sabato 3 settembre 2022

Il Mostro di Firenze 6: " LO - ZIO PIETO"



Cynicism is merely the art of seeing things as they are instead of as they ought to be.

Oscar Wilde




Sono certo, Lettore, di non aver alcun bisogno di specificare, prima di inizare qualunque tipo di analisi, come l'mmagine soprastante sia un fake, una riproduzione basata sulla descrizione del famigerato biglietto dello "Zio Pieto"; ma lo faccio ugualmente per non dare adito ad eventuali polemiche.

Se ho voluto inserire tale immagine, é perché il biglietto rappresenterebbe una pietra miliare nella vicenda del "Mostro di Firenze", una traccia che, se seguita in maniera appropriata e per tempo, avrebbe forse potuto condurre lungo piste ben tracciate, anzichè lungo quelle che si perdono nella sabbia; evitando così la morte di sei persone.

A proposito di "cinismo", invece, un aneddoto narra che Platone, un giorno, vedendo Diogene lavare della verdura recuperata tra i rifiuti per mangiarla, gli avesse detto: "Se tu servissi alla corte di Dionisio, non avresti bisogno di lavare la verdura". Diogene gli avrebbe risposto: "Se tu lavassi la verdura, non avresti bisogno di servire alla corte di Dionisio".




Ad essere sincero, Lettore, non ho mai capito come Diogene potesse servire alla corte di Dionisio, considerato che non dovrebbe mai essere stato in Sicilia, ma ciò ha poca importanza; ciò che realmente importa é il ribaltamento del punto di vista, che l'aneddoto mostra chiaramente, il cui principio é assimilabile ad una forma di "pensiero laterale"

Così, prima di analizzare la questione successiva, riassumiamo sinteticamente il percorso, innescato dal "pensiero laterale" seguendo il quale saremmo giunti qui.

Vediamo innanzitutto quali sono gli elementi inusuali ed incongruenti, che hanno dovuto trovare una spiegazione plausibile.

Il delitto di Signa venne eseguito per recuperare "qualcosa" che fosse in possesso del Lo Bianco, e che probabilmente, gli avrebbe consentito di arricchirsi; almeno nelle sue intenzioni.




In seguito al delitto, ci si adoperò attivamente per nasconderne sia le motivazioni, sia gli esecutori.

Il delitto di Rabatta sarebbe venuto sei anni più tardi, non ha alcuna analogia con il delitto di Signa, ma é caratterizzato da un plateale vilipendio del cadavere della vittima femminile




La vittima femminile del delitto di Rabatta era figlia di un ex partigiano toscano, la famiglia della vittima maschile proveniva da tutt'altra parte d'Italia.

La connessione tra i due delitti viene stabilita otto anni dopo il delitto di Rabatta, e con modalità quanto meno sospette ed equivoche.

Le prove che suffragherebbero tale connessione sarebbero artefatte, o, almeno, non sono mai state prese le precauzioni necessarie ad evitare la loro manipolazione.




La "scoperta" della connessione tra il delitto di Signa e gli altri attribuiti al c.d. "Mostro di Firenze" conseguentemente "scopre" anche il fatto che il supposto autore di esso non possa essere colpevole; e questo, implicitamente annulla la copertura che era stata costruita per evitare che venisse individuato il vero autore del duplice omicidio.

Quest'ultima implicazione é il fatto, in assoluto, più importante, perché denota una sorta di "cambio di modalità di gestione" dell'intera vicenda: prima ci si adopera per coprire l'autore del delitto di Signa, poi invece si intraprendono iniziative volte a farlo scoprire.

Ciò ha condotto a delinare la seguente successione di eventi:

Durante la Seconda Guerra Mondiale, Qualcuno, da militare, assume un atteggiamento opportunistico in diverse circostanze strettamente attinenti con eventi bellici

Nelle fasi iniziali del conflitto, in una di tali circostanze egli riesce ad appropriarsi di molto denaro.

Sempre in tali circostanze, intreccia stretti rapporti con persone che, nell'Italia repubblicana, contribuiranno alla creazione di particolari branche dei Servizi Segreti.

Successivamente, durante la Resistenza, assume un atteggiamento ambiguo, facendo il doppio gioco ma macchiandosi di crimini dai quali, alla fine, riesce ad essere scagionato.

A metà degli anni Sessanta del ventesimo secolo, dà inizio ad un ambizioso progetto.

Alla fine degli anni Sessanta, subisce un ricatto, relativo al suo passato, al quale pone fine con l'eliminazione fisica del ricattatore, e per far ciò chiede aiuto, a titolo personale, al Servizio creato dalle persone conosciute durante la guerra.

A metà degli anni Settanta inizia la realizzazione pratica del progetto delineato precedentemente, ma si trova nuovamente in pericolo per gli eventi accaduti durante la Resistenza; risolve il problema rivolgendosi nuovamente al Servizio, che con un omicidio "esemplare" tacita chiunque avesse in mente di frapporsi tra il Qualcuno ed i suoi obiettivi.

All'inizio degli anni Ottanta, Qualcunaltro, che d'altra parte ha il controllo formale del Servizio al quale il Qualcuno si rivolgeva a titolo personale, organizza una vasta operazione finalizzata a demolire ciò che il Qualcuno aveva costruito, ed agisce attraverso la magistratura.

La magistratura in effetti sortisce l'effetto voluto, ma non viene preso in considerazione l'aspetto relativo all'arricchimento del Qualcuno avvenuto all'inizio della Seconda Guerra Mondiale.

Per orientare la magistratura verso l'apertura un filone di indagine anche in quella direzione, vi sarebbe l'opportunità di riaprire il caso del delitto del 1968, facendo venire alla luce ciò che era stato coperto.

Per conseguire tale fine si dà inizio ad un piano che prevede l'inserimento nel fascicolo del delitto di Signa di reperti analoghi a quelli dell'arma di Rabatta, l'esecuzione di un delitto "impressionante" con quell'arma, ed una segnalazione anonima agli inquirenti che possa collegare i due delitti con quello di Signa, e far riaprire le indagini su quest'ultimo; in particolare, si vuole indurre il capro espiatorio di allora a riportare gli inquirenti sulle tracce del vero colpevole

La messa in pratica del piano incontra qualche difficoltà, cosicché devono venire compiuti tre duplici delitti anziché il solo pianificato




e devono essere inviate diverse comunicazioni anonime




ma alla fine, gli inquirenti riaprono il caso, e giungono al capro espiatorio che ha, nel frattempo, espiato la pena.

Siamo giunti così, Lettore, nella seconda metà del mese di luglio del 1982, nella quale il Giudice Istruttore dell'epoca, Vincenzo Tricomi, dopo aver recuperato, sulla base di suggerimenti esterni, il fascicolo di Stefano Mele, si accorge con piacevole stupore che esso contiene i reperti balistici relativi al delitto Lo Bianco-Locci, dispone una perizia balistica informale, la quale evidenzia come bossoli e proiettili contenuti nel fascicolo presentino gli stessi segni, relativi alla balistica interna, di quelli rilevabili sui reperti raccolti sulle scene dei delitti di Rabatta, Scandicci Calenzano e Baccaiano.

Come abbiamo visto nel post precedente, tale "scoperta" viene tenuta assolutamente riservata sia per quanto riguarda le modalità con le quali sarebbe avvenuta, sia per quanto riguarda i contenuti stessi di essa e le sue implicazioni. E', secondo il codice di procedura penale dei tempi, coperta da segreto istruttorio.

Del perché possano esse state nascoste le reali modalità con le quali si sia arrivati a tale "scoperta" si é già abbondantemente discusso in diversi post precedenti.

Ciò che importa qui é il fatto che si sia tenuta nascosta la "scoperta" in sé, e le sue implicazioni, aspetto che viene specificamente menzionato più volte nella sentenza Rotella dando ad esso particolare risalto:

Pertanto, in questa fase della vicenda la situazione é questa:

Gli inquirenti sanno che i reperti nel fascicolo di Signa sono analoghi a quelli dei delitti attribuiti al c.d. "Mostro di Firenze", e lo sanno da una perizia balistica informale disposta estemporaneamente dal giudice Tricomi.

Gli inquirenti sanno che, nella migliore delle ipotesi, Stefano Mele non é il solo responsabile del delitto Lo Bianco-Locci (nella peggiore non ne é responsable affatto) e pertanto devono cercare (anche) qualche altro responsabile.

Gli inquirenti, nella loro ricerca, devono operare senza rivelare ciò di cui sono venuti a conoscenza.

Come gestiscono tale situazione?

- Dispongono un nuovo interrogatorio per Stefano Mele, dicendo a lui, e solo a lui, che sono emerse evidenze per le quali l'arma che lui avrebbe usato é stata usata anche per altri delitti

- Dispongono interrogatori per i familiari di Stefano Mele, ventilando loro la possibilità di revisione del processo, ma senza fornire motivazioni al riguardo, e tenendo segreto da cosa realmente tale possibilità origini.

- Dispongono interrogatori per altri soggetti potenzialmente coinvolti, e cioè i familiari del Lo Bianco ed i fratelli Vinci

- Dispongono l'intercettazione delle utenze telefoniche di Francesco Vinci, e di Giovanni, Maria, Teresa ed Antonietta Mele

La considerazione che, in questa fase hanno, in particolare, per Piero Mucciarini é di minore importanza, e limitata al 1968; e tale limite permarrà immutato anche quando Piero Mucciarrini verrà incriminato. (Rotella scrive: "Fuori di ciò, nessun elemento collega Piero Mucciarini ai delitti dal 1974 in poi. Né gli è stato mai contestato. Il mandato di cattura, ovviamente, non ne fa cenno. L'indagine, nei suoi confronti, ha avuto per oggetto meramente il duplice omicidio del 1968,...")

Da tale fase delle indagini emergono essenzialmente elementi psicologici, riscontrabili in coloro che stanno rientrando nelle indagini; vengono invece trascurati quei pochi elementi obiettivi, i fatti, che potrebbero utilmente venire estratti dagli interrogatori e dalle intercettazioni.

Tutte le persone coinvolte in questa vicenda, e soprattutto i familiari del Mele, sono stanche e diffidenti. Sono stanche di aver a che fare con personaggi che con minacce li hanno coinvolti in una situazione assurda, che si é rivelata disastrosa per diverse famiglie; sono diffidenti verso chi avrebbe dovuto proteggerli da ciò, ed invece ha sbattuto in galera per anni un povero cretino innocente, e lasciato a loro l'onere di occuparsi del di lui figlio.

Con la scarcerazione di Stefano Mele, e la sua definitiva collocazione alla Casa San Giuseppe, hanno finalmente raggiunto un equilibrio, che vedono improvvisamente alterarsi di nuovo; perché mai dovrebbero "collaborare"? Che vantaggi porterebbe ormai una revisione del processo? Perché dovrebbero imbarcarsi in una nuova avventura che non promette nulla di buono, ma che di sicuro sarà ancora destabilizzante, per un gruppo familiare già duramente e lungamente colpito?

Una condizione simile, anche se in misura minore, é quella in cui si trovano i familiari di Antonio Lo Bianco; collaboreranno per dovere, considerato che, inoltre, una revisione del processo non interesserebbe neanche un loro familiare.

Lo stesso dicasi per i Vinci, che hanno i loro interessi, che addirittura potrebbero essere in conflitto con un atteggiamento collaborativo, e che allora si trovarono coinvolti per situazioni che nulla avevano a che vedere con rapporti di parentela.

Perché il piano funzioni, Stefano Mele deve però fare il nome della persona dalla quale si possa risalire agli eventi che possano ampliare i limiti nei quali sono attualmente ricomprese le indagini sul Qualcuno, facendovi rientrare anche gli eventi del periodo bellico. Ma Stefano Mele non ha alcun interesse a fare questo.

Stefano Mele é anziano, provato e stanco; sembra cominciare ad avere anche qualche segno iniziale di demenza che, in aggiunta al suo quoziente intellettivo già basso, non aiuta. La revisione del processo, inoltre, non gli darebbe alcun vantaggio sostanziale; a meno che non dovesse essere considerato del tutto innocente (eventualità estremamente remota), cosa che gli darebbe diritto ad un risarcimento, una revisione si risolverebbe solo in un "surplus" di scocciature. Probabilmente, l'unico possibile vantaggio che vede dall'evolversi di questa nuova situazione é l'opportinità di vendicarsi dei soprusi subìti da Francesco Vinci; quindi, si proclama innocente ed accusa Francesco Vinci

Qui, Lettore, siamo ancora al 27 luglio 1982; Stefano Mele é stato avvisato dagli inquirenti dela nuova situazione, ma non ancora contattato da nessuno dei familiari.

E' necessaria un'induzione per farlo parlare, un "aiutino" in tal senso, che non sarebbe poi impresa così difficile; se qualcuno é stato in grado di convincerlo a dire bugie per incolpare se stesso, allo stesso qualcuno dovrebbe venire molto più facile convincerlo a dire la verità per scagionare se stesso. Seppur senza rimediare al danno fatto.

Così, Lettore, accade qualcosa di cui nessuno sembra accorgersi, e che a sua volta genererà qualcos'altro di cui nessuno sembra accorgersi, se non dopo due anni.



La logica dell'illogico

Ciò di cui nessuno sembra accorgersi é che il 16 agosto del 1982, Antonietta Mele, sorella di Stefano e moglie di Piero Mucciarini, già gravemente malata di cancro, tanto che morirà appena 38 giorni dopo, viene interrogata dagli inquirenti. All'interrogatorio presenzia il medico della testimone, per assicurarsi che si rimanga entro i limiti imposti dallo stato di salute della paziente. Il medico, ad un certo punto, si vedrà costretto ad interrompere l'interrogatorio; ma, nonostante ciò, si legge testualmente nella sentenza Rotella



Quella stessa sera, appena andati via i magistrati, Antonietta Mele Mucciarini telefona a casa della sorella Maria, alla quale fa capo il nipote Natalino e, avutolo a telefono, lo invita a scendere a casa sua appena terminata la cena


Antonietta, nonostante riuscisse a malapena a parlare, sollecita quindi una visita di Natalino, con urgenza (dopo cena); chi avrebbe dovuto parlare con Natalino, quella sera? Come mai tale comportamento non allerta gli inquirenti?

Rotella più tardi interpreterà ciò come la paura di Antonietta Mele che Natalino possa coinvolgere suo marito, Piero Mucciarini; e basta.

Sta di fatto che subito dopo, Giovanni Mele, sentito dagli inquirenti, si mostrerà

...assai cauto, ed il riferimento alle preoccupazioni del Mucciarini non allarma.


Subito dopo, però

...si propone di far incontrare padre e figlio, per combinare una versione comune intorno al 1968, senza riuscirci, tant'è che lascia un biglietto d'appunti al fratello, che riguarda anche le dichiarazioni di Natalino.


Giovanni fa visita a suo fratello Stefano il 25 agosto 1982, e a quella data risale il biglietto.

Dieci giorni dopo

"Maria,parlando con la sorella Teresa — ore 12,25 — dice che Giovanni è stato a parlare con Stefano, che Stefano è stato sentito dai magistrati ma non ha detto niente, che forse Stefano ha paura per loro congiunti, che Giovanni gli ha lascialo tutto scritto e che proverà a scrivergli ancora


Il "tutto scritto" che avrebbe lasciato Giovanni sarebbe il famigerato "biglietto dello zio Pieto", riguardo al quale Rotella afferma tre concetti fondamentali:

- Il biglietto sarà sequestrato solo nel gennaio 1984

- Non ha nulla a che fare con i Vinci

...e, come si vedrà,indirizza Stefano Mele, in conformità ad un inquinamento subito da Natalino nel 1969, contro Pietro Locci fratello dell'uccisa Barbara.



I tre concetti sarebbero fondamentali per "capire perché non si é capito".

Infatti, se il biglietto fosse stato preso in considerazione quando venne scritto, le indagini avrebbero potuto prendere una piega diversa; non si sarebbe potuto prendere comunque il "Mostro di Firenze", ma si sarebbero potuti evitare altri omicidi. E questa, Lettore,è una deduzione che prescinde da chi o cosa realmente sia il c.d. "Mostro di Firenze", e quali motivazioni abbia avuto tale entità per agire in tal modo.

Per ciò che concerne il secondo concetto, il fatto che il contenuto del biglietto non abbia nulla a che fare con i Vinci sarebbe ciò che ci si aspetta; perché i Vinci c'entrano poco con questo aspetto della vicenda.

Infine, il fatto che poi il messaggio indirizzi Stefano Mele verso Pietro Locci é un assurdo logico. Così come é assurdo che non sia stato rilevato qualcosa di assolutamente fondamentale, che può evincersi dai contenuti



"LO - ZIO PIETO" ed il suo biglietto

Partiamo dall'evento che costituisce la genesi del biglietto: la telefonata di Antonietta Mele che, pur essendo malata terminale, si attiva per convocare Natalino. Natalino quindi va a casa della zia, ed interloquisce con qualcuno. Se la zia ha persino difficoltà a rispondere alle domande, qual é conclusione più logica, Lettore?

Che Antonietta Mele debba parlare a Natalino di Pietro Locci, che non é più neanche parente dei Mele, o che sia Piero Mucciarini a parlare con Natalino? Piero Mucciarini, per qualche motivo che non potrà mai essere chiarito fino in fondo, fece da tramite tra Stefano Mele e chi voleva indurlo ad autoaccusarsi; ci sarebbero delle precise tracce sui verbali, di ciò. Quindi, per qualche motivo, Piero Mucciarini era in contatto, interpretando una parte attiva, con chi commise il delitto del 1968.

Se adesso si rende necessaria una nuova opera di mediazione, come potrebbe mai venirre coinvolta una persona diversa da Piero Mucciarini? Quale sarebbe l'alternativa che avrebbe chi vuole indurre Stefano Mele a riaprire un capitolo che egli ormai considerava chiuso?

Quindi, Lettore, adoperiamo, prima che la logica, un po' di buonsenso; ed il buonsenso ci dice che lo "zio Pieto" non può che essere Piero Mucciarini.

Ma il buonsenso ci dice anche un'altra cosa; e questo é l'evento consequenziale di cui nessuno sembra accorgersi. Gli attori coinvolti nell'episodio specifico del biglietto sarebbero Piero Mucciarini, Natalino Mele, Giovanni Mele e Stefano Mele. Non so che grado di istruzione abbia Natale Mele, ma quello degli altri non va oltre le scuole elementari (Stefano Mele mi pare avesse la terza elementare). Un livello di istruzione già abbastanza basso, ridotto ulteriormente dall'assenza di pratica culturale, considerato che si sta parlando di persone che facevano lavori manuali e pure umili.




Quindi, cercare significati reconditi nel biglietto, come fece il giudice Rotella, é assurdo. Le frasi vanno lette per ciò che sono; nel biglietto dello "zio Pieto" si può leggere soltanto... ciò che é scritto nel biglietto dello "zio Pieto"! E basta.

La prima frase dice:




qui, volere considerare il termine "riferimento" come "Istituzione di una relazione o di un rapporto, di una connessione, tra due o più fatti, situazioni o enti concreti o astratti" (in riferimento alla Vs. comunicazione del...) é un'assurdità. "riferimento" é da intendersi come "azione di riferire". Vuol dire semplicemente "Natale mi ha riferito che lo Zio Pieto ha detto"; in pratica, lo zio Pieto ti manda questo messaggio tramite Natale. La frase é come se fosse "l'oggetto" della comunicazione.

La seconda frase dice:




cioè é un'esortazione a fare il nome

La terza frase dice




ecco Lettore, questa é la frase più interessante di tutte. Il nome deve essere conforme alle risultanze dell'esame balistico; ma di quale esame balistico si sta parlando?

Escludiamo, per quanto detto sopra, che con "esame ballistico" si intenda riferirso al numero dei colpi, come Giovanni Mele ebbe a dire, e Rotella fece proprio. Io capisco che Piero Mucciarini sia toscano, nato e vissuto nella regione d'Italia culla della lingua italiana e che diede i natali a Dante Alighieri; ma pretendere che Piero Mucciarini e Giovanni Mele ricorrano ad una simile perifrasi per indicare semplicemente il numero dei colpi, mi pare un'eccessiva forzatura interpretativa. Un esame balistico é un esame balistico, non una conta dei colpi. Se nel biglietto si fa riferimento ad un "esame ballistico", si sta parlando di un esame balistico; disquisire su altri significati é inutile e fuorviante.

In pratica, il messaggio contenuto nel biglietto dello "zio Pieto" é semplicemente:

Natalino riferisce che lo zio Pieto dice che adesso puoi fare il nome, visto che l'esame balistico ti ha scagionato.

Ciò che allora sarebbe stato importante chiedersi é: a quale esame balistico ci si riferisce qui?

Non può essere quello originario di Zuntini, del 1968, di quattordici anni prima; cosa dovrebbe risultare di diverso dopo quattordici anni? Nessuna informazione che non fosse già conosciuta vi é mai stata contenuta. Ed anche sulla base di esso, Stefano Mele é giò stato condannato. Riferirsi ad esso sarebbe stato illogico.

Non può essere quello di Castiglione e Spampinato ai quali l'incarico sarebbe stato conferito più di un mese dopo (30 settembre 1982), né tantomeno quello di Arcese e Iadevito, che sarebbe stato eseguito nel 1983, un anno prima del ritrovamento del biglietto, ma un anno dopo la sua scrittura; riferirsi, nell'agosto 1982, alla perizia Castiglione e Spampinato, consegnata nell'ottobre del 1982, o a quella Arcese-Iadevito redatta nel 1983 sarebbe stato parapsicologia.

L'unico esame balistico eseguito tra le due perizie (Zuntini 1968,  e Castiglione-Spampinato, ottobre 1982 redatta dopo la scrittura del biglietto), e che é in grado di dare la possibilità, a Stefano Mele, di parlare, ribaltando il concetto che lo ha visto colpevole, é la perizia informale disposta da Tricomi, e la cui esistenza, per esplicita e reiterata dichiarazione di Rotella, era stata tenuta segreta.

Allora la domanda é:

cone faceva "LO ZIO PIETO" ad essere a conoscenza dell'esistenza di un esame balistico tenuto segreto e del quale non avrebbe potuto sapere nulla? Come poteva essere entrato in possesso di un'informazione coperta dal segreto istruttorio?

In altri termini: gli inquirenti controllano le utenze telefoniche, registrano il fatto che una malata terminale, subito dopo essere stata interrogata, convoca un'altra persona con urgenza, ma non si curano di cercare di capire il perché.

Antonietta Mele abita con la famiglia in una casa vicina a quella di Maria e Palmerio Mele a Scandicci.
È gravemente ammalata di cancro e morirà poco più di un mese dopo (20 settembre 1982). Il medico ne consente l'escussione estemporanea, che sarà confermata qualche giorno dopo. La donna risponde stando a letto.

[...]

L'escussione di Antonietta Mele viene interrotta dal medico, per non affaticarla ulteriormente.
Quella stessa sera, appena andati via i magistrati, Antonietta Mele Mucciarini telefona a casa della sorella Maria, alla quale fa capo il nipote Natalino e, avutolo a telefono, lo invita a scendere a casasua appena terminata la cena



Sempre dalle intercettazioni, si evince che, in seguito a tale evento, viene organizzato un incontro tra Stefano (che non si trova esattamente a Ronco all'Adige) e Giovanni Mele, con il preciso scopo di far avere un promemoria a Stefano Mele

Giovanni fa visita a suo fratello Stefano il 25 agosto 1982, e a quella data risale il biglietto (la data della visita è fatta preannunciare dalla sorella Maria, al sacerdote che dirige la casa per ex-detenuti di Ronco all'Adige, cfr.: tel. del 20.8.1982, ore 19.53, tra Giovanni e Maria; Maria avverte il sacerdote con la telefonata del 21.8.1982, ore 10,26, perché Stefano in quel periodo non è esattamente a Ronco, ma in una località nei pressi; Giovanni prende conto della fissazione dell'appuntanento, come si desume da successiva telefonata; Maria rintraccia il nipote Natalino e gli comunica il proposito dello zio Giovanni di volergli parlare e di volerlo condurre da suo padre, Stefano - 21,11 del 25.8; alle 14,37 del 28 agosto, Giovanni riesce a contattare per telefono il nipote, e lo prega di andare a casa per discorsi urgenti in relazione al fatto che suo padre gli vuol parlare e così pure il monsignore; finalmente il 29.8.1982, Maria, parlando con la sorella Teresa — ore 12,25 — dice che Giovanni è stato a parlare con Stefano, che Stefano è stato sentito dai magistrati ma non ha detto niente, che forse Stefano ha paura per loro congiunti, che Giovanni gli ha lascialo tutto scritto e che proverà a scrivergli ancora).



ma nessuno si cura di verificare cosa vi sia scritto.

Il biglietto sarà sequestrato solo nel gennaio 1984. Non ha nulla a che fare con i Vinci e, come si vedrà, indirizza Stefano Mele, in conformità ad un inquinamento subito da Natalino nel 1969, contro Pietro Locci fratello dell'uccisa Barbara.


Cambia il Giudice Istruttore, che ritrova casualmente il promemoria nel corso della perquisizone.

Il promemoria fa riferimento ad un'informazione precisa che, al momento della redazione di esso, era stata tenuta nascosta a chi aveva redatto il promemoria stesso

Per essere pià sintetici ed espliciti:

il 20 luglio 1982. viene recuperato il fascicolo

nella settimana tra il 20 ed il 27 luglio 1982 viene eseguita la perizia informale sui reperti presenti nel fascicolo

il 27 luglio 1982 viene comunicata a Stefano Mele la possibilità della revisione del processo, e la necessità di ascoltarlo come testimone.

il 16 agosto 1982 viene comunicata allo "Zio-Pieto" ed agli altri familiari di Stefano Mele l'eventualità della revisione del processo, ma senza rivelarne il motivo (e cioè l'identità dei reperti balistici desunta dalla perizia informale), perché coperto da segreto istruttorio

tra il 16 ed il 25 agosto 1982 lo "Zio-Pieto" scrive il biglietto facendo riferimento all'"esame ballistico dei colpi sparati"

il 25 agosto del 1982 Giovanni Mele consegna al fratello Stefano il biglietto dello "Zio-Pieto" contenente il riferimento all'"esame ballistico dei colpi sparati"

L'unico "Esame ballistico dei colpi sparati" eseguito tra il recupero del fascicolo e la consegna del biglietto dello "Zio-Pieto" é la perizia informale eseguita, su disposizione di Tricomi, tra il 20 ed il 27 luglio, e coperta da segreto istruttorio


QUINDI


alla data del 25 agosto 1982 lo "Zio-Pieto" era a conoscenza di un'informazione (l'esistenza di un '"esame ballistico") che non avrebbe potuto conoscere, perché coperta da segreto istruttorio

Avrebbe dovuto essere subito chiaro che doveva necessariamente esistere una terza parte, una fonte di informazione esterna in grado di metterlo a conoscenza dell'esistenza di una perizia sulla base della quale si sarebbe potuta rivedere la verità processuale.

CHI ERA, questa terza parte?

Ecco, Lettore, era questa la domanda che avrebbero dovuto farsi gli inquirenti e che non si fecero mai; e non se la fece neanche Rotella.

Se gli inquirenti si fossero soffermati un attimo su questa riflessione, la "Pista sarda" non sarebbe mai nata; ed invece il fatto di accettare acriticamente (anche qui per superficialità) una spiegazione assurda, non ha evitato ulterori sei vittime.

Vero é che Stefano Mele, che era abbastanza scocciato ed era divenuto anche abbastanza diffidente, non si fece incantare dal bigliettino; semplicemente lo piegò e lo conservò nel portafogli, senza mai dire nulla a nessuno. Si guardò bene dal seguirne le direttive.

Ma é anche vero che dalle intercettazioni era arguibile come vi fosse un certo "lavorìo" al riguardo, tanto che fu proprio dalle intercettazioni che fu possibile desumere le date esatte degli eventi connessi alla redazione del biglietto.

Comunque sia, Lettore, Stefano Mele, che ormai ricordava male quasi tutto, evidentemente ricordava ancora Francesco Vinci nel letto di casa sua, e quello fu il nome che fece. Così Francesco Vinci tornò in gattabuia


4 commenti:

  1. Si certo, ma ho bisogno di un po' più di tempo. Il rientro di tutti quanti al lavoro riduce ulteriormente il tempo a disposizione

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    1. Il problema è condiviso. Ma i magistrati del processo a Mele come hanno fatto a bersi quelle panzane? Già tutto aveva preso questa piega??

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  2. Be', la magistratura ha i suoi criteri; e sarebbe anche giusto così. Tornando al primo post della serie precedente, quello sulla ricerca della verità, il magistrato ha il ruolo (ed il potere) di "verificare" i fatti nel senso di "farli veri", renderli veri anche quando non lo siano. Lo divengono solo perché c'é una sentenza. Basti guardare ciò che accadde con Pacciani ed i c.d. "compagni di merende"- Anche i PM sono magistrati; ed assumono delle posizioni per le quali la loro idea viene prima della verità. Il fine é quello di imporre un'idea soggettiva (la loro) che deve prevalere sulla realtà oggettiva. Ciò che di oggettivo resterebbe sono i criteri sui quali avverrebbe tale imposizione. Ed i criteri, abbastanza logicamente, prevedono che le prove dirette prevalgano su quelle circostanziali, e che le prove circostanziali prevalgano sugli indizi (che devono essere "gravi, precisi e concordanti"), i quali a loro volta sarebbero l'oggettivizzazione di un sospetto soggettivo, e così via. Nel processo Mele, i magistrati avevano in mano la prova regina: la confessione di Stefano Mele. Come e perché si fosse ottenuta la prova regina, alla fin fine, non era affar loro. A loro interessava che il processo si svolgesse secondo le regole; non che questo conducesse ad una verità oggettiva.

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