Se Tu, Lettore, dovessi già avere cognizione riguardo ai borghi rurali siciliani, ed informazioni riguardo alla loro storia ed alla loro evoluzione, starai magari pensando che io abbia, almeno nel titolo, spudoratamente copiato dal programma dell’ESA, esistente da non meno di tre anni, che si occuperebbe della rivalutazione dei borghi di Sicilia. E ne avresti tutte le ragioni, perché infatti è così. Ma ciò non è una sorta di plagio, eseguito per mancanza di fantasia o di originalità; oltretutto, l’espressione “la via dei borghi” non incontra neanche il mio gusto. L’uso della frase è voluto, ed ha un motivo; desidero esporlo nel seguito, anche se dovesse magari risultare poco interessante.
Se per caso dovessi avere letto l’introduzione sulla mia ricostruzione del tracciato ferroviario Palermo-Camporeale, è possibile che tu abbia un ricordo, anche vago, di cosa mi abbia affascinato particolarmente di quella linea ferroviaria: il fatto che diversi elementi che ne fanno parte mi fossero familiari da diverse decine di anni, ma che avessi scoperto da poco che essi rappresentavano parti di un’unità. E che l’impulso che mi aveva spinto alla ricostruzione fosse il bisogno di ricostruire quell’unità, e di verificare in che modo luoghi e strutture a me note mi conducessero alla fine dove non ero mai stato.
Il fatto che un viadotto sotto il quale ero passato migliaia di volte fosse (o fosse stato) fisicamente collegato ad un altro viadotto che non avevo mai visto, o ad edifici nei pressi dei quali ero transitato migliaia di volte senza accorgermi neppure che esistessero mi affascinava; ma… che dire, che pensare, quando il filo di collegamento non è fisico? Quando altre entità sono collegate tra loro nello spazio e nel tempo ma il collegamento è concettuale? E’ ugualmente affascinante scoprire l’esistenza di un tale collegamento?
Fin da piccolo, trovavo particolarmente suggestivo un piccolo gruppo di edifici che sorge, isolato, in una località chiamata “Bellolampo”. Il paesaggio della zona è particolarmente brullo, quasi “lunare”, e quegli edifici sembrano fuori luogo, lì. Li trovavo tanto surreali che una volta, nella seconda metà degli anni Ottanta, mi recai sul posto di notte per tentare di fotografare alla luce della luna una specie di cappelletta che si trova tra essi. Il risultato, su pellicola Ektacrome 400, non fu soddisfacente.
Qualche anno più tardi, ottenni un incarico di lavoro a Marsala, ove mi recavo due volte la settimana. Dall’autostrada, nei pressi dell’uscita per Fulgatore, si vedeva un poggio sulla sommità del quale c’erano degli edifici, una chiesa, ed un grande arco, isolato; vederli di sera, illuminati da luci arancio, direzionali, era di grande effetto. Ed ogni volta che passavo da lì, mi chiedevo quale fosse il significato di quelle costruzioni in una zona a scarsa densità abitativa. E pensavo che mi sarebbe piaciuto andare a vedere di che si trattasse esattamente, tornando appositamente sul luogo. Mi ripromisi di farlo, magari munito di fotocamera; ancora l’esperienza non mi aveva insegnato che le promesse di questo tipo, fatte a sé stessi, difficilmente vengono mantenute. Ma stavolta le cose erano destinate ad andare diversamente.
Non molto tempo dopo, scendendo, insieme ad altri, con la moto da enduro sul versante Sud di Rocca Busambra mi accadde di imbattermi in qualcosa di insolito. Era inizio primavera, il paesaggio era verdissimo, ed il sentiero conduceva ad un pianoro, affacciato sulla vallata sottostante. Al centro di quella distesa di erba compatta, nella quale si snodava il sentiero, si trovava un’area perfettamente delimitata, senza erba, sulla quale sorgevano diverse costruzioni in pietra, disposte ordinatamente. Passai così nel bel mezzo di ciò che sembrava un minuscolo villaggio disabitato; l’impressione che dava era che un gruppo di persone avesse deciso di stabilirsi in un posto isolato dal resto del mondo, ma poi per qualche motivo fosse stato costretto ad abbandonare le abitazioni. Ed anche questo apparve così surreale, che mi ripromisi di ritornarvi in un’altra occasione, senza amici, ma in compagnia della macchina fotografica. Ed anche per questa promessa, vale quanto detto sopra.
Qualche anno dopo mi accadde di trovarmi, per motivi “sportivi”, nella zona della costa Nord-Est del lago Poma, dove ebbi occasione di vedere delle costruzioni straordinariamente simili a quelle presenti a Bellolampo, ma sulle quali si leggevano distintamente motti chiaramente risalenti al periodo del governo fascista.
Per i medesimi motivi, poco più tardi cominciai a frequentare assiduamente la zona di Fulgatore, e così una sera ebbi la possibilità di guardare la chiesa e le altre costruzioni poste dietro l’arco, illuminate dalle luci direzionali. Vi erano una chiesa, un ufficio postale, qualcosa che sembrava una scuola, un paio di altri edifici. Alla base del poggetto su cui sorgevano vi era uno sparuto gruppo di case: era Ummari, frazione di Trapani. L’arco e gli edifici dietro di esso, in uno stile completamente diverso dalle case di Ummari, avevano anch’essi un’aspetto surreale; ma devo confessare che non fui in grado di comprendere il significato di tutto ciò.
La zona che frequentavo da quelle parti non era comunque esattamente Fulgatore, ma Montagna Grande, alle cui falde si trova il lago Rubino; sebbene questi non sia altro che un piccolo bacino artificiale, la zona naturalisticamente è bellissima. Lungo le strade che corrono alla base della montagna vi erano diversi cartelli direzionali che indicavano “BORGO FAZIO”. La cosa mi incuriosiva non poco. A vista, non c’era assolutamente nulla; ed ancora una volta mi ripromisi di andare a vedere di che si trattasse, nel solito, imprecisato, futuro.
Ancora anni più tardi (diversi, questa volta), una persona appartenente al mio ambiente di lavoro mi raccontò di un piccolo villaggio abbandonato, tra San Cipirello e Corleone, sugli edifici del quale si vedevano ancora le insegne degli esercizi commerciali, e mi consigliò di andarlo a vedere; la mia mente ritornò istantaneamente a ciò che avevo visto anni prima nei pressi di Rocca Busambra, e dissi a quella persona ed a me stesso che sì, sarei andato, ma che esistevano delle priorità, intendendo con questo che sarei prima dovuto tornare presso il villaggio abbandonato che avevo attraversato più di quindici anni prima. Però in cuor mio sapevo, o credevo di sapere che non avrei più visto il primo, e probabilmente mai visto il secondo.
Veniamo a tempi ancora più recenti adesso, quelli della ricostruzione della Palermo-Camporeale, che per una serie di curiose coincidenze (o per una sorta di disegno cosmico, per coloro a cui piace credere a queste cose) sembra essere la radice di tutto. Quando cominciai la ricostruzione dell’ultimo tratto, poco prima di Camporeale, mi rimase impressa nella menta la vista delle costruzioni sul poggio che si erge in contrada Balletto, a Nord del quale si trova appunto la fermata Balletto della ferrovia. Erano degli edifici che, vicini tra loro, sorgevano comunque isolati sul poggio, chiaramente disabitati, dall’aspetto relativamente moderno, tutti diversi tra loro, che sembravano in discreto stato; l’aspetto e l’ubicazione apparivano inusuali. Che significato potevano avere? Ed ancora una volta, mi ripromisi di andare a vedere, armato di macchina fotografica. Questa volta, però, mantenni la promessa. E, come in un cerchio che si chiude, ripresi le mie foto, come quella notte a Bellolampo.
Ma non sapevo assolutamente che in realtà stessi chiudendo un cerchio. Il luogo si rivelò anche più affascinante delle aspettative, però non avevo idea di cosa stessi guardando e fotografando. Soprattutto, non avevo idea del fatto che esistesse un legame tra questi episodi, un legame lontano nel tempo, che esisteva ancor prima che nascessi.
Sia prima dell’escursione fotografica, sia e soprattutto dopo, chiesi ripetutamente a persone originarie di territori limitrofi cosa fossero quelle costruzioni, ma ottenni risposte che non trovavo plausibili: un convitto, case per i contadini, un distaccamento militare… risposte largamente insoddisfacenti soprattutto perché non fornivano una spiegazione valida della presenza del balconcino sulla torre presente nel complesso, chiaramente progettato perché una sola persona vi potesse comparire, evidentemente per parlare a coloro che stavano nel piazzale sottostante.
Probabilmente starai inorridendo Lettore; starai inorridendo per l’ignoranza mia e dei miei interlocutori. Probabilmente, le persone alle quali chiesi erano le uniche in Italia, ed anche fuori di essa, che non sapessero cosa fosse un borgo rurale fascista. Oltre me, naturalmente.
La mia ignoranza perdurò fino al febbraio del 2012. Non ricordo il giorno preciso (ricordo però che fosse un martedì), ma una sera mi accadde di vedere, per caso (anche se sempre coloro a cui piace credere a queste cose direbbero che nulla accade per caso) la presentazione di un programma che sarebbe stato mandato in onda il sabato successivo su RAI3; e nel corso del programma vennero mostrate le immagini di ciò che avevo fotografato due anni prima, senza sapere cosa fosse. Il sabato guardai il programma; esso era basato sul progetto ESA denominato appunto “la via dei borghi”. Nel programma ci si riferiva al luogo che avevo fotografato come a “borgo Borzellino”; appuntai meticolosamente ciò che avevo udito, perché c’era ancora qualcosa che non mi era chiaro. Conoscevo infatti bene le carte IGM che raffiguravano il luogo, e nessun “borgo Borzellino” vi era segnalato. Pensai allora che la denominazione non fosse usuale, che ci si potesse riferire al luogo più usualmente in altro modo, e che le costruzioni di Balletto potessero essere una delle tante opere incompiute manifestazione degli sprechi che flagellano l’Italia, oggi per permettere a qualcuno di arricchirsi, ieri per fare propaganda, ma pescando sempre e comunque nelle tasche dei cittadini.
Così, terminato il programma, passai direttamente al PC chiedendo gentilmente ai motori di ricerca di Google (che, ancora per chi crede a queste cose, sarebbero basati su algoritmi progettati dagli extraterrestri) di cercarmi qualcosa su borgo Borzellino.
Un intero, nuovo microcosmo si dischiuse davanti ai miei occhi.
E davanti ad esso provai un misto di inadeguatezza, rabbia ed imbarazzo; se ti dovesse essere capitato, Lettore, di scoprire che c’è qualcosa che tutti sanno all’infuori di te, capirai ciò che intendo.
Ed appresi così che c’è un grande e diffuso interesse per questo microcosmo, interesse che travalica i limiti nazionali. Cominciai a cercare, e così seppi che uno dei siti Web che trattano l’argomento in maniera più sistematica è mantenuto da un americano, Joshua Samuels, della Stanford University.
Scoprii a poco a poco l’esistenza di un unico filo che legava gli episodi della mia vita prima descritti; e come avvenne per la Palermo-Camporeale desiderai conoscere compiutamente l’estensione di quel filo, da dove esso originava e dove conduceva. Presi atto del fatto che sebbene molte persone mostravano, o avevano mostrato di interessarsi all’argomento, le fonti erano davvero poche. E quelle poche spesso venivano malamente consultate; ma soprattutto, come spesso accade in questi casi, molto si risolveva nel copiare e ricopiare sempre le stesse cose, non curandosi di verificare cosa si stesse scrivendo.
Decisi così che se volevo davvero ricostruire quel filo dovevo sbrigarmela da solo; dovevo essere io a cercare, e non delegare ad altri. “Chi vuole vada, chi non vuole mandi” recita un vecchio adagio. E poiché io volevo, sono andato. Per tutta la Sicilia. E’ stato molto bello ed appassionante, un’evasione dalla quotidianità difficile da ottenere altrimenti. Ed ho così scoperto cose che a me sono sembrate interessanti, Lettore, e volevo per questo condividerle con Te; ma sempre con il medesimo spirito: la pretesa non è quella di scrivere una pubblicazione, ma di fare quattro chiacchiere e mostrare quattro fotografie. E come sempre, sarò lieto se mi seguirai lungo il filo della “via dei borghi”.
L'estremità del filo
Quando cominciai le mie trasferte, sapevo già che ne avrei scritto sul blog; ma l’intenzione iniziale era quella di visitare solo alcuni siti, scelti tra quelli più facili da raggiungere. Ritenevo che avrei scritto un paio di post, seguendo la classificazione di Joshua Samuels e mostrando qualche foto rappresentativa.
Strada facendo, il progetto è divenuto più ambizioso. I motivi di ciò sono molteplici. Uno è che girare per tutta la Sicilia è stato molto gradevole, soprattutto in primavera, ma anche in estate, ed ho desiderato prolungare ulteriormente questo piacere.
Strada facendo, il progetto è divenuto più ambizioso. I motivi di ciò sono molteplici. Uno è che girare per tutta la Sicilia è stato molto gradevole, soprattutto in primavera, ma anche in estate, ed ho desiderato prolungare ulteriormente questo piacere.
Ma il motivo principale è un altro.
Dal punto di vista delle nozioni, il sito di Samuels è scarno. Fornisce delle informazioni di estremo valore per chi non ha mai sentito parlare dei borghi, e tutte condensate nelle pochissime righe che accompagnano la descrizione di ogni singolo borgo. Ma dal punto di vista del contesto storico, è difficile desumere qualcosa dai contenuti del suo sito.
Il libro di Antonio Pennacchi, “Fascio e martello - Viaggio per le città del Duce, Laterza” del 2008, che tratta l’argomento, si colloca per certi versi ad un'altra estremità. Nulla di più rispetto al sito di Samuels relativamente ai borghi, ma maggiori informazioni relative al contesto storico. Il libro è però parziale; e d’altra parte trovo giusto che lo sia. Antonio Pennacchi è “fascio comunista”, e dire che questo traspare dal libro è un’espressione estremamente riduttiva. In linea di principio, prima di iniziare questa avventura probabilmente ero anch’io “fascio comunista”; ma io non cercavo conferme alle mie convinzioni, cercavo fatti. Non prove della correttezza della mia visione, ma una visione più corretta possibile. Ed è per avere questa che cominciai a cercare di procurarmi altre informazioni, nel maggior numero possibile, ritenendo affidabili le affermazioni che, provenendo da fonti diverse, fossero equivalenti, e scartando quelle chiaramente di parte.
E da dove iniziare una simile ricerca nel ventunesimo secolo, se non dal Web?
Bene, se Tu, Lettore, avessi condotto una tale ricerca, ti saresti imbattuto in una situazione frequentissima in rete: la stragrande maggioranza dei rifermenti reperibili è riconducibile a due sole fonti, ripetutamente e pedissequamente copiate e ricopiate, che consistono in null’altro che elenchi, contenenti nomi e località. Uno è una voce di Wikipedia; l’altro è un allegato contenuto in una proposta di legge d’iniziativa dei deputati Rampelli, Ronchi, Ricciotti, Menia e Buontempo, presentato il 22 dicembre del 2005.
Ed ambedue sono pieni di inesattezze, di incongruenze, ridondanze. In una parola, errati.
In particolare, la proposta di legge prevedeva “interventi per la salvaguardia e il recupero delle citta` e dei nuclei di fondazione ” ma sopratutto la relativa copertura finanziaria (25 milioni di euro per il triennio 2005-2008), da eseguirsi su luoghi di cui alcuni sono inesistenti, almeno per ciò che riguarda la Sicilia. E d’altra parte, Lettore, c’è da comprenderli. I nostri deputati sono un numero ridottissimo rispetto alle necessità, oberati di lavoro, e percepiscono una miserevole retribuzione. Per persone che lavorano in queste condizioni, sfruttate e sottopagate, l’essere approssimativi e commettere qualche inesattezza è comprensibile; l’impegno e le capacità devono in un certo modo essere commisurate al compenso.
Ma la voce di Wikipedia in questo non è da meno (almeno però, non è frutto del “lavoro” di deputati). Essa elencava sotto la voce “città e nuclei fondati durante il Fascismo”, sessantacinque toponimi soltanto in Sicilia, un numero più che doppio di quelli trattati da Joshua Samuels, sebbene quest’ultimo si fosse occupato soltanto di borghi rurali. Nelle ultime revisioni della voce, l’elenco è stato rimosso; ma le copie (anzi le scopiazzature) di esso continuano a girare per la Rete, riportate su forum e siti che hanno fatto riferimento ad essa per trattare l’argomento. Anche nell’elenco di Wikipedia sono presenti diverse ridondanze, ma tolte quelle, il numero rimane elevato, superiore a sessanta. Di alcuni borghi sembrava non esistere alcuna traccia ulteriore, ed erano addirittura difficili da localizzare.
Pertanto, mi restava solo una cosa da fare: verificare ogni cosa personalmente. E La tecnica non poteva che essere analoga a quella utilizzata per i tracciati ferroviari, e cioè GoogleEarth, carte IGM e sopralluoghi. Cominciando a seguire il filo partendo da un’estremità, ho cercato di risalire all’estremità opposta; pensando che vi avrei trovato una lista, se non completa, almeno corretta. Così facendo, mi è invece capitato di imbattermi in qualcosa di anomalo, inaspettato, interessante e coinvolgente.
L'Errore
Una delle anomalie
rilevate, che in questo tipo di ricerca assume a mio parere un'importanza fondamentale,
e da cui forse ne derivano, almeno in parte, altre, è quella che io chiamo
"l'Errore": è una alterazione della memoria collettiva per la quale,
da parte di molti, viene attribuita al regime fascista la realizzazione di
opere che possono essere (raramente) antecedenti o (frequentemente) susseguenti
al periodo in cui Mussolini fu capo del governo.
Mi sono anche fatto
un'idea del perchè dell'Errore, ma ciò
che qui un'importanza fondamentale non risiede tanto nelle motivazioni di esso
quanto nelle sue conseguenze. Infatti, l'Errore è causa, in assenza di
documenti, di un'erronea datazione delle opere, da cui discende un'altrettanto
erronea classificazione. Ed un'erronea classificazione falsa la valutazione
storica della riforma agraria, nell’ambito della quale i borghi vennero
realizzati.
Dalla costituzione del Regno d'Italia ai nostri giorni, le leggi di riforma agraria si trovano scritte sulle Gazzette Ufficiali; ma dal punto di vista storico, questo è l'aspetto formale che i vari governi che si sono succeduti hanno voluto mostrare alla popolazione. Dal punto di vista sostanziale, le politiche agrarie (e non solo) devono essere valutate sulla scorta dei dati relativi alle effettive realizzazioni, e della effettiva utilità di queste.
Risulta chiaro allora come la classificazione divenga qui di importanza fondamentale. Nel corso della mia ricostruzione, mi sono imbattuto nell'Errore più di una volta, ed all'inizio non l'ho riconosciuto come tale; pertanto, mi sembrava che le incongruenze stessero nel mio metodo, e non nelle informazioni che ottenevo da altre fonti. Poi ho compreso quale fosse la realtà dei fatti, e da ciò ne è derivata direttamente la necessità di una consultazione intensiva e sistematica della documentazione d’archivio disponibile.
E ciò ha
evidentemente comportato l’estensione, a dismisura, di quello che era il piano
originale; ma ha generato anche, alla fine, il processo mentale che ha
consentito di rimettere al loro posto i tasselli del mosaico.
Ed è proprio questo
processo che vorrei raccontare qui; ma una delle difficoltà maggiori si è rivelata
quella relativa alla struttura da dare al racconto. Infatti, si potrebbero
individuare diversi approcci al
problema, cui corrisponderebbero diversi modi di vedere e di descrivere. Si
potrebbe vedere la cosa da un punto di vista cronologico, da un punto di vista
politico, da un punto di vista geografico, economico… diversi percorsi da
seguire che, come un fascio di rette, avrebbero un solo punto in comune: i
borghi fascisti.
Ho allora deciso di
seguire un percorso logico, nella speranza che riesca in un certo modo a
comprendere tutti gli altri, magari lasciandone fuori i dettagli ma includendo
le tappe fondamentali. Cercherò di fornire una descrizione nella quale ogni
elemento che ho osservato contribuisca a costituire un quadro coerente, ogni
fatto di cui sia venuto a conoscenza abbia una spiegazione che non risulti mai
contraddittoria. Poiché la descrizione sarà cronologica, sarei tentato di
definirlo “percorso storico”, ma una tale definizione è troppo ambiziosa e non
mi si addice. Soprattutto perché in Storia sono tutt’altro che esperto; e
questa espressione è ancora in realtà un eufemismo, usata dove se volessi essere franco dovrei invece affermare di
essere totalmente ignorante. Ma questa storia mi è servita anche per essere
meno ignorante, e non solo riguardo all’esistenza dei borghi rurali fascisti.