martedì 8 febbraio 2022

IL MOSTRO DI FIRENZE, OVVERO LE OPINIONI, PARMENIDE, CARTESIO E LA RICERCA DELLA VERITÀ: Parte III



When you have eliminated the impossible, whatever remains, however improbable, must be the truth

Sherlock Holmes




Nel post precedente, Lettore, l’episodio di Baccaiano mi ha dato lo spunto, per mettere in discussione la validità del primo assioma; ma cosa più importante, dà l’occasione per parlare anche del secondo. Infatti, è proprio subito dopo il delitto di Baccaiano che succede qualcosa di importante, di cruciale in questa vicenda: un delitto antecedente, di ben tredici anni rispetto al primo, viene collegato a quelli attribuiti al Mostro di Firenze. Un delitto avvenuto nel 1968 a Lastra a Signa. Ed il collegamento sarebbe costituito dall’arma utilizzata per quel delitto.

Il secondo assioma é infatti quello che prevede che l'arma usata per il delitto di Signa del 1968 sia la stessa di quella usata per gli omicidi dell'entità "mostro di Firenze". L'assioma deriva essenzialmente dal fatto che una perizia comparativa, eseguita da Arcese e Iadevito nel 1983, ed eseguita analizzando i segni lasciati dall'arma sui bossoli e sui proiettili esplosi, identifica nella medesima arma la pistola usata per compiere tutti i delitti.

Qui sono insorti diversi problemi.

Il primo problema sta nel fatto che per il delitto del 1968 esiste ufficialmente un colpevole, processato, condannato e che ha scontato la sua pena.

Il secondo problema sta nel fatto che le modalità di esecuzione del delitto di Signa appaiono diverse da quelle del "mostro di Firenze"

Il terzo problema sta nel fatto che alla presunta identità dell'arma é appunto una "scoperta" successiva al delitto di Baccaiano, quando i delitti dichiaratamente attribuiti al mostro erano già quattro ; come mai solo allora?

Volendo entrare più nello specifico, il primo problema consiste nella difficoltà di dover conciliare l'esistenza di un colpevole, con sentenza passata in giudicato, e cioè Stefano Mele, che scontava la sua pena in carcere mentre altri delitti chiaramente attribuibili al “Mostro di Firenze” venivano compiuti. Ciò escluderebbe il solo Stefano Mele come "Mostro di Firenze" e costringerebbe, conseguenzialmente, a rendere vera una di queste tre affermazioni:

1) l'arma é la stessa e Stefano Mele é colpevole, quindi il Mostro di Firenze é un complice di Stefano Mele che é rimasto fuori. Ergo, il "Mostro di Firenze" é più di una persona e ma questo contraddice il primo assioma.

2) l'arma é diversa e Stefano Mele é colpevole. Ma questo contraddice il secondo assioma.

3) l'arma é la stessa e Stefano Mele é innocente. Ma questo contraddice le risultanze processuali.

Ora, gli inquirenti sarebbero ben disposti a contraddire il primo assioma (e l’hanno dimostrato con la condanna dei “compagni di merende”); mentre per ovvi motivi tenderebbero a scartare la terza ipotesi,che quasi tutti i mostrologi, pur di non contraddire i due assiomi, tenderebbero invece a considerare. Probabilmente anche gli investigatori e l'autorità giudiziaria tenderebbero alla stessa soluzione, se potessero; é solo che non possono farlo. E principalmente non possono farlo per il più semplice dei motivi: Stefano Mele é un reo confesso.

Sulle modalità con le quali Stefano Mele avrebbe reso la sua confessione ci sarebbe moltissimo da dire; ma essendo, per l'appunto, moltissimo, non é possibile considerarlo qui. Sono certo Lettore che, qualora tu non avessi già le relative informazioni, non avrai la benché minima difficoltà nel procurartele presso qualunque sito/blog/canaleYT di mostrologia.

Allora se l'arma é la stessa, il Mostro di Firenze é uno e Stefano Mele é colpevole, qual é la soluzione? Una possibile soluzione é che Stefano Mele sia in qualche modo colpevole, anche se non da solo; poi, il Mostro, che ai tempi di Stefano Mele era una sorta di "pre-mostro", un mostriciattolo insomma, una volta avviato abbia continuato la sua carriera come "Mostro di Firenze".

Questa soluzione, che soddisfa molti, introduce però un nuovo problema: come ha fatto l'arma ad essere prima in mano di Stefano Mele e poi in quella del "mostro di Firenze"? Perché vedi, Lettore, esiste una regola non scritta, ma che non é un'opinione in senso personale, né una verità in senso mostrologico, né un assioma, che vuole che un'arma usata per un omicidio non possa passare di mano.

L'arma usata per l'omicidio viene distrutta, o conservata dallo stesso omicida, mai ceduta. A nessun titolo.

E questo perché se associare l'arma all'omicida é difficilissimo, associarla all'omicidio é invece facilissimo. Così, se un'arma é trovata in possesso di qualcuno, quel qualcuno diventa automaticamente l'autore dell'omicidio con scarsissime possibilità di farla franca; chi prenderebbe un'arma del genere? Quindi chi si procura un'arma illegale vuole delle rassicurazioni in tal senso; e nessuno mai si rischierebbe di prenderlo in giro fornendogli un'arma sporca. Semplicemente, non si fa.

Da un certo punto vista, e cioè escludendo il delitto di Lastra a Signa, sia la regola sia la sua motivazione apparirebbero rispettate in questa vicenda. Il "Mostro di Firenze", infatti, conserva la sua arma; non la distrugge, ma non la cede. D'altra parte, la perizia é stata in grado di stabilire con ragionevole grado di certezza che bossoli e proiettili sono stati esplosi dalla stessa arma; qualora essa fosse stata ritrovata, verificare che é effettivamente quella che ha lasciato, nel corso degli anni, quei segni unici ed inconfondibili su proiettili e bossoli é un lavoretto di un paio d'ore; il possessore sarebbe identificato, senza possibilità di farla franca, come "Mostro di Firenze".

Ma l'arma, che sarebbe l'unico elemento di prova consistente oltre i fatti determinati sui luoghi dei delitti, non si é mai trovata. Allora con un colpevole reo confesso del delitto di Lastra a Signa, processato e condannato, che scontava la sua pena mentre il "Mostro di Firenze" colpiva, sorge impellente la necessità di spiegare il passaggio di mano dell'arma.

Qui, occorre dire, la mostrologia é stata in grado di dare il meglio di sé stessa. E' stato inventato di tutto: ritrovamenti, inganni, assemblaggi e disassemblaggi della pistola, gentilizio positivo per mostritudine, etc. tutto, pur di fare salvo il secondo assioma: la pistola é la stessa.

E quando qualche mostrologo ha tentato di negare l'assioma, é stato subito bollato come eretico, radiato dalla comunità dei mostrologi, deriso e canzonato... io, Lettore, essendo un blogger da strapazzo e non un mostrologo e neppure un inquirente, dal basso della mia posizione posso permettermi benissimo di infischiarmene e vado avanti. Nulla guadagnavo prima, nulla guadagnerò adesso... insomma, non ho nulla da perdere.

Quindi, procedo.



La scoperta dell'identità dell'arma

Come é accaduto, esattamente, che sia stata individuata l'identità dell'arma, dopo quattordici anni dall'omicidio di Sigma, ed otto anni dal primo attribuito inequivocabilmente all'entità "Mostro di Firenze"?

L'hanno detto i Carabinieri. E l'hanno detto subito dopo il delitto di Baccaiano

Si ma perché i carabinieri ci hanno messo tanto tempo a dirlo?

Vi sarebbero tre teorie al riguardo, una ufficiale, una, per così dire, "popolare", ed una ufficiosa.

La teoria ufficiale vuole che un certo maresciallo Fiori, che all'epoca avrebbe indagato sul delitto di Signa, si sia improvvisamente ricordato che bossoli e proiettili del delitto avevano caratteristiche uguali a quelle dei delitti del "Mostro di Firenze", ed abbia avvertito gli investigatori.

La teoria popolare vuole che questo sia stato un suggerimento di un tale “Cittadino Amico” che scriveva a quel tempo alle forze dell'ordine, dando qualche “dritta” (o presunta tale) agli inquirenti.

La teoria ufficiosa vuole che sia pervenuto ai carabinieri un ritaglio di un quotidiano di più di una decina d'anni prima, con un appunto scritto a mano, in cui si suggeriva di verificare il fascicolo relativo al processo nel quale Stefano Mele venne riconosciuto colpevole.

Si, ma delle tre, qual é quella vera? E' importante stabilirlo?

Si, é importante. E, per strano che possa apparirti, è più importante che stabilire se l’arma sia in effetti la stessa. Cioè, è questo il dato importante, il saper come si sia giunti a tale ipotesi; non tanto il sapere se l’ipotesi sia vera o meno. Per fortuna giunge in nostro soccorso Davide Rossi, il quale é andato ad intervistare un carabiniere in quiescenza, all'epoca in servizio presso la stazione di Borgo Ognissanti.

Il carabiniere (Davide Rossi legge addirittura la trascrizione dell'intervista registrata), ride sull'ipotesi del maresciallo Fiori: come avrebbe potuto mai un maresciallo avere un simile ricordo in un periodo in cui in Italia si sparava abbondantemente, e per di più relativo ad un delitto con sentenza passata in giudicato, e colpevole che aveva scontato la relativa pena? Spiegò che quella del maresciallo Fiori era stata una scusa per non svelare come esistesse una fonte, la menzione della quale avrebbe potuto compromettere eventuali futuri rapporti.

In realtà, la storia del maresciallo Fiori non sarebbe una totale invenzione. Il luogotenente Fattorini racconta che in effetti che al maresciallo Fiori era tornato in mente il delitto di Signa, ravvisando la possibilità che fosse in qualche modo collegato; ma egli non ricordava assolutamente nulla riguardo alla pistola.

Come si giunge alla pistola, allora?

Il carabiniere intervistato da Davide Rossi narra come fosse giunto, in una busta, un ritaglio di giornale contenente un articolo di due colonne sulla condanna a Stefano Mele, in una busta che aveva aperto lui personalmente, e nel quale, "sul lato bianco accanto all'articolo in colonna" c'era scritto

"Andate a prendere (o a vedere - non ricordo, lui dice) il fascicolo in Corte d'Assise d'Appello a Perugia"

e menziona come sull’articolo fosse stato sottolineato a penna “calibro 22”. Egli rimarca anche come si fosse notata la dicitura "Corte d'Assise d'Appello" di cui non tutti conoscono l'esistenza, denotando così la cultura specifica di chi aveva scritto.

Anche il sedicente “brigadiere Ricci”, che anni addietro scrisse diversi messaggi su un forum “mostrologico”, narra una storia molto simile, ma non esattamente uguale, sostenendo che il ritaglio di giornale fosse stato ricevuto da un certo “Fiore” e che contenesse un biglietto scritto a macchina oltre al ritaglio di giornale; ma nulla dice riguardo all’esatto contenuto del biglietto. Il “brigadiere Ricci” è stato considerato una sorta di “impostore”, soprattutto a motivo del fatto di fare riferimento al detto “Fiore” (del quale non precisa il grado), anziché a “Fiori”. Però, Lettore... nel 2002, il giornalista Mario Spezi ebbe la possibilità (o l’abilità) di farsi rilasciare una dichiarazione dal giudice Tricomi relativa alla missiva anonima pervenuta alla stazione di Borgo Ognissanti, dove vi é scritto che gli sarebbe stata consegnata da un certo “maresciallo Fiore” (non "Fiori")




quindi il “maresciallo Fiore” ed il “maresciallo Fiori” potebbero essere due persone diverse (tra l’altro, Lettore, i cognomi “Fiore” e “Fiori” hanno origini, anche regionali, profondamente diverse, nonostante la forte assonanza). Ribadisco qui come ciò non possa essere escluso. Se due più due fa ancora quattro è possibile trarre qualche ipotesi sulla reale identità del “brigadiere Ricci”, ma queste sono considerazioni che lascio ai mostrologi di professione. Io, da poveraccio quale sono, preferisco considerare un altro aspetto di questo particolare episodio, e cioè il contenuto del messaggio, che non è dato di conoscere con esattezza. Questo potrebbe rivestire una certa importanza, ma di ciò, Lettore, Ti parlerò brevemente più avanti.

In realtà il fascicolo non si trovava più a Perugia, bensì a Firenze; ma l’anomalia non sta qui; il fascicolo venne comunque rintracciato.

L’anomalia sta nel fatto che bossoli e proiettili si trovassero all'interno del fascicolo, dentro una busta. Poiché il processo era terminato, l'imputato era stato condannato in via definitiva, esisteva una "verità processuale" sull'omicidio ed il suo autore i reperti sarebbero dovuti rimanere in custodia giudiziaria, fin quando ne fosse stata disposta la cessione alla divisione di Artiglieria per la distruzione; invece per qualche forma di negligenza, di inerzia, di intoppo burocratico, non giunsero mai nemmeno all’Ufficio Corpi di Reato. Ma, soprattutto, chi aveva inviato il suggerimento, evidentemente lo sapeva. E lo sapeva tanto bene da suggerire di guardare non gli atti del processo, ma il fascicolo , precisando, con la sottolineatura, ”calibro 22”, suggerendo su cosa esattamente gli inquirenti avrebbero dovuto focalizzare la loro attenzione.

E non solo. Mentre raggiungere i reperti in custodia giudiziaria sarebbe, almeno in teoria, stato difficilissimo, aprire il fascicolo era facilissimo. Ciò vuol dire che chi aveva suggerito di andare a vedere avrebbe anche potuto, preventivamente, sostituire i reperti. E nessuno sarebbe stato in grado di dirlo con certezza, perché nel 1968 venne fatta una perizia balistica sui reperti, ma di essi non è mai stata disponibile alcuna corrispondente documentazione fotografica; quindi l’identità di reperti, non correttamente custoditi, con gli originali avrebbe potuto ricavarsi solo comparando le descrizioni di essi.

Inoltre, tale segnalazione anonima deve essere giunta prima del 17 luglio 1982, data in cui Tricomi, proprio in seguito alla segnalazione, fece richiesta del fascicolo alla Corte di Assise di Appello di Perugia.

In pratica, subito dopo il delitto di Baccaiano.

Qualcuno ha quindi legittimamente sospettato che dopo il delitto di Baccaiano il Mostro, o chi per lui, abbia voluto, se non dirigere, almeno orientare in qualche modo le indagini degli inquirenti, e per far ciò abbia sostituito i reperti nel fascicolo processuale. L’ipotetica sostituzione, poi, sarebbe benissimo potuta avvenire a Firenze, ed il riferimento alla corte d’Assise d’Appello di Perugia, dove il fascicolo era rimasto per tanto tempo, sarebbe servito a sviare possibili sospetti in tal senso.

Tale ipotesi non è gradita né ai mostrologi, che vedrebbero cadere il secondo assioma, né agli inquirenti, che dovrebbero ammettere la negligenza e l’incapacità degli organi dello Stato, nonché il fatto che un decennio di indagini e di procedimenti giudiziari in qualche modo ad esse collegate, si sia svolto sulla base di un falso. Ma mentre i secondi si limitano a tacere ed a considerare indiscutibile l’assioma, i primi si sono scagliati, lancia in resta, contro gli eretici che hanno osato avanzare una simile ipotesi.

L’ipotesi venne avanzata inizialmente anche in un romanzo del 1993, “Coniglio il martedì”, romanzo considerato “strano” sia per i contenuti, sia per l’autore, Aurelio Mattei, un consulente del SISDE che avrebbe tratto ispirazione un rapporto stilato dal prof. Francesco Bruno quando anch’egli lavorava per il SISDE. Il prof. Bruno sostiene che il suo rapporto avesse sostanzialmente contenuti analoghi alla perizia che più tardi avrebbe stilato per la difesa di Pacciani; ma non sembra esservi alcuna relazione tra i contenuti della perizia del prof. Bruno e quelli di “Coniglio il martedì”. Personalmente, Lettore, non trovo nulla di strano in “Coniglio il martedì”. Mi appare come un romanzo nel quale l’autore abbia voluto creare una spiegazione plausibile che utilizzasse tutte le informazioni disponibili sui fatti relativi al “Mostro di Firenze”; l’unico aspetto che trovo inconsueto, e nel quale ho trovato riscontro anche su un forum dedicato, è il fatto che sia stato pubblicato anche in seconda edizione nonostante il bassissimo volume di vendita. Non sembra un’operazione commerciale usuale. La parte apprezzabile del romanzo, che a me, proprio per questo, è piaciuta, consiste nel mostrare come una condizione ignota al mondo venga interpretata come una forma particolare di psicopatologia, ed il suo portatore venga (come nella realtà) mitizzato; quando invece insospettabilità e mistero trovano la loro origine in una condizione banale: la vendetta dell’uomo medio, trasformato in inafferrabile genio del male dal risentimento e dalla voglia di rivalsa, nonché dalla mancanza di qualsivoglia interesse (affettivo, culturale, sportivo, artistico…) condizione peraltro comune a moltissimi individui. Non si trovano addentellati in questo con la perizia di parte scritta dal prof. Bruno per Pacciani; se passaggio di informazioni vi fu nell’ambito del SISDE, esso riguardò evidentemente i contenuti di un documento diverso.

Tuttavia, occorre sottolineare come nel romanzo le modalità con le quali il protagonista effettua l’operazione sono se non altro ardite, in quanto i reperti sono correttamente custoditi, e la loro sostituzione presenta diverse difficoltà. D’altra parte, l’opera nasce dichiaratamente come “romanzo”, quindi con la pretesa di essere, appunto, frutto di fantasia, fantasia ben sfruttata nella genesi del “Mostro”; tuttavia, molti la considerano una sorta di inchiesta mascherata, un romanzo-verità. E della verità relativa alla pistola si sarebbero appropriati gli eretici.

Tra di essi vi è sicuramente il giornalista Francesco Amicone, che inserisce tale possibilità nella sua ipotesi che vede l’identificazione del Mostro di Firenze nel killer americano Zodiac, ed individuando ambedue nella persona di Giuseppe “Joe” Bevilacqua; Amicone sostiene che sia stato proprio Bevilacqua a rendergli una confessione. Sentendo l'intervista che Scrivo fece ad Amicone, ritrovare una "confessione" nelle conversazioni tra Bevilacqua ed Amicone appare come una forzatura, così come d'altra parte dimostrato dall'interpretazione fornita da Amicone riguardo ai crittogrammi di Zodiac. Sembra piuttosto che Amicone abbia voluto individuare, tra tutti i personaggi che a qualunque titolo hanno gravitato intorno al Mostro di Firenze, la figura che maggiormente si confacesse all'idea che lui si fosse fatto del Mostro di Firenze, e cioè un serial killer singolo, con possibilità di accedere ad informazioni in qualche modo istituzionali, di profilo compatible con quello delineato dall'F.B.I., e di adeguare capacità. Ciò, unitamente alla frase che, per sua stessa ammissione, lo ispirò ("è un'americanata"), lo poteva fare giungere solo a Giuseppe Bevilacqua. Sempre per sua stessa ammissione, lo ha contattato con una sorta di scusa per poi spingersi, nelle conversazioni, in una forma di indagine verbale sviluppata da sottintesi, trovando una corrispondenza nelle risposte di Bevilacqua. Con ogni probabilità, però, Bevilacqua sottintendeva concetti affatto diversi; tanto che il passaggio dai sottintesi ai riferimenti espliciti é coinciso con il passaggio dalle interviste alla denunce. Pertanto, Amicone, tra le (vere o presunte) verità contenute in “Coniglio il martedì” avrebbe fatta sua quella relativa alla sostituzione dei reperti nel fascicolo, ma solo perché funzionale alla sua ipotesi

Nondimeno, a prescindere dalle sue teorie, trovo apprezzabile il modo in cui ha cercato di verificare l'affidabilità di Zuntini, almeno nell'aspetto del giudizio da parte di altri periti; mi sembra un po' forzata la faccenda della manipolazione del proiettile, anche perché, come vedremo più avanti, non é che ce ne fosse bisogno.

Vi é da sottolineare come, nell'immaginaria descrizione che fornisce riguardo alle modalità della sostituzione dei reperti nel fascicolo, neanche lui, fautore dell’ipotesi “Mostro costituito da individuo singolo” abbia potuto fare a meno di ipotizzare una collaborazione, per quanto inconsapevole, di altre persone; estendendo così, di fatto, l'entità "Mostro di Firenze" al di là del singolo individuo.


Ritorniamo comunque ai concetti relativi ad opinioni e verità mostrologiche, verificando innanzitutto su quali elementi gli eretici costruirebbero le loro supposizioni.

Poiché, però, l'analisi dei contenuti delle perizie é lunga e può risultare estremamnte tediosa e difficile da seguire, se lo ritieni puoi sempre saltare direttamente alle conclusioni







L'analisi di Zuntini
 
La perizia balistica del delitto di Lastra a Signa venne redatta dal colonnello d’artiglieria Innocenzo Zuntini, classe 1913. L’incarico venne conferito affinché il perito rispondesse a due quesiti, e cioè:

1) se tutti i colpi fossero stati esplosi da un’unica arma, e quali fossero tipo e calibro di essa

2) integrando la perizia balistica con le risultanze delle autopsie, quale fosse stata la dinamica del delitto

Per rispondere al primo quesito, che poi è quello attinente a quanto si sta discutendo qui, Zuntini analizzò proiettili e bossoli, ed eseguì delle prove di sparo.

Per quel che riguarda l’analisi di bossoli e proiettili (anziché pubblicare le immagini del dattiloscritto ricorrerò, quando opportuno alle trascrizioni per estrarre quanto di interesse da un contesto globalmente più ampio e dispersivo), Zuntini scrive che "…il metodo più sicuro è quello di studiare con lenti di ingrandimento e con microscopio sia i bossoli sia i proiettili repertati…

questo è il risultato dell’analisi dei bossoli

I 5 bossoli in sequestro […] esaminate attentamente alla lente ed al microscopio da tavolo presentano i seguenti segni caratteristici o firme:

a) un’impronta marginale sul fondello del bossolo profondamente incisa di froma approssimativamente rettangolare con contorni leggermente ovalizzati caratteristici del percussore a sbarretta eccentrica della percussione anulare.
[…]

b) sulla parte cilindrica, a ridosso del righellino (orlo del fondello) si rileva un piccolo rigonfiamento; la posizione di esso è fissa ed identica in tutti i bossoli; essa è rilevabile, anche ad occhio nudo, fra le ore 17 e le 19,30 circa, con la maggiore protuberanza in corrispondenza, o poco oltre, delle ore 18.

Tale rigonfiamento prodotto dalla pressione dei gas della carica di lanciodeterminatosi al momento della partenza del colpo, è indubbiamente originato da un difetto esistente nella parte cilindrica terminale (in senso longitudinale) e bassa (in senso verticale) della camera di cartuccia
[…]

c) ancora nella parte cilindrica ed esterna dei bossoli si possono rilevare, con una forte lente di ingrandimento, delle striature appena accennate che testimoniano il tormento subito dai bossoli in fase di estrazione da corrispondenti imperfezioni presenti nella camera di cartuccia dell’arma che le ha esplose.

Osserviamo che tali striature
[…] mancano totalmente o quasi in armi perfette (a causa delle superfici interne della camera di cartuccia accuratamente e finemente lavorate) oppure in armi molto usurate (a causa dell’aumento del diametro della camera di cartuccia e della levigatezza di tali parti prodotta dall’usura stessa).

Rileviamo ancora che su tutti i bossoli in sequestro sono quasi irrilevabili i segni dell’estrattore
[…] e dell’espulsore.

Tale deficienza è caratteristica di armi molto usurate con superficie di contatto dell’estrattore e dell’espulsore molto levigate per l’usura e camera di cartuccia ormai allargata.


e questo è un estratto di quanto ricavato dall’analisi dei proiettili

I proiettili in giudiziale sequestro sono nr.5, tutti a pallottola ordinaria, di piombo con rivestimento di rame

[…]

c) proiettile rinvenuto all’interno dell’autovettura sul pavimento (dietro il sedile anteriore destro):

- di piombo, ramata, 6 righe destrorse, ecc.;


[…]

e) proiettile estratto, in sede di autopsia, dal corpo del Lo Bianco:
- di piombo, ramato, con 6 righe ecc., identico ai precedenti


[…]

per quel che riguarda invece la comparazione tra i bossoli espulsi nelle prove di sparo dice:

Sono state effettuate prove di tiro con 35 armi diverse, tutte del tipo “Long Rifle” cal. 22 ma in nessuna siamo riusciti a trovare un percussore che desse un segno di percussione della stessa forma di quella impressa sui bossoli in sequestro.

pertanto, le sue conclusioni sono che l’arma dovesse possedere:

…le seguenti caratteristiche:

- pistola automatica cal. 22;

- tipo “Long Rifle” (cioè a bossolo lungo);

- rigatura con 6 righe destrorse;

- arma molto usurata, sia nel percussore che nell’estrattore e nell’espulsore;

- camera di cartuccia usurata;

- difetto sull’orifizio posteriore della canna, in basso, dovuto ad usura ed impropria manutenzione

Verosimilmente doveva trattarsi di una vecchia pistola da tiro a segno (quindi a canna lunga).


ma senza potere riferire con sicurezza tali caratteristiche generali ad un modello d arma in particolare.



L'analisi di Arcese e Iadevito

Nel 1983 fu commissionata ai periti Arcese ed Iadevito una perizia comparativa tra i reperti balistici relativi ai delitti attribuiti al Mostro di Firenze fino ad allora (1982), comprendendo bossoli e proiettili rinvenuti nel fascicolo processuale del delitto di Lastra a Signa; su questi ultimi la perizia dice, riguardo ai bossoli:

Esame esterno dei reperti

Per tale esame, compiuto soltanto per ordine di completezza, i periti non reputando significativa la descrizione verbale, rimandano direttamente alla documentazione fotografica.


[…]

… ne discende che tutti i 5 bossoli, presentano chiari elementi di identità, sia a carico delle caratteristiche primarie che secondarie delle singole impronte da percussione, sono pertinenti a cartucce esplose con un’unica arma.

Nella fotografia n.31 sono stati tratteggiati a colore tutti i segni caratteristici che ricorrono nelle impronte da percussione dei 5 bossoli esaminati.


ed ai proiettili

[…]

4) - Proiettile di cui alla fotografia n.98

Si tratta di proiettile in piombo ramato, dal peso di g. 2,570, pertinente ad una cartuccia cal. 22 L.R., sulla cui superficie sono presenti n.4 impronte da rigatura con andamento destrorso.


[…]

Il proiettile fu rinvenuto sul pavimento dell’autovettura.

5) - Proiettile di cui alla fotografia n.99

Si tratta di un proiettile, profondamente deformato in seguito all’impatto balistico, in piombo ramato, del peso di g. 2,545, pertinente ad una cartuccia cal. 22 L.R., sulla cui superficie sono presenti n.2 frammenti di impronte da rigatura con andamento destrorso.


[…]

Il proiettile fu estratto dal corpo di Lo Bianco.

per ciò che riguarda l’identificazione dell’arma, i periti scrivono:

Per il momento, sulla base di tutti i dati fino a questo punto analizzati, gli scriventi sono del parere che, per compiere i 5 duplici omicidi in argomento, sia stata utilizzata una ed una sola pistola Beretta della serie 70.

ed alla fine conclude

[…]

Si è notato come, troppo spesso, un’arma, conservata senza precauzioni in luoghi ove domina il clima umido, particolarmente quello marittimo, abbia subito, a carico delle parti metalliche, vasti fenomeni di ossidazione che, in quanto irreversibili, hanno modificato nella struttura superficiale,parti di vitale importanza in un’indagine balistica. Basti considerare, ad esempio, le modifiche a carico dei profili di rigatura e delle parti mobili dell’otturatore, quali i congegni di estrazione e di percussione. Inoltre, fenomeni di ossidazione, e conseguentemente di usura, possono insorgere anche per difetto di manutenzione e pulizia…

[…]

E’ fin troppo evidente che un giudizio circa le condizioni di conservazione dell’arma, utilizzata nei cinque duplici omicidi. lo si può formulare, in assenza di essa, soltanto in esito ad un attento esame degli elementi di munizioni repertati. Purtroppo, nè a carico dei bossoli né tantomeno, a carico dei proiettili può evidenziarsi la presenza di sia pur minime tracce di sostanze grasse od oleose riconducibili ad una eventuale lubrificazione o ingrassaggio dell’arma stessa.

[…]

Resa vana tale possibilità, l’attenzione si è dovuta necessariamente appuntare su quelle impronte (da rigatura e da percussione) che in qualche modo avrebbero potuto evidenziare una differenza di impressioni riconducibile a fenomeni di usura o di corrosione a carico sia di elementi statici (rigatura), che di elementi meccanici (percussore, estrattore).

[…]

Nello stesso senso, “mutatis mutandis”, può argomentarsi che, relativamente alle impronte da percussione (fotografie nn. 179 e 180) e a quelle da espulsione (fotografie nn. 181 e 182): anche con un ingrandimento fotografico, particolarmente forte, non è possibile rilevare dissimilitudini tali da poter fare ipotizzare l’insorgenza di fenomeni da usura o da corrosione verificatisi tra il 1968 ed il 1982.

Premesso quanto sopra, i sottoscritti periti sono del parere che l’arma, utilizzata per i 5 duplici omicidi, abbia conservato, nel corso degli anni la sua efficienza iniziale in conseguenza, molto verosimilmente, sia di un uso oculato che di un’idonea manutenzione.




Le apparenti differenze tra l'analisi di Zuntini e quella di Arcese e Iadevito

In altri termini, Lettore, cerco di riassumerti quanto riportato sopra; sebbene infatti abbia tentato di sfrondare quanto scritto nelle perizie, l’espressione di semplici concetti da parte di Arcese e Iadevito avviene con una tale verbosità ed uso improprio della punteggiatura (l’ultimo concetto sopra, che si sarebbe potuto esprimere in sei righe, è espresso in sei pagine dattiloscritte) da rendere necessaria una sintesi.

Vi è da premettere come sembri che Zuntini, purtroppo, non abbia reso disponibile alcuna fotografia dei reperti, basando piuttosto la perizia sulla loro descrizione; le uniche immagini di essi sono state riprese in seguito al loro recupero dal fascicolo e quindi, abbastanza ovviamente, non provano un bel nulla. Arcese ed Iadevito, invece, seguirono dichiaratamente un criterio opposto: non descrissero bensì fotografarono. E’ difficile comparare descrizioni con immagini; nondimeno dalle immagini dei bossoli del 1968 (o presunti tali) non si evince alcuna tenuità dei segni di estrazione ed espulsione, che appaiono invece ben marcati.

Comunque sia, Zuntini segnala un eccessivo rigonfiamento dei bossoli repertati ed una difficoltosa rilevabilità, anche con mezzi ottici, dei segni di estrazione ed espulsione, ed attribuisce ciò ad notevole usura e scarsa manutenzione dell’arma.

Dai segni del percussore, inoltre, Zuntini, pur effettuando prove di sparo con ben 35 tipi di calibro 22 L.R., non riesce ad identificare con precisione quale possa essere stata l’arma che ha sparato; Arcese e Iadevito, invece non hanno la benché minima difficoltà ad individuare una Beretta serie 70 come l’arma utilizzata per esplodere i colpi

Anche dai segni sui bossoli poi, Zuntini deduce che l’arma sia usurata e mal tenuta; Arcese ed Iadevito, sempre sulla base di quanto rilevabile dai reperti, asseriscono che l’arma, almeno dal 1968 in poi, sia stata ben tenuta e sottoposta a manutenzione. E ciò lo desumono sia dai bossoli, sia dai proiettili.

E proprio sui proiettili si era accesa la più accanita diatriba, in quanto su tre di essi vi sarebbe una discordanza nel numero di rigature riportate nelle due perizie; ciò è stata considerata, dagli eretici assertori della sostituzione fraudolenta la prova che tale sostituzione sia senz’altro avvenuta. Ma occorre precisare come tale dubbio, relativo alla discordanza nel numero delle rigature, fosse stato sollevato nell’ambito del GIDES, dal Vice Sovrintendente Natalini nel marzo del 2005; se poi anche il GIDES debba essere considerato un ambito “eretico”, più che "ufficiale", sarebbe argomento di un’altra discussione, a cui sarebbe inopportuno dare inizio qui.

Qualcuno, poi ha voluto rilevare una differenza altrettanto macroscopica sui bossoli, in quanto nel rapporto Matassino è riportato come

Le cartucce adoperate, e recnti sul fondello la lettera “H”, sono cartucce costruite dalla Ditta Giulio Fiochi di Lecce ed in vendita presso tutte le armerie.

mentre i bossoli appartengono a cartucce di produzione Winchester.

Posta in questi termini, sembrerebbe indubbio che le descrizioni si riferiscano a reperti differenti, in quanto relativi a munizionamento differente, impiegato su armi differenti, di cui una non ben identificabile ed usurata e l’altra identificabile in una Beretta serie 70 ben mantenuta.



Le motivazioni fornite per spiegare le differenze nelle descrizioni

Vediamo allora come faccia la Moderna Mostrologia a dirimere tale discrepanza descrittiva, a rendere uguale ciò che nella descrizione è diverso, consentendo così di ricavare una verità unica da due “opinioni” scientifiche diverse.

Per la differenza rilevata tra il numero di righe dei proiettili fa entrare in gioco un noto fenomeno chimico-fisico: la corrosione.

"Effettivamente, il... Arcese e Iadevito parlano di due rigature, ma... non dicono che questo proiettile si differenza dagli altri. Dicono che é stato sparato dalla stessa arma; questo vuol dire che le altre quattro rigature erano state... erano sparite per la corrosione. Cioè... allora, mettiamoci nei panni di chi avrebbe sparato questo proiettile per poi metterlo nel, ehm... nel fascicolo Mele, no? Al posto di quelli originali che, forse, erano stati distrutti; e cosa avrebbe fatto, avrebbe sparato con una pistola con due sole rigature? A parte che una pistola così non esiste; esistono pistole con rigature da quattro a otto, no? Ma, avrebbe sparato con una pistola con due rigature? E' evidente che avrebbe sparato con una pistola...eeeh.. ed il proiettile che sarebbe...con la pistola diciamo de de... ed il proiettile... con la sua pistola, la pistola del Mostro, ed il proiettile sarebbe uscito con sei rigature, vuol dire che quella, quella, quella rigatura lì... quelle rigature mancanti erano sparite per la corrosione, in tutti quegli anni. Anche perché i proiettili vennero spesso, soprattutto quelli... estratti dai corpi, vennero, ehm... subirono processi di corrosione per... perché non vennero puliti.

C'è l'esempio... ehm...sulla... sulla perizia, questa, di cui si sta parlando, riassuntiva fino a Baccaiano, non se ne parla, non si legge questo...si legge sulla perizia successiva, sempre di Arceri Iadevito, quella sui... sui... ehm sui bossoli superstiti di Giogoli. Si legge in questa perizia: Corre l'obbligo... questa é una premessa che fanno, i periti... corre l'obbligo di precisare che i proiettili, ed i frammenti di essi, repertati in occasione del duplice omicidio in argomento, furono conservati, e in seguito... ehm... e in seguito consegnati, ai sottoscritti, nelle condizioni in cui appaiono alle fotografie... e ci sono le fotografie 1, 1a e 1b...Come é evidente, essi si trova... si trovavano all'interno di provette in vetro, ermeticamente chiuse, e in condizioni precarie di conservazione, poiché ricoperte di sostanze organiche, in decomposizione. Allo stato liquido e solido
"

Vedi Lettore, è noto da secoli come il piombo sia tra i metalli più resistenti, in assoluto, alla corrosione; il “minio”, che veniva usato come vernice anticorrosione su altri metalli, altro non era che ossido di piombo.

Nondimeno, il piombo non é totalmente esente da corrosione. Come gli altri metalli, subisce corrosione galvanica (quando é a contatto di altri metalli di diversa elettronegatività), e chimica. E' resistente all'acido solforico, ma é corroso dall'acido nitrico. Tra gli acidi organici é corroso dall'acido acetico, che spesso viene rilasciato dagli oggetti di legno; questo é uno dei motivi della corrosione delle canne d'organo o delle lastre delle soffittature delle chiese.

Se dovesse servirti un riferimento bibliografico per i vari tipi di corrosione che subisce il piombo, puoi leggere

3.11 - Corrosion of Lead and its Alloys di S.B.Lyon, del Corrosion and Protection Center, School of Materials, University of Manchester, Manchester M13 9PL, UK

che si trova alle pagine 2053-2067 del volume 3 di Shreir's Corrosion, pubblicato anche online da Elsevier.

Per quel che riguarda la corrosione chimica, essa é di solito autolimitante; i composti chimici risultanti dalla reazione del piombo con gli agenti ambientali si depositano sulla superficie dell'oggetto in piombo, ed agiscono da strato protettivo, limitando il contatto con gli agenti atmosferici ed il progredire della corrosione. Se lo strato protettivo viene parzialmente asportato meccanicamente, il processo di corrosione può progredire; é quello che avveniva nelle tubature in piombo, in cui lo scorrimento dell'acqua consentiva la progressione della corrosione. O nelle canne d'organo, da parte dell'aria.

Chiaramente, in un oggetto conservato al chiuso (che sia busta di plastica, che sia provetta), questi meccanismi sono meno operanti, sia perché non vi é abrasione meccanica da parte di correnti d'aria, sia perché non vi é esposizione agli inquinanti. In simili condizioni, a che velocità procede la corrosione?

Credo che per materiali conservati in tali condizioni non vi siano studi; possiamo però fare riferimento a condizioni ambientali relativamente "buone", in cui sono ancora operanti effetti ambientali (meccanici e chimici), ma di entità minore, rispetto ad altre condizioni (ad esempio ambienti urbani inquinati, ambienti sottomarini, etc. ). Potremmo pensare ad un ambiente semiarido, ambiente nel quale la corrosione progredirà comunque più rapidamente rispetto al caso di un oggetto custodito, ma sarà relativamente lenta. Possiamo assumere che la minima velocità di corrosione in quelle condizioni ,sia paragonabile alla velocità massima di corrosione di un oggetto conservato.

Per un tale riferimento possiamo rivolgerci alla tabella 3 in Corrosion of Lead and Lead Alloys, contenuto in

ASM Handbook, Volume 13B: Corrosion: Materials S.D. Cramer, B.S. Covino, Jr., editors, p195-204

Sulla base di determinazioni ventennali, la perdita di strato superficiale per corrosione in ambiente semiarido é stata quantificata in 0,102 micron per anno. Cioè, in quelle condizioni (comunque meno favorevoli rispetto a quelle in cui si trova un oggetto conservato in provetta o in busta) la riduzione di spessore é un decimillesimo di millimetro per anno.

Non ci resta che fare una stima della profondità delle rigature per calcolare il tempo occorrente alla corrosione per far scomparire una rigatura.

Le rigature presenti sul proiettile sono solchi provocati dalla presenza da rilievi (i c.d. “pieni”) che percorrono in senso spiroidale la canna dell'arma, e che servono ad imprimere un moto rotatorio al proiettile. Tali rilievi vengono realizzati nel corso del processo di fabbricazione, e quindi sono identici per tutte le armi di un determinato tipo. La lavorazione della canna avviene però con utensili la cui precisione ha delle tolleranze; pertanto, i rilievi a livello microscopico presenteranno delle differenze che si manifesteranno come microstriature all'interno dei solchi; in questo, ogni canna é diversa da un'altra. Quindi, dai solchi sarà possibile risalire al tipo (o alla classe) dell'arma utilizzata, mentre le microstrie all'interno dei solchi consentiranno di differenziare la singola arma rispetto ad altre dello stesso tipo. Le microstriature da lavorazione, inoltre, saranno integrate da quelle dovute all’uso dell’arma, rendendo le caratteristiche di ogni arma, da questo punto di vista, uniche.

Poiché il proiettile, in origine ha superficie liscia, la profondità dei solchi avrà la stessa dimensione, in "negativo", dei rilievi; qual é la dimensione dei rilievi?

Possiamo fare riferimento a quanto tratto dalle note didattiche per il Corso Istruttori UITS - Ente Pubblico (che a loro volta fanno riferimento essenzialmente a: Ugolini Alberto, L’esperto balistico, Vol.1 – Le armi, il munizionamento e le balistiche, Ed. Olimpia, Firenze, 1983) che dice testualmente:

Lo spessore dei pieni (altezza del cavo) è vario: solitamente va da 1/50 del calibro e meno, per i proiettili piu morbidi ed a bassa velocità (piombo). a 1 l160 (e meno per i piccoli calibri, in ogni modo mai meno di 0,1 mm.) per gli altri tipi di proiettile.

Quindi, anche qui nel caso più sfavorevole (rigatura meno profonda, 0,1 mm), per far scomparire un solco della profondità di un decimo di millimetro occorrerebbero... mille anni!

Poi, certo, se occorre cercare di "verificare" (nel senso odifreddiano di “fare vera”) la propria tesi, in mostrologia é lecito affermare che i quindici anni trascorsi dall perizia di Zuntini a quella di Arcese Iadevito equivalgano ad un millennio; così come, se fosse utile alle affermazioni mostrologiche, non si esiterebbe ad affermare che Nell'Area 51 c'é un'astronave aliena, che lo sbarco sulla Luna non é mai avvenuto e che gli aerei rilasciano scie chimiche. Ma queste Lettore, non sono panzane che un opinionaro come me può bersi.

Quello che però non sarebbe comunque lecito, é affermare che Arcese e Iadevito abbiano in qualche modo sostenuto la teoria mostrologica della corrosione fulminante. Non é giusto; loro non avrebbero mai affermato una sciocchezza di tale portata. Sostenere che l'abbiano fatto é una scorrettezza, la cui entità non può essere mitigata neppure dalla "ragion mostrologica".

Vediamo cosa dicono esattamente nella perizia che ci interessa, e cioè quella del 1983.

"Premesso quanto sopra é d'obbligo precisare, a tal punto, che l'esame dei proiettili in reperto si é appalesato particolarmente difficoltoso per diversi motivi. Il primo fra tutti é da addebitarsi alle deformazioni derivate in seguito agli impatti balistici. Tali deformazioni sono particolarmente evidenti, sia per la natura del metallo (piombo nudo o piombo ramato mediante galvanizzazione), sia anche per la conformazione tipica dei proiettili cal. 22 L.R. nei quali il rapporto fra la lunghezza ( mm 12,5) ed il diametro (mm 5,6), decisamente sproporzionato, favorisce, al momento dell'impatto, il formarsi di fenomeni di torsione che, anche se minimi, incidono sulla conformazione ed angolazione dei macro-profili e sulla dislocazione plastica dei micro-profili.

A questa fenomenologia di carattere oggettivo, fa riscontro una serie di fenomeni che denomineremo soggettivi, in quanto si riferiscono alle condizioni di ogni singolo reperto, con riguardo allo stato di conservazione. Infatti, molti dei proiettili repertati e purtroppo ivi compresi quelli utili per confronti, non essendo stati sottoposti ad un'immediata pulizia all'atto dell'estrazione dai cadaveri, hanno la superficie interessata da residui di materiale organico che, una volta essiccatisi, potrebbero essere asportati, ma con l'enorme pericolo di modificare il metallo sul quale hanno fatto corpo unico, il che comporterebbe la distruzione di tutti quei microprofili sulla cui importanza si é scritto prima.
"

In mostrologia questo significa "corrosione".

La mia “opinione” é che voglia dire un'altra cosa. La mia opinione é che voglia dire:

"Quando un proiettile di metallo malleabile come il piombo impatta, si deforma. La deformazione può alterare i macroprofili (cioè i solchi, ovvero le tracce della rigatura della canna) e a maggior ragione i microprofili (le striature all'interno dei solchi). Inoltre, é rimasto materiale organico adeso ai proiettili (sangue, tessuto). Se i proiettili fossero stati lavati subito, il lavaggio avrebbe asportato senza problemi il materiale organico; ma adesso che é diventato secco, si dovrebbe spazzolare via. E questa operazione deformerebbe meccanicamente le microstrie, quindi non ci siamo arrischiati a farla".

Vedi, Lettore, fosse stata “corrosione”, sarebbe stato di gran lunga più semplice, Vi sono comunque delle metodiche che consentono il ripristino dello stato metallico, invertendo parte delle reazioni chimiche; se sei curioso, puoi trovarne un esempio in:

Methods of Conserving Archaeological Material from Underwater Sites by Donny L. Hamilton

ma qui non é un problema di corrosione; non é la degradazione dello strato superficiale di piombo che devi rimuovere. Devi rimuovere incrostazioni di carne e sangue. E per quelle, la tecnica é di asportazione meccanica.

Ma i mostrologi hanno mille risorse. Utilizzano affermazioni eseguite in contesto peritale diverso e riferite ad altri reperti,e... al diavolo la buona fede! Che vada a farsi benedire insieme alle verità di Odifreddi!

Infatti, per giustificare l'evaporazione delle rigature viene tirata in ballo la conservazione dei proiettili di Giogoli, assolutamente dissimile dalle altre. E comunque Arcese e Jadevito dicono, anche lì:

"Il non avere effettuato una tempestiva pulizia e l'averli repertati in contenitori che non consentivano l'evaporazione dei liquidi, ha condotto, come conseguenza ad una trasformazione chimico-fisica degli strati superficiali della lega in piombo con la quale i proiettili erano stati fabbricati; addirittura, su alcune parti, sono state notate, al microscopio. vistose formazioni microcristalline che, interessando impronte di vitale importanza ai fini dell'indagine balistica, hanno reso vano, per aver distrutto microstriature di tipo filamentoso, ogni eventuale esame comparativo"

Quindi la corrosione, persino nel caso di Giogoli, avrebbe semmai interessato le microstriature, non le righe... ma che profondità possono avere queste microstriature?

Quella, evidentemente, delle tolleranze dell'utensile (per un'arma costruita prima del 1968, sempreché sia realmente stata costruita prima del 1968, avrebbe anche potuto essere una broccia) per scavare le rigature elicoidali. Per una superficie sgrossata con utensili, la rugosità é 10-12 micron. Un decimo della profondità minima delle righe, con un livello di corrosione comparabile a quello che si ha in acqua marina. Ma quei proiettili, e cioè solo quelli di Giogoli, sono stati immersi in liquidi organici che non sono evaporati per via della chiusura ermetica; ben altra situazione rispetto agli altri proiettili esaminati, di cui viene esplicitamente detto che i residui sono essiccati.

D'altra parte, Lettore, ragioniamo un momento da persone comuni anziché da mostrologi: Se la corrosione avesse cancellato proprio le tracce che servono all'esame comparativo, si sarebbero mai sbilanciati Arcese e Iadevito a dire, nel 1983, che i proiettili erano stati sparati con la stessa arma? Se la corrosione dei proiettili si fosse spinta ad un punto tale da cancellare le rigature, se addirittura sparisce una struttura che ha dimensioni di un'ordine di grandezza superiore, come avrebbero mai potuto stabilire se i proiettili appartenevano alla stessa arma o meno?!? Loro erano periti, mica mostrologi!

Non saprei, Lettore, come definire questa sorta di spiegazione nella vita normale. In Mostrologia è “verità”, ma nella vita normale, tentare di indurre qualcuno in errore scrivendo, in un atto pubblico, che può avvenire in quindici anni ciò che normalmente avverrebbe in mille, e richiamare a supporto una perizia scritta in un’altra occasione per reperti che nulla hanno a che fare con quello in esame, integrerebbe il reato di “falso ideologico”. Quando non si tratta di atto pubblico, ma di un articolo su un blog o di un video su in canale YouTube, non saprei come etichettarlo… “falso”, e basta?

Ma tant’è… ognuno ha la facoltà di falsificare qualunque idea ritenga opportuno per raggiungere i propri mostrologici fini; ciò che non potrebbe fare è incolpare qualcun altro di falso ideologico; tecnicamente si chiamerebbe “calunnia”, ed è reato. Per cui sinceramente io, se fossi un mostrologo, dopo aver discettato sui proiettili in tal modo, almeno sui bossoli avrei preferito passare; capisco che Zuntini è deceduto, quindi nessuna querela verrà mai sporta. Ma la ritengo una questione di correttezza morale.

Dopo i proiettili, vediamo allora come la moderna mostrologia risolve il problema relativo alla discrepanza sulla valutazione dei bossoli:

"Allora, però...parliamo un attimo di Zuntini, ricordiamoci quello che successe con la perizia del '74, no? Dove... Zuntini, per far tornare i suoi conti sulla pistola che... ehm. avrebbe sparato dalla...dal lato del... del passeggero, mentre i bossoli erano dall'altra parte, eh... tirò fuori il discorso dell...del fatto che i bossoli sarebbero schizzati contro il...il...lo... lo sportello, il finestrino dello sportello aperto, e... sarebbero rimbalzati dall'altra parte dell'auto, no? Una cosa che sta assolutamente... non, che non sta in piedi, perchè non... abbiamo già visto nel video apposito, non é che una pistola era in una posizione precisa, che il bossolo sarebbe schizzato proprio, nello stesso punto dove vennero trovati tutti e cinque lì, no? La pistola si muoveva durante il...durante la... l'azione, chissà dove sarebbero andati questi bossoli, sempreché avessero picchiato contro il finestrino de, de... della portiera. Ma la cosa più grave é che Zuntini, nella sua perizia, del '74, asserisce che avrebbe fatto delle prove che gli avrebbero confermato questa... questo fatto, no? Questo, questo fatto de... del rimbalzo dei proiettili dall'altra parte. Ecco, io penso che queste prove Zuntini non le fece. Le scrisse nella perizia, ma sono prove impossibili, non sarebbe riuscito a fare una cosa del genere. E lo scrisse nella perizia per... far quadrare un po' i suoi conti, no? Ora, io mi chiedo se nella perizia del '68, dove lui intendeva dimostrare che l'arma era un'arma usurata, non avesse fatto la stessa cosa... con le impronte di estrazione e... e di espulsione.

Lettore, nella mia vita mi è accaduto una sola volta di redigere una CTU (non balistica, certamente); è stato tanti anni fa, nell’ambito di quello che è stato il maggior processo penale d’Italia, e forse del mondo. Fu un’esperienza sgradevole e negativa per me, e per questo mai più reiterata; un solo evento mi rimase impresso indelebilmente come emozione positiva: il giuramento dinanzi al Presidente di Corte d’Assise.

Non sono un “uomo delle istituzioni”, né mai lo sarò (considerato anche che anagraficamente non ne avrei la possibilità di diventarlo in futuro); ma se il giuramento impressionò persino me, dubito fortemente che un servitore dello Stato, quale Zuntini era, abbia potuto giurare prima e scrivere poi il falso “nella perizia per... far quadrare un po' i suoi conti”. Forse nella notte tra il 14 ed il 15 settembre del 1974 le cose andarono in modo diverso (anzi, personalmente ne sarei più che convinto) da come le ricostruì Zuntini, ma un conto è affermare che Zuntini, nel tentativo di spiegare l’inspiegabile, abbia potuto sbagliarsi, un altro è asserire che non abbia realmente condotto una prova nell’ambito di un lavoro per il quale è stato retribuito, pur sostenendo di averlo fatto, il che implicherebbe una violazione dell’articolo 373 del Codice Penale

Magari penserai, Lettore “Be’, questa è solo la tua opinione, mica una verità mostrologica! Non conta niente…” Vero; ma mostrologia o meno, calunniare le persone conta.



Accuse gratuite, e senza contraddittorio

Allora, innanzitutto ricordiamoci che Zuntini aveva interpretato, nella sua perizia del '68, il rigonfiamento che venne trovato sui bossoli, il rigonfiamento vicino al collarino, come un indice di una pistola vecchia, usurata. Una pistola che aveva la camera di...di... di sparo... ehm... troppo grande, una molla... di... che... che caricava la, la... il bossolo... che caricava la cartuccia... un po'... po' rovinata, forse, adesso non mi ricordo bene, ma... in sostanza la pistola, secondo Zuntini, era usurata. E questo aveva provocato questo rigonfiamento. In anni recenti abbiamo visto che, da un'intervista del generale Schiavi, i motivi di questo rigonfiamento del collarino, de...de...de...del bossolo erano altri. E' perché vennero usate delle cartucce, per carabina, troppo potenti per una pistola, e l'effetto era stato quello... ehm... di creare questo rigonfiamento. Tra l'altro, questo rigonfiamento venne trovato da Zuntini anche nel '74, ma nel '74, non.. ehm... giunse ad alcuna conclusione sul fatto che la pistola fosse usurata, non parlò affatto di pistola usurata. Evidentemente, nei sei anni... intercorsi tra il '68 ed il '74, qualcuno gli aveva detto: Guarda che. questo... questo rigonfiamento sul collarino non é dovuto ad una pistola usurata, no? Io penso... perché sennò l'avrebbbe fatto... lo stesso discorso l'avrebbe fatto nel '74"

Giunti a questo punto, riepiloghiamo un momento la ricostruzione mostrologica, che ci fornisce l’altrettanta mostrologica verità.

Accade un duplice omicidio. Il magistrato inquirente individua qualcuno per affidargli l’incarico di eseguire una perizia giurata sui reperti balistici dell’omicidio; e lo individua sulla base delle competenze professionali e dell’esperienza acquisita nel corso degli anni, considerato che il qualcuno ha 55 anni. Il qualcuno invece, sebbene finga di presentarsi (all’avvocato Filastò, nello specifico) come un onesto ed attento professionista, non ne capisce un’acca, e millanta competenze che non ha; scrive quattro ...zate sulla perizia, e la consegna al magistrato (a PierLuigi Vigna, nello specifico). Nonostante questo, sei anni dopo gli viene affidata una perizia analoga; per fortuna, però nell’intertempo era passato di là un mostrologo che gli aveva detto “Guarda che la faccenda del rigonfiamento è una …zata. Non lo scrivere più”. E lui, ringraziandolo per averlo illuminato, non lo ha scritto più.

Questa, Lettore, farebbe il paio con quella del Mainardi che pur perfettamente in grado di scavalcare i sedili, rimarrebbe immobile quando giungono persone che potrebbero soccorrerlo al fine di consentire al Mostro di sparargli in testa... si potrebbe apprezzare l'inventiva, se come già sottolineato, non fosse da codice penale.

In pratica, la mostrologia é quella scienza che, invece di usare le relazioni peritali per costruire una rappresentazione della realtà in accordo con esse, si avvale di una rappresentazione aprioristica della realtà per determinare quanto siano valenti i periti.

Ora, Lettore, cerchiamo di abbandonare questa "sindrome di Münchhausen per procura" e torniamo con i piedi per terra, a ragionare come fanno le persone normali nella vita di tutti giorni, ad esprimere banali opinioni anziché improbabili verità mostrologiche.

Perché, vedi, delle due l’una: o parti dal presupposto che le perizie non servano a nulla, che commissionarle sia uno spreco di denaro pubblico, e leggerle sia una perdita di tempo, ma in questo caso devi adoperarti per garantire la validità della catena di custodia, così da poter condurre le tue perizie alla bisogna e con l'assoluta certezza riguardo a ciò che stai periziando; oppure le consideri parte integrante e valida dello svolgimento delle indagini, ed allora devi tenerne conto, tanto più se hai fatto venir meno la catena di custodia. Se non sei stato diligente nel custodire i reperti, la perizia è tutto ciò che hai per cercare di capire se i tuoi reperti siano ancora probanti o meno.

Vediamo innanzitutto di stabilire se la perizia di Zuntini sia obiettivamente cattiva o inattendibile. Chi lo asserisce? In base a cosa? Da chi è costituita la commissione d’esame dinanzi alla quale Innocenzo Zuntini è costretto a comparire?

Prima di tutto, lo asseriscono i mostrologi; ma questa è la loro verità, che non coincide con la verità scientifica di Odifreddi; ah, già quella è un’opinione…

Dovremmo allora sentire l’opinione di altri periti balistici; che cosa, in buona sostanza, renderebbe inattendibile la perizia di Zuntini? Da cosa esattamente si desume che essa sia una “cattiva perizia”?

Ecco cosa dice un perito balistico:

"Cosa dicono i medici legali in relazione alla ferita alla spalla... quindi al tramite... alla spalla di Barbara Locci. Allora... leggo testualmente:Nella faccia posteriore della spalla sinistra, a distanza di otto centimetri... (??? - incomprensibile) dal limite posteriore dela cavo ascellare corrispondente è presente una soluzione di continuo della cute di forma lievemente ovalare delle dimensioni di 7 virgola 6 mm., con maggiore asse lievemente obliquo dal basso verso l'alto e, da sinistra verso destra, con margini frastagliati eccetera... Allora, concentriamoci su questo. Allora... dal basso verso l'alto. Dice un asse, dal basso verso l'alto. Occhei, questo é chiaro! Margini frastagliati. estroflessi, eeeaaahh.... va bene, c'é un alone escoriativo ma questo non ci interessa. Quindi abbiamo capito che secondo il medico legale, qui c'é scritto in maniera netta... c'é un obliquo asse che va dal basso verso l'alto. Ora leggo la perizia Zuntini. Vediamo cosa dice Zuntini in relazione a questa... ferita, questo tramite: In sintesi la Locci fu colpita da 4 proiettili dei quali 1 alla spalla sinistra con direzione prevalente dall'alto verso il basso... Cioé... Zuntini dice l'esatto contrario. Quindi, allora, secondo i medici legali, il tramite... questo proiettile viaggia... ehm... dal basso vero l'alto, secondo Zuntini é l'opposto"

Questa è una trascrizione “full verbàtim”; ma l’esaminatore sarebbe inascoltabile, perché per esprimere un concetto di poche parole impiega un tempo infinito. Per dire che la perizia Zuntini ed il verbale di autopsia sono in contraddizione riguardo alla ferita alla spalla della Locci, impiega... quattro minuti!

Tuttavia, questo non é necessariamente un male, anzi. Fra pause, sospensioni, anacoluti, dialisi... dopo un po' uno si scoccia ed evita di ascoltare. Evitando così di sentire castronerie.

Cerchiamo di sintetizzare. Nel verbale di autopsia é scritto:

"Nella faccia posteriore della spalla sinistra [...] è presente una soluzione di continuo della cute di forma lievemente ovalare delle dimensioni di 7x6 mm., con maggiore asse lievemente obliquo dal basso verso l'alto e, da sinistra verso destra... "

Nella perizia Zuntini é scritto:

"In sintesi la Locci fu colpita da 4 proiettili dei quali 1 alla spalla sinistra con direzione prevalente dall'alto verso il basso... "

In pratica, nel verbale di autopsia si sta parlando della forma del foro di entrata, che é leggermente ellittico, e ne viene descritto l'orientamento, sul piano cutaneo, dell'asse maggiore rispetto alla verticale. Si sarebbe potuto scrivere anche "lievemente obliquo dall'alto verso il basso e da destra verso sinistra" e sarebbe stato lo stesso.

Zuntini parla invece della direzione del proiettile, e quindi dell'orientazione del tramite creato dal proiettile.

Si sta parlando di due cose assolutamente diverse. L'unica affermazione del perito sulla quale concordo é che "queste cose vanno sapute leggere" (per essere precisi, concordo totalmente sul concetto, meno sulla grammatica)

Le altre critiche riguardano il mancato reperimento da parte nel perito necroscopo di un proiettile ritenuto nel cadavere del Lo Bianco che, ragionevolmente, ci si sarebbe aspettato di rinvenire nello stomaco (ma che c'entra Zuntini?!?) e la mancata menzione della posizione esatta dei segni di estrattore ed espulsore, sulla quale Zuntini dà riferimenti "generici".

Tali segni erano così poco marcati che Zuntini non li considera neanche per determinare di come si trattasse di un'arma semiautomatica, preferendo fare riferimento alla posizione dei bossoli ed al rigonfiamento del collarino; come influirebbe ciò sulle risposte ai quesiti che gli erano stati posti? Infatti, a Zuntini venne chiesto di determinare tipo e calibro dell’arma, nonché di pronunziarsi sull’unicità di essa; le prove di poligono per cercare di individuare il modello furono condotte su iniziativa dello stesso perito (“Non ritenendo sufficiente tale elemento abbiamo voluto condurre delle prove di poligono…”)

Sarebbero queste le critiche da muovere alla perizia?!? Sono queste le argomentazioni che la invaliderebbero?!?

Dispiace constatare come in questa vicenda si cerchi di infangare gratuitamente la memoria di professionisti pur di sostenere le proprie tesi. Zuntini avrebbe certamente meritato censori di caratura (professionale e morale) ben diversi.

Vediamo il parere di un altro perito, intervistato sempre riguardo alla validità della perizia di Zuntini, della quale critica le affermazioni riguardo all'usura dell'arma. E questo é ciò che afferma riguardo alla possibilità che l'arma fosse di produzione High Standard:

C.: "Non può essere una High Standard…?"

G.:" Assolutamente no! L'High Standard, come ho già avuto modo..."

C.: ">Perché?
"

G.:" ....come ho già avuto modo di dire più volte, lasciano una traccia di percussione del tutto differente. E' rotondeggiante, non quadrangolare. Quindi... esclude tutta la serie delle High Standard. Non esiste una sola arma di produzione High Standard, che, ricordiamo, é una ditta statunitense, calibro 22 LR, che lasci impronte di percussione quadrangolari.. Sono tutte rotondeggianti."

Questo, Lettore



é il risultato di una prova di sparo effettuata da Romano Schiavi: a destra una High Standard Citation Supermatic, a sinistra una Beretta calibro 22 serie 70. Ti sembra che l’impronta sia "del tutto differente" da quella della Beretta? Ti sembra “rotondeggiante”? Allora, puoi dire in tutta sincerità che chi rilascia simili dichiarazioni conosca realmente l’argomento che sta trattando? Puoi considerarlo affidabile?

Non so bene, Lettore, come etichettare il comportamento di chi, pur dimostrando di non avere idee riguardo all'argomento di cui pretende di trattare, si rivolga ad altri tacciandoli di incompetenza sol perché, ormai deceduti, non sono in grado di difendersi;il primo concetto che mi verebbe in in mente sarebbe "viltà"....

Il fatto, però di aver tirato in ballo Romano Schiavi, che appare come un perito che possiede una maggiore perizia (cioé, un perito di nome e di fatto), ci darebbe la fortunata possibilità di rivolgersi a lui per “una perizia sulla perizia” di Zuntini; cosa pensa al riguardo Romano Schiavi?

Ho esaminato le perizie fatte da questi tecnici, tre tecnici, primo dei quali è un ufficiale di artiglieria, il quale ha fatto un lavoro, diciamo, ehm.. improbo, perché privo di mezzi… dei mezzi che si adoperano oggi nor…normalmente per le…comparazioni; perché ha adoperato soltanto delle lenti, eccetera… però, è arrivato a dei risultati abbastanza buoni, insomma, tanto più che concordano con quello del secondo e terzo perito…

Quindi, Romano Schiavi non pensa affatto che Zuntini sia incompetente; chi non è in grado di leggere correttamente una perizia medico legale o chi non conosce le armi di cui pretende di parlare invece lo pensa. E questo è già qualcosa.

Esiste però un punto di contatto tra i mostrologi, il perito che pontifica sui segni di percussione delle High Standard senza peraltro conoscerli, e Romano Schiavi: la gente non legge.

Veniamo innanzitutto ai bossoli di “cartucce costruite dalla Ditta Giulio Fiocchi di Lecce”

Punto primo: le cartucce “Fiocchi” recano una f sul fondello e non una “H”; nell’immagine comparativa di Schiavi, il bossolo a sinistra è quello di una cartuccia Fiocchi

Punto secondo: non è mai esistita alcuna “Ditta Giulio Fiochi di Lecce”. Lo stabilimento della Fiocchi si trova a LECCO, non a Lecce.

Ciò che è scritto nel rapporto Matassino è solo una grossolana inesattezza, che peraltro Zuntini corregge, di fatto, con la sua perizia:

I bossoli sono n. 5, tutti identici, di ottone della stessa marca e della stessa partita. Hanno impresso sul fondello, al centro, una H; tale lettera indica che si tratta di bossoli originali Winchester, la nota fabbrica americana di armi e munizioni di New Haven – Connecticut – U.S.A.; lettera impressa sulle cartucce in onore di Henry Tyler sovraintendente tecnico della Winchester instauratore appunto della cartuccia a percussione anulare quali sono quelle in giudiziale sequestro.

Il problema è inesistente. Ciò che invece è esistente, e che dispiace, è il fatto che nemmeno Romano Schiavi legga con la dovuta attenzione neppure ciò che scrisse Zuntini.

Vediamo di farlo noi, insieme, Lettore.



Cosa vide Zuntini nel 1974, e cosa aveva visto nel 1968

Per prima cosa, sgombriamo il campo da un equivoco: Zuntini non ha mai scritto nella sua perizia del 1968 che il famoso rigonfiamento del colletto del bossolo fosse da attribuire ad un difetto della molla di recupero. Mai. Zuntini disse questo durante un intervista a Filastò, sedici anni dopo avere scritto la sua perizia; ma all’interno della perizia, questo non c’é.

Pertanto, qualunque critica alla perizia di Zuntini che si basi su un simile presupposto è priva di fondamento.

Conseguentemente, ciò che possiamo fare per cercare di comprendere quale concetto Zuntini intendesse esprimere è paragonare la sua perizia ad un’altra perizia da lui stesso redatta, e nel quale il rigonfiamento viene menzionato, e cioè quella del 1974; ma per far questo dobbiamo cercare di liberarci dal pregiudizio mostrologico che vorrebbe che Zuntini abbia appreso qualche elemento di balistica interna intorno ai sessant’anni di età e dal primo che passava di lì, e supporre invece che, da colonnello dell’esercito e perito scelto dall’autorità giudiziaria, un minimo di competenze le avesse già nel 1968.

Zuntini rileva perfettamente, e riporta la presenza del rigonfiamento sui bossoli, sia nel 1974, sia nel 1968, ma nei due casi descrive il reperto in maniera molto diversa:

1974:

Sennonché esaminando attentamente i bossoli con una lente (oppure al microscopio) ci si rende conto benissimo che egli stessi furono invece esplosi con una pistola automatica, in quanto sul fondello di ciascuno di essi è visibile il duplice segno dell’espulsore…

[…]

Altro segno caratteristica delle pistole aut. è rilevabile alla base della parte cilindrica di ciascun bossoletto, quasi a contatto con l’orletto anulare di base (rim), in posizione diametralmente opposto al segno del percussore che è visibile sull’orlo della faccia di ciascuno fondello; tale segno è costituito da un piccolo rigonfiamento che si forma per la mancanza di appoggio in tal punto in corrispondenza del quale sull’arma abbiamo la gola di caricamento della cartuccia.

1968:

sulla parte cilindrica, a ridosso del righellino (orlo del fondello) si rileva un piccolo rigonfiamento; la posizione di esso è fissa ed identica in tutti i bossoli; essa è rilevabile, anche ad occhio nudo, fra le ore 17 e le 19,30 circa, con la maggiore protuberanza in corrispondenza, o poco oltre, delle ore 18

In pratica, il rigonfiamento sui bossoli del 1974 viene menzionato a proposito dell’esame con l’ausilio di mezzi ottici, mentre sui bossoli del 1968 sarebbe stato visibile ad occhio nudo, e ne sarebbe stata descritta addirittura la dimensione, che avrebbe interessato la circonferenza del bossolo per un’estensione tra i 35° ed i 40° della circonferenza (giusto per essere pedanti, Lettore, ad un’ora corrispondono 15 gradi sessagesimali).

Una cosa che terrei a sottolineare qui è che l’unica critica che Schiavi avanza alla perizia Zuntini del 1968, non riguarda le competenze del perito, ma solo i limitati mezzi che aveva a disposizione:

…un ufficiale di artiglieria, il quale ha fatto un lavoro, diciamo, ehm.. improbo, perché privo di mezzi… dei mezzi che si adoperano oggi nor…normalmente per le…comparazioni; perché ha adoperato soltanto delle lenti, eccetera… però, è arrivato a dei risultati abbastanza buoni…

Ma è proprio il rigonfiamento che colpisce Zuntini che non può risentire di tale limitazione, perché é così “macroscopico” che la sua valutazione non necessita di mezzi ottici:

si rileva un piccolo rigonfiamento; la posizione di esso è fissa ed identica in tutti i bossoli; essa è rilevabile, anche ad occhio nudo, fra le ore 17 e le 19,30 circa

Ciò che invece vi è da dire al riguardo è che, purtroppo, anche qui si rileva una scarsa attenzione nella lettura da parte del generale Schiavi:

S:... e lui [Zuntini] si é fermato sul... un altro segno del bossolo, che é un rigonfiamento che c'é vicino all'orletto; e questo lui lo attribuisce ad un rilassamento della molla recuperatrice, mentre molto più facilmente, secondo me, é dovuto al fatto che la cartuccia aveva una potenza troppo elevata per una pistola, e quindi avevamo un piccolo arretramento del bossolo quando ancora il proiettile era in canna

VA: quindi, questo piccolo rigonfiamento del bossolo dove viene osservato?

sopra il coll... il.. l'orletto.

ecco, se dovessimo usare le ore dell'orologio, dove lo collochiamo?

e... alle ore sei circa... lui addirittura dice alle sette e mezzo... insomma, abbastanza... l'inizio e la fine...

fra le 17:30 e le 19 dice...

... ehmmm... no, dalle diciotto...

... alle diciannove....

... alle diciannove... insomma, all'incirca...

quindi in posizione quasi diametralmente opposta...

...opposta a quella del percussore, e quindi questo mi ha fatto pensare che era dovuto al maggiore spazio che ha avuto il bossolo, perché lì finisce la rampa d'accesso alla canna da parte del proiettile

Certo che è dovuto a questo, e Zuntini lo dice pure sia nel 1968:

Tale rigonfiamento prodotto dalla pressione dei gas della carica di lanciodeterminatosi al momento della partenza del colpo, è indubbiamente originato da un difetto esistente nella parte cilindrica terminale (in senso longitudinale) e bassa (in senso verticale) della camera di cartuccia […] dovuto all’usura prodotta dalla cartuccia che viene sfilata dal caricatore ed introdotta nella camera di cartuccia; in tale movimento la stessa sfregando sulla parte bassa dell’orifizio della camera di cartuccia può provocare, nel tempo, l’usura…

sia nel 1974:

…tale segno è costituito da un piccolo rigonfiamento che si forma per la mancanza di appoggio in tal punto in corrispondenza del quale sull’arma abbiamo la gola di caricamento della cartuccia.

La differenza deve allora risiedere nell’entità di essi, tanto che Zuntini ricercò nel 1974 anche tale specifico reperto sui bossoli derivanti dalle prove di poligono (il sottostante disegno è relativo alla Beretta 76 A09722U) :



cosicché nel 1968 lo considera tanto peculiare da poter essere eventualmente utilizzato per aver conferma dell’identità dell’arma




Un’altra evidente differenza riguardo ai bossoli riguarda l’impronta del percussore. Scrive Zuntini nel 1974:




mentre nel 1968 diceva




(mi scuserai, Lettore, se sono temporaneamente passato dalle trascrizioni alle immagini, meno leggibili, ma mi sono accorto di impiegare un tempo infinito a finire il post)

Quindi, Zuntini sembra essersi trovato, nel 1968, di fronte a bossoli che presentavano impronte dell’estrattore e dell’espulsore appena percettibili, un vistoso rigonfiamento, peculiare, del bossolo sopra l’orletto, ed un impronta di percussione non immediatamente riconducibili ad una precisa classe di armi, cui appartenesse una del 35 testate.

Nel 1974 si trova ad eseguire la sua perizia su bossoli che non presentavano alcuna peculiarità né nei segni lasciati da estrattore ed espulsore, né nel rigonfiamento al di sopra dell’orletto, e la cui impronta di percussione è riconducibile senza alcun dubbio ad una Beretta serie 70.

Al contrario, i periti Arcese e Iadevito, valutando dei reperti che dovrebbero essere gli stessi esaminati da Zuntini, non segnaleranno in alcun modo tali differenze tra i bossoli del 1968 e quelli del 1974.

Non solo. Ma anche i periti Salza e Benedetti prenderanno specificamente tale segno in considerazione, nella loro perizia comparativa, senza riscontrare peculiarità.



Forse, comparare perizie sarebbe più corretto che comparare periti...

Vedi, Lettore, forse il modo in cui sono state redatte le perizie, la concatenazione degli eventi e l’attribuzione degli incarichi volge, tutto sommato, a nostro favore, perché ci permette di eseguire controlli incrociati. Mentre per quello che riguarda i bossoli abbiamo avuto la possibilità di verificare come la stessa persona (Zuntini) abbia valutato reperti diversi (1968 e 1974), ora abbiamo la possibilità di verificare come persone diverse (Zuntini e Arcese-Iadevito) valutano gli stessi reperti (i proiettili del 1968, o che tali dovrebbero essere).

Innanzitutto, vediamo di risolvere il problema delle righe mancanti. Per farlo, non abbiamo bisogno di stravolgere il Sistema Periodico degli Elementi, rendendo il Piombo un metallo facilmente soggetto a corrosione; come nel caso del cambiamento di posizione del Mainardi, vi è una spiegazione di gran lunga più semplice.

La rigatura dei proiettili corrisponde, come già accennato prima, ai “pieni” delle righe spirali presenti nella canna dell’arma, che conferiscono un moto rotatorio sull’asse maggiore al proiettile allo scopo di stabilizzarne la traiettoria per effetto giroscopico. Tali rigature possono essere in numero variabile, solitamente da 4 a 8 nelle pistole, ma hanno invariabilmente una disposizione regolare e simmetrica rispetto alla sezione trasversa della canna; può semmai variare il passo lungo la canna stessa. Se quindi osserviamo una canna in sezione vedremo i pieni disposti ad intervalli regolari lungo la circonferenza della canna, e la misura dell’intervallo dipenderà dal numero delle righe. Se le righe sono 4, esse saranno disposte a 90° l’una dall’altra, se sono 6 saranno disposte a 60°, se sono 8 a 45°, e così via




Dalla distanza angolare tra sole due righe adiacenti è quindi possibile ricavare il numero di righe dell’arma.

In seguito all’impatto di un proiettile in piombo contro il bersaglio, esso ne può risultare tanto deformato, o addirittura frammentato, da risultarne la cancellazione delle impronte da rigatura; ma dalle impronte eventualmente rimaste è comunque possibile risalire al numero di righe della canna valutando la loro distanza angolare

Quindi, Zuntini nelle sue perizie, parlando di 6 righe ad andamento destrorso, si riferisce alla rigatura della canna dell’arma come deducibile dall’analisi del proiettile, mentre Arcese ed Iadevito fanno riferimento alle righe effettivamente visibili sul reperto. E’ un problema analogo a quello delle “cartucce costruite dalla Ditta Giulio Fiochi di Lecce”: inesistente.

Così non fosse, si dovrebbe supporre “l’evaporazione” delle righe anche sui proiettili del 1974, per i quali si riproporrebbe lo stesso problema: 6 righe attribuite da Zuntini a tutti i proiettili, 2, 3, 5 o 6 impronte riportate da Arcese e Iadevito sui vari proiettili.

Purtroppo, Zuntini nella descrizione del 1974 entra meno nei dettagli, rispetto al 1968, nella descrizione dei proiettili:

Si tratta di n. 6 proiettili estratti in sede di esame autoptico dei 2 lesi, di cui 4 interi, ma parzialmente deformati, 1 è ridotto a 1/3 del suo volume totale (solo il fondello), 1 è aperto e schiacciato.

Repertiamo inoltre altri 2 proiettili schiacciati, rinvenuti dallo scrivente nell’imbottitura dello schienale del sedile di guida che appariva forato solo in entrata.

Tali proiettili di piombo con ramatura esterna facevano tutti parte di cartucce tipo “solid” cal. 22 Long Rifl. Marca Winchester, le stesse quindi delle quali facevano parte anche i bossoli già esaminati.

E’ importante notare come tali proiettili portano incise, lungo la parte cilindrica, n. 6 rigature destrorse costituenti la traccia dei pieni della rigatura dell’arma;…


nondimeno, la scarna descrizione è consistente con quella di Arcese e Iadevito: di quelli estratti in sede autoptica, quello “ridotto a 1/3 del suo volume totale” è il numero 5), quello “aperto e schiacciato” è il numero 1), quelli estratti dal sedile sono 7) e 8); non vi sono comunque ambiguità, in quanto sia nel 1974, sia nel 1983 e reperti vennero fotografati.

Per i proiettili del 1968, però, le cose vanno diversamente.




Le reali differenze tra l'analisi di Zuntini e quella di Arcese e Iadevito

Non sono disponibili fotografie riprese nel 1968, ma in compenso vi è una descrizione più accurata dei reperti con la specifica, in ambedue le perizie, della provenienza del proiettile, cioè da dove fu estratto. E’ chiaro che una descrizione non può sostituire una comparazione di immagini fotografiche; se però la descrizione comprende elementi francamente incompatibili, è logico supporre che le descrizioni non possano riferirsi al medesimo oggetto.

Per quel che riguarda il proiettile 1) della perizia Arcese-Iadevito, che corrisponde al b) della perizia Zuntini, le descrizioni non presentano incongruenze descrittive, e così il numero 3), corrispondente al d) di Zuntini.

Qualche problema di compatibilità comincia a vedersi nella descrizione del proiettile nr 2), che corrisponde al a) di Zuntini. Fu estratto dalla regione ombelicale della Locci. Zuntini lo descrive come deformato soprattutto in ogiva (ogiva completamente schiacciata) mentre Arcese e Iadevito non menzionano alcuna deformazione e contano 6 righe.

Anche il nr 4) della perizia Arcese-Iadevito corrispondente al c) di Zuntini, e rinvenuto sul pavimento dell'autovettura, darebbe qualche incertezza. Arcese Iadevito non forniscono alcuna descrizione, e contano 4 righe. Zuntini riferisce come esso sia poco deformato (dovrebbe essere quello in condizioni migliori); è già strano che su un proiettile che viene esplicitamente definito, rispetto ad altri, “poco deformato” si contino 4 righe.

Ma una incompatibilità ancor più evidente emergerebbe a carico del proiettile estratto dal corpo di Lo Bianco.

E' il nr 5) della perizia Arcese-Iadevito e l'e) di Zuntini. Arcese e Iadevito lo definiscono “profondamente deformato”, con 2 frammenti di rigatura (cioè, non presenterebbe nemmeno una rigatura completa). Zuntini lo descrive come: "ha subito solo una deformazione ogivale limitata; presenta infatti uno schiacciamento che interessa solo una parte dell'ogiva, lateralmente, con piano di impatto a circa 40-45° rispetto all'asse del proiettile" .

Queste ultime descrizioni sembrerebbero chiaramente riferirsi a due reperti totalmente differenti.








Valutare i fatti, senza la presunzione di essere in grado di giudicare chi sia bravo e chi sia, invece, incompetente

Sintetizziamo quanto fin qui tediosamente esposto con un gigantesco profluvio di parole.

Nel 1968 Innocenzo Zuntini viene investito del ruolo di perito balistico nel duplice omicidio di Lastra a Signa. Ciò che il colonnello Zuntini “vede” nei reperti è l’uso di una calibro 22 Long Rifle di marca e modello non identificabile dal raffronto con l’impronta di percussione di altre 35 armi di uso comune




con bossoli che presentano una particolare tenuità dei segni di espulsione ed estrazione, ed un peculiare rigonfiamento dei bossoli al di sopra dell’orletto. Il fatto che i segni siano poco rilevabili può essere attribuibile o ad un’arma nuova, con superfici di contatto ben lavorate ed ancora non consumate dall’uso, come d’altra parte dice Romano Schiavi, o ad una levigazione di dette superfici dovuto ad eccessiva usura; la presenza del peculiare rigonfiamento lo fa propendere per la seconda ipotesi. Nell’ambito della perizia, inoltre, egli descrive i cinque proiettili repertati. Non si esprimerà con certezza, alla fine, su marca e modello dell’arma per la difficoltà di ricondurre l’impronta del percussore ad un modello noto; ma solo sul suo stato di usura.

Nel 1974 il medesimo perito accetta l’incarico per una consulenza tecnica su un altro duplice omicidio. Al termine delle sue analisi accerterà che è stato commesso con una calibro 22 L.R, e riuscirà ad individuare senza le benché minime difficoltà ed incertezza, il modello dell’arma in una Beretta serie 70. Lo farà avvalendosi del segno del percussore, che gli appare inequivocabile




e dai segni, perfettamente rilevabili, di estrattore ed espulsore. Non annetterà particolare importanza al rigonfiamento, pur presente, né menzionerà alcun segno riferibile ad usura dell’arma.

Nel 1982, sebbene sia arduo stabilire quando, una comunicazione anonima consente l’anomalo ritrovamento in un fascicolo processuale dei reperti sui quali sarebbe stata eseguita la prima perizia di Zuntini. L’anomalia sta nel fatto che non solo i reperti sarebbero dovuto andare distrutti, ma che qualcuno era a conoscenza che ciò non era avvenuto. Anzi, era perfettamente a conoscenza di dove si trovassero quei reperti.

Viene richiesta una perizia comparativa, della quale sono incaricati i periti Arcese ed Iadevito. I periti non hanno modo di confrontare ciò che vedono all’atto della loro analisi con quello che vide Zuntini nel 1968, ma possono confrontarli direttamente con ciò che vide Zuntini nel 1974. E desumono che i bossoli ritrovati nel fascicolo sono stati esplosi con la stessa arma di quelli repertati nel 1974




Emerge qualche incongruenza nella descrizione dei proiettili:






Nel 1987, analoga perizia viene richiesta all’ing. Salza ed al dott. Pietro Benedetti, i quali non avranno la benché minima incertezza nel ritenere inequivocabilmente identiche le impronte di percussione sui bossoli del delitto del 1974 con quelle rilevabili sui bossoli ritrovati nel fascicolo processuale.

Benedetti e Salsa, che nella loro perizia compararono a coppie i bossoli, considerarono anche la comparazione del rigonfiamento. Canessa fa a Pietro Benedetti una domanda diretta

Ecco, nei colpi... nei bossoli ritrovati nel 1968, lei ha notato qualche caratterisitca peculiare sempre riferentesi ad anomalie, come lei dice... diversa come categoria, cioè come gruppi, a quelle dei colpi sparati successivamente?

Eh... no... diciamo che quelle... i segni più importanti, no! C'é stata una lieve evoluzione sulle tracce più piccole.Quelle sì, perché magari qualche piccolo processo di ossidazione così nel tempo s'é... s'é... s'é formato, però come ho detto le impronte più significative, quelle più profonde, quelle che tutti i periti prendono in considerazione, sono rimaste inalterate.

Ergo, la Mostrologia Moderna, avendo stabilito che Arcese, Iadevito, Benedetti e Salsa costituiscono la pietra di paragone della balistica, giungono all’inconfutabile verità che Zuntini non era in grado di portare a termine il lavoro per il quale aveva solennemente giurato, e rendendosi conto di ciò, maschera la sua incapacità con l’imbroglio. Fosse stato capace o almeno sincero, il Mostro di Firenze sarebbe stato assicurato alla giustizia. E basano tale giudizio principalmente sul fatto che Zuntini avrebbe considerato come "particolare" un reperto usuale sui bossoli esplosi con una semiautomatica, e cioè il c.d. "rigonfiamento di camera", che dallo stesso Zuntini sarà però considerato usuale nel 1974.

In effetti, dobbiamo prendere atto di come oltre a Zuntini nel 1974, anche Arcese e Iadevito

G.I.: Quello lì è un rigonfiamento di camera.

P.M.: Ecco, vediamo allora questo rigonfiamento. Questo è un altro...

G.I.: Sì, rigonfiamento di camera che sia, si tenga presente una camera di pistola: ha un piccolo vano, in altri termini un piccolo vuoto, all'inizio per consentire alla unghia dell'estrattore di agganciare il collarino. Ora, quel vano lì, chiaramente non viene protetto durante l'espansione dei gas e quindi il picco di pressione. Il materiale, dicevo prima, è duttile, malleabile, e lì subisce un rigonfiamento.

ed infine Salza e Benedetti

Abbiamo esaminato due coppie di bossoli, cioè due bossoli relativamente ad ogni caso, che ci furono consegati, e….ehm….. su questi… erano presenti le impronte prodotte rispettivamente dal percussore, dall’estrattore, dall’espulsore, nonché… diciamo, una… un rigonfiamento che riproduceva, il profilo diciamo della gola di imbocco che serve per convogliare la cartuccia in canna; quando viene sfilata dal caricatore per facilitarne l’introduzione c’è questo scarico che, ecco…

rilevino tutti la presenza degli stessi rigonfiamenti, ai quali attribuiscono tutti lo stesso significato. L’unico elemento dissonante è Zuntini nel 1968; quindi, Lettore, il problema non starebbe tanto nel mettere d’accordo Arcese ed Iadevito con Zuntini, o Benedetti con Zuntini, sui proiettili; il problema risiede nel mettere d’accordo Zuntini con sé stesso sui bossoli. Quindi, possiamo formulare la domanda in questo modo:

Per quale motivo Zuntini non è d’accordo con sé stesso?

Non vi sono che due possibilità: o, seguendo una verità mostrologica in voga, Zuntini ha conseguito una frettolosa e superficiale acquisizione di competenze tra il 1968 ed il 1974, chiedendo lumi al primo che passa sul rigonfiamento di camera, e quando ha redatto la perizia del 1968 non ne capiva un'acca, oppure non vi é corrispondenza tra ciò che esaminò Zuntini nel 1968, e ciò che esaminarono Arcese e Iadevito nel 1983, nonché Benedetti nel 1987; tertium non datur. Ma vi sarebbe tuttavia da ritenere che la prima possibilità; Lettore, possa venire ragionevolmente scartata. Zuntini, infatti, anche nella perizia del 1974, nella sezione relativa ad “ESAME COMPARATIVO FRA BOSSOLI IN REPERTO E BOSSOLI DI PROVA ” ribadisce ancora come il rigonfiamento possa venire interpretato come segno di usura, con buona pace dei mostrologi maliziosi che vorrebbero attribuirgli una lacuna di conoscenze colmata raccattando qualche informazione in giro




é solo che, con ogni evidenza, ritenne che il rigonfiamento visibile nei bossoli del 1974 non fosse da interpretare come segno di usura, mentre quello rilevato nel 1968 lo fosse. Che le caratteristiche del rigonfiamento fossero diverse.

In altri termini, Lettore: non puoi smentire Zuntini dicendo che il rigonfiamento puoi trovarlo in tutte le semiautomatiche. Perché questo lo dice anche Zuntini. Ma Zuntini afferma come solo il rigonfiamento che ha rilevato nel 1968 sia indice di usura; e quello puoi smentirlo solo se sei sicuro di verificare il rigonfiamento dei bossoli del 1968. Ora credo che sia irragionevole dire:

Si dimostra che Zuntini sbaglia perché i bossoli del 1968 sono uguali a quelli del 1974 mentre invece lui li descrive diversamente. Si dimostra che i bossoli del 1968 sono uguali a quelli del 1974 perché a descriverli diversamente é Zuntini il quale sbaglia.

Questo è un ragionamento mostrologicamente circolare che dimostra il secondo assunto basandosi sul primo, e il primo assunto basandosi sul secondo. Se non riusciamo a rendere “assioma” almeno uno dei due, non possiamo tirare fuori alcuna conclusione.


Sintetizzando ulteriormente:

Zuntini, Arcese, Iadevito, Benedetti, Salsa, concordano tutti sui bossoli del 1974

Arcese, Iadevito, Benedetti, Salsa dicono che i bossoli del 1974 sono paragonabili a quelli ritrovati nel fascicolo nel 1982.

Zuntini dice che i bossoli del 1968 sono differenti da quelli del 1974 (nei primi non si può dedurre di che arma si tratti dalla forma del percussore, nei secondi invece sì; nei primi c'é un vistosamento rigonfiamento sull'orletto, nei secondi é minimo; nei primi i segni di strattore ed espulsore sono a malapena visibili, nei secondi sono evidenti).

Zuntini é stato l'unico a periziare i bossoli del 1968 prima del loro "accidentale ritrovamento"

E se sia Zuntini, sia Arcese e Iadevito concordano sui reperti del 1974, Zuntini trova non paragonabili (non esplosi dalla stessa arma) i reperti del 1974 con quelli del 1968, mentre Arcese e Iadevito trovano i reperti del 1974 paragonabili (esplosi dalla stessa arma) a quelli ritrovati nel fascicolo nel 1982, logica vorrebbe che i reperti del 1968 siano diversi da quelli ritrovati nel fascicolo nel 1982... o no?



Quindi, i fatti sono:

- nel 1968 vengono forniti, ad Innocenzo Zuntini, alcuni bossoli e proiettili appena repertati sul luogo di un delitto, e gli viene posta la domanda: a che tipo di cartuccia si riferiscono e con che arma sono stati utilizzati? La risposta di Zuntini é: sono bossoli e proiettili riferibili a cartucce Winchester calibro 22 LR, sono stati esplosi con un'arma semiautomatica. Per quante prove di sparo siano state fatte, marca e tipo di arma non sono individuabili; ciò che si può dire é che l'arma era usurata e maltenuta.

- nel 1974 vengono forniti a Zuntini bossoli e proiettili appena repertati sul luogo di un delitto, e gli viene posta la domanda: a che tipo di cartuccia si riferiscono e con che arma sono stati utilizzati? La risposta di Zuntini é: sono bossoli e proiettili riferibili a cartucce Winchester calibro 22 LR, sono stati esplosi con un'arma semiautomatica. Dalle prove di sparo si evince inequivocabilmente come siano stati esplosi con una Beretta Serie 70, sottoposta a regolare manutenzione.

- nel 1983 vengono forniti, ad Arcese e Iadevito bossoli e proiettili repertati nove anni prima sul luogo di un delitto, e regolarmente custoditi, e viene loro posta la domanda: a che tipo di cartuccia si riferiscono e con che arma sono stati utilizzati? La risposta di Arcese e Iadevito é: sono bossoli e proiettili riferibili a cartucce Winchester calibro 22 LR, sono stati esplosi con un'arma semiautomatica. Dalle prove di sparo si evince come siano stati esplosi con una Beretta Serie 70, sottoposta a regolare manutenzione

- sempre nel 1983 vengono forniti, ad Arcese e Iadevito. bossoli e proiettili reperiti "per caso", nel 1982, all'interno di un fascicolo processuale relativo ad un delitto commesso quattordici anni prima, e gli viene posta la domanda: a che tipo di cartuccia si riferiscono e con che arma sono stati utilizzati? La risposta di Arcese e Iadevito é: sono bossoli e proiettili riferibili a cartucce Winchester calibro 22 LR, sono stati esplosi con un'arma semiautomatica. Dalle prove di sparo si evince come siano stati esplosi con la stessa arma usata per i reperti relativi al delitto del 1974, e cioé una Beretta Serie 70, sottoposta a regolare manutenzione.

La domanda é: i bossoli ed i proiettili raccolti sul luogo del delitto del 1968 e fatti periziare nell'immediatezza a Zuntini, sono uguali o diversi a quelli ritrovati per caso quattordici anni più tardi, e solo allora valutati da Arcese e Iadevito? Ovvero, in termini più "Mostrologici":

Esistono delle spiegazioni alternative al fatto che le righe evaporino e Zuntini sia un ciarlatano mistificatore?

Quindi, si pone il problema se i bossoli ritrovati nel fascicolo nel 1982 siano realmente gli stessi che Zuntini valutò nel 1968. Cosa dice la logica?

Che esistono solo due possibili, alternative, spiegazioni: o Zuntini, da sbronzo, nel 1968 prese un gigantesco abbaglio, eseguendo una valutazione errata di diversi segni, che invece, da sobrio, considererà correttamente nel 1974, oppure i reperti vennero sostituiti

Riformuliamo ancora la domanda: E' possibile che Zuntini abbia preso comunque un gigantesco abbaglio? Certo é possibile.

E' verosimile che si sia trattato comunque di un gigantesco abbaglio?

O, in altri termini, e considerato anche che è stata interrotta la catena di custodia (per cui comunque quanto ritrovato nel fascicolo non avrebbe valore probatorio) la domanda è: è verosimile che i reperti ritrovati nel fascicolo nel 1982 siano comunque gli stessi repertati in seguito al duplice omicidio del 1968 ed i dubbi sollevati siano da attribuire unicamente all’abbaglio preso da Zuntini?

Be' lo sarebbe se i reperti fossero stati correttamente conservati, se non fosse giunto il ritaglio di giornale, se la descrizione e l'interpretazione dei reperti relativi a quegli che dovrebbero gli stessi bossoli, da parte della stessa persona, non sembrassero descrivere due cose diverse, se non vi fosse il lavoro di Amiconi, se Schiavi, rifiutando di inchinarsi al cospetto della Mostrologia, non avesse dichiarato che Zuntini era persona competente..., ma con tutti questi "se", Lettore, la mia opinione é che sia poco verosimile che tutto sia frutto di una svista (o della crassa ignoranza che la mostrologia vuole attribuire a Zuntini).

Per inciso, su uno dei blog dedicati al “Mostro di Firenze” si trova un commento che riguarda quanto si legge nella richiesta di Tricomi, e cioè

In uno al procedimento mi si vorrà trasmettere anche il Corpo di Reato onde effettuare le comparazioni balistiche tra i bossoli…

ipotizzando che i reperti siano stati spillati all’interno del fascicolo in occasione dell’invio da parte di chi ha trasmesso la documentazione. La corretta conservazione dei corpi di reato nell’ambito dell’ Ufficio competente attualmente avviene (o dovrebbe avvenire) all’interno di scatole chiuse da spago e provviste di appositi sigilli; se vuoi avere un’idea. Lettore, di quale sia la procedura da adottare puoi fare riferimento alla pubblicazione del Tribunale di Varese “Indicazioni operative concernenti la consegna dei Corpi di Reato”. Proprio in essa, a proposito della necessità di attenersi alle procedure, viene esplicitamente detto: “Essendo presupposto essenziale l’inalterabilità di quanto affidato in custodia, sono necessari alcuni accorgimenti a garanzia di tutti gli attori delle varie fasi del procedimento giudiziario; ne consegue l’esigenza del rigoroso rispetto delle indicazioni di seguito riportate, valide per tutti quei beni mobili o reperti che sono soggetti ad essere confezionati.

Qualcuno allora avrebbe dovuto aprire la relativa scatola, estrarre i reperti ed accluderli al fascicolo, anziché consegnare la scatola sigillata al sottoufficiale CC che avrebbe dovuto occuparsi del trasferimento. Un’irregolarità forse peggiore di quella compiuta lasciandoli all’interno del fascicolo stesso; la mia opinione è che tale possibilità sia inverosimile.

Ma la mia opinione la certezza che l'arma non sia la stessa? Ovviamente no, io non sono un mostrologo: sebbene, a questo punto, anche se improbabile, non può essere negata del tutto la possibilità che si tratti di un errore di Zuntini.

Ma di sicuro toglie la certezza che l'arma sia la stessa.

Anche il secondo assioma é crollato. 


Così, potremmo concludere le nostre riflessioni su Opinione e Verità; ma prima é necessaria un'ulteriore riflessione


Nessun commento:

Posta un commento