anche, almeno in parte, l’incongruenza in quanto scritto dalla Dufour (“Il costo dei primi nove gruppi di case fu di L. 1.900.000, somma alla quale contribuì il Duce...”); il verbo, al passato e all’indicativo (“fu”) ha veramente ragion d’essere perché i primi nove gruppi di case furono realmente (quasi del tutto) realizzati. Da notare che tutte le strade lungo le quali è possibile vedere villaggi quali quelli descritti qui sono menzionate ne “Il Ventennale delle Opere Pubbliche in Palermo e Provincia”, anche se per nessuna di essa viene fatta esplicita menzione dei villaggi di cantoniere. E’ facile ritrovare a posteriori i riferimenti a ciò che fu costruito; ma impossibile capire a priori dalla lettura della relazione del Ventennale delle Opere Pubbliche in Palermo e Provincia” dove i villaggi potessero essere ubicati. Una ricerca, o sul campo, o in archivio, era pertanto necessaria.
Alla luce dei fatti, di due cose però si può essere ragionevolmente certi: di insediamenti analoghi a Bellolampo ne furono costruiti almeno otto, e la loro realizzazione seguì strade e criteri abbastanza diversi da quelli che ispirarono i villaggi tipo Grotta Murata.
Può dirsi riuscito l’esperimento della Provincia di Palermo? La risposta dipende in cosa venga individuato l’obiettivo reale. Quasi sempre, i progetti in ambito politico vengono redatti, ma soprattutto condotti, per mettersi in luce e/o per tornaconto personale.
Mussolini riteneva, per qualche motivo, che “sfollare le città” fosse una buona idea; allo stesso modo aveva un’idea molto positiva di ciò che fosse in qualche in modo in relazione con l’ambiente rurale. Probabilmente erano solo idee, non facevano parte di alcun “manifesto” del fascismo; ma durante il ventennio il confine tra idea ed ideologia era sottile, quando l’idea era del dittatore. Così se l’intento fu quello di compiacere il Duce, il progetto può dirsi pienamente riuscito considerato che Mussolini partecipò attivamente, mettendovi i soldi di tasca sua.
Lo stesso non si potrebbe dire qualora l’intento fosse realmente stato quello di costituire delle aziende agricole.
Questa vicenda fa sorgere l’occasione per riflessioni banali, ovvie, ma il cui significato, nonostante l’ovvietà, e soprattutto le cui implicazioni, vengono spesso trascurate. Le famigerate “opere del Ventennio” sono state condotte dal fascismo, non da Mussolini. E la propaganda era fascista, non mussoliniana. Allora come ora, il potere era detenuto dai quadri intermedi, quelli che, quando ancorati a certi ambiti, costituirebbero il “terzo livello”. Questi quadri intermedi solitamente si barcamenano tra la compiacenza e la presa in giro dei livelli sotto- e soprastanti. Quando ciò avviene con il livelli sottostanti, è qualcosa che chiamiamo “propaganda”. Quando avviene con i livelli soprastanti, si può arrivare a vicende emblematiche quali quella di Mussolinia. Ma anche nel caso delle cantoniere la situazione non è dissimile. E’ un’iniziativa dei quadri intermedi per fare propaganda (scrivendo i motti sui muri esterni delle cantoniere) e compiacere il Duce, scrivendo “DUCE” sul muro di contenimento di Bellolampo, e ventilandogli la possibilità di dare corpo alle sue idee, divenute ideologia. Ma la vicenda andrà solo poco più avanti rispetto a Mussolinia; si arriverà solo al (quasi) completamento delle strutture. Ed inoltre, diversamente a ciò che è accaduto per gli insediamenti della “Terza Fase”, non si hanno, all’infuori di quelle relative ai villaggi per cantonieri, notizie sul popolamento di questi insediamenti; ed a tutt’oggi, solo quello di Belloalmpo appare occupato, e non certo da agricoltori. E’ uno dei tanti esempi di sprechi all’italiana, di denaro pubblico (e, nel caso specifico, anche di fondi personali di Mussolini) gettati via inutilmente. Il solito uso delle risorse pubbliche a fini personali; pratica usuale da parte dei quadri intermedi, che non pagano mai personalmente per tali comportamenti, allora come ora. Non pagano quando si limitano alla compiacenza ed alla presa in giro, e neppure quando ricorrono a tattiche ancora peggiori, come nel caso del “terzo livello”.
Nel caso delle cantoniere della Provincia, l’iniziativa fu probabilmente favorita anche dalla condizione: vennero promulgate un paio di leggi che avrebbero dovuto favorire la nascita di nuovi centri rurali, ma la pianificazione e l’organizzazione delle realizzazioni non esistette, affidata ad estemporanee, sporadiche iniziative di singoli Enti.
Se le ipotesi e le illazioni che ho appena esposto dovessero in qualche modo dimostrarsi fondate, si potrebbe a ragione sostenere la complessità della “Quarta Fase” cui accennavo all’inizio. Ma questa complessità rivelerebbe soprattutto una scarsa consistenza alla base della pianificazione di essa, con tentativi condotti in diverse direzioni, che alla fine si sarebbero risolti in un fallimento. I “pochi esperimenti” di cui la Dufour parla nel suo libro non sarebbero così tanto pochi, quanto mal organizzati e mal condotti, consistenti prevalentemente nell’attività edile, senza che questa sia stata inquadrata in maniera organica. L’edificazione di villaggi rurali di case cantoniere, pertanto, non rappresenterebbe l’aspetto peculiare e caratteristico della ruralizzazione di questo periodo; consisterebbe solo nella manifestazione di iniziative locali non coordinate tra loro da attribuire all’assenza di un’attività organizzativa centrale, la quale costituirebbe la reale caratterizzazione di questa fase.
All’assenza di una pianificazione ed alla carenza organizzativa, si cercherà di porre rimedio nella fase successiva; ma anche questa, Lettore, non andrà a buon fine. E per più di un motivo.
Questo, Lettore, rimette le cose a posto. Rettifica anche, almeno in parte, l’incongruenza in quanto scritto dalla Dufour (“Il costo dei primi nove gruppi di case fu di L. 1.900.000, somma alla quale contribuì il Duce...”); il verbo, al passato e all’indicativo (“fu”) ha veramente ragion d’essere perché i primi nove gruppi di case furono realmente (quasi del tutto) realizzati. Da notare che tutte le strade lungo le quali è possibile vedere villaggi quali quelli descritti qui sono menzionate ne “Il Ventennale delle Opere Pubbliche in Palermo e Provincia”, anche se per nessuna di essa viene fatta esplicita menzione dei villaggi di cantoniere. E’ facile ritrovare a posteriori i riferimenti a ciò che fu costruito; ma impossibile capire a priori dalla lettura della relazione del Ventennale delle Opere Pubbliche in Palermo e Provincia” dove i villaggi potessero essere ubicati. Una ricerca, o sul campo, o in archivio, era pertanto necessaria.
Alla luce dei fatti, di due cose però si può essere ragionevolmente certi: di insediamenti analoghi a Bellolampo ne furono costruiti almeno otto, e la loro realizzazione seguì strade e criteri abbastanza diversi da quelli che ispirarono i villaggi tipo Grotta Murata.
Può dirsi riuscito l’esperimento della Provincia di Palermo? La risposta dipende in cosa venga individuato l’obiettivo reale. Quasi sempre, i progetti in ambito politico vengono redatti, ma soprattutto condotti, per mettersi in luce e/o per tornaconto personale.
Mussolini riteneva, per qualche motivo, che “sfollare le città” fosse una buona idea; allo stesso modo aveva un’idea molto positiva di ciò che fosse in qualche in modo in relazione con l’ambiente rurale. Probabilmente erano solo idee, non facevano parte di alcun “manifesto” del fascismo; ma durante il ventennio il confine tra idea ed ideologia era sottile, quando l’idea era del dittatore. Così se l’intento fu quello di compiacere il Duce, il progetto può dirsi pienamente riuscito considerato che Mussolini partecipò attivamente, mettendovi i soldi di tasca sua.
Lo stesso non si potrebbe dire qualora l’intento fosse realmente stato quello di costituire delle aziende agricole.
Questa vicenda fa sorgere l’occasione per riflessioni banali, ovvie, ma il cui significato, nonostante l’ovvietà, e soprattutto le cui implicazioni, vengono spesso trascurate. Le famigerate “opere del Ventennio” sono state condotte dal fascismo, non da Mussolini. E la propaganda era fascista, non mussoliniana. Allora come ora, il potere era detenuto dai quadri intermedi, quelli che, quando ancorati a certi ambiti, costituirebbero il “terzo livello”. Questi quadri intermedi solitamente si barcamenano tra la compiacenza e la presa in giro dei livelli sotto- e soprastanti. Quando ciò avviene con il livelli sottostanti, è qualcosa che chiamiamo “propaganda”. Quando avviene con i livelli soprastanti, si può arrivare a vicende emblematiche quali quella di Mussolinia. Ma anche nel caso delle cantoniere la situazione non è dissimile. E’ un’iniziativa dei quadri intermedi per fare propaganda (scrivendo i motti sui muri esterni delle cantoniere) e compiacere il Duce, scrivendo “DUCE” sul muro di contenimento di Bellolampo, e ventilandogli la possibilità di dare corpo alle sue idee, divenute ideologia. Ma la vicenda andrà solo poco più avanti rispetto a Mussolinia; si arriverà solo al (quasi) completamento delle strutture. Ed inoltre, diversamente a ciò che è accaduto per gli insediamenti della “Terza Fase”, non si hanno, all’infuori di quelle relative ai villaggi per cantonieri, notizie sul popolamento di questi insediamenti; ed a tutt’oggi, solo quello di Belloalmpo appare occupato, e non certo da agricoltori. E’ uno dei tanti esempi di sprechi all’italiana, di denaro pubblico (e, nel caso specifico, anche di fondi personali di Mussolini) gettati via inutilmente. Il solito uso delle risorse pubbliche a fini personali; pratica usuale da parte dei quadri intermedi, che non pagano mai personalmente per tali comportamenti, allora come ora. Non pagano quando si limitano alla compiacenza ed alla presa in giro, e neppure quando ricorrono a tattiche ancora peggiori, come nel caso del “terzo livello”.
Nel caso delle cantoniere della Provincia, l’iniziativa fu probabilmente favorita anche dalla condizione: vennero promulgate un paio di leggi che avrebbero dovuto favorire la nascita di nuovi centri rurali, ma la pianificazione e l’organizzazione delle realizzazioni non esistette, affidata ad estemporanee, sporadiche iniziative di singoli Enti.
Se le ipotesi e le illazioni che ho appena esposto dovessero in qualche modo dimostrarsi fondate, si potrebbe a ragione sostenere la complessità della “Quarta Fase” cui accennavo all’inizio. Ma questa complessità rivelerebbe soprattutto una scarsa consistenza alla base della pianificazione di essa, con tentativi condotti in diverse direzioni, che alla fine si sarebbero risolti in un fallimento. I “pochi esperimenti” di cui la Dufour parla nel suo libro non sarebbero così tanto pochi, quanto mal organizzati e mal condotti, consistenti prevalentemente nell’attività edile, senza che questa sia stata inquadrata in maniera organica. L’edificazione di villaggi rurali di case cantoniere, pertanto, non rappresenterebbe l’aspetto peculiare e caratteristico della ruralizzazione di questo periodo; consisterebbe solo nella manifestazione di iniziative locali non coordinate tra loro da attribuire all’assenza di un’attività organizzativa centrale, la quale costituirebbe la reale caratterizzazione di questa fase.
All’assenza di una pianificazione ed alla carenza organizzativa, si cercherà di porre rimedio nella fase successiva; ma anche questa, Lettore, non andrà a buon fine. E per più di un motivo.
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