La Sicilia, Lettore, vanta diversi primati tra le regioni italiane. E’ quella che
presenta la superficie maggiore, possiede la rete stradale di maggior
estensione, ed è la regione nella quale
il latifondo è stato, da sempre, maggiormente rappresentato. La forma verbale
utilizzata, “vantare”, è solo un modo di esprimersi; in realtà, non vi sarebbe
nessun vanto nelle condizioni summenzionate. Esse però hanno una conseguenza
notevole: è possibile scorrazzare in lungo ed in largo per tutta l’isola,
traendone un’impressione di vastità che eccede la reale condizione geografica
Si può viaggiare per centinaia di chilometri, al suo interno, senza mai vedere il mare e, ancora oggi, in alcune località, senza incontrare anima viva
ciò, beninteso, se si è disposti a rischiare l’incolumità del proprio mezzo. Allo sviluppo in lunghezza della rete stradale infatti non corrisponde un pari livello di civiltà, cosicchè lo stato del manto stradale è paragonabile a quello che si può trovare nelle regioni più retrograde del Medio Oriente. E quando simili spostamenti avvengono provenendo dalle città costiere, risulta marcato il contrasto tra l’alta densità abitativa di esse con l’insopportabile traffico cittadino, e la pace che regna in certi luoghi dell’interno
Nonostante lo stato di manutenzione delle sue strade non differisca da quello descritto per l’interno (a volte è anche peggiore), infatti, Palermo risulta essere la città più caotica del globo in termini di traffico automobilistico. L’assoluta inadeguatezza degli assi viari, la totale assenza di parcheggi, l’inesistenza di qualunque cosa assomigli lontanamente ad un servizio di trasporto pubblico, ed una gestione della circolazione stradale basata su criteri che oscillano tra comicità demenziale e surrealismo rappresentano infatti la scusa perfetta per gli automobilisti palermitani per sfoggiare tutta la maleducazione di cui sono in possesso, che appare infinita
Nello stesso modo forniscono, al politico di turno, l’opportunità di lucrare, da un lato riempiendo le casse comunali con i proventi di tanto penalizzanti quanto inutili sanzioni amministrative, per poi svuotarle dall’altro con la realizzazione di opere altrettanto inutili e penalizzanti per gli spostamenti di chi lavora dimostrando più completo dispregio per tali esigenze, verosimilmente derivante dal disconoscere totalmente il significato pratico del verbo “lavorare”. Il “sistema Tram”, il cui unico effetto è finora stato quello di ridurre ad un budello le uniche strade cittadine che ancora presentavano dimensioni se non adeguate al traffico, almeno accettabili, può essere considerato un esempio paradigmatico di quanto esposto
A tali condizioni da girone infernale fa da contraltare il senso di isolamento che suscitano gli spostamenti in certe contrade
qui l’espressione “senso di isolamento” non vuole avere alcuna connotazione negativa, riferendosi anzi alle poche possibilità che la Sicilia offre per sottrarsi momentaneamente ad una qualità di vita quotidiana indegna di un paese occidentale, così infima da travalicare i limiti della civiltà
Durante tali peregrinazioni, non solo la presenza umana si fa poco frequente, ma anche i segni di essa si diradano; vi sono diverse zone nelle quali le uniche costruzioni visibili sono piccole abitazioni rurali, o ciò che rimane di esse, che sorgono isolate sulle pendici di colline o sulla sommità di alture
Più raramente, accade di scorgere agglomerati di edifici tra i quali, a volte, è riconoscibile il campanile di una chiesa
essi rappresentano il nodo di intersezione, il punto in cui avviene la sintesi tra le condizioni sopra menzionate, quella geografica, quella infrastrutturale e quella sociale.
Tali agglomerati di edifici, proprio a causa della posizione appaiono almeno suggestivi, quando non addirittura metafisici. Essi incuriosiscono e sollecitano la fantasia, e non solo la mia, a giudicare da quante persone mi abbiano chiesto informazioni, o abbiano semplicemente asserito di averli notati. Sono borghi rurali, che in Sicilia costituiscono il luogo virtuale nel quale le tre condizioni citate sopra, vastità, strade e latifondismo, si incontrano.
Alcune persone non sono, per carattere, in grado di esimersi dal cercare le risposte alle domande che inevitabilmente fanno seguito alla curiosità, ed io sono tra questi. Troverai qui una breve descrizioni di quale impulso interiore mi abbia spinto ad intraprendere questo viaggio. Ciò che non mi aspettavo era la sua evoluzione; la breve escursione presso alcuni tra i borghi dell’isola è divenuta un viaggio nel tempo e nello spazio, che mi ha catapultato nella Sicilia medioevale, costringendomi poi a risalire velocemente il corso degli eventi fino al ventesimo secolo. E durante il viaggio nel tempo ho avuto modo di rendermi conto del come e del perché la Sicilia sia divenuta ciò che è. Ho avuto modo di constatare come certi legami tra situazioni, certi nessi di causa ed effetto siano molto più stretti di quanto non appaia ad un’analisi più superficiale. Ritornato nel ventunesimo secolo mi sono reso conto (non senza un certo sgomento) delle dimensioni che aveva assunto il frutto delle mie esplorazioni, e della conseguente necessità di una sintesi; questo post intende appunto rappresentare una tale sintesi, sotto forma di sommario, con collegamenti che puntino ai vari, singoli, argomenti, o che vi punteranno quando verranno scritti.
La necessità di una tale sintesi si è comunque manifestata gradatamente, crescendo in maniera proporzionale alla mole dei dati raccolta. Molto prima che si materializzasse in questo post, essa aveva già assunto le forme di una classificazione. Non avendo personalmente né la veste, né le cognizioni per classificare ciò che vedevo, non ho potuto che riprendere i criteri di chi mi ha preceduto. La mia classificazione, che trovi qui, deve necessariamente riprendere in qualche modo i criteri adottati da coloro che hanno comunque costituito un riferimento durante lo svolgimento del mio impegno.
La classificazione segue, anche se non strettamente, un criterio temporale per catalogare i siti visitati. Uno degli aspetti importanti dell’adozione di tale criterio risiede nella possibilità dell’eliminazione di un errore di fondo presente nella memoria collettiva, che attribuirebbe al regime fascista la fondazione di centri che in realtà è avvenuta in tutt’altro periodo. Il fenomeno è così eclatante che ho voluto identificarlo usando il termine di “Errore”, con la “E” maiuscola. Dietro l’Errore vi è fondamentalmente il dato di fatto che il regime fascista fu la prima forma di governo ad esprimere una reale attenzione verso la classe contadina, ed a concretizzare tale attenzione con un piano di riforma. Pertanto, per i contadini siciliani, l’identificazione tra opere di riforma agraria e Mussolini è divenuta totale; troverai sempre qui una breve disamina delle cause che potrebbero aver generato l’Errore.
Una descrizione di ciò che ho veduto in questi anni non poteva prescindere da una seppur breve menzione di ciò che era accaduto precedentemente al Ventesimo secolo; ma soprattutto, non poteva prescindere da una breve descrizione dei rapporti tra latifondo e mafia rurale. Ho riassunto qui origini ed evoluzione di tali rapporti senza alcuna pretesa di correttezza o di completezza; l'argomento viene comunque ripreso più volte nel corso della descrizione delle singole fasi.
Ho infatti ritenuto che la classificazione da adottare dovesse operare una suddivisione in fasi; l'Ente per la Colonizzazione del Latifondo Siciliano, formalmente nato nel 1940, rappresenta il fulcro di essa.
Le fasi anteriori al ventesimo secolo
Durante la prima fase furono creati borghi come città di fondazione, che poi evolsero in vere e proprie cittadine; gran parte dei paesi dell'interno della Sicilia ha avuto origine in tal modo
I borghi rurali fondati allora non conservano però nella stragrande maggioranza dei casi, le caratteristiche originarie
Queste sono in qualche modo riconoscibili negli impianti dei centri storici, che costituiscono il nucleo originale attorno al quale si é sviluppato il resto dell'abitato
La seconda fase, con la quale si giunge a ridosso del ventesimo secolo, ha visto nascere spontaneamente altri borghi, di solito nelle adiacenze di bagli e masserie, anche se questa non è una regola assoluta
Numerosi sono i borghi nati spontaneamente durante tale fase. Alcuni sono stati raggiunti dall’espansione di centri maggiori ed inglobati in questi ultimi; pochi sono stati abbandonati, vivendo l’ultima parte della loro esistenza come “paesini fantasma”
Ma la maggior parte sono ancora abitati, anche se da pochissime persone, e ben riconoscibili nell’impianto; qui puoi trovare una breve descrizione delle prime due fasi.
La terza fase
La maggior parte dei borghi visibili ed immediatamente riconoscibili come tali é stata costruita nella prima metà del ventesimo secolo. Il regime fascista ha giocato un ruolo centrale nella loro realizzazione, ruolo che é culminato nella nascita dell'ECLS.
Il fascismo ha sempre mostrato particolare attenzione verso l’agricoltura. Forse, come espresso qui, non direttamente verso i contadini; ma sicuramente verso il mondo rurale globalmente considerato.
Diverse cause avrebbero motivato una tale attenzione.
La prima, forse la principale, di esse sarebbe stata comune al mondo intero. La cosiddetta “globalizzazione” era lontana, nel tempo, quasi un secolo, e tutte le nazioni del mondo vedevano ancora nell’agricoltura la base del sostentamento materiale della popolazione. La simpatica abitudine di vivere vendendo telefoni cellulari e contratti per essi, ed ingerendo cibi coltivati a decine di migliaia di chilometri di distanza è recente; non era certo costume proprio delle popolazioni occidentali degli inizi del ventesimo secolo. Allora il modus vivendi era più tradizionale ed autoctono; quindi l’agricoltura risultava ancora, obiettivamente, la più importante delle attività umane.
Un’altra fondamentale motivazione risiedeva nella necessità di trovare un’occupazione per i reduci della prima guerra mondiale, rappresentati dall’Opera Nazionale Combattenti.
Nel corso del deprecato ventennio, si aggiunsero alle precedenti le necessità derivanti dall’autarchia e dalla limitazione delle importazioni. Ulteriori motivazioni si possono riscontrare in una sorta di particolare interesse che Mussolini sembrava nutrire nei confronti della società rurale. Tale interesse si sarebbe concretizzato anche in iniziative volte a favorire il trasferimento della popolazione dai grossi centri urbani a piccoli centri rurali.
Come viene più volte ribadito nel contesto di diversi post, non sono uno storico, non ho la pretesa di esserlo, né tantomeno ho la pretesa di condurre analisi storiche di una qualche validità; l’impressione che però ho tratto da ciò di cui sono venuto a conoscenza durante la mia avventura è che le problematiche inerenti all’agricoltura siano state, allora, valutate in una maniera più complessa di come lascino intendere certe sommarie descrizioni di ciò che accadde. Sicuramente in maniera più dettagliata ed approfondita di quella alla quale siamo stati abituati dai governi degli ultimi venti anni.
Contrariamente a ciò che è accaduto nel nostro (relativamente) recente passato repubblicano, infatti, chi venne chiamato ad occuparsi dei nuovi assetti da dare all’agricoltura italiana era riconosciuto come un esperto del settore; e ciò senza la necessità di scomodare i contemporanei “governi tecnici”, i quali, visti i risultati, di tecnico avrebbero anche ben poco. Seppur in una società antidemocratica e conservatrice come quella monarchica, diversi aspetti del problema vennero considerati, anche se non tutti, o almeno non tutti contemporaneamente.
La condizione sociale, quella lavorativa, e la disponibilità materiale delle terre da coltivare dovevano necessariamente essere riconsiderate; e ciò era maggiormente vero in Sicilia, terra in cui la vita rurale era rimasta quella descritta dall’inchiesta di Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, ed il possesso delle terre era saldamente mantenuto da pochi privilegiati, che al più estendevano tali privilegi a chi era in grado di stringere il giogo con maggiore energia.
La condizione del rurale era pessima da tutti i punti di vista; e lo era soprattutto quella del rurale siciliano. Totale dipendenza dal “padrone” senza alcuna garanzia, livelli di istruzione pari a zero, nessuna assitenza di tipo sanitario; mentre le terre rimanevano, spesso incolte, in possesso di un ristretto numero di persone.
Nel secondo decennio del ventesimo secolo, le questioni relative alle necessità dei reduci di guerra ed alle possibilità temporanea assegnazione di terreni incolti ai contadini vennero affrontate dall’Opera Nazionale Combattenti, e con la promulgazione del decreto Visocchi; un breve accenno ad ambedue viene fatto qui.
Le problematiche relative alla disponibilità delle terre presentavano due aspetti diversi. Uno era relativo alla proprietà dei terreni da assegnare; l’altro era inerente alle condizioni dei terreni. I due aspetti potevano intersecarsi, in quanto alcuni proprietari potevano mantenere il possesso di terreni la cui condizione non ne consentiva l’utilizzo in senso agricolo.
Il processo di trasformazione delle terre non coltivabili, perché paludose, aride o malsane , in terreno fertile introdusse il concetto di “bonifica integrale”.
Nel secondo decennio del ventesimo secolo, il concetto di bonifica integrale indicò la possibilità, in senso lato, della colonizzazione di un territorio, comprendendo anche le realizzazioni volte a risolvere anche le problematiche di natura sanitaria, sociale ed economica del mondo rurale, cioè la lotta alla malaria, le strutture residenziali, quelle di servizio, e le opere necessarie al loro funzionamento. Le terre dovevano quindi essere non solo coltivabili, ma anche abitabili, consentendo così che venissero popolate. L’applicazione pratica di tale concetto trovò la massima espressione nella bonifica dell’Agro Pontino. Il regime, nel perseguire tali interessi, si avvalse di tecnici, tra i quali Arrigo Serpieri
per affrontare le problematiche connesse con la realizzazione pratica della bonifica integrale, mentre per popolare le terre cercò di spostare grandi gruppi di persone, o almeno, di incanalare i flussi migratori. Se quest’ultima operazione poteva risultare semplice con gli ex combattenti, rimaneva difficoltoso per altri gruppi. Fu posta in atto una politica delle migrazioni interne, che prevedeva lo sfollamento delle città per popolare le campagne
Un accenno ad esse si trova qui
In Sicilia, qualunque tentativo di risoluzione delle problematiche sopra menzionate si scontrava con un problema ben maggiore, apparentemente costituito dai proprietari terrieri, i grandi latifondisti.
L’enormità del problema stava anche nel fatto che alcune famiglie mantenevano il possesso dei fondi da un millennio, e la proprietà degli stessi da un secolo; ma soprattutto consisteva nei rapporti che i latifondisti contraevano con la mafia rurale.
Riguardo a quest’ultimo problema, il regime fascista ritenne di poter individuare una soluzione nell’inviare in Sicilia Cesare Mori, il plenipotenziario “prefetto di ferro”; qui viene accennato alla vicenda.
Nel primo quarto del ventennio fascista, l’azione di rilancio dell’agricoltura, in Sicilia, si dimostrò alquanto scoordinata. L’attività principale consisteva nelle opere di bonifica stricto sensu (risanamento delle paludi, impianti per irrigazione dei terreni aridi, lotta alla malaria). Ciò avrebbe dovuto venire condotto assistendo i proprietari nelle opere di bonifica. L’assistenza sarebbe stata mediata dai Consorzi, e per fornirla venne fondato l’Istituto VEIII per la bonifica della Sicilia. La realizzazione dei centri rurali consistette in questa fase in un tentativo di riconversione, di riutilizzo, degli edifici costruiti per ospitare gli operai della bonifica; essa non si avvalse quindi dell’opera dell’Istituto VEIII
Troverai qui, Lettore, descrizione ed ubicazione dei villaggi costruiti nell’ambito della terza fase. Se leggerai il relativo post, potrai renderti conto
di come i risultati di tale iniziativa siano stati fallimentari.
La quarta fase
Al termine della prima metà del ventennio l’azione pare farsi maggiormente incisiva, nella propaganda, ma anche nella pianificazione, compresa quella relativa alle migrazioni interne.
Probabilmente all’inizio dell’esperienza fu ritenuto semplice ciò che in realtà non lo era. Le migrazioni interne, che sarebbero dovute avvenire spontaneamente sulla base di un incentivo, ottennero risultati inferiori alle aspettative. I metodi per sfollare le città si sarebbero dovuti sviluppare allora su binari paralleli: all’incentivo a migrare avrebbe dovuto corrispondere il disincentivo a rimanere.
In Sicilia, l’operazione si rivelava particolarmente difficoltosa, a causa di un particolare risvolto, non operante nelle altre regioni d’Italia. Mentre altrove il popolamento delle campagna spesso significava il trasferimento di agricoltori in piccoli centri rurali, agglomerati di case costruite intorno ad nucleo di servizi essenziali (scuola, chiesa uffici) realizzando minuscoli villaggi a funzione mista (residenziale e di servizio) in Sicilia il concetto di “borgo” doveva riguardare esclusivamente le strutture di servizio, con l’assoluto divieto di costruire gruppi di case coloniche, limitando così i contatti tra i singoli a luoghi di incontro ben determinati. Le dimore per le famiglie di agricoltori dovevano sorgere, isolate, sul fondo da coltivare.
Formalmente una tale filosofia viene fatta risalire al progetto di “Città Rurale” di Edoardo Caracciolo, ma sostanzialmente essa compare in Sicilia ben prima della formulazione dell’idea dell’architetto; e per una (strana) coincidenza tale concezione fa la sua comparsa poco dopo il termine delle operazioni condotte dal prefetto Mori. Infatti, almeno un decennio prima della pubblicazione del testo di Caracciolo veniva già enfatizzata l’assoluta necessità di disperdere le famiglie contadine sul territorio. Perché mai un tale atteggiamento? E perché tale necessità non sembrava emergere in altre regioni d’Italia?
Nei fatti una tale concezione della società rurale siciliana si trova negli scritti di Guido Mangano, allora direttore dell’Istituto VE, per il quale, ai fini del “bonificamento” risultavano indispensabili “il trasferimento e la fissazione dell’intera famiglia colonica sulla terra”
All’inizio degli anni trenta, l’Istituto comincia ad occuparsi in maniera sistematica della progettazione delle infrastrutture. E’ all’interno di esso che vengono concepiti i concetti, poi trasposti in criteri più rigorosi, che daranno origine ai borghi costruiti a metà del ventesimo secolo.
Mangano chiaramente avverserà la riconversione dei villaggi operai, riconversione che avrebbe dato luogo a borghi misti. Ma, praticamente, (quasi) nessuna realizzazione si deve all’Istituto VEIII. I “borghi” costruiti durante quella che ho denominato “quarta fase” sono in realtà anch’essi villaggi riconvertiti, ma progettati in maniera da essere funzionali alla riconversione. Poiché consistono in diverse case coloniche (originariamente case cantoniere) più un edificio servizi, non seguono i dettami dell’Istituto VEIII relativamente alla dispersione degli agricoltori sul territorio. Anche la loro origine non ha quindi nulla a che vedere con l’Istituto
Mangano chiaramente avverserà la riconversione dei villaggi operai, riconversione che avrebbe dato luogo a borghi misti. Ma, praticamente, (quasi) nessuna realizzazione si deve all’Istituto VEIII. I “borghi” costruiti durante quella che ho denominato “quarta fase” sono in realtà anch’essi villaggi riconvertiti, ma progettati in maniera da essere funzionali alla riconversione. Poiché consistono in diverse case coloniche (originariamente case cantoniere) più un edificio servizi, non seguono i dettami dell’Istituto VEIII relativamente alla dispersione degli agricoltori sul territorio. Anche la loro origine non ha quindi nulla a che vedere con l’Istituto
I villaggi di case cantoniere siciliani sono confinati alla provincia di Palermo; nascono come iniziativa sperimentale della Provincia, in cui la parte fondamentale dell’esperimento sembra consistere nel tentativo di convincere i cantonieri a divenire rurali. Furono costruite nell’ambito della realizzazione delle strade provinciali (che erano equiparate a strade di bonifica), e gran parte di esse sono tuttora proprietà della Provincia di Palermo. Troverai qui l’elenco dei siti, le immagini e l’ubicazione di essi.
Al di fuori della provincia di Palermo esistono almeno altri due siti consistenti in minuscoli villaggi di case cantoniere; ma non sembra che essi siano stati costruiti con l’intenzione di farli divenire villaggi agricoli. Sono stati “centri rurali”, nel senso che hanno svolto la funzione di abitato autonomo, in campagna, lontano dai centri urbani; ma non pare che siano mai stati orientati all’agricoltura, se non relativamente alle sole necessità degli abitanti, analogamente a quanto avveniva presso altre case cantoniere, comprese quelle lungo le linee ferroviarie.
Prescindendo dagli eventi strettamente confinati alla Sicilia, comunque, durante la prima metà del Ventennio si fa progressivamente più pragmatico l’approccio a tutte le problematiche che la bonifica integrale coinvolge. Dalla sanità
all’istruzione
passando per le politiche gestionali
Tutto ciò, in Sicilia, culminerà nel propagandistico “Assalto al Latifondo”.
I villaggi minerari
Sono stati qui brevemente menzionati anche i villaggi minerari progettati dal regime. Nel post viene manifestato il concetto che mi ha condotto ad includere tali realizzazione nella serie sui borghi rurali. Ma al di là dei caratteri comuni che riguardano l’ubicazione, in campagna, e gli occupanti, anch’essi esponenti del proletariato, vi è un’ulteriore motivazione che mi ha spinto a menzionarli. Nel corso della visita ad uno di essi, infatti, mi sono imbattuto in una delle più eclatanti manifestazioni dell’Errore. L’edificazione dei villaggi minerari, infatti, sebbene pianificata dal regime fascista, avvenne quasi interamente nel dopoguerra.
Un fenomeno del quale non ho trovato ancora spiegazione è che più del novanta percento degli accessi al post sui villaggi minerari avviene dal Brasile; ne ho dedotto che avrò inconsapevolmente inserito qualcosa, nel post, che deve avere un significato particolare in portoghese.
La quinta fase
Nel gennaio del 1940, formalmente, l'Istituto Vittorio Emanuele per la Bonifica della Sicilia transitò nel neonato Ente per la Colonizzazione del Latifondo Siciliano; sostanzialmente, però, tale transito era avvenuto più di tre mesi prima. Lo scopo dell'ECLS non era solo quello di assistere i proprietari nelle opere di bonifica, ma anche quello di supportarli nella realizzazione delle infrastrutture, ma soprattutto quello di sostituirsi ad essi in tali realizzazioni se essi fossero stati inadempienti. L'ECLS avrebbe dovuto curare la realizzazione delle opere di competenza pubblica e contribuire a quelle di competenza privata. Nel caso uno o più proprietari fossero stati espropriati, l'ECLS sarebbe divenuta nel contempo anche parte privata
Alla direzione dell’ECLS fu posto Nallo Mazzocchi Alemanni già ispettore dell’ONC ai tempi della bonifica dell’Agro Pontino, e che prima ancora (come, del resto, Mangano) aveva prestato la propria opera professionale nelle colonie
Nonostante non vi fosse più Guido Mangano alla guida dell’Ente che si occupava di quella che a tutti gli effetti assumeva aspetto e funzioni di una riforma agraria, e nonostante Mazzocchi Alemanni avesse dichiaratamente orientamenti diversi riguardo all’assoluta necessità di isolare gli agricoltori
i borghi progettati (e realizzati) dall’ECLS continuarono a seguire la filosofia dell’Istituto VEIII, che anzi trovò una codifica ufficiale nella “Città rurale” di Caracciolo. I borghi ECLS furono quindi esclusivamente “borghi di servizio”, privi di unità abitative per i contadini, anche se in qualche caso l’impostazione del borgo, pur rimanendo il nucleo formalmente costituito dagli edifici di servizio, sostanzialmente si configurava come borgo a funzione mista.
i borghi progettati (e realizzati) dall’ECLS continuarono a seguire la filosofia dell’Istituto VEIII, che anzi trovò una codifica ufficiale nella “Città rurale” di Caracciolo. I borghi ECLS furono quindi esclusivamente “borghi di servizio”, privi di unità abitative per i contadini, anche se in qualche caso l’impostazione del borgo, pur rimanendo il nucleo formalmente costituito dagli edifici di servizio, sostanzialmente si configurava come borgo a funzione mista.
La motivazione del persistere di una tale impostazione, nonostante le diverse convinzioni del Direttore dell’Ente, appare inspiegabile; tanto più che Mazzocchi Alemanni mostrava, nell’incarico che gli era stato assegnato, autonomia decisionale e determinazione, le stesse che aveva esibito durante la bonifica dell’Agro Pontino.
Nel primo anno di attivitá, l'ECLS realizzó otto borghi rurali, uno per provincia, con l'esclusione della provincia di Ragusa: Borgo Schiró (PA), Borgo Bonsignore (AG), Borgo Fazio (TP), Borgo Gattuso (CL), Borgo Cascino (EN), Borgo Giuliano (ME), Borgo Rizza (SR), e Borgo Lupo (CT), dando così inizio a quella che ho denominato quinta fase
Questa proseguì con la progettazione e l'inizio della costruzione di altri sette borghi: Borgo Guttadauro (CL), Borgo Bassi (TP), Borgo Borzellino (PA), Borgo Callea (AG), Borgo Caracciolo (CT), Borgo Ventimiglia (CT), e Borgo Fiumefreddo (SR)
Sempre nell'ambito della quinta fase si era pianificata la costruzione di altri quattro borghi, di cui tre in provincia di Palermo. Essi non verranno mai realizzati sebbene alcune fonti li riportino come esistenti: pertanto la loro descrizione avviene nell'ambito di un unico post, intitolato "I fantasmi dell'ECLS".
La costruzione dei sette borghi iniziati nel 1941 fu interrotta dalla seconda guerra mondiale e riprese, con alterne vicende, al termine del conflitto
Mazzocchi Alemanni era fondamentalmente un dirigente “allineato”
alla caduta del regime conseguì la sua sostituzione nell’incarico di direzione con il “comunista” Mario Ovazza, come viene definito da Joshua Samuels nella sua tesi di dottorato.
In realtà, l’ing. Mario Ovazza aveva partecipato ad un concorso per la scelta dei nomi da assegnare a centri rurali progettati dall’Istituto VEIII, e pertanto tanto “comunista”, all'epoca, non doveva esserlo. Anche se, però, è doveroso precisare che i nomi proposti da
Ovazza e scelti dalla commissione, e cioè Borgo Sereno e Santa Fara, non
possedevano, contrariamente ad altri (Arnaldia, Ducezia, etc,) alcuna
connotazione propagandistica. Verrebbe da dire che era comunista come lo erano tanti antifascisti che hanno fatto parte dei Gruppi Universitari Fascisti, iscrittisi poi al PCI; come lo stesso Ovazza, del resto, che in quest'ultima veste è stato deputato all'Assemblea Regionale Siciliana per quattro legislature. Ma ciò che, ad onor del vero, è doveroso sottolineare è che Mario Ovazza fu una delle vittime delle persecuzioni razziali in Sicilia (era di origini ebree, come d'altra parte denota il cognome); non venne deportato, ma durante la guerra venne precettato per svolgere umili lavori manuali, nonostante la sua invalidità. Il suo "viraggio" politico appare pertanto più che giustificato.
Ma per ciò che riguarda molti altri, il Presidente Napolitano pare abbia sostenuto che i GUF erano la fucina dell’antifascismo in tempi di repressione; i GUF avrebbero rappresentato, insomma, ciò che alcune persone nel mio ambito lavorativo spesso definiscono “un’opportunità”. Intendo riferirmi alle persone che, dopo aver assunto un impegno di qualche tipo ed aver preso la relativa posizione, poi non la mantengono quando si presenta “un’opportunità”, sostenendo: “se non lo faccio io lo farà un altro; tanto vale che lo faccia io, anziché farmi sfuggire l’opportunità”.
Ma io, Lettore, nella mia limitatezza intellettuale spesso non riesco a cogliere le sottili differenze che intercorrono tra “opportunità” ed “opportunismo”, mentre nel fatto che alcune persone si prestino a svolgere certi compiti, ma altri li rifiutino mi sembra di intravedere una macroscopica differenza tra le persone stesse; il fatto che qualche altro accetti di fare ciò che qualcuno ha ritenuto di non dover fare rispecchia la profonda diversità morale che intercorre tra l’uno e l’altro, non il fatto di essere o meno in grado di cogliere un’opportunità.
E conseguentemente i comportamenti di coloro che affermano di cogliere responsabilmente le opportunità mi richiamano inevitabilmente certi “Responsabili” che si sono trovati seduti in Parlamento in un recente passato. E che vi si trovano ancora adesso. Probabilmente, Lettore, starai pensando che mi stia dilungando in inutili e tediose perifrasi per esprimere un concetto quando invece avrei potuto usare il termine pù chiaro ed immediato di “voltagabbana”. E probabilmente hai ragione, quindi termino qui le mie elucubrazioni e procedo con il mio racconto.
Ovazza prima, e Rosario Corona poi, si occuparono essenzialmente del completamento dei borghi del 1941 e della riparazione dei danni di guerra; l'unico borgo progettato dall'ECLS nel periodo post-bellico fu Borgo Africa (AG), anch'esso mai realizzato e pertanto incluso tra i "fantasmi dell'ECLS".
Mazzocchi Alemanni, in un certo modo, continuerà a rimanere un riferimento, e continuerà ad esprimere la propria concezione riguardo ai borghi rurali. Questo è, ad esempio, un estratto del discorso di Grieco al Senato, come riportato da “l’Unità” del 7 febbraio 1950
La sesta fase
Nel 1950 la promulgazione della legge regionale n. 104 del 27 dicembre decretò la morte dell’ECLS. L’Ente venne trasformato in ERAS (Ente per la Riforma Agraria in Sicilia) passando dalle dipendenze del Ministero Agricoltura e Foreste a quelle dell'Assessorato omonimo (art. 2). Per quanto riguarda i borghi rurali, l’ERAS inizialmente continuò l’opera iniziata dall’ECLS, interpretandone le “ultime volontà”
Era già stata pianificata dall'ECLS la realizzazione di altri due borghi di tipo “A”, uno in provincia di Palermo (Borgo Manganaro), l’altro in provincia di Messina (Borgo Schisina); troverai qui solo la descrizione del primo, in quanto del secondo si parlerà in una fase successiva.
La settima fase
E l’ERAS, oltre a farsi interprete delle ultime volontà dell’ECLS, sembrò anche raccoglierne l’eredità, almeno sempre per ciò che riguarda i borghi. Ne edificò un certo numero, anche se più piccoli (quasi esclusivamente di tipo “B”), che rispecchiavano nell’impostazione e tentavano di ricalcare nell’architettura quanto era stato prodotto dall’ECLS.
L’unico borgo di tipo “A” realizzato in questa fase fu Borgo La Loggia in contrada Grancifone, Vi sarebbe, come borgo di tipo "A", anche Libertinia; ma i servizi di Libertinia si avvalevano in parte delle strutture preesistenti, realizzate negli anni Trenta.
L’ERAS aveva comunque sviluppato un piano capillare di edilizia rurale, che avrebbe coperto di raggi d’influenza l’intera superficie dell’isola. La realizzazione dei borghi di tipo “A” sarebbe però stata prevalentemente devoluta ad altri Enti, soprattutto ai Consorzi. Nella mappa redatta dall’Ente ed aggiornata al 1 gennaio 1956, risultava a carico dell’ERAS la costruzione di borghi di tipo “B” o “C”. Era prevista infatti, sempre a carico dell’ERAS, anche la realizzazione di diverse case coloniche, spesso a breve distanza l’una dall’altra, ed a volte raggruppate a formare villaggi
L’ottava fase
Un assunto sembrava infatti essere venuto meno: l’assoluto divieto all’aggregazione dei contadini. E’ evidente che le condizioni che rendevano necessario tale divieto erano mutate. Probabilmente gli interessi di chi gestiva l’agricoltura siciliana convergevano altrove; gestire “politiche agricole” stava divenendo più conveniente (e più remunerativo) che gestire agricoltura ed agricoltori.
Vennero così realizzati diversi “Borghi residenziali”, agglomerati di case coloniche nelle adiacenze dei quali era previsto un borgo di servizio.
Questa fase fu l’ultima nella quale vennero costruiti borghi rurali; l’ho denominata “lo sperpero dell’eredità”, ma non per il nuovo assetto che era stato dato all’edilizia rurale. La maggior parte dei borghi progettati non fu realizzata, anche se vennero regolarmente pagati i progetti, ed in molti casi vennero realizzate le strade di accesso. I borghi realizzati spesso non furono nemmeno utilizzati; ed in certi casi non si sapeva nemmeno cosa fosse stato realizzato e cosa fosse rimasto allo stadio progettuale.
Ed alcuni tra quelli realizzati non aderivano nemmeno agli schemi sui quali si erano basate le realizzazioni precedenti; per alcuni borghi si utilizzò la definizione di “ridotto” in quanto non comprendeva tutti i servizi previsti per i borghi di tipo “B” o di tipo “C”. Fu tutto questo lo sperpero dell’eredità dell’ECLS, oltre che quello, ovviamente, del denaro pubblico; e verosimilmente erano queste le nuove attività che si rivelavano convenienti per chi gestiva l’agricoltura, in perfetto stile da “prima repubblica”.
Tra i servizi eliminati nella quasi totalità dei borghi dell’ultimo periodo vi fu quello religioso, eliminando ciò che nel mondo rurale aveva sempre rappresentato un punto di aggregazione. I borghi di tipo “C”, che avrebbero compreso chiesa e scuola, furono di fatto ridotti alla costruzione di scuole rurali; in questo, l’ERAS non fece altro che sostituirsi allo Stato, che già negli anni Venti si era curato della realizzazione di esse, compito poi nei fatti devoluto all’ECLS, che le aveva incluse tra i servizi essenziali che ogni borgo avrebbe dovuto erogare.
La fase parallela
Vi fu però una “fase parallela” che durò quasi mezzo secolo, contemporanea alle ultime tre fasi, ma per la quale le regole del periodo sembravano comunque non valere. Gli insediamenti descritti a proposito di questa fase risultano essere quelli che da altri (Dufour, La China, Samuels) vengono classificati come "privati"; ma ciò non è casuale. Quando vigevano determinate condizioni, oppure quando non ne vigevano altre, gli assunti e le pianificazioni perdevano la loro importanza, e le regole non scritte potevano venire violate. Era non solo possibile, ma persino auspicabile, che i contadini vivessero nel medesimo agglomerato urbano. Era consentito mantenere gli insediamenti preesistenti se le condizioni lo richiedevano, così come poteva divenire imperativo eliminarli se le condizioni mutavano. E cosa venisse realizzato e cosa no, era subordinato all’interesse di alcuni, non a quello dell’agricoltura. Ciò avvenne con la progettazione di Mussolinia, nei pressi di Caltagirone, per riproporsi con Libertinia, con Santa Rita, con il villaggio Pergusa
E ciò accadeva mentre l’Istituto Vittorio Emanuele III per il bonificamento della Sicilia progettava di edificare Poggio Benito e di eliminare uno dei villaggi operai, cercando di supportare i Consorzi nella realizzazione di operazioni simili. Ma quando i privati, consorziati o meno che fossero, intendevano mantenere il controllo sulla loro proprietà ma servendosi comunque della sovvenzione pubblica, questo avveniva, e sempre al di fuori delle regole. Come verosimilmente accadde nel caso del fantomatico "Borgo Ciclino", o a Tudia.
I Consorzi
La fase dello “sperpero dell’eredità” è stata così definita con riguardo a ciò che l’ERAS e l’ESA, in quanto figlio e nipote dell’ECLS fecero o non fecero in Sicilia, ed a quanto denaro pubblico venne impiegato in progetti o realizzazioni sostanzialmente inutili. Ma nello stesso periodo si fece più evidente la presenza dei Consorzi, la cui attività era stata inibita in passato da quella, accentratrice, dell’ECLS, ed ai quali, invece, l’ERAS aveva evidentemente pensato di demandare diverse attività. Sono quindi i borghi dei Consorzi gli ultimi ad essere costruiti; sono questi, la cui esistenza è spesso misconosciuta, a segnare la fine definitiva di queste realizzazioni in Sicilia.
Accanto ad essi continuarono ad operare le scuole rurali (la cui esistenza viene appena sfiorata, insieme a quella di altri centri rurali, nell'epilogo), la cui realizzazione ed organizzazione si sviluppò per quasi un secolo, per iniziativa di stato, enti o consorzi. La fine dell’epopea dei borghi rurali coincide con la progressiva chiusura degli istituti elementari delle campagne, ambedue in stretto rapporto con una tendenza esattamente opposta a quella che fascismo avrebbe voluto favorire: lo spopolamento delle campagne, l’urbanizzazione, e l’emigrazione all’estero. La fine di ciò che l’agricoltura siciliana, nel bene e nel male, era stata per secoli.
Tra gli anni quaranta e gli anni cinquanta si assistette alla progressiva meccanizzazione del’agricoltura. A questa avrebbe dovuto corrispondere un adeguamento della pianificazione della riforma agraria. La meccanizzazione dell’agricoltura si concretizzava in pratica in un’industrializzazione della stessa; e come accade in tutte le attività industriali rispetto a quelle artigianali si assisteva ad un incremento dei costi fissi (nel caso specifico, acquisizione e manutenzione delle macchine) che si sviluppava parallelamente ad un incremento della capacità produttiva (possibilità per un singolo individuo di curarsi della coltura di maggiori estensioni di terreno). Di solito, in tali condizioni si cerca di massimizzare la produzione per ridurre l’incidenza dei costi fissi di produzione: se con un trattore ed un aratro meccanico si riescono ad arare venti ettari di terreno anziché dieci, la spesa relativa al mezzo meccanico inciderà per la metà su ogni unità di produzione. Sebbene dovesse essere ovvio che l’incidenza dei costi fissi si riduce all’aumentare della produzione, l’estensione dei poderi concessi ai contadini si ridusse grandemente rispetto a quella prevista dalla riforma fascista.
La prima, inevitabile, conseguenza fu l’emigrazione. Non era possibile vivere con i proventi derivanti da appezzamenti di terreno così piccoli. La seconda conseguenza (consequenziale alla prima), fu la fine dell’agricoltura siciliana così come era esistita fino alla metà del Ventesimo secolo; ma in un mondo che si preparava alla globalizzazione, ciò appariva di un’importanza del tutto secondaria.
L’epilogo, in molti casi, consistette nella ricostituzione del latifondo. Molte proprietà che erano state frammentate vennero ricomposte, “convincendo” gli assegnatari a cedere i terreni ricevuti, avendo dalla propria parte la legge ed anche la forza. La legge prevedeva che la vendita dei terreni di cui l’assegnatario era divenuto proprietario considerasse in posizione prioritaria chi possedeva i poderi viciniori; e spesso, chi possedeva i poderi viciniori portava cognomi “famosi”, o aveva qualche parente con cognome “famoso”. Ma di tutto questo, il governatore Crocetta sembra essersi reso conto solo di recente
E questo, Lettore, appare come la chiusura di un cerchio. Sembra di essere ritornati ad uno dei post iniziali (la mafia, il latifondo). Nulla è cambiato, e nulla cambierà. Come un trasformista in grado di cambiare radicalmente veste ed aspetto, ma la cui abilità nel far ciò è dovuta all’individuo che sta sotto le vesti. Che rimane, sempre e comunque, il medesimo.
Detto questo, qui non mi rimane altro da dire. E non mi rimane altro da mostrare se non una mappa che riporta la posizione di molti degli insediamenti citati nel testo.
Ho tralasciato i borghi antecedenti al Ventesimo secolo ed i villaggi minerari. I siti sono riportati in diverso colore e con simboli diversi i siti realizzati nelle varie fasi. Alcune delle realizzazioni degli ultimi periodi, quando venne abolito il veto riguardo all’aggregazione della popolazione rurale, sono, almeno sostanzialmente, dei borghi misti (residenziali e di servizio); il simbolo che li individua è il triangolo. In diverse zone dell’isola, sono stati realizzati agglomerati con esclusiva funzione residenziale; essi sono identificati dal simbolo della casetta. Questa è la legenda della mappa.
La mappa non ha ovviamente la pretesa di voler fornire alcuna indicazione utile all’identificazione delle posizioni precise; non è pensata avendo in mente l’idea dell’individuazione topologica dei luoghi. Serve solo a rendere graficamente quale sia l’ordine di grandezza, in senso numerico e geografico, di ciò che venne eseguito. Conseguentemente, si può avere un’idea anche dell’impegno che è stato necessario per portare a termine la serie sui borghi.
Devo sottolineare che senza il supporto degli strumenti messi a disposizione sul Web, soprattutto il Geoportale Nazioneale e GoogleEarth, il lavoro sarebbe stato sicuramente incomparabilmente più lungo e difficile, probabilmente impossibile. So bene che dietro tali strumenti vi sono persone; persone che non conosco ma alle quali va comunque il mio ringraziamento. Così come il mio ringraziamento va a diverse persone che conosco, e che in diversa misura, a volte persino inconsapevolmente, hanno fornito supporto e contributo a questa serie di post.
Innanzitutto Cinzia Cicero, senza l’apporto della quale tutto ciò probabilmente non sarebbe mai avvenuto.
E poi il prof. Vincenzo Sapienza, la cui gentilezza è stata in grado di generare spontaneamente un flusso di informazione (da lui a me, evidentemente) assolutamente determinante ai fini di questo lavoro
Joshua William Samuels, che, oltre a rappresentare un’insostituibile sorgente di dati, ha costituito uno stimolo non indifferente ad approfondire l’argomento.
Ma soprattutto l’ing. Angelo Morello la cui gentilezza e disponibilità, oltre a fornire direttamente e consentirmi l’accesso a molte informazioni, lo ha reso piacevole e costruttivo interlocutore in lunghe conversazioni.
Ed insieme a lui, all'ESA, la d.ssa Bergamaschi, il dott. Inzerillo.
Anche il titolo che ho dato alla serie, “La Via dei Borghi”, intende essere un tributo al lavoro dell’ESA, e non una forma di plagio.
Il sig. Matteo Dino, che mi ha sopportato durante le ricerche di archivio, ed il sig.Cannariato, che ha costretto il sig. Dino a sopportarmi.
Vittorio Riera, della conoscenza del quale mi ritengo onorato.
La simpaticissima Marilena La China, delle cui competenze mi sono avvalso, magari sfruttando un po’ la sua naturale disponibilità.
L’architetto Orlando del comune di Castronovo di Sicilia; così come la sig,ra Saimbene del comune di Caltagirone. Ambedue di una cortesia non comune.
La dottoressa Fiorella Scaturro. già direttore dell'ASCEBEM. per la disponibilità e la gentilezza mostrate.
Il sig, Candela di Fulgatore, che ha un senso dell’ospitalità eccezionale, nel senso più letterale dell’aggettivo.
Ringrazio inoltre il personale della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, che riesce a rendere più rapido ciò che ad un primo impatto appare come un’impresa lunga e tediosa.
Ringrazio anche le persone che ho incontrato nel corso di questa avventura, che spesso mi hanno accompagnato personalmente sui luoghi da visitare e da fotografare, senza chiedersi e chiedermi nulla, con la naturalezza e la gentilezza di chi risponde semplicemente ad una domanda. E’ accaduto a Borgo Bonsignore, a Santa Rita, a Pergusa, a Borgo Petilia, a Borgo Cascino, a Borgo Lupo, a Libertinia, a Borgo Pasquale, a Santa Barbara…
Ma soprattutto ringrazio di cuore coloro che non ho menzionato qui. Coloro che hanno fatto qualcosa per me, ma dei quali non riesco a ricordarmi mentre scrivo. Qualunque sequenza di eventi che conduca ad una condizione migliore, grande, piccola, importante, trascurabile che sia, non sarebbe realizzabile senza il contributo di tante persone delle quali poi non ci si ricorda più. Magari il contributo del singolo è modesto, ma la somma di tutti i contributi si unisce a formare quella spinta propulsiva senza la quale nulla sarebbe possibile. Non sarebbe possibile una banalità come il mio viaggio tra i borghi di Sicilia, così come non sarebbero possibili le più grandi conquiste dell’umanità. A loro, il mio grazie dal più profondo del cuore.
La trattazione sui borghi siciliani è semplicemente straordinaria; una cura nelle descrizioni e nei dettagli più unica che rara. Questi borghi mi hanno da sempre affascinato - in particolare se abbandonati. Diffido molto infatti dei propositi di "rilancio" e "riqualificazione": verrebbero rifatti gli stessi intonaci dell'epoca ? gli stessi infissi ? O sarebbe l'ennesima occasione per stravolgere ciò che già lo è stato?
RispondiEliminaForse dico un'assurdità, ma questi posti rimangono più "veri" fin quando nessuno (di incompetente) ci mette mano e cazzuola.
Pochi giorni fa ho concluso un viaggio in bici avente per meta primaria Borgo Giuliano, dove ho potuto scattare splendide foto. Vorrei donargliele ma non ho una Sua mail.
Mi chiedevo inoltre qual è, nel Suo post del 20 sett.2012 la località che risponde alla prima foto del paragrafo 'La settima fase'.
A breve farò un altro viaggio per visitare i borghi San Giovanni e Morfia nel territorio di Francavilla di Sicilia (ME), i quali non ho visto da Lei trattati.
Ancora complimenti. Sinceramente.
Grazie per i complimenti, ma soprattutto per aver apprezzato la mia serie sui borghi; è il mio premio per averla scritta ed il mio incentivo per continuare a farlo.
RispondiEliminaMi piacerebbe molto vedere le foto di Borgo Giuliano (uno dei miei preferiti, tra l'altro); la mia mail è
1.voxhumana@gmail.com
Riguardo al rilancio, non verrebbe fatto alcuno "restauro", ma solo una "ristrutturazione", così come è avvenuto per Borgo Callea. Per alcuni borghi sarebbe inevitabile, per altri impossibile anche questo.
Molti di essi sono già deteriorati in maniera irreversibile, ed ogno giorno che passa è un passo verso la distruzione.
Nessuno però farà niente. Ci sarebbe stato tutto il tempo per evitare lo sfacelo, e nessuno lo ha fatto; non cominceranno certo adesso.
A tutto ciò si aggiunge il disegno di legge approvato all'ARS nell'ottobre u.s. che prevede la cessione a privati dei borghi non ancora ceduti ai comuni. E la provincia di Trapani ha messo in vendita già da anni i borghi che si trovano nel suo territorio. Se un provato dovesse acquistare Borgo Fazio, ad esempio, l'utilizzo potrebbe essere soltanto unico: area edificabile. Ciò che resta degli edifici verrebbe demolito per far posto ai nuovi; non esisterebbero alternative possibili.
Ciò che resta da fare è allora raccogliere tutta la documentazione possibile, in modo da lasciare una testimonianza. Testimonianza di come a volte gli uomini creano ed altre volte distruggono.
Il borgo ritratto all'inizio della settima fase è Portella Croce.
Aspetto le foto, allora :)
C'è un aspetto su cui sto riflettendo, anche alla luce delle migrazioni del nostro tempo.
RispondiEliminaMi spiego: secondo Lei il fatto che i terreni assegnati dall'ERAS fossero insufficienti, fu un'ingenuità o fu una decisione creata ad hoc ?
Nel secondo caso è possibile spiegare in termini "diversi" lo spopolamento dalle campagne e la conseguente emigrazione verso il nord.
Il quale subì uno sviluppo demografico ed industriale esponenziale che oggi chiamiamo boom economico degli anni 60.
Creando la base per un mercato dei consumi che dura ancora oggi.
E poichè la natura di ogni mercato consumistico è quella di espandersi e non languire, ecco: forse si può pensare che le attuali masse di migranti che arrivano dall'Africa siano pilotate qui allo scopo di generare il mercato del futuro, intendo dire: i consumisti del futuro.
In pratica è lo stesso processo che avvenne negli anni 50 ma su scala più globale.
E perfettamente previsto e pianificato, questo sarebbe il punto...
Il fatto che le migrazioni odierne siano pilotate è certo; c'è una pressione in loco che spinge la gente ad andarsene e venire qui. E' una cosa che mi consta personalmente. Che questa sia esercitata per creare i consumisti del futuro, non saprei; considerato che la massa di gente che arriva è un peso economico non indifferente, non lo reputo probabile. Fare giungere qui gente povera, che però vive in gran parte sulle soalle di chi è qui, impoverendo anche noi, non mi sembra un modo efficiente di alimentare il consumismo; sarebbe stato più efficiente tentare di farli produrre e consumare nei loro paesi.
RispondiEliminaL'emigrante degli anni '50 si spostava verso zone in crescita economica, e lavorava. Qui si spostano in nazioni in crisi, e si fanno mantenere; mi riesce difficile vedere delle analogie.
Il fatto che l'ERAS assegnasse dei terreni insufficienti credo non avesse alcun secondo fine; era una conseguenza, non una causa. l'Eras in realtà tentò di proteggere i vecchi proprietari, sapendo che comunque qualcosa doveva essere cambiato. Fece in modo da lasciare scegliere i proprietari cosa dovevano cedere e cosa preferivano tenere, avendo sempre presente che, per motivi politici, la riforma agraria doveva essere condotta. C'erano poi delle disponibilità che derivavano da ciò che era stato dato, e degli aventi diritto a cui la disponibilità doveva venire divisa; sempre per motivi politici, risultò più comodo dare l'insufficiente a tutti anzichè il sufficiente a pochi. E' stata solo una tipica manifestazione della politica repubblicana siciliana, null'altro; la faccenda dei villaggi Schisina è emblematica.