domenica 18 ottobre 2015

LA VIA DEI BORGHI.45: L'ultima fase dei borghi rurali siciliani. GLI ULTIMI TRE GRUPPI


Lo sperpero dell'eredità: il quarto gruppo

Un’altra tipologia di progetto venne redatta tra il 1958 ed il 1959, anch’esso per un borgo definito ridotto, ma consistente in realtà in un singolo edificio, realizzato in muratura portante




la cui pianta appare ben riconoscibile, inconfondibile nelle immagini riprese dall’alto




Una scuola, sebbene dotata di più aule




da inserire in un borgo residenziale. Il progetto riguardò tre “borghi”, ma esso venne realizzato solo due volte.



VILLAGGIO CAPPARRINI

Nell’elenco di Wikipedia viene riportato tra le “città di fondazione” (!) del 1941-43, ma non è altro che una scuola inserita nel contesto di un borgo residenziale




Il progetto dovrebbe essere del 1958, anche se nei fascicoli di archivio non si trovano i disegni esecutivi; la planimetria resta ricavabile dalle immagini di GoogleEarth




Il borgo residenziale sarebbe stato costituito da 40 abitazioni di assegnatari dei lotti compresi nel PR 18a




Verosimilmente, Capparrini è una decisione dell’ultima ora. Esso infatti non compare nella mappa dei borghi del 1956, dove i PR sono compresi nella circonferenza di un borgo “A” da consorzio; la dicitura “CAPPARRINI” è apposta a mano, successivamente, nella zona in cui si trova il villaggio




Nella realizzazione, probabilmente avvenuta in tempi strettissimi,si trascurò di assicurare un adeguata fornitura idrica alle abitazioni, per cui il villaggio ha sempre sofferto di una gravissima carenza d’acqua che lo ha reso invivibile; la condizione venne riportata anche da Danilo Dolci nel suo “Spreco”. Qualche anno dopo l’ERAS tentò di rimediare con un progetto che avrebbe derivato le acque degli acquedotti di Camporeale-Roccamena e di Campofiorito-Bisacquino, in procinto di realizzazione, da parte dell’Ente Acquedotti Siciliani. Il progetto prevedeva la realizzazione degli appositi pozzetti, ed un serbatoio da 50 metri cubi, alimentati dalle condutture che, in pratica, decorrevano al centro dell’area interessata dal piano di ripartizione




L’acquedotto esiste (è riportato sulle carte IGM)




ma non so cosa sia stato effettivamente realizzato per Capparrini; almeno uno dei pozzetti è presente, così come l’abbeveratoio, che però non appare alimentato




ma del serbatoio sembra esistere solo parte dello scavo, forse successivamente colmato. Sta di fatto che, a metà degli anni Settanta, il sito venne praticamente abbandonato proprio per le difficoltà connesse all’insufficiente approvvigionamento idrico. Attualmente pare sia abitato solo saltuariamente, e parzialmente




lo stato di alcune delle case ne denota la totale assenza di manutenzione. La scuola (il “borgo”)




ceduta al comune di Monreale in data 6 maggio 1969, viene attualmente utilizzata come fienile





BORGO BINUARA

Un borgo di tipo “C” era invece già previsto in contrada Binuara alla data del 1 gennaio 1956




le tavole di progetto furono ultimate nel settembre 1958, e sono firmate dalla stessa persona che, a vario titolo, appose la firma su diversi progetti del periodo; l’ing. Panico firma come capo ufficio




Venne costruito tra il 1959 ed il 1962. Il principio sarebbe stato simile a quello del Villaggio Capparrini (tra la gente del luogo è noto come “Villaggio Binuara”), ma le case coloniche si trovano sparse sul territorio circostante, anziché raggruppate




Esse avrebbero servito i lotti del PR 76




Si rese necessaria la realizzazione di una strada lunga 2 km per poter accedere al piazzale dell’edificio




il quale si trova in aperta campagna




Ed all’inizio degli anni Sessanta il senso di isolamento doveva essere ancora maggiore. E’ stato inevitabile chiedersi cosa sarebbe potuto passare per la mente ad un’eventuale maestrina di prima nomina, magari una ragazza poco più che ventenne, che si fosse trovata, in certe notti d’inverno, chiusa in un minuscolo appartamentino, in un luogo sperduto, senza neanche la luce elettrica e con la sola compagnia del custode.

Domanda peraltro inutile, e che semmai si sarebbe dovuta applicare al solo custode.

I terreni conferiti erano di cattiva qualità, e pare che nessun assegnatario abbia effettivamente abitato la relativa casa coloniche; le poche ancora abitabili continuano ad essere prevalentemente usate come abitazioni estive. La scuola così non entrò mai in funzione; anzi, l’edificio non venne mai completato




né l’impianto di approvvigionamento idrico realizzato. L’unico abitante del “borgo”, per anni, fu il custode, regolarmente incaricato, e stipendiato, per curarsi di qualcosa che mai avrebbe funzionato e mai sarebbe stato terminato; e che descriveva all’Ente per via epistolare i disagi derivanti dal dover andare ad attingere l’acqua a piedi.

Era quindi il custode trascorrere le serate d’inverno in solitudine, forse preparandosi la cena in quella che una volta era la cucina




e che invece adesso è la dimostrazione di come Binuara abbai seguito quello che è il destino di molti edifici scolastici della riforma: essere trasformati in fienile




Sempre in ossequio alla legge 890, è stato ceduto al comune di Trapani in data 1 febbraio 1978 insieme a Borgo Fazio; e sempre insieme a Borgo Fazio, seguendo alla perfezione il disposto della legge 890, dal 2004 il comune di Trapani lo ha incluso nell’elenco degli immobili da alienare. In effetti, anche incassare dei soldi può costituire “fine di pubblica utilità”; se qualcuno dovesse essere tanto dissennato da acquistarlo, è probabile che il suo destino divenga più dignitoso di quanto non sia quello attuale.





BORGO VICARETTO

Vi fu un periodo, e cioè la fine degli anni Cinquanta, nel quale borgo Vicaretto si sarebbe dovuto realizzare secondo uno schema simile a quello di Capparrini: borgo residenziale, e scuola basata sul progetto che caratterizza questo gruppo




Come si vedrà più avanti, questa non fu la prima “versione” di Borgo Vicaretto, e non sarà neanche l’ultima. Anche questo progetto è datato 1958, e reca la firma di Panico. In considerazione delle date riportate sui documenti, dovrebbe essere proprio questo il progetto cui si riferisce, come “Borgo Turrumè” l’esposto dei “contadini” di Tudia, datato 21 aprile 1960.



Il quinto gruppo

Gli edifici che avrebbero composto i borghi di questo gruppo sarebbero stati solamente due: una scuola-asilo-ambulatorio medico, ed un magazzino-sede cooperativa.

Il primo edificio era composto da due ali con gli assi maggiori angolati; questa caratteristica, inedita per i borghi ERAS, sembra avere antesignani negli edifici di Passarello.

Una delle due ali si sarebbe sviluppata su due elevazioni con tetto spiovente, l’altra su singola elevazione avrebbe avuto il tetto a terrazza, calpestabile




L’edificio avrebbe compreso tre aule, il refettorio, l’ambulatorio e, al piano superiore, tre alloggi




Il secondo edificio sarebbe stato composto da due costruzioni distinte, unite da un portico




La prima avrebbe ospitato spaccio, sede della cooperativa e due alloggi; la seconda una sala riunioni e due magazzini




Anche i borghi di questo gruppo sono definiti “di tipo ridotto”, e caratterizzati dall’assenza della chiesa; era però prevista una piccola cappella al piano terra della scuola-asilo, annessa al refettorio, verosimilmente ad uso degli alunni dell’asilo.

Vi sono tre planimetrie che si basano sugli edifici descritti: Gebbiarossa, Giambra e La Pietra. Nessuno dei tre borghi venne mai costruito, ma ciò non sorprende; la loro esistenza, in almeno due casi su tre, non era prevista dalla pianificazione del 1956. E quand’anche essi rappresentino la manifestazione di una decisione tanto tardiva quanto frettolosa, le scelte sembrerebbero essere viziate da scarsa razionalità. Ciò appare particolarmente evidente nel caso di Gebbiarossa.



GEBBIAROSSA

Il progetto, del 1959 a firma geom. Antonino Piccione




avrebbe dovuto essere a servizio del PR 128, comprendente lotti per 53 assegnatari.

L’area di riforma agraria interessata dal piano di ripartizione sarebbe stata interamente compresa tra i paesi di Delia e Sommatino, distanti in linea d’aria meno di sei chilometri




pertanto, ogni assegnatario si sarebbe comunque trovato a poter usufruire dei servizi di un borgo “A”, sicuramente erogati nell’ambito urbano di ognuno dei due paesi, ad una distanza che non avrebbe potuto essere maggiore di tre chilometri, ben minore del raggio di influenza di un borgo di tale tipo, che era di cinque chilometri.

L’ubicazione del borgo, poi, si sarebbe trovata a meno di due chilometri dal centro, e meno di un chilometro e mezzo dalla periferia di Delia




e precisamente sul lotto 29. Gli assegnatari la cui abitazione si fosse trovata sul limite Ovest dell’area interessata dal piano di ripartizione si sarebbero trovati ad una distanza molto più breve da Sommatino di quanto non lo fossero da Gebbiarossa; pertanto, è assolutamente razionale che nessun borgo fosse originariamente previsto a Gebbiarossa. Nonostante ciò, ci si premurò di ricorrere alla decretazione d’urgenza per (cercare di) realizzare una struttura praticamente inutile.

Ma vi è di più. Il lotto 29, individuato quale sede del borgo, era già stato assegnato. Il lotto pertanto avrebbe dovuto venire espropriato all’assegnatario al quale sarebbe stato attribuito un lotto contiguo, di valore equivalente.

Tale procedura non venne mai condotta a termine, per cui si ritenne di dover indennizzare l’assegnatario in forma pecuniaria, pagando il prezzo corrente della quota espropriata.

Sinceramente, Lettore, mi sfugge la logica di un simile comportamento. I lotti assegnati in applicazione della legge 104 del 1950 erano già di estensione ridotta, e gli assegnatari avrebbero dovuto comunque scomputarli pagandoli con i frutti della terra ; quale poteva essere il senso nel comprare da un assegnatario qualcosa che non era ancora di sua proprietà, riducendone però, ulteriormente, la capacità produttiva e mettendolo così in condizioni di non poter pagare la quota rimanente?

Non so Lettore quale sia stato l’epilogo della storia; sta di fatto che la costruzione del borgo non avvenne mai.



GIAMBRA

Sarebbe stato a servizio dei 99 lotti del PR nr 37 e dei 25 del PR 874, e situato lungo la SP45 di Siracusa




Originariamente in quella posizione era prevista la costruzione di un borgo “B”, come è desumibile dalla mappa dei borghi; un borgo “C” avrebbe dovuto invece trovarsi al limite Ovest dell’area interessata dal piano di ripartizione




Il progetto, del settembre 1959, appare firmato da “Abbate Eustachio” . I due edifici previsti sarebbero sorti su un piazzale di dimensioni relativamente ridotte; un’area antistante la scuola sarebbe stata adibita a “campo giochi ragazzi”




La gara d’appalto venne esperita nel 1961 e vinta dall’impresa CA.SFI.R. di Catania; ma il borgo non venne mai costruito. Diverse case coloniche sono però visibili lungo la SP 45



LA PIETRA

Borgo “ridotto” a servizio dei PR 349 e 142, avrebbe costituito un borgo misto in quanto il nucleo servizi sarebbe stato realizzato nel contesto di un agglomerato residenziale.

L’assetto della zona subì un’evidente evoluzione nel volgere di un quinquennio. Nella mappa dei borghi aggiornata al 1 gennaio 1956, i PR 349 e 142 sono separati, ed una parte del PR 142 è marcata con il numero 169. Le aree, insieme al PR 715, appaiono comprese nel raggio di influenza di un borgo di tipo “A” del Consorzio




Il borgo non esiste nella mappa del 1956, nella quale non compare neanche il PR 142; il PR 349 sarebbe stato compreso nel cerchio di influenza di un borgo “A” da Consorzio. La pianificazione è dell’ottobre del 1956; nella relativa corografia continua ad essere presente solo il PR 349




Il progetto del borgo è del 1960; nella corografia acclusa compare anche il PR 142




Le case coloniche relative ai PR verranno realizzate, sulla SS 119 e su una strada di penetrazione più ad Est di essa, come borghi residenziali, uno in contrada La Pietra e l’altro in contrada Coti. Sono gli agglomerati indicati come Borgo ERAS “A” e Borgo ERAS “B” sulla cartografia IGM.

I due agglomerati distano in linea d’aria poco più di un chilometro; ma l’accesso alla strada di penetrazione dalla statale avviene solo in corrispondenza dei capostrada, con un percorso lungo almeno quattro chilometri per spostarsi da un borgo all’altro.

Per tale motivo, nel 1960 verrà prevista, oltre al borgo ridotto in contrada La Pietra (Borgo ERAS “B”) una scuola in contrada Coti (Borgo Eras “A”), il cui progetto è quello dell’edificio 2) del gruppo precedente




I progetti del 1960 risultano firmati dal geometra Vincenzo LoCascio e dall’ingegnere dalla firma indecifrabile che sembra essere onnipresente in questo periodo




Nel 1961 verrà redatta una variante di progetto, nella quale, tra l’altro, alcune strutture in muratura portante vengono sostituite da cemento armato.

E’ interessante la presenza, nei fascicoli di archivio, di un appunto scritto a mano riguardo alla richiesta della costruzione di una chiesa




verosimilmente un’istanza degli assegnatari non soddisfatti delle nuove politiche dell’ERAS il quale, per qualche motivo, aveva depennato dalle proprie pertinenze quei servizi che venivano allora definiti come“assistenza spirituale”.

Né la chiesa, né alcuna altra struttura verrà mai realizzata: un capannone attualmente sorge ove avrebbe dovuto trovarsi la scuola





Il sesto gruppo

Agli inizi degli anni Sessanta sembrò verificarsi un ulteriore cambiamento in quella che era la struttura dei borghi. Si verificò la ricomparsa della chiesa tra gli edifici di servizio, con la contemporanea scomparsa delle delegazioni municipali e di quelli che una volta erano servizi di competenza privata (trattoria, locanda, rivendita, botteghe artigiane) dai borghi che altrimenti sarebbero stati classificabili come “A” o “B”. La rivendita tabacchi avrebbe dovuto avere sede presso l’ufficio postale. La ricomparsa delle chiese potrebbe indurre a pensare che essa abbia segnato il ritorno ad un tipo di progettualità più “classica”, con uno stile più originale,e diverso per ogni borgo. Ma, come vedrai, Lettore, l’originalità è più apparente che reale; e nessuno dei progetti verrà comunque realizzato.



SAN GIOVANNI VERDE

San Giovanni Verde riveste una particolare importanza nell’ambito di questo gruppo, nonché dell’intera “fase”. Da un lato costituisce il tramite tra i primi tre gruppi, ed il presente, interessando trasversalmente la “fase dello sperpero dell’eredità”; dall’altra rappresenta un esempio paradigmatico del motivo per il quale avrei adottato, appunto, il vocabolo “sperpero” per caratterizzare la fase.

L’originario progetto di Borgo San Giovanni Verde è infatti quello di un borgo “B”, concepito a servizio di 109 lotti nel territorio delle Petralie, quattro km ad Est di Bompietro




Firmato dall’ing. Melchiorre Natoli, era datato 31 maggio 1953; era quindi coevo di Passarello e Dirillo, ed antecedente a Dagala Fonda, nonché alla versione originale (ing. Santangelo) di Tenutella Desusino.

Come specificato nell’introduzione alla presente fase, il D.A. 295 che (ri)definiva la composizione dei borghi in relazione alla tipologia è datato 1 aprile 1953, ma fu pubblicato sulla GU nr 33 del 10 luglio 1954; pertanto, alla data del 31 maggio del 1953, il riferimento relativo alla tipologia dei borghi rurali restava il Decreto Interministeriale del 3 Gennaio 1941, nr 11255, il quale metteva in relazione la tipologia di ogni borgo con il raggio di influenza e, conseguentemente adottando un criterio in qualche modo correlato all’estensione territoriale della zona da servire. Il DA 295 avrebbe dovuto variare il criterio per identificare la tipologia dei borghi, che avrebbe considerato invece ”la presumibile densità demografica dei singoli settori della colonizzazione”, e non più “raggi di influenza”, avvalendosi quindi di un parametro relativo alla popolazione e non al territorio; tuttavia nei fatti, come chiaramente desumibile dalla mappa dei borghi, il criterio che continuava ad essere adottato era quello del raggio di influenza.

Da un certo punto di vista, i due criteri sarebbero correlabili; ma è proprio a motivo di una tale correlazione che il continuare ad adottare tale criterio avrebbe comunque condotto a risultati largamente insoddisfacenti. Infatti, come visto qui, i contratti dell’”assalto al latifondo” avrebbero previsto poderi di estensione non inferiore a 20 Ha, mentre i lotti assegnati dalla Riforma Agraria del 1950 risultavano, nella migliore delle ipotesi, estesi 6 Ha, meno di un terzo dei poderi previsti dalla legge fascista. Di conseguenza, se, per ipotesi, un borgo di tipo “A” si fosse trovato al centro di una zona totalmente e completamente appoderata, il suo raggio di influenza avrebbe dovuto garantire i servizi ad una superficie estesa 7854 Ha circa, che seguendo il disposto della norma fascista sarebbe stata suddivisa in non più di 392 poderi, mentre secondo i criteri della Riforma Agraria del 1950 in non meno di 1309 lotti. Un calcolo analogo per un borgo di tipo “B” indica che questo, nella peggiore delle condizioni, sarebbe stato a servizio di 98 poderi, e delle relative famiglie; ma che nelle medesime condizioni, seguendo le assegnazioni conseguenti all’applicazione della legge nr 104 sarebbero stati equivalenti a 327 lotti (ed altrettante famiglie).

Pertanto, già all’origine il borgo apparirebbe “sottodimensionato” rispetto al compito che sarebbe stato chiamato a svolgere.

Il progetto, comunque, sembrò non ricevere l’approvazione dell’assessorato; ma nella mappa del 1956, continua a comparire in contrada San Giovanni, sempre un borgo “B” a servizio dei PR 15° e 15b, anche se nel raggio di influenza ricade anche parte del PR 367




così, nel novembre 1956, una nuova versione progetto venne compilata dall’ing. Natoli, per essere trasmessa all’assessorato nell’aprile dell’anno successivo. Il progetto venne respinto, ancora una volta, nel luglio seguente; ma nel frattempo altri 19 lotti si erano aggiunti al numero di quelli da servire. Ed ottanta delle relative case erano già state costruite.

Fu redatto allora il progetto di un “borgo ridotto”, a firma “ing. Giovanni Imburgià” (almeno, così interpreto la grafia) e datato 25 settembre 1958




Il nuovo borgo condivide con quelli del secondo gruppo il fatto che ne vennero progettate e realizzate le strade di accesso; ma, alla fine, scuola con ambulatorio ed asilo con alloggi risultano uguali a quelli adoperati nell’ambito del “terzo gruppo” (l’asilo, per la precisione, è quello di Dagala Fonda).

Il progetto fu esaminato dal Sottocomitato Tecnico Amministrativo nel gennaio del 1959, ed ancora una volta rinviato, per l’adeguamento dei prezzi unitari.

Nel frattempo, San Giovanni Verde era divenuto l’unico borgo previsto in zona, per sei Piani di Ripartizione; un “borgo ridotto” si sarebbe trovato allora a dover servire 634 lotti (e le relative famiglie di assegnatari). Quasi il doppio di quelli che un borgo “A” del periodo fascista avrebbe servito nella peggiore delle ipotesi.




Quest’ultima versione, pur avendo due edifici in comune con i borghi del terzo gruppo, include però una sede cooperativa con magazzini basata su progetto inedito




ed una chiesa




come i borghi del gruppo attuale. E come i borghi del gruppo attuale, data 1960 e non è mai stata realizzata; quindi un eventuale problema relativo alle dimensioni del borgo non si pose mai. Né avrebbe avuto senso porselo, in considerazione del fatto che, sempre “in ossequio” alla legge 890, l’Ente lo avrebbe poi comunque ceduto al comune di Petralia.

Questo, come dicevo all’inizio, è l’esempio più eclatante dello “sperpero” dell’eredità dell’ECLS. Si parte dagli stessi principi (che però probabilmente con la legge 890 il governo fascista era sul punto di rivedere), per sprecare denaro e risorse in qualcosa che non serviva, e la cui alienazione al comune sarebbe comunque già stata preventivata. E probabilmente il governo fascista aveva già compreso come la necessità di tali strutture stesse venendo meno, da cui la legge 890. Infatti, se borgo San Giovanni Verde fosse stato davvero necessario, si sarebbe dovuto costruire comunque; come avrebbero potuto ovviare, altrimenti, gli assegnatari delle case?

Perché le case relative ai PR che il borgo avrebbe dovuto servire, così come strade ed impianti idrici, vennero invece realizzate; ma per tali realizzazioni, debordiamo nel periodo ESA.



TENUTELLA DESUSINO

Come visto prima il progetto originale reca la data del 1954, ed era inserito in un ampio piano che prevedeva un vasto sistema residenziale e di servizio per 678 lotti, sistema che si sarebbe basato su realizzazioni congiunte dell’ERAS e del Consorzio del Salso Inferiore; dalla mappa del 1956 il sistema sembrerebbe allargarsi anche a realizzazioni del Consorzio della Piana del Gela (I due Consorzi si unificheranno più tardi come Consorzio di Gela). Era incluso nel piano anche il progetto delle case coloniche.

Il fallimento di detto piano, senza realizzazioni da parte del Consorzio (delle quali resterebbe comunque una traccia presso l’ASCEBEM), fu ciò che determinò verosimilmente la variazione di del sistema di Gurgazzi e lo spostamento di Manfria, allo scopo di assicurare comunque un minimo di servizi a dei lotti che erano stati assegnati.

E fu probabilmente nell’ambito di tale rivisitazione che il progetto fu ripreso, compensando, anche qui, le mancate realizzazioni con la pianificazione di sei scuole rurali




La composizione del borgo venne variata; perse trattoria, botteghe artigiani e delegazione comunale e guadagnò sede cooperativa e magazzini




Il borgo venne spostato 2 km verso Ovest, mentre nei pressi dell’ubicazione originaria sarebbe sorta una delle sei scuole




Si ebbe così un “nuovo” progetto, del settembre 1960




ma che d’altra parte nuovo non era, essendo comunque stato redatto sei anni prima.

Originale o meno che fosse, esso non venne comunque mai realizzato; vennero realizzate invece, almeno in parte, le case coloniche, in parte disperse sul territorio, in parte agglomerate in un borgo residenziale; almeno queste ultime, non saranno mai occupate. Anche l’evoluzione della vicenda è simile a Dagala Fonda, con una ripresa del progetto originale ed una sua variazione.

Sebbene mai realizzato, Tenutella Desusino dovette essere considerato un progetto ben valido, se si ritenne di doverlo riesumare a distanza di tempo, nonostante la variazione nella pianificazione; tanto più valido se si considera che il semplice recupero a distanza di tempo non fu l’unica occasione in cui si ritenne di riutilizzare il progetto.



FLORESTA

L’altra occasione fu borgo Floresta, verosimilmente a servizio dei PR 632 e limitrofi, sempre in provincia di Caltanissetta, ma situato più a Nord. Probabilmente la decisione di pianificare borgo Floresta fu sempre una conseguenza della variazione relativa al sistema di Tenutella Desusino. Borgo Floresta infatti non era previsto nella pianificazione del 1956. Il PR 632 sarebbe rientrato in gran parte nella circonferenza di influenza di un borgo “A” del consorzio, la cui mancata realizzazione avrà senz’altro variato gli assetti. Le zone al di fuori del raggio di influenza di detto borgo sarebbero state servite da un borgo “C”, da realizzare da parte dell’ERAS, che però si sarebbe trovato circa tre chilometri e mezzo ad Ovest-NordOvest della posizione individuata per Borgo Floresta




Borgo Floresta, invece, se non fosse per l’assenza della delegazione municipale, sarebbe stato un borgo “B”, con sede designata al km 14 della provinciale Mazzarino-Simia, attualmente SP 13, nelle immediate adiacenze della cantoniera Finocchio




Il progetto di Borgo Floresta, a firma illeggibile (qualcuno vi ha visto “ing. S. Lodato”, ma la firma apposta dall’ing. Lodato è di solito diversa), e datato 1960, è praticamente uguale alla versione riveduta di Tenutella Desusino, ove si eccettui l’assenza dei “fabbricati artigiani”




con una conseguente, diversa, disposizione degli altri edifici nella zona Ovest




Per il resto i due progetti sono assolutamente sovrapponibili; anche nella mancata realizzazione. Ma Floresta non fu l’unico esempio di riciclaggio del progetto di Tenutella Desusino



RATUMEMI

Borgo “B” già pianificato nel 1956




anche Ratumemi sarebbe sorto a Sud di Caltanissetta, a servizio dei PR 331




ed in questo avrebbe avuto una certa analogia con Arciero. Ed anche nel fatto di costituire un borgo misto, sebbene le case di Ratumemi, anziché raggruppate in un unico agglomerato, sarebbero state sparse sul territorio. Ratumemi adotta, con una lieve variante, il progetto della scuola che fu redatto dall’architetto Ugo per Dagala Fonda




mentre gli altri edifici, all’infuori della chiesa, sono condivisi con Tenutella Desusino e Floresta.

La lettura della relazione tecnica del borgo, e della relativa valutazione del Comitato Regionale per la Bonifica risultano si rivela esemplificativa della situazione che il presente post vuole illustrare.

Il progetto, che reca la stessa firma del geometra che firmò la perizia di manutenzione di Manganaro nonché il progetto di Castelluccio, è datato 28 settembre 1960; ed è interessante vedere con quale dovizia di particolari vengono motivate le scelte progettuali, che in realtà erano state operate sei anni prima da altre persone (l’arch. Ugo e l’ing. Santangelo). Vengono anche descritte due palazzine alloggi una delle quali non ha riscontro in planimetria




Ad onor del vero, nella scuola il geometra aveva messo del suo, trasformando gli alloggi del primo piano in aule e chiudendo la terrazza.

Dal canto suo, il comitato muove una serie di critiche, una delle quali è riferita proprio all’assenza di una delle due palazzine alloggi; ma le critiche vengono estese anche a planimetrie e disposizione dei locali, che si riferiscono in realtà a progetti risalenti a quasi un decennio prima, e che probabilmente il sottocomitato aveva già valutato. E viene inoltre sottolineato come “…ad eccezione di quelli relativi a Chiesa e Canonica,“ (gli unici edifici originali) “tutti gli elaborati grafici presenti mancano di qualsiasi indicazione di quote, sia nelle planimetrie che nelle sezioni […] Si nota inoltre la mancanza di qualsiasi particolare costruttivo e decorativo con cosequente (sic) gravi difficoltà di interpretazione dei troppo schematici disegni presentati.

E ciò non sorprende, in quanto le planimetrie altro non erano che la pedissequa riproduzione di disegni altrui.

Il borgo avrebbe dovuto originariamente avere un’ubicazione diversa; pare che essa sia stata variata per favorire qualcuno, espropriando a prezzi maggiori di quelli correnti un terreno limitrofo e variando conseguentemente l’ubicazione del borgo. Questo è, almeno, ciò che viene riportato nel memoriale del PCI sulla mafia dei feudi del 1964; da un certo punto di vista, l’episodio avrebbe un corrispettivo nella lunga disquisizione presente in fase introduttiva, nella relazione tecnica, per giustificarne l’ubicazione. Per reale o meno che sia l’episodio riportato, Borgo Ratumemi non vide mai la luce.



CASTELLUCCIO

Era già previsto, come borgo “C”, nella mappa dei borghi del 1956; nel suo raggio di influenza appaiono comprese alcune aree appartenenti ai PR 89 e 275. Nella premessa della relazione tecnica però, redatta quasi sei anni più tardi, vengono menzionati non solo i 96 lotti PR 89 e 275,si afferma che il borgo “potrà servire anche i vicini piani di ripartizione nn° 550, 551, 552 e 816”, ubicati decine di chilometri più a Sud.




La relazione, così come il progetto, è datata 26 settembre 1961; la firma del redattore, apposta su tutte le tavole di progetto è di “Quattrocchi”, mentre il “progettista” sembra essere il medesimo che ha formato i progetti di Ratumemi, e la perizia di manutenzione straordinaria di borgo Manganaro che, come il presente progetto, è del 1961.

Lo stile degli edifici infatti ci riporta direttamente al funzionalismo degli anni ’60.




Solo il progetto di uffici ERAS, sede cooperativa e magazzini resta quello comune alla maggior parte dei borghi di questo gruppo; in pratica, quello redatto per Tenutella Desusino.

Appare architettonicamente gradevole la chiesa e non solo a me, considerato che il progetto di essa, come vedremo, verrà riciclato




Il principio non sarebbe dissimile quindi da quello che ha governato l’ultima versione di San Giovanni Verde: un borgo “C”




a servizio di un’area che si sarebbe dovuta coprire con due borghi “A”. E se è analogo il principio, debbono essere analoghi anche criteri ed epiloghi; nonostante un’articolata relazione volta a giustificare la motivazione per cui il terreno sul quale il borgo sarebbe sorto veniva pagato meno del dovuto, borgo Castelluccio non vedrà mai la luce.



SIGONA

E probabilmente, resisi conto del fallimento della riforma agraria ovvero, per usare le parole della Corte dei Conti “…non si può non concludere che le finalità della riforma agraria in Sicilia non sono state raggiunte, non ostante il notevolissimo importo delle somme impiegate.” si continuò comunque fino alla fine sulla stessa falsariga. Il progetto di Sigona, firmato “Abbate Eustachio” (Arciero, Fargione) reca la data del giorno immediatamente successivo a quella del progetto di Castelluccio, oltre ad essere pianificato basandosi su identici principi. Dalla mappa dei borghi aggiornata al 1 gennaio del 1956 è possibile verificare come la genesi del progetto dovesse essere simile a quella di altri borghi del gruppo. Infatti nella sede designata era originariamente prevista la costruzione di un borgo di tipo “A” a cura del Consorzio; l’ERAS avrebbe curato la realizzazione di un borgo “C” in contrada Cuccumella, un paio di chilometri ad Est di Sigona




Ed anche qui, fu probabilmente un cambiamento di orientamento da parte del Consorzio a costringere l’Ente a subentrare ad esso; ma lo fece sostituendo il borgo “A” con il progetto di un borgo “C”. Ma con il nuovo assetto, Sigona, pur essendo un borgo di tipo “C”, sarebbe stato comunque a servizio di ben 285 lotti ripartiti in nove aree distinte. Nella relazione tecnica, relativamente alla scuola-asilo è, tra l’altro, scritto: “due aule per la Scuola ed una per l’Asilo […] Le aule [… ] hanno dimensioni planimetriche capaci di accogliere 30 ÷ 35 alunni ciascuna”.

Tre aule da 30 ÷ 35 posti ciascuna significano 90 ÷ 105 posti, in totale; approssimativamente, un centinaio. Ora, Lettore, per favore non perdere di vista il fatto che la classe contadina rientra a pieno titolo nel “proletariato”e nel senso più stretto del termine; intendo dire che la classe contadina della metà del ventesimo secolo era abbastanza “prolifica”, e cioè produceva prole. Se i 285 lotti fossero stati assegnati ad altrettante famiglie, ciò si sarebbe tradotto in almeno un migliaio di ragazzini; come sarebbero potuti mai bastare un centinaio di posti a scuola, tra asilo e le cinque classi elementari? Ma considerate le politiche dell’ultimo periodo, viste a proposito di Castelluccio o con l’evoluzione di San Giovanni Verde, ciò non stupisce.

Qualcosa su Sigona che invece mi ha sempre stupito è l’episodio citato nel post di borgo Fiumefreddo, relativo ad un messaggio di qualcuno che chiedeva notizie di “borghi fascisti nel Lentinese”, con particolare riferimento a Bardara di Lentini, Fiumefreddo e Sigona. Il fatto di considerare strutture costruite anche a distanza di decenni dalla caduta del regime come realizzazioni fasciste è ciò che ho denominato “l’Errore”; pertanto ciò non mi dovrebbe stupire. Ciò che mi lascia interdetto, invece, è il fatto che sia stata considerata “borgo fascista” una struttura che, in effetti, era stata progettata, ma mai realizzata; come faceva colui che richiedeva le informazioni a sapere che esisteva un progetto per un “borgo Sigona”?

Un'ipotesi era quella che il piano di esproprio (tra l’altro presente in archivio) fosse in effetti stato avviato, e come era stato per la Valle del Tumarrano e tanti altri luoghi, nel corso dei decenni il fatto, tramandato oralmente, fosse divenuto opera “di Mussolini”.

Ma vi era un’ipotesi alternativa, più affascinante.

Avevo supposto (sperato?) che qualcosa in realtà si fosse iniziato a costruire e, come accaduto in tanti altri casi analoghi, le strutture realizzate ed abbandonate fossero poi state attribuite al governo fascista. Dalla corografia è immediatamente deducibile quale sarebbe stata l’area designata per la costruzione del borgo (che in relazione tecnica viene genericamente indicata con “terreni privati vicini alla strada consorziale Sigona IIª”): è l’area adiacente alle “Case Attardi”




riportate in cartografia IGM. Sulla medesima cartografia non sembrano riportate strutture riconducibili alla strada di accesso o al piazzale, né tantomeno edifici




E neanche qualche realizzazione potrebbe essere successiva ai rilievi dell’IGM. Questa è infatti la planimetria del borgo




perimetro del piazzale e strada presenterebbero una conformazione inequivocabile, ma nulla di tutto ciò è visibile nell’area interessata. Non ho avuto bisogno di verificare sul posto; la risoluzione delle immagini di GoogleEarth è ormai così elevata da consentire di rilevare anche strutture di dimensioni ridotte




Pertanto, tale interrogativo è destinato a rimanere senza risposta; a meno che non vi siano delle strutture così poco appariscenti da non essere rilevabili nelle foto. E tali strutture non dovrebbero essere state rilevate dall’IGM, il che le collocherebbe negli anni Settanta, e quindi in periodo ESA, e non ERAS.

In effetti, arrivati alla fine del 1961, siamo proprio a ridosso della transizione ERAS-ESA; è giunto il momento di abbandonare i borghi ERAS e parlare brevemente dei borghi ESA. Ma non prima di aver dedicato un ultimo post ai “fantasmi dell’ERAS”.


2 commenti:

  1. In pratica, sarebbero le case che Lei ha citato nel suo ultimo post sui borghi, quelle visibili dalla provinciale 45.
    E non si tratta affatto di costruzioni degli anni Venti e Trenta come riportato dall'autore dell'articolo.

    RispondiElimina
  2. E' sempre una manifestazione di quell'errore che vede attribuito al ventennio fascista qualunque infrastruttura rurale. Le case in realtà sono di "tipo 9". Progettate nell'aprile del 1954 da Abbate.

    RispondiElimina