Vi sono, Lettore, diverse persone accanite sostenitrici della monarchia Borbone, e del suo operato. Per esse, la questione meridionale ha inizio con l’Unità d’Italia. Sono convinte che l’arretratezza economica e sociale del Mezzogiorno sia da ricondurre alla politica dei Savoia, e che il Sud sarebbe rimasto prospero come lo era ai tempi del Regno delle Due Sicilie, se il regno unitario non fosse mai stato proclamato. Non so quanto questa posizione sia, in generale, sostenibile: l’aggettivo “borbonico” viene spesso usato per indicare arretratezza. E’ palese però che esisteva già da allora una differenza tra le terre “al di qua del faro” e quelle “al di là del faro”. La servitù della gleba, in Sicilia, viene abolita solo nel 1789, con Caramanico ; ed il feudalesimo nel 1812 in Sicilia, ma dieci anni prima nel regno continentale. E’ sicuramente vero che nel Regno delle Due Sicilie esistevano industrie di notevole importanza a livello europeo (come l’industria metalmeccanica di Pietrarsa o la cartiera di Fibreno); ma è altrettanto vero che se si esaminano gli elenchi delle posizioni di spicco raggiunte dal regno borbonico, per quanto riguarda la Sicilia ne vengono menzionate sempre e solo due: la scoperta di Cerere da parte dell’abate Piazzi, e la nascita del primo ospedale psichiatrico ad opera del barone Pisani. Eventi ambedue riconducibili alla capacità di singole persone, e non ad iniziative statali. La Sicilia non viveva lo stesso periodo di floridezza socio-economica che si vorrebbe attribuire al Regno delle Due Sicilie visto nella sua globalità. E’ questa una delle tante evidenze dell’esistenza di una “questione siciliana” in seno alla questione meridionale, che riguardava principalmente la classe contadina; ed è a tale questione che il regno unitario si trovò di fronte. E la maniera di fronteggiarla non fu dissimile da quella del passato: minacce e violenze verso gli agricoltori, solidarietà e appoggio alla “classe dirigente” ( allora nobiltà, oggi classe politica)
Già durante il regno borbonico gli inviati governativi si erano meravigliati della mancanza di infrastrutture, di scuole, della percentuale di analfabeti, delle strade inesistenti, della miseria dilagante, sia nelle città, sia nelle campagne. E questo nonostante lo stanziamento annuale di 300000 scudi per la Sicilia. La nobiltà siciliana ha sempre preferito lucrare sul sottosviluppo dei ceti medio bassi che, schiacciati dalla povertà, erano costretti a chiedere qualunque cosa come fosse una concessione e non un diritto, anziché migliorarsi per migliorare, e migliorare per migliorarsi, almeno dal punto di vista morale. Questo ha sempre generato un gran numero di sottomessi, ed un certo numero di delinquenti usati come “braccio armato”.
Continua quindi a perpetuarsi l’atteggiamento che è all’origine della mafia ed alla sua collusione con le istituzioni. La Costituzione del 1812 ha lasciato al potere la nobiltà ed inalterata la condizione sociale; e con l’arrivo di Garibaldi la situazione non migliora. La nobiltà, destra moderata, vuole l’annessione subito per continuare a godere dei privilegi cui ha goduto finora (come Tomasi di Lampedusa magistralmente esplicita nel “Gattopardo”, attraverso il suo don Fabrizio Salina), e per accaparrarsi le terre demaniali acquisendo ancora più potere. La paura di perdere la posizione di privilegio viene fronteggiata enfatizzando ulteriormente tali atteggiamenti, e cioè favorendo il clientelismo, corrompendo, minacciando, facendo variare leggi e regolamenti in maniera da acquisirne vantaggio. Nel 1860, nella Sicilia nord-orientale si verificano delle sommosse (Alcara li Fusi a maggio, Bronte e comuni limitrofi a giugno) che le autorità garibaldine reprimono col sangue facendo prevalere ancora una volta l’interesse e la prepotenza dei ceti nobiliari, i cui privilegi sono garantiti adesso dallo Statuto Albertino.
D’altra parte, quando viene proclamato il Regno d’Italia, il meridione è più una colonia che una regione. Poiché gli analfabeti non hanno diritto di voto, solo il 2% della popolazione può votare. Ed inoltre, viene reintrodotta la tassa sul macinato, ed introdotta la leva militare obbligatoria, della durata di sette anni , che tra l’altro toglie braccia all’agricoltura. E mentre i nobili corrompono gli ufficiali sanitari per evitarla, i poveri vivono questo come un’ulteriore ingiustizia e non possono fare altro che tentare di sottrarvisi. A causa di ciò, nel 1863 il governo dichiara in Sicilia lo stato d’assedio, proclama la legge marziale, e condanna a morte i renitenti come disertori. E, perché serva da esempio, le condanne sono spesso eseguite in pubblico, con metodi abietti e cruenti.
Quando il Lazio viene annesso allo stato unitario e Roma diviene capitale, la situazione non migliora per il Sud. Continua la chiusura delle imprese del periodo Borbonico, quando invece il Settentrione è favorito ed incentivato, mentre il Sud viene stroncato dalle imposizioni fiscali. Questo favorisce il fenomeno dell’emigrazione, che riguarda prevalentemente dei contadini; ed i terreni lasciati liberi dai contadini che emigrano vengono inglobati nel latifondo. Nella seconda parte del diciannovesimo secolo si ebbe allora al Sud il fenomeno dell’emigrazione ed una nuova ripresa del latifondismo.
Wikipedia riporta come l’espressione “questione meridionale” sia stata usata per la prima volta nel 1873 dal deputato Billia; la questione fu però portata alla conoscenza dell’opinione pubblica dall’inchiesta Franchetti-Sonnino, quattro anni più tardi. In questa viene tra l’altro chiaramente denunciata la collusione tra mafia, politica e latifondismo, e le motivazioni di essa. L’inchiesta Franchetti-Sonnino è articolata in due volumi, di cui il primo riguarda essenzialmente la maniera in cui vengono gestiti i diritti individuali e collettivi in Sicilia ed il significato di ciò in relazione al potere mafioso, ed è a firma di Franchetti. E’ il secondo, scritto da Sonnino, che concerne la condizione dei contadini (ed in minor misura anche quella dei minatori), descritta per diverse zone geografiche dell’isola. Nota per favore, Lettore, come l’inchiesta di Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino riguardasse sempre “la Sicilia del 1876”, e non, in generale, il Mezzogiorno d’Italia. Anche qui, è una “questione siciliana”.
Alla fine degli anni Settanta del diciannovesimo secolo ci si trova davanti ad un Settentrione industrializzato ed ad un Meridione rimasto all’agricoltura. La vicinanza delle regioni settentrionali alle altre nazioni europee si riflette in un incremento della produzione industriale, e ciò richiede interventi statali e creazione di diverse infrastrutture. Nel Meridione l’unica cosa che chiedono i latifondisti per non essere danneggiati dalla concorrenza estera sono leggi protezionistiche che limitino le importazioni.
E così questa situazione in Sicilia non può che portare alla ribellione, che si concretizza nella nascita dei Fasci Siciliani; il movimento avrà termine nel 1894, soffocato con il sangue. Ed a ripetere lo stesso copione è sempre lo stesso statista, Francesco Crispi, responsabile del massacro del 1894 come lo era stato prima di quello di Bronte. Ma se questa, Lettore, dovesse sembrarti la situazione peggiore possibile ti sbaglieresti. Il successore di Crispi è infatti il marchese Di Rudinì, che porta avanti gli interessi nobili-mafiosi, ed in confronto al quale Crispi appare realmente un illuminato. E con il successivo governo Giolitti vengono ulteriormente garantiti i privilegi baronali, si rinsalda l’unione tra politica e mafia ed il clientelismo diviene prassi. E così, fino a questo punto il latifondismo in Sicilia continua a prosperare.
Le prime iniziative volte a cercare di eliminare o ridurre le conseguenze dell’esistenza del latifondo risalgono nel periodo a cavallo tra il XIX ed il XX secolo, e possono essere individuate nelle “affittanze collettive”. Queste consentono a cooperative di contadini di avere in affitto le terre del latifondo, scavalcando il “pizzo” del gabelloto. Le affittanze collettive non sono un fenomeno limitato alla Sicilia; è però in Sicilia che assumono questo significato di affrancamento dalle imposizioni dei gabelloti. Il fenomeno subisce comunque un notevole ridimensionamento con la prima guerra mondiale, quando gran parte dei contadini parte per il fronte; e senza di essi, si assiste ad una ripresa del latifondismo. E così alla fine della guerra, due problemi divengono di grande attualità: da un lato, sempre il latifondismo, e dall’altro la presenza dei reduci.
Il 1919 fu, se non praticamente, almeno simbolicamente un anno fondamentale per l’agricoltura. Nasce infatti la confederazione delle Cooperative Nazionali, viene varato il decreto Visocchi, viene regolamentata l’Opera Nazionale Combattenti.
La Confederazione delle Cooperative Nazionali è sostenuta dal Partito Popolare di Luigi Sturzo, fondato nel medesimo anno. E don Sturzo era stato il fondatore dell’affittanza collettiva “Società Piccola Industria S. Isidoro”, nonché di una cassa rurale a Caltagirone.
Il decreto Visocchi prevede la possibilità, da parte dei prefetti, di assegnare per un periodo non superiore a quattro anni, a singoli, a cooperative o enti, i terreni incolti o mal coltivati. Il concetto non è nuovo, anzi il principio appare in linea di principio simile al diritto di vivificazione delle terre morte, mentre nella pratica è molto più arretrato di quello; ed inoltre, le assegnazioni furono poche. Ma probabilmente ciò che conta è che viene preso in considerazione il principio secondo il quale la produzione agricola di vaste aree del territorio nazionale non può essere subordinata all’arbitrio di pochi.
Sempre nello stesso anno il governo, sulla scia del novello interesse mostrato dalle altre nazioni europee per i reduci di guerra, ordina e definisce le funzioni dell’Opera Nazionale Combattenti, istituita due anni prima con l’art. 5 del decreto luogotenenziale del 10 dic. 1917, n. 1970, con lo scopo di reinserire nella società i superstiti di coloro che, lasciando il loro lavoro e le loro famiglie, avevano messo la loro vita a disposizione della Patria.
Il decreto Visocchi prevede la possibilità, da parte dei prefetti, di assegnare per un periodo non superiore a quattro anni, a singoli, a cooperative o enti, i terreni incolti o mal coltivati. Il concetto non è nuovo, anzi il principio appare in linea di principio simile al diritto di vivificazione delle terre morte, mentre nella pratica è molto più arretrato di quello; ed inoltre, le assegnazioni furono poche. Ma probabilmente ciò che conta è che viene preso in considerazione il principio secondo il quale la produzione agricola di vaste aree del territorio nazionale non può essere subordinata all’arbitrio di pochi.
Sempre nello stesso anno il governo, sulla scia del novello interesse mostrato dalle altre nazioni europee per i reduci di guerra, ordina e definisce le funzioni dell’Opera Nazionale Combattenti, istituita due anni prima con l’art. 5 del decreto luogotenenziale del 10 dic. 1917, n. 1970, con lo scopo di reinserire nella società i superstiti di coloro che, lasciando il loro lavoro e le loro famiglie, avevano messo la loro vita a disposizione della Patria.
Credo, Lettore, che il problema relativo ai reduci sia sempre stato vivo e presente in ogni tempo ed in ogni nazione, nel senso che probabilmente ogni paese ha sempre chiesto ai propri combattenti molto di più di quanto abbia dato loro; il romanzo di Rambo (quello originale da cui venne tratto il primo film, non i fumettoni d’azione che ne costituirono il sequel) è emblematico esso abbia continuato ad essere presente in tempi più recenti. All’inizio del XX secolo, in Europa tale problema fu considerato maggiormente degno di attenzione relativamente ai reduci della Prima Guerra Mondiale; e la risposta del governo italiano consistette appunto nell’ONC.
Su quelli che furono i risultati ottenuti dall’ONC vi sono, abbastanza ovviamente, pareri fortemente contrastanti, alcuni dei quali vedono l’ONC come un’organizzazione sicuramente perfettibile, ma che avviò la risoluzione di una serie di problemi di notevole entità, mentre altri la giudicano un insieme di inefficienze, spreco e sfruttamento, e successivamente anche di propaganda. Ciò che di fatto accadde fu che nel 1923 l’ONC divenne direttamente dipendente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ne individuava i componenti del Consiglio di Amministrazione; tre anni dopo l’ente venne commissariato, il Consiglio di Amministrazione venne sciolto, ed al suo posto venne istituito un Consiglio consultivo i cui componenti erano designati dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Non esprimerò alcun parere al riguardo perché scrivo per parlare di borghi, e ancora una volta ribadisco di non essere in grado di formulare giudizi storici né tantomeno politici; solo per chiarezza espositiva mi accade di menzionare determinati episodi, e, scrivendo, a volte dimentico di essere un ignorante e mi credo uno storico. Resta il fatto che l’ONC esistette; e che i reduci ebbero un ruolo nelle vicende che si svolsero in Italia agli inizi del XX secolo, non ultima la fondazione dei Fasci di Combattimento, da cui prenderà origine il PNF.
Spero di non aver commesso grossolani errori nell’aver approssimativamente riassunto più di un millennio di Storia. Ma comunque sia, a questo punto, Lettore, siamo giunti temporalmente a ridosso della marcia su Roma. E quindi, a ridosso dei borghi rurali fascisti. Ma prima di parlarne, sono costretto ad entrare un po’ più nel dettaglio riguardo alla situazione che ne avrebbe generato l’esistenza; perché senza parlare di essa, la logica del mio filo conduttore svanisce.
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