martedì 28 novembre 2017

LE CASE DEL LAGO POMA


Come avevo scritto nell’ultimo post della serie sui borghi, avrei dovuto, Lettore, iniziare a narrare la storia di Antonio. L’esiguità delle precipitazioni che ha caratterizzato l’anno in corso, però, mi ha spinto alla scrittura del presente post.

La Sicilia è affetta da una cronica penuria d'acqua; d'acqua dolce, almeno, considerato che l’acqua la circonda. Durante il 2017, però, alla cronicità si è aggiunta una condizione “acuta”, che ha reso particolarmente marcata la siccità; questa, nel periodo estivo si è manifestata nel’Italia intera, ma la Sicilia, a causa della sua condizione, ne ha particolarmente risentito.

A giudicare dai "canyon" scavati da alcuni corsi d'acqua, però, non sarebbe sempre stato così; in passato, probabilmente, i fiumi avrebbero avuto una portata ben maggiore, ridottasi successivamente. La riduzione del patrimonio arboreo dell'isola avrà certo avuto un ruolo fondamentale in questo, ed in special modo il feroce disboscamento che misero in atto i Romani per costruire le navi per le guerre puniche. Non vi sarebbe nemmeno bisogno, però, di giungere alle soglie della Storia; in tempi più recenti il fiume Oreto era, per certi tratti, navigabile, ed ancora più recentemente uno dei ponti sull’Oreto della Palermo-Camporeale venne considerato una manna dal cielo dai contadini che dovevano attraversare il fiume con i muli nel periodo invernale.

Ma per quanto la Sicilia possa essere montuosa, e possa aver avuto in passato un maggiore sviluppo boschivo, i bacini imbriferi siciliani restano di gran lunga meno estesi di quelli dell’Italia Centrale e Settentrionale. Non stupisce quindi il fatto che, in tempi storici, la Sicilia non abbia avuto laghi, ma solo paludi (i "bivieri"). I laghi della Sicilia sono tutti invasi artificiali, con l'eccezione di quello di Pergusa; ed anche questo




è un lago endoreico che, fino alla bonifica fascista, presentava vaste estensioni di zone paludose.

Lo stesso Biviere di Lentini, anch'esso bonificato durante il fascismo, nasce come un tentativo di lago artificiale, effettuato in epoca normanna sbarrando il corso del Trigona, forse per ampliare una zona paludosa preesistente; numerose variazioni vennero poi eseguite nei secoli successivi, fino alla costruzione di una diga in muratura nel diciottesimo secolo.

Tutti i laghi siciliani, quindi, sono invasi artificialmente generati nella seconda metà del secolo scorso. Anche l’attuale lago di Lentini non fa eccezione; la bonifica fascista, infatti, cui si accenna qui, consistette in realtà nel prosciugamento del biviere con la creazione di una vasta area destinata all'agricoltura; l'attuale lago risale agli anni Settanta del XX secolo, quando si decise di sbarrare nuovamente il corso del Trigona, nonché di altri affluenti del San Leonardo, con una diga perimetrale, e creare un nuovo invaso.

Sebbene durante il ventennio fascista il Biviere di Lentini sia stato prosciugato, è sempre durante lo stesso periodo che gran parte della realizzazione dei laghi artificiali venne progettata; tra questi si è parlato dell'invaso Garcia, del lago di Piano del Leone, e dell'Ancipa; ma nel sommario è stata mostrata anche un'immagine del lago Poma.

Tra gli invasi siciliani, il lago Poma è il più recente, ottenuto sbarrando il corso dello Jato per l’appunto in contrada Poma. Fu uno degli invasi di cui si occupò attivamente Danilo Dolci, con le tecniche di lotta non violenta che contraddistinsero la sua vita. Purtroppo ai laghi siciliani non sono sempre associate figure "positive", come quella di Danilo Dolci; più spesso ad essi sono associati eventi negativi, nei quali la mafia ha sempre avuto un ruolo centrale.

In generale, i laghi artificiali avrebbero dovuto servire ad un duplice scopo: costituire una riserva d’acqua dolce, ed anche generare energia idroelettrica, come avviene con il lago di Piana degli Albanesi. E’ chiaro che simili realizzazioni si sono sempre prestate a speculazioni di varia natura da parte dell’organizzazione criminale isolana; speculazioni che iniziavano dalla cessione dei terreni che sarebbero stati invasi dall’acqua, per finire alla gestione delle risorse create, passando per la realizzazione delle opere necessarie. Dalla progettazione alla conduzione, la realizzazione di un lago artificiale ha sempre rappresentato per le organizzazioni mafiose un evento da sfruttare per decenni.

La Sicilia non è l’unica regione d’Italia (né tantomeno l’unica zona del mondo) nella quale si sono realizzati laghi artificiali; ve ne sono diversi, ad esempio, nel Centro Italia dove, al netto delle ingerenze mafiose e del malaffare, la loro realizzazione ha seguito passi del tutto analoghi, con il primo di essi costituito dalla designazione della zona da inondare, da sacrificare alle necessità della collettività.

Ma se in Sicilia questo si è spesso risolto in un vantaggio economico (opportunamente pilotato – è il motivo per cui il giornalista Mario Francese pagò il suo impegno con la vita), in altre parti d’Italia ci fu chi vide un danno dalla nascita dell’invaso. Né rimborsi o altri provvedimenti valsero ad indennizzare realmente chi nell’operazione rimetteva il proprio vissuto, i propri ricordi, le tradizioni familiari; certi aspetti della vita delle persone non hanno prezzo. E non esiste denaro che possa ripagarle.

Mi riferisco, ad esempio, al lago di Petrella Salto, in provincia di Rieti. La diga fu progettata nel 1936 dal Consorzio Idroelettrico del Velino (sebbene l’idea di creare un bacino artificiale nella zona risalisse a quattro decenni prima), e la sua costruzione




terminò nel 1939, con diverse vittime di incidenti sul lavoro. Questo era usuale in quei periodi; avvenne infatti per molte altre dighe, Ancipa compreso. Ma non è quest’aspetto a cui mi riferisco. Il riempimento della vallata




vide scomparire sott’acqua




quattro paesini, Sant’Ippolito, Fiumata, Teglieto, e Borgo San Pietro con il suo ponte in ferro




ma anche con le terre, le case, e la vita vissuta da chi quelle terre aveva abitato. I paesini di epoca medioevale, così come il monastero di S. Filippa Mareri del quattordicesimo secolo




vennero ricostruiti più a monte; ma non vi fu uno spostamento di ciò che esisteva. Tutto venne ricostruito da zero




come per le cittadine riedificate per i terremoti; per il monastero si recuperò qualche elemento dell’originale (portone, campana), e l’intera cappella di S. Filippa, ma per i villaggi nulla di tutto ciò avvenne. Vennero progettati seguendo lo stile razionalista del Ventennio; ecco che Borgo San Pietro




senza avere nulla a che vedere con l’impianto del borgo originale




richiama, nell’architettonica, Borgo Borzellino




Non saprei, Lettore, se io sia l’unico a cogliere la somiglianza, ma il portico a piattabanda e la chiesa mi appaiono basati sui medesimi stilemi che fecero scrivere a Maria Accascina “…il borgo potrebbe egualmente sorgere nelle provincie emiliane o in altre mancando d’ogni accentuazione di sicilianità. Epperò se i portici che costituiscono il principale elemento escogeno, si trasferiscono dal nord al sud, non è da escludere che, per l’ombra che essi offrono nell’ora dell’arsura meridiana e per il riparo nelle intemperie e nelle piogge frequenti e spesso irruenti, essi non possano riuscire ben accetti anche in Sicilia”. E, sarà certamente una coincidenza, ma quello è il periodo in cui l’ingegnere Caronia, uno dei progettisti




di Borgo Borzellino, era a Roma, dove si laureò in Architettura nel 1940.

Un’analoga sorte toccò a Fabbrica di Careggine




una frazione di Careggine, in Garfagnana




sommersa dal lago di Vagli, realizzato sbarrando il corso del torrente Edron. La progettazione dell’invaso di Vagli e della relativa diga avvenne sempre durante il deprecato ventennio, ma la realizzazione del progetto iniziò nel 1947 e terminò nel 1953 ad opera della Selt-Valdarno, una delle società di produzione e gestione dell’energia elettrica a livello regionale, che poi, come la SGES in Sicilia, confluirà nell’Ente Nazionale Energia Elettrica. Fabbrica di Careggine era un paesino medievale nella vallata




le cui abitazioni furono anch’esse realizzate più in alto, a Vagli Sotto ; ma a differenza di Borgo Santo Pietro si cercò di dare al nuovo centro un impianto urbanistico il più possibile vicino all’originale




Anche se, invero, l’impianto dei due siti era molto simile già in origine




E come per Borgo San Pietro la propaganda fascista ne fece documentare la fine dall’Istituto Luce, così la propaganda postfascista affidò alla “settimana Incom” il medesimo compito. I filmati di ambedue gli eventi sono disponibili e liberamente visibili su YouTube; e fin qui le due vicende sono assolutamente analoghe, parallele. Una differenza sostanziale è costituita però dal prosciugamento periodico del lago di Vagli




operato dall’ENEL con cadenza mediamente poco più che decennale; e questo fino al 1994, ultimo anno in cui l’ENEL, per eseguire dei lavori di manutenzione ed adeguamento alla diga, decise di svuotare completamente l’invaso. Quella fu l’ultima volta in cui, per una settimana, il fantasma di Fabbrica di Careggine tornò a rimaterializzarsi. Ma questa volta dietro la temporanea “reincarnazione” del villaggio, una ben definita organizzazione ebbe vita. Tutta l’operazione, dallo svuotamento alla nuova sommersione, venne filmata; così come vennero ripresi le iniziative culturali che in quella settimana ebbero luogo tra le rovine del paesino. L’evento richiamò curiosi da tutta Italia ed anche dall’estero, ben ripagati dall’atmosfera che si era creata; un impianto di illuminazione venne temporaneamente installato cosicché il sito poté ospitare anche eventi notturni. Il successo riscosso andò al di là di ogni aspettativa, tanto che da allora è non più l’Italia, ma il mondo che attende che la magia si ripeta.

Purtroppo, Lettore, lo svuotamento previsto per il 2016 non ha avuto luogo; le difficoltà di ordine pratico sono di tale portata che l’ENEL non ha intenzione di dar luogo ad un nuovo svuotamento dell’invaso senza un motivo più che valido, che vada al di là delle suggestioni e delle esigenze turistiche. Il lago di Vagli , capace di trentadue milioni di metri cubi, produce, tramite la centrale idroelettrica di Torrite, 120 GWh di energia elettrica all’anno. Il suo svuotamento significa dover trovare delle vie alternative per poter assicurare acqua ed energia elettrica a migliaia di famiglie; non è un’impresa ordinaria. Così il comune di Vagli, dopo aver sperato a lungo nel ripetersi dell’evento e nel conseguente afflusso turistico, ha pensato bene di sfruttare la popolarità regalatagli dall’accaduto realizzando altre attrazioni che hanno sempre il lago come protagonista. Tra queste vi sono il ponte sospeso ed il volo dell’angelo; ma per vedere Fabbrica di Careggine, il mondo dovrà aspettare ancora. Ed io con lui.

Ma, nell’attesa, cosa si può fare? Può venire riprodotto, se non l’evento in sé, almeno parte della magia che lo contraddistingue? In fondo, come sottolineato all’inizio, i meccanismi operanti nella genesi dei laghi artificiali sono tutti uguali. Anche in Sicilia sono state sommersi terre ed edifici; non interi villaggi, ma sicuramente case ed infrastrutture. E cosa sia stato sommerso può essere spesso rilevato dalle carte IGM; come detto più volte, la redazione delle carte attuali risale agli anni Settanta del secolo scorso, ed è spesso basata su dati ancora precedenti.

Sul fondo del lago di Lentini si trovano solo poche, piccole costruzioni, che all’epoca erano unite da carrabili non asfaltate




ciò non sorprende, in quanto il Biviere venne prosciugato negli anni Trenta, e la piana nuovamente inondata negli anni Settanta. Quarant’anni in tutto, ed orientati solo alla produzione agricola; poche, piccole costruzioni ed una rete di strade campestri, poco più che sentieri.

Il fondo dell’invaso Garcia era ancora più "scarno"




sul fondo dell’attuale lago, al centro scorreva il Bèlice sinistro (lo scrivo qui, Lettore, con l’accento sulla prima “e”, come da toponomastica IGM, e non con l’accento sulla “i” – Belìce – come da qualche tempo vorrebbe una certa pseudocultura) che aveva scavato il suo canyon tra le contrade Renelli e Petraro, con le uniche, poche costruzioni a quota più elevata, oltre i margini del vallone.

Diversa, invece, è la situazione presente sul fondo del Poma. Il fiume Jato (già Giancaldara), formato dalla confluenza di diversi corsi d’acqua a carattere torrentizio (Fosso della Ginestra, il Vallone di Passarello , il Vallone Desisa, il Vallone Muffoletto, Fosso della Procura, Fosso della Chiusa, Fosso della Pernice e Fosso della Traversa) aveva formato un vallone profondo, ma stretto, ancora visibile oltre la diga, dalla contrada Poma fino alla foce, in contrada Forgia; più a monte, però, il vallone, oltre ad essere stretto, era anche poco profondo, come nel ancora visibile dal viadotto della provinciale 30. E così il fondo del lago, nella parte più a Sudest, era una grande vallata, con diverse case, ed il fiume che scorreva al centro. Alcune strade la percorrevano tra le quali quella, costruita nel primo decennio del secolo scorso, che metteva in comunicazione contrada Giancaldara con il feudo Desisa , con ponte in ferro sullo Jato, ed i suoi sottovia, le sue piazzole, le sue traverse…




Tutto questo venne progressivamente sommerso nella seconda metà degli anni Sessanta, sbarrando lo Jato con una diga di terra per far posto ad un bacino di 78 milioni di metri cubi. Le case e la strada sparirono sott’acqua; il collegamento tra quella che è l’attuale SP2 e Desisa venne assicurato costruendo una nuova bretella, più a Sud, che da Fellamonica si riaggancia all’antica strada per Desisa. Divenuta SP30, l’attraversamento dello Jato venne garantito tramite un alto viadotto in cemento armato, in luogo del vecchio ponte in ferro (dalla parte opposta del ponte, oltre la pista si scorge in lontananza il villaggio di Fellamonica)




Il lago si è progressivamente integrato nell’ambiente, il quale si è popolato, così come le acque del lago stesso. I pesci d’acqua dolce e gli uccelli acquatici hanno in questo modo contribuito a creare un ecosistema divenuto oasi faunistica; se non fosse per la diga che si scorge in lontananza, con le sue torri di presa, il lago sembrerebbe essere sempre esistito.

Ma, come affermato in apertura, la Sicilia è affetta da una cronica penuria d'acqua; penuria che il lago può compensare, ma non certo annullare. Così, ogni tanto, accade che un’estate ed un autunno particolarmente avari di precipitazioni costringano a dare fondo alla riserva idrica che il lago costituisce. Lo Jato, fiume a carattere torrentizio, e secco anch’esso, non è più in grado di reintegrare i prelievi; ecco che la Natura ricrea spontaneamente la medesima magia che l’ENEL opera periodicamente a Vagli.

Il livello delle acque si abbassa, e le antiche abitazioni, la strada, il ponte in ferro, ritornano alla luce.

Negli ultimi tre decenni, questo si è verificato almeno quattro volte: nel 1988, nel 1999, nel 2002, e nel 2017.

Certo, le vecchie case ed il ponte che giacciono sul fondo del Poma costituiscono un ben povero sostituto di un paese medioevale quale Fabbrica di Careggine; nondimeno, anche qui il fenomeno emana un certo fascino.

Ma esso non durerà per sempre; ad ogni riemersione, le strutture infatti risultano sempre più compromesse. Questo post, Lettore, assume allora lo stesso significato, vorrebbe svolgere la medesima, ambiziosa, funzione, di quelli sui borghi o sui tracciati ferroviari: costituire, in futuro, memoria di ciò che è stato e che non sarà più.

Le attuali carte IGM, come più volte si è detto, sono basate su rilievi che risalgono circa alla prima metà degli anni Settanta. Quelle che riguarderebbero il lago Poma dovrebbero essere state redatte quando era già stato costruito il nuovo tratto della SP30 tra Fellamonica e Grisì, ma la vallata non era ancora stata inondata. Così, a Nord del nuovo moderno viadotto, vi sono segnate la vecchia strada, il suo ponte, i sottovia, e le case che verranno successivamente sommerse, con i nomi di coloro che le abitavano




All’estremità Sud del lago vi era casa Raccuglia; forse perché è una di quelle che più facilmente viene alla luce, è divenuta una delle più difficili da vedere. Resta solo il perimetro di base, e, vista da una certa distanza, appare ormai come un cumulo di pietre




solo dall’alto è riconoscibile il perimetro di base, ma la muratura in elevazione era già deteriorata una trentina di anni fa, e nulla sembra essere cambiato da allora




Lo stesso vale per casa Schiavo, appena poco sotto la riva Ovest, anch’essa a malapena riconoscibile




Una traversa della vecchia strada conduceva ad essa; il suo imbocco è ancora visibile, discretamente conservato




E la vecchia strada può essere percorsa per attraversare quello che una volta era il fiume




giungendo così sulla sponda opposta del lago in secca




Il ponte in ferro è apparentemente in buono stato




ma questo vale per le spallette e le pile




dove, invece,parte delle strutture che reggono la sede stradale stanno per cedere




E’ probabile che quando riemergerà nuovamente non sarà più possibile percorrerlo in tutta sicurezza. Oltre il ponte si vede un sottovia




riportato anche sulla carta IGM




Poco più avanti sono ancora visibili un tombino, muretti di controripa, e ciò che resta di una piazzola.

Da questo punto in poi, la strada si inerpica con un tornante oltre la riva del lago per raggiungere così la SP2. Questo spezzone della vecchia strada non viene mai sommerso, ma non è stato più mantenuto dagli anni Sessanta del secolo scorso; le condizioni del suo manto stradale, assolutamente analoghe a quelle di alcune provinciali dell’interno, ci danno un’idea precisa dell’epoca a cui debba risalire la manutenzione di queste ultime.

Diverse costruzioni sono visibili sotto la riva NordEst. Alcune di esse sono senza nome; piccole case cadute nell’oblìo già prima della loro sommersione. Di una di esse, situata più a monte




rimane solo la muratura fuori terra per qualche decina di centimetri, come per casa Raccuglia




ed anch’essa a distanza sembra solo un cumulo di pietre, nel quale sono a malapena riconoscibili gli spigoli del lato Nord




e così anche per essa il perimetro di base risulta ben riconoscibile nelle foto aeree o satellitari, e lo stato non sembra essere cambiata nel corso degli ultimi trenta anni




E’ possibile che sia questa casa, sia casa Raccuglia fossero già diroccate all’epoca della sommersione. Perché, contrariamente ad esse, altre costruzioni hanno subito un danno notevole e progressivo. Tra esse, ve n’è una più a Nord e più a valle, anch’essa senza nome




della quale resta ormai solo uno spigolo dei muri perimetrali




è probabile che alla successiva riemersione neanche quello sarà più in piedi, considerato che una trentina di anni addietro era pressoché integra




Un’altra ancora, sempre senza nome




mostra ancora parte delle mura




levigate dall’azione dell’acqua




ed anch’essa trent’anni fa era in condizioni diverse




Procedendo verso Nord ci si imbatte in casa Corinto




Sorge su quello che era un rialzo del terreno




sul versante Sud del quale è ancora visibile un muro di contenimento




Era grande, casa Corinto




e conserva ancora parte dell’intonacatura




Un sentiero rettilineo




lungo il quale si trova quello che forse una volta era un pozzo




ne consentiva l’accesso da Nord. Adesso il rialzo, che si affaccia su una depressione ricolma d’acqua, appare come un promontorio




Altre costruzioni (casa Amodeo, casa La Franca, casa Poma) continuano initerrottamente il loro sonno in fondo al lago; sono troppo vicine alla diga perché la siccità possa interromperlo. Solo il deliberato svuotamento dell’invaso potrebbe farle riemergere; ma, a meno di un’imprevista necessità, ciò difficilmente accadrà. Come non accade per il lago del Salto; Vagli pare essere un’eccezione.

Così agli abitanti di San Pietro venne dato un nuovo paese. Agli abitanti di Fabbrica di Careggine vennero date delle nuove case a Vagli Sotto; cosa sarà stato dato alle famiglie che vivevano sulla piana divenuta il fondo del lago Poma? Questo, Lettore, non sono stato in grado di appurarlo; ma nella mia immaginazione, la stessa nostalgia che traspare dalle immagini di coloro che lasciano Fabbrica di Careggine, lo stesso rabbioso dolore esternato dagli abitanti di San Pietro, avrà comunque permeato la loro anima.

Ed immagino alcuni di loro che, bambini, giocavano sulla soglia di quelle case, ritornare nei periodi di siccità nella speranza di poter gettare ancora uno sguardo a ciò che resta di quelle mura che li hanno visti crescere. Immagino; e percorrendo la vecchia strada ed il ponte mi guardo intorno, osservo i rari escursionisti che percorrono il lago in secca, cercando, nella loro età e nel loro sguardo, possibili indizi di quella nostalgia.

Ma le mie aspettative vengono frustrate; così,  continuo a curiosare con la mia fotocamera, tentando di ritrarre ciò che rimane del tempo che fu. Nell’attesa che un inverno piovoso riconduca quelle mura al loro ovattato riposo, che ridia loro quella pace da cui sono state temporaneamente distolte; nell’attesa che una nuova estate secca, torni a mostrare la loro progressiva distruzione.

Ma ciò che l’acqua cancella, la memoria preserva…


4 commenti:

  1. Ben fatto. Solo un appunto :il fiume Jato sfocia sul mar Tirreno in contrada Forgia,vicino Balestrate. In contrada San Cataldo socia il fiume Nocella

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  2. Grazie del complimento e della precisazione.

    L'errore è dovuto al fatto che anni fa provavamo decollo ed atterragio con i deltaplani sia alla foce dello Jato, sia alla foce del Nocella, ambedue luoghi adatti allo scopo per la configurazione del terreno.

    L'unico nome che ricordavo era "San Cataldo", quello che frequentavamo più spesso, e per errore l'ho attribuito alla foce dello Jato.
    Ho provveduto a correggere il post.

    Grazie ancora

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  3. Salve, sono Salvo Sterlini, appassionato di treni e archeologia industriale, sto seguendo con estremo interesse il suo blog. Volevo chiedere se sa dirmi qualcosa su delle strane costruzioni nel comune di Centuripe a ridosso della vecchia linea ferroviaria Motta-Regalbuto in prossimità del viadotto sul fiume Salso

    https://goo.gl/maps/9cxh6mr7KZruHtSg8

    Grazie e saluti

    Salvo Sterlini

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  4. Salvo, scusami per l'enorme ritardo nella risposta; per qualche motivo, non é giunto alla mailbox l'avviso del tuo commento, e me ne sono accorto solo stamane.

    Non ho modo di sapere con certezza cosa siano, ma verosimilmente fanno parte dell'impiantistica della cava di sabbia dismessa (catalogata come EN D41 S); é possibile che dovessero costituire parte dell'impianto di essiccazione. Ma é solo una mia idea, non un'informazione attendibile

    Se sei di quelle parti puoi vedere di indagare. L'accesso alla strada che conduce alla cava é chiuso da cancello, ma le costruzioni possono essere raggiunte attraverso la ferrovia; meno di cinquecento metri a piedi. Sempreché tu non l'abbia già fatto, ovvviamente

    Saluti


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