martedì 8 febbraio 2022

IL MOSTRO DI FIRENZE, OVVERO LE OPINIONI, PARMENIDE, CARTESIO E LA RICERCA DELLA VERITÀ: Parte IV



I saw it as a perfect mosaic, each person playing his or her allotted part. It was so arranged that, if suspicion should fall on any one person, the evidence of one or more of the others would clear the accused person and confuse the issue.

Hercule Poirot




Avendo verificato come, al di là delle dogmatiche verità mostrologiche, non possa, in alcun modo, essere ragionevolmente escluso che l’unicità dell’arma usata nel delitto di Lastra a Signa nel 1968 e per i delitti del “Mostro di Firenze” sia un falso, ciò pone le premesse indispensabili per procedere nelle riflessioni su opinioni e verità.

E' palese, infatti, che la segnalazione, qualora bossoli e proiettili non fossero stati disponibili, non avrebbe portato a nulla. E d'altra parte, Lettore, si deve considerare che se l'entità “Mostro di Firenze” (un singolo, una pluralità, un'organizzazione, un fiancheggiatore, un parente, un fan...) aveva avuto modo di accedere agli archivi per sapere dell'esistenza del fascicolo e della busta con i reperti, e quindi dell'interruzione della catena di custodia, per esso, o per qualcuno collegato con esso, sostituire i reperti sarebbe stato facilissimo.

E non ti lasciare ingannare da verità mostrologiche e nemmeno eretiche, che vedrebbero nella necessità di ottenere reperti simili una difficoltà insormontabile, con l'esplosione di chissà quanti colpi, l'uso di gelatine balistiche, ed improbabili altri artifizi da romanzo giallo; credo che per il Mostro di Firenze, almeno dopo la ricostruzione di Baccaiano, sia divenuto chiaro che chi é coinvolto in questa storia, come hai potuto vedere, non legge le perizie, non legge i rapporti, eppoi ha, evidentemente, i suoi metodi ed i suoi canali...nel caso, gli sarà bastato esplodere un decina di colpi contro una carcassa, raccattare a casaccio cinque bossoli (qualora, beninteso, non fossero già stati disponibili), estrarre (quasi) altrettanto a casaccio cinque proiettili, e portarli in Tribunale, infischiandosene della stretta somiglianza. Chi avrebbe mai verificato se fossero gli originali o meno? Gli investigatori non si sono mai curati più di tanto del fatto che a volte il numero di bossoli neanche corrisponda ai colpi sparati…

Né, essendo spillati al fascicolo, la sua sostituzione avrebbe comportato quell’azzardo descritto in “Coniglio il martedì”; nella realtà le cose sarebbero state di gran lunga più semplici, come d’altra parte ci conferma Davide Rossi:

"Sul fatto dei bossoli posso dire che in tribunale può succedere qualsiasi cosa. Le procedure sarebbero precise, ma in realtà, a volte, all'interno dei faldoni si trova di ogni... cioè, quindi... é meglio... tralasciare questo aspetto"

Resterebbe da stabilire, prescindendo dal fatto che il Mostro o chi per lui abbia effettivamente sostituito i reperti, quale fosse lo scopo dell’azione realmente significativa, e cioè inviare, a distanza di ben quattordici anni dall’omicidio, il fatidico ritaglio di giornale. Perché?

Anche qui, le possibilità sarebbero solo due: o per effettuare un depistaggio, o per fornire un suggerimento. Esisterebbe, per la verità, una terza possibilità, evocata dal famigerato biglietto dello “zio Pieto”, ma non la considererò qui; caso mai, alluderò ad essa più avanti. Non vorrei alzarmi dal letto, domattina, e vedere riflessa nello specchio l’immagine di un mostrologo anziché del solito blogger da strapazzo. Eppoi, ai fini del presente ragionamento, sarebbe relativamente ininfluente; pertanto Lettore, preferisco continuare sulla linea fin qui seguita.

Il fatto che ciò sia avvenuto subito dopo Baccaiano renderebbe più verosimile l'ipotesi del depistaggio, resosi opportuno, in via precauzionale, a causa del parziale fallimento dell’operazione. Ma soprattutto alla comunicazione relativa al fatto che Mainardi avrebbe parlato: in fondo, falsa informazione contrapposta a falsa informazione. Depistaggio contro depistaggio. Mostro di Firenze contro Istituzioni: 1 a 1.

Davide Rossi, interloquendo con il carabiniere che gli parlò del ritaglio, concorda con lui che il "Mostro" lo abbia fatto per “intestarsi il delitto”, per attribuirsene la paternità (partendo però dal punto di vista che l'arma fosse sicuramente la stessa). Ci sarebbe da chiedersi perché, se il "Mostro" desiderava questo, ci abbia messo quattordici anni per farlo, ed abbia lasciato marcire in galera il povero Stefano Mele; quando, a detta di tutti il "Mostro" si sarebbe sempre adoperato per scagionare chi era in galera, addirittura compiendo altri delitti, e dimostrando come il malcapitato non fosse il "mostro". Davide Rossi sostiene che l’attesa sia stata deliberata; ma d’altra parte, qui si trattava solo di inviare un ritaglio di giornale...

Ma quand'anche così fosse, il fatto di "intestarsi" un altro delitto, rappresenterebbe comunque una sorta di suggerimento: "bada che anche quella volta ero io, e non altri".

Ma d’altra parte,  se anche fosse un suggerimento, bisogna considerare come esso potrebbe anche non essere pervenuto dall'entità "Mostro di Firenze"; ad esempio potrebbe essere giunto da qualcuno a conoscenza dei fatti, o anche qualche (magari ex)componente dell'entità "Mostro di Firenze", che avesse voluto interrompere la serie delittuosa, pur non potendo esporsi in prima persona con una denuncia diretta.



Una tabella a doppia entrata

Comunque sia, Lettore, avremmo quattro combinazioni, quattro possibilità:

- l'arma é la stessa, e l'invio del ritaglio é un depistaggio

- l'arma é diversa, e l'invio del ritaglio é un depistaggio

- l'arma é la stessa, e l'invio del ritaglio é un suggerimento

- l'arma é diversa, e l'invio del ritaglio é un suggerimento





Ma allora non vi sarà mai modo di sapere se i reperti nel fascicolo fossero quelli originali o no? Be’, a questo punto no, con ogni probabilità. Qualcuno (compreso Davide Rossi) parla dell’esistenza di fantomatiche fotografie, che però nessuno ha mai visto. E se esistessero, almeno il GIDES, dopo i dubbi sollevati dal Sovrintendente Natalini (che, per quanto infondati, Giuttari fece propri) le avrebbe recuperate per controllarle; ma di esse sembra non esservi traccia.

Quando Zuntini consegnò la perizia ultimata, venne redatto il relativo processo verbale con il quale il perito dichiarava di consegnare n. 24 fogli scritti a macchina. Inoltre vi si trova scritto: “Si dà altresì atto che restituisce due fascicoli di alcune fotografie ed i reperti costituiti da cinque proiettili cal. 22 e cinque bossoli per cartuccia Winchester cal. 22”. Pertanto, la perizia consisteva solo in 24 fogli dattiloscritti, mentre le uniche fotografie di cui si fa menzione vengono restituite insieme ai bossoli, trattandosi evidentemente delle immagini riprese dai Carabinieri, e che erano state fornite a Zuntini, insieme a bossoli e proiettili, per redigere la perizia.

L’unica verifica che sarebbe possibile fare è, qualora non sia già stato fatto, è quella relativa alle immagini dei bossoli riprese dai carabinieri di Signa quando reperirono i due bossoli all’interno della vettura il giorno dopo il delitto (quelli trasmessi in data 25 agosto 1968, con foglio n. 49/42-2). I carabinieri sicuramente ne documentarono la posizione, ma si potrebbe verificare se esistano, se non delle vere “macrofoto”, delle fotografie comunque più dettagliate dalle quali possa desumersi qualche macroscopica particolarità morfologica.

Ma d’altra parte non è detto che ciò sia indispensabile; potrebbe alla fin fine essere inutile. E a questo punto Lettore sono costretto a darti una cattiva notizia: anche lo sforzo in cui ti sei prodotto per leggere i miei sproloqui fin qui è stato inutile.



La tabella a doppia entrata diviene una dicotomia, una semplice alternativa

Perché, vedi, Lettore, questo è come fosse un gioco di prestigio, in cui il prestigiatore esegue un’azione, un “trucco”, che, attraendo l’attenzione degli spettatori, evita che essi si focalizzino sull’evento reale; e qui l’evento significativo non è la scoperta che l’arma fosse la stessa, per vera o falsa che sia tale scoperta. Quello è il “trucco”. L’evento realmente significativo è l’invio del ritaglio di giornale.

Infatti, se l’arma dovesse essere la stessa, va da sé che esiste un qualche, forte, legame tra il delitto di Signa e quelli del Mostro di Firenze; rapporto che si prolunga comunque fino all’interno del Tribunale, e che dava cognizione, a colui che ha inviato il ritaglio, del fatto che bossoli e proiettili fossero rimasti nel fascicolo.

Ma anche quando l'arma non dovesse essere la stessa, per far finta che lo fosse il Mostro doveva comunque scegliere un delitto commesso con una calibro 22; inserire proiettili e bossoli della sua calibro 22 nel fascicolo di un delitto commesso con una, ad esempio, calibro 9 non sarebbe stata una buona idea.

E tra i delitti commessi con una 22, doveva sceglierne uno per il quale fosse stato usato munizionamento Winchester (problema ineludibile, in quanto ciò si trova documentato nella perizia Zuntini), e fosse possibile la sostituzione; in altri termini, doveva comunque essere a conoscenza del fatto che i reperti erano rimasti nel fascicolo, o almeno che il fascicolo era incustodito e accessibile. Certo, avrebbe potuto scoprirlo per caso, mentre, animato da mostruosa curiosità, scartabellava all’interno dei tribunali. Però, quand'anche avesse scoperto successivamente che ricorrevano le condizioni per poter compiere l’operazione, come avrebbe fatto a procurarsi il ritaglio di giornale? Certo, si sarebbe potuto recare presso la redazione de “La Nazione” e chiedere la ristampa di alcune pagine di numeri di molti anni prima, ma avrebbe dovuto avere un riferimento preciso riguardo alla data di pubblicazione, e soprattutto avrebbe lasciato una macroscopica traccia... insomma, appare poco probabile che il ritaglio di giornale non fosse già in suo possesso. Tra l’altro, un depistaggio posto in atto con una sostituzione di reperti relativo un episodio scollegato dalla vicenda, ma compatibile ed individuato a posteriori coincide esattamente con quanto proposto in “Coniglio il martedì”; e proprio il fatto che si trovi scritto lì rafforzerebbe la mia convinzione di come ciò debba costituire un’eventualità remota, da non considerare.


Quindi, sia che l'arma fosse la stessa, sia che non lo fosse, il "mostro di Firenze" deve comunque avere un forte legame con il delitto di Lastra a Signa, legame che non si è limitato al delitto, ma che è rimasto negli anni. Se questo legame sia proprio l'arma o sia altro poco importa. In altri termini, Lettore, il significato ultimo dell’operazione risiede appunto nel ritaglio di giornale, non nell’eventuale sostituzione dei bossoli o dalla scoperta dell’identità dell’arma; quest’ultima è irrilevante, tanto più che l’arma non è mai stata trovata.

Oltretutto, Lettore, anche l’espressione verbale “l’arma sia la stessa” sarebbe, in qualche modo, impropria. Questa è una possibilità sulla quale avrei preferito sorvolare; ma nei giorni scorsi, riguardando diversi file che giacevano da tempo sull’hard disk, mi è ritornato sotto gli occhi un vecchio PDF, “The Purloined Letter” racconto di Edgar Allan Poe tradotto in italiano con il titolo di “La lettera rubata”; così, non sono stato in grado di trattenere tale impulso. Anzi, è un racconto che, qualora Tu non l’abbia mai fatto, ti consiglierei caldamente di leggere. Ma ritorniamo all’arma; anzi, per la precisione, ai fatti che riguardano l’arma.

I fatti sarebbero:

- nel 1974 ha inizio una serie omicidiaria che riguarda delitti a danno di giovani coppie appartate il luoghi isolati

- le vittime vengono uccise o gravemente ferite (ed uccise successivamente con arma bianca) servendosi di un’arma calibro 22

- ciò viene desunto sia dai proiettili sia dai bossoli reperiti sulla scena del crimine

- in alcuni casi, il numero dei bossoli reperiti è inferiore al numero dei colpi esplosi

- dopo i primi due omicidi, le perizie balistiche comparative evidenziano come i proiettili sono esplosi dalla stessa arma, ed i bossoli espulsi dalla stessa arma. I proiettili presentano 6 rigature destrorse, ed i bossoli sono stati espulsi da un’arma automatica

- nel 1982, una segnalazione anonima fa ricollegare un delitto antecedente al 1974 alla serie omicidiaria; il collegamento sarebbe costituito da bossoli e proiettili, con caratteristiche analoghe a quelle dei reperti degli altri omicidi

- Un’ulteriore perizia comparativa, oltre a confermare l’identità dell’arma che ha esploso i colpi, nonché di quella che ha espulso i proiettili, determina come i bossoli derivino tutti da un singolo lotto di produzione Winchester

- L’arma viene verosimilmente identificata in una Beretta serie 70 a canna lunga

- I tecnici Beretta, dopo diverse prove, sostengono, a causa dell’assenza di affumicatura dei bossoli, che l’arma è certamente a canna corta

- Vengono effettuate prove di poligono su centinaia di Beretta serie 70, senza poter individuare l’arma; le prove vengono eseguite prima comparando i bossoli dell’arma in prova con quelli repertati sui luoghi degli omicidi, e successivamente, nel caso in cui la comparazione sia positiva, sui proiettili

- Vengono effettuate numerose perquisizioni che non portano comunque al ritrovamento dell’arma

- Tale ipotetica arma viene definita “usurata e maltenuta” da chi periziò originariamente i reperti del crimine antecedente al 1974, ben mantenuta e poco usata nelle perizie successive, due delle quali condotte sempre da chi si occupò del delitto del 1968; anzi, sembra che il tempo trascorso non abbia il benché minimo riscontro sui bossoli, i segni sui quali, negli anni, presentano tutti la medesima intensità

Verità mostrologica

Un singolo individuo abilissimo ha ottenuto, in modo imprecisato, una Beretta serie 70 ed una scatola di munizioni. Con tale arma esegue sporadicamente omicidi di coppie appartate. Non è dato di sapere né come si sia procurato l’arma, né come si sia procurato la scatola di munizioni, né esattamente perché faccia trascorrere anni tra un omicidio e l’altro. Non si capisce perché abbia commesso l’omicidio antecedente a quello del 1974, e perché ne abbia informato gli inquirenti successivamente. L’incongruenza tra i colpi esplosi ed il numero dei bossoli viene attribuito alle scarse capacità degli inquirenti, anche quando usano metal detector per le ricerche. L’interruzione della catena di custodia dei reperti antecedenti al 1968 e la loro mancata distruzione viene attribuita ad incuria o, addirittura, all’iniziativa di qualche funzionario che, contravvenendo alla legge, eviti deliberatamente la loro distruzione. Tutte le ricerche dell’arma risultano vane perché l’abilissimo individuo è in grado di occultare essa e le munizioni in modo tanto efficace da sottrarsi a qualunque tentativo di rilevamento; i segni sui bossoli non presentano differenze, negli anni, perché egli adopera arma e munizioni solo per compiere quegli omicidi. Non vi è una spiegazione della mancanza dell’affumicatura dei bossoli.

Opinione

Nel 1974 o poco prima, delle persone (una o più), che hanno una qualche attinenza con il delitto di una coppia avvenuto nel 1968, decidono, per qualche motivo, di compiere una serie di delitti analoghi. Si procurano una calibro 22 automatica, a canna corta, e due scatolae di munizioni. Esplodono con l’arma tutti i colpi delle scatole, raccolgono i bossoli e li conservano, poi eliminano l’arma (la smontano, la fondono, la lanciano in fondo al Tirreno dal traghetto durante la traversata Olbia-Livorno…. quello che vuoi Tu), indi danno luogo alla serie omicidiaria con un’altra calibro 22, senza lasciare sul luogo i bossoli originari (perché é un revolver, perché usano la retina, perché li raccolgono, per quello che vuoi Tu) ma spargendovene alcuni espulsi dall’arma che non esiste più. Al momento opportuno (potrei dirTi, Lettore, “Perché non vai a vedere la data del biglietto dello ‘zio Pieto’…” ma se mi esprimessi in questo modo non sembrerei né un blogger da strapazzo né un mostrologo, quanto piuttosto il Mostro in persona) inseriscono anche cinque proiettili esplosi con l’arma che adoperano attualmente, insieme a cinque bossoli, già raccattati, nel fascicolo processuale del 1968, e li fanno ritrovare. Ovviamente, tutti i tentativi di risalire all’arma sono vani. Le prove di sparo non possono mai individuare alcuna arma compatibile con una che in realtà non esiste (se non per altro, perché bossoli e proiettili non appartengono alla stessa arma), e più in generale, non può essere ritrovata con alcun tipo di ricerca (perquisizioni, registri, convocazioni, prove) un’arma che non esiste. Le tracce sui bossoli sono costanti negli anni per il semplice motivo che le relative cartucce sono state sparate tutte insieme. I bossoli non hanno affumicatura, e poiché questa o queste persone sono assolutamente certe che l’arma non possa mai essere ritrovata, non si curano nemmeno di far sì che il numero dei bossoli coincida con i colpi esplosi.

Quale delle due possibilità ti sembra più verosimile, Lettore? Quale è quella più lineare? Quale è, tra le due, quella che spiega i fatti?

Mi rendo conto che, poiché l’arma non è mai stata reperita, ambedue le possibilità resterebbero allo stadio di congettura; che é un grado inferiore ad illazione, che a sua volta é un grado inferiore ad ipotesi. Ma mi rendo conto anche di come la seconda, pur essendo più “logica” è anche meno “mostro-logica” e spiegando i fatti, può essere al più elevata al rango di “opinione” mentre la prima è “verità mostrologica”. E non è possibile contrapporre semplici opinioni a verità mostrologiche.

Però Lettore... vorrei che, solo per un attimo, mi fosse concesso il beneficio del dubbio, la possibilità che la mia congettura sia reale, ma solo per poter immaginare le crasse risate del “mostro di Firenze” alla lettura della ricostruzione mostrologica delle dinamiche basate sulla posizione in cui sono stati reperiti i bossoli: “Il Mostro si trovava là, esplodeva due colpi, indi si spostava di un passo a sinistra e ne sparava altri due…” , costringendo peraltro il povero Innocenzo Zuntini ad arrampicarsi sugli specchi per fornire spiegazioni plausibili, prestando così il fianco agli attacchi della Moderna Mostrologia.

Né i residui ritrovati sui bossoli di Scopeti possono apportare alcuna informazione suppletiva al riguardo, escludendo che essi siano stati esplosi un decennio prima, e portati successivamente sulla scena. Su di essi, venne eseguita una perizia, progettata e condotta in modo ammirevole, dai periti Crea, Iadevito, D’Uffizi, che rilevò una presenza anomala (“caratterizzante”, nella perizia) di Zinco, cloro, fosforo, calcio e silice, ritenuta dai periti stessi come indicativa (non probativa) di un’attività attinente con l’Ortopedia.

Ma, dicono i periti stessi: "Nessun genere di analisi, né tantomeno quelle eseguite, permettono di affermare con assoluta certezza che i corpuscoli ritenuti caratterizzanti siano stati presenti sui bossoli antecedentemente allo sparo, alla conseguente caduta a terra o manipolazione, e che quindi la caratterizzazione sia effettiva in riferimento ai fini proposti"

Per me, Lettore, Solfato di Calcio + Fosforo + Cloruro di Zinco + grasso al silicone significa Odontoiatria, più che Ortopedia; ma non significa che il “Mostro di Firenze” sia un dentista. Vista l’esigua quantità di sostanze rilevate è sufficiente che chi abbia raccolto i bossoli sul luogo del delitto, o anche chi li abbia eventualmente portati lì fosse stato dal dentista anche il giorno precedente…

Mi accorgo però come mi stia dilungando eccessivamente su questioni irrilevanti; per riprendere le fila del discorso forse è meglio togliere di mezzo questa faccenda dell’identità dell’arma e considerare semplicemente l’evento certo: l’invio del ritaglio di giornale.



L'alternativa é, in realtà, una sola

Torniamo ad esso, poiché é chiaro come l'identità o meno dell'arma sia, in realtà, irrilevante; in questo modo, riduciamo a due le possibilità: invio ritaglio di giornale per depistaggio, o invio per suggerimento.



Ma anche qui, Lettore, le due alternative si identificano

Suggerimento o depistaggio? La domanda dobbiamo porcela in altro modo: a cosa ha condotto l'invio del ritaglio di giornale? Alla cosiddetta "pista sarda". Ed a cosa ha condotto la pista sarda? Ad un nulla di fatto; dopo decenni di indagini, nessuno di loro é stato trovato colpevole.

Pertanto, se voleva essere un depistaggio ha funzionato; se voleva essere un suggerimento, non ha funzionato. L'unica cosa che sappiamo con sicurezza é che la pista sarda non ha condotto a nulla per cui se chi ha mandato il ritaglio intendeva depistare, é riuscito nel suo intento, mentre la strada che si sarebbe dovuta seguire era un'altra. Se invece intendeva suggerire, non é riuscito nel suo intento e quindi la strada che si sarebbe dovuta seguire era comunque un'altra.

Il risultato non cambia: invariabilmente, il legame tra Mostro di Firenze e delitto di Lastra a Signa si sarebbe dovuto ricercare in un’altra direzione. La pista sarda é stata seguita per sette anni, e percorsa in ogni sua ramificazione. Se l'entità "mostro di Firenze" é legata al delitto di Signa e la pista sarda é negativa, c’é qualcosa in quell'episodio che si sarebbe dovuto approfondire, ma non si é fatto.

Bene, Lettore, mettendo cartesianamente in dubbio tutto fin dove possibile, siamo giunti ad una conclusione che in fondo è una banalità: c’è un legame tra Mostro e Signa e questo legame non è rappresentato dalla pista sarda. Questa é in realtà una conclusione inevitabile, basata su una logica stringente alla quale non si può sfuggire, cosicchè tutti sono costretti a convenire; anche quando intenderebbero dimostrare tutt’altro. Così, questa banale, lapalissiana deduzione si è trovato costretto a farla, magari inconsapevolmente, chiunque abbia preso in considerazione il problema.

Dice ad esempio Davide Rossi:

"Quindi il sillogismo é molto semplice: é stato il Mele? Siccome il Mele non può essere il Mostro e non può aver ceduto la pistola a terzi, il Mostro si nasconde tra Vinci Salvatore e Vinci Francesco. Ma Vinci Salvatore e Vinci Francesco dobbiamo escluderli per i motivi che abbiamo appena detto... di conseguenza non può essere stato il Mele, oltre che per tutti i motivi che abbiamo appena raccontato; né un killer su commissione... resta: il vero Mostro"

così come uno degli irriducibili della “pista sarda” (anzi di Salvatore Vinci), Alessandro Cecioni:

"L'errore del 1968 é l'errore che segna tutta la vicenda del Mostro. Perché noi possiamo anche pensare che il marito non c'entri niente, che tutti gli amanti della moglie non c'entrino niente, possiamo pensare che la pista sarda sia una bufala gigante. E' possibile! Ma... se é una bufala gigante la pista sarda, lì c'é qualcosa, che non é stato visto, e che ha fatto sì, che poi, é diventato quello che é diventato. Questo é chiaro!"

A questo punto, l'ultima domanda che rimane é: quale sarebbe quest'altra pista che non é stata battuta, il “qualcosa che non è stato visto” di Cecioni? Be', ovviamente l'unica che rimane avendo eliminato la pista sarda.

Però anche qui dovremmo forse dovremmo formulare la domanda in altro modo: perché il depistaggio/suggerimento ha condotto alla pista sarda?

Perché si dava per scontato che la vittima designata fosse Barbara Locci. Bene, ma perché si dava per scontato che la vittima designata fosse Barbara Locci?

Perché l’idea di associare l’omicidio al tradimento è quasi automatica.

Dice Davide Rossi:

Un delitto come quello del sessantotto è il classico delitto che matura in ambiente familiare. Muore una donna, sposata, con un amante in macchina, l’indiziato… non allora, ancora oggi… certamente è il marito, insomma, no?"

Nel 1968 non si guardò altro: e venne incriminato Stefano Mele che tutto avrebbe fatto fuorché farsi la galera per dei tradimenti sui quali era consenziente. In realtà, ciò che probabilmente avvenne fu che tra gli interrogatori con sganassoni e una galera senza sganassoni, scelse semplicemente la seconda. Oppure, come ha dichiarato più volte, tra la galera e la possibilità che uccidessero Natalino, preferì la galera. Ma, a mio parere, molto più probabilmente ambedue le cose.

Dopo il 1982, l’invio del ritaglio di giornale non modificò la faccenda; vi era in più il peso dell’esistenza di un reo confesso, di una sentenza di colpevolezza definitiva, e di un’espiazione di pena già terminata; ciò, maggior ragione, doveva necessariamente includere, a qualche titolo, il sardo Stefano Mele nel novero dei colpevoli.

L’attenzione è stata quindi focalizzata sul concetto più evidente ed usuale, stornandola da ciò che in effetti avveniva; il concetto sul quale ogni gioco di prestigio si basa.

Ma secondo te, Lettore, se Barbara Locci ed Antonio Lo Bianco anziché essere amanti occasionali, ma appartenenti a ben definiti e diversi nuclei familiari, fossero stati due persone che, semplicemente stavano insieme, senza tradimenti, quali sarebbero stati occhiello, titolo e cappello sugli articoli dei quotidiani del 1968? Probabilmente, simili a questo:




Il riferimento al mancato reperimento del portafogli, ed all'identificazione del Lo Bianco tramite il certificato di "situazione familiare" é desunto dal "rapporto Matassino"; il maresciallo Funari dichiarerà solo successivamente che l'uomo aveva un portatessera nel quale erano presenti sia patente, sia carta d'identità. Ora, se si fosse escluso il tradimento, escludendo per forza di cose rapina e tentativo di violenza carnale, secondo Te, Lettore, le indagini si sarebbero concentrate sulla Locci o sul Lo Bianco?

Eppure, questo aspetto venne scarsamente considerato

Il colonnello Torrisi, nel suo celebre rapporto investigativo, l’aveva senz’altro liquidata in poche battute:

Nei confronti del CUTRONA, sebbene chiamato in causa dal MELE Stefano, in quella altalena di accuse e di ritrattazioni, mai sono emersi indizi di alcun genere, meritevoli di approfondimento e la sua posizione in seno alla vicenda è ritenuta del tutto marginale ed ininfluente nel contesto della consumazione del duplice delitto.

Ma il giudice Rotella aveva invece intuito come tale possibilità fosse stata in qualche modo negletta:

Questi [Antonio Lo Bianco] è un muratore siciliano, immigrato e sposato con una sua cugina, Rosalia Barranca, dalla quale ha avuto tre figli. Le loro condizioni non sono molto più agiate di quelle dei Mele, che vivono in condizioni precarie. La Barranca ha a Lastra un fratello, Giuseppe, che ultimamente lavora con Mele ed un fratellastro, Colombo Antonino, al quale è molto legata. Subito escussi, costoro dichiareranno che la sera prima il cognato avrebbe voluto accompagnarsi con loro e con un amico per andare a cena, ma lo avevan rinviato dalla moglie che non gradiva sue assenze prolungate da casa. Eran tornati tardi e nulla avevan saputo del mancato rientro del Lo Bianco.

Quello stesso pomeriggio saranno interpellati anche i fratelli dell'uccisa e forniranno i loro alibi.

Non è improbabile che siano stati fatti sommari riscontri. Ma delle escussioni e di correlative attività non è traccia alcuna in atti. E sono cose che si sono apprese durante questa istruttoria dagl'interessati, in taluni casi approfondendole per quanto possibile, ad oltre 15 anni di distanza dai fatti e senza tracce documentali, con indagini specifiche e dettagliate escussioni testimoniali.


E il dubbio sembrerebbe essere sorto anche in Tricomi, il quale nell’ottobre del 1982, inviò al tribunale di Palermo, la richiesta di interrogare nuovamente Giuseppe Barranca, motivando la richiesta con la ricezione della comunicazione anonima relativa al fascicolo del delitto di Lastra a Signa. Lo stesso fece la Della Monica; però continuarono a guardare ai sardi, piuttosto che estendere la visuale. La Della Monica si occupò esclusivamente dei sardi, mentre Tricomi estese le richieste anche al gruppo dei siciliani, ma sol perché esisteva una traccia di questa famosa “scommessa” tra Francesco Vinci ed Antonio Lo Bianco riguardo alla Locci; la sua apertura mentale sembra comunque essere rimasta limitata dal preconcetto per cui il bersaglio principale dovesse essere la Locci.

A ben guardare, Lettore, quella di Tricomi era un’ipotesi di lavoro molto valida. Stefano Mele, in una delle sue innumerevoli confessioni, afferma di aver detto a Salvatore Vinci di non essere in grado di contrastare fisicamente “Enrico” “…senza nulla in mano sapendo che Enrico ha praticato la boxe”. Come mai Stefano Mele si tira fuori questa frase? Da dove avrebbe ricavato questa informazione, non conoscendo bene neanche il vero nome di battesimo del Lo Bianco?

Se la “scommessa” tra Francesco Vinci ed il Lo Bianco fosse degenerata andando al di là del semplice scontro verbale ed il Lo Bianco avesse avuto la meglio perché aveva “praticato la boxe”, e dopo avesse addirittura portato via a Vinci una Barbara Locci consenziente, il fatto che Francesco Vinci abbia potuto volere vendicarsi, sentendosi tradito dalla Locci con chi avesse fatto il gradasso con lui, magari suonandogliele pure, è assolutamente plausibile. Da parte di uno come Francesco Vinci, voler uccidere chi lo aveva umiliato, e la donna che andava via con il vincitore è esattamente ciò che ci si sarebbe aspettato; così come ci si sarebbe aspettato che lo facesse con un’arma e di sorpresa, specialmente se le aveva già buscate. Ed è assolutamente plausibile che si sarebbe portato dietro il succube Mele proprio perché si occupasse di Natalino. La sostituzione di bossoli e proiettili eliminerebbe anche il problema del passaggio dell’arma, mai esistito.

Questa soluzione per il delitto di Signa sarebbe stata perfetta. Il problema qui sta nel fatto che Tricomi indagò questa possibilità ma la cosa non ebbe seguito; ed anche Rotella la considerò attentamente prima di escluderla.

Vedi Lettore, in questa vicenda le indagini sono sempre state condotte male, approssimativamente, e guidate da pregiudizi, in parte derivanti da una concezione obsoleta del modo di condurle, come dice Davide Rossi:

Gli investigatori che si trovavano di fronte a un delitto, procedevano nella seguente maniera: si recavano sul luogo del delitto, effettuavano i rilievi, dopodiché le indagini si svolgevano in due direzioni. Le prime indagini, naturalmente, riguardavano i familiari, perché quasi tutti i delitti sono in ambito familiare. Appurato che la famiglia non c’entrasse niente, la ricerca si… sostanzialmente si basava soltanto su elementi testimoniali… perché non dimentichiamoci che all’epoca non esistevano telecamere, non esistevano i cellulari, non esisteva il DNA, non esisteva niente.

Ma un conto è la conduzione delle indagini, un altro è la valutazione dei risultati. Quest’ultima è fortemente dipendente dalle capacità analitiche, logiche e deduttive di coloro che valutano i risultati della conduzione delle indagini, qualunque essi siano; e non è ipotizzabile che tali capacità si siano sviluppate negli ultimi venti anni, e che prima fossero totalmente carenti. Intendo dire, Lettore, che mostrologi, inquirenti, avvocati, giornalisti, scrittori, e tutti quelli che continuano gravitare adesso intorno a questa vicenda, leggono gli stessi verbali, le stesse perizie, gli stessi rapporti, le stesse dichiarazioni e le stesse sentenze che lessero investigatori ed inquirenti di allora; non ci sono nuove informazioni riguardo alla vicenda stessa. E’ sicuramente possibile, per quanto detto prima, che gli inquirenti di allora non abbiano neanche pensato di imboccare certe strade, e che questo si possa rilevare adesso; ma se allora imboccarono una strada, e la percorsero, diviene improbabile che non abbiano visto ciò che adesso un qualunque mostrologo sia in grado di vedere. In altri termini, una cosa è considerare ipotesi relative a chi non è mai entrato nelle indagini, un’altra è ritenere che non si sia stati in grado, nonostante interrogatori, raccolta di indizi, pedinamenti, appostamenti, di dimostrare la colpevolezza di un sospettato o di, almeno, raccogliere pesanti indizi sulla sua colpevolezza.

Mi spiego meglio.

Le richieste contemporanee degli avvocati Mazzeo o Vieri Adriani, al netto delle pressioni di chi ha un interesse nel pubblicizzarle e documentarle, hanno un senso: prospettano eventualità non considerate, e che potrebbero condurre vicino ad una verità scientifica e non mostrologica. Il fatto che essi vengano ostacolati acuisce il sospetto che possa essere così, tanto più se consideriamo piccoli particolari sospetti; ad esempio, la Gabriella Ghiribelli (testimone senza dubbio inattendibile, che può aver infarcito tutto di particolari inesatti o immaginari, ma non può avere inventato di sana pianta l’intera esistenza di decine di persone) parla nella sua testimonianza di un poliziotto alto robusto e con i capelli rossi facente parte della SAM. Tale riferimento risulta tagliato in diversi file audio (anche in quelli proposti come “versione integrale”), ed in quelli in cui è, parzialmente, presente è possibile notare come Canessa “glissi” sull’argomento; esplorare la possibilità di un “rosso del Mugello” può allora avere un senso, ma accanirsi ancora su una “pista sarda” che, se vera, avrebbe già prodotto risultati, non lo ha.

Applicando tale concetto al meccanismo cui darebbe luogo la “scommessa” tra il Vinci ed il Lo Bianco, per quanto esso possa generare un’ipotesi altamente suggestiva, e probabilmente in grado di spiegare gran parte delle incongruenze del delitto di Lastra a Signa, ciò andrebbe escluso per un semplice motivo: lo ha già escluso Rotella. Ed in fondo, se vogliamo, benché secondo tale possibile ipotesi il bersaglio principale sarebbe il Lo Bianco e non la Locci, essa comunque rientrerebbe in qualche modo nella “pista sarda”.

Quindi io ritengo che il significato reale, sebbene poco esplicito, dell’invio del ritaglio possa essere simboleggiato da queste frasi di Davide Rossi:

Anche perché il Lo Bianco non era un delinquente, e allora poteva entrarci di mezzo qualche altro tipo di movente… ehm… magari legato alla criminalità spicciola. Quindi è evidente che gli investigatori sono partiti sul marito… poi che elementi avessero ne discutiamo.

Allora, Lettore, come suggerisce Davide Rossi, discutiamone

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